Vedi CALCIDESI, Vasi dell'anno: 1959 - 1994
CALCIDESI, Vasi
Il nome indica un gruppo di vasi, per ora circa trecento, dei quali è incerto il luogo di produzione; deriva dalle iscrizioni in alfabeto calcidese scritte accanto ai personaggi di alcuni vasi del gruppo. È merito del Rumpf aver definito le caratteristiche e i limiti di questa fabbrica, averne escluso vasi corinzî, attici o beoti che le erano stati erroneamente attribuiti, e averle definitivamente assegnato, togliendoli alla Ionia, i vasi di uno dei più recenti e migliori pittori, il Pittore di Fineo (v.).
La tecnica usata è quella a figure nere, cioè la silhouette con particolari incisi e ritocchi in rosso e bianco. L'argilla ha in generale un bel colore rosso-arancio lucente, di una tonalità molto calda; qualche volta è più scura, o giallastra. La vernice è nera, lucentissima, bruna solo dove è diluita. L'incisione è facile, elegante, eseguita con una punta più larga sulla vernice nera, più sottile sul bianco. L'incisione preparatoria è rara. Sui vasi più recenti (Gruppo di Fineo) si trova qualche volta, per alcuni particolari, la linea a rilievo. La forma preferita è l'anfora ad anse rotonde e anello rigonfio fra il corpo e il piede; nella produzione più recente sono frequenti anche la tazza e la oinochòe. Il cratere, di evidente derivazione metallica, ha una forma caratteristica, detta "calcidese", che appare già completamente sviluppata e deriva forse dalla produzione corinzia. I motivi ornamentali preferiti sono il caratteristico boccio di rosa molto rigoglioso, che troviamo solo, o in catena, o unito ai complicati intrecci di palmette; il fregio di fiori di loto e palmette e, nella produzione tarda, il ramo di edera.
Le iscrizioni in alfabeto calcidese non sono decisive per determinare il luogo di produzione di questa classe di vasi. Tralasciando le ipotesi più antiche, attualmente si crede che essi fossero fabbricati a Calcide, nell'isola di Eubea; oppure in una colonia calcidese della Sicilia o della Magna Grecia; o in una città etrusca (Caere), dove si sarebbero stabiliti ceramografi calcidesi. A tutte si possono opporre delle obiezioni e tutte mancano di prove sicure. L'origine etrusca, sostenuta dallo Smith, si basa su premesse errate (un frammento di vaso etrusco, al museo dell'Università di Filadelfia, creduto calcidese dallo Smith) e particolari non decisivi. La provenienza da Calcide di Eubea, che raccoglie il maggior numero di aderenti, non spiega come mai a Calcide, o nel resto dell'Eubea, non siano mai stati trovati vasi c., o tali che ne preparino lo stile, né come mai questa fabbrica, qualitativamente notevole, non abbia avuto alcun influsso non solo in Grecia, ma nella vicina Beozia, o nella vicinissima città di Eretria: in quest'ultima si riscontrano tendenze e influssi completamente diversi. Vasi, trovati a Calcide e a Eretria e creduti c., sono stati riconosciuti come attici da D. A. Amyx. È inesatta la recente affermazione che nel 1952 siano stati trovati a Calcide di Eubea vasi c. e le officine ceramiche nelle quali essi sarebbero stati prodotti. Localizzarli in una colonia calcidese della Sicilia o della Magna Grecia è attraente: spiegherebbe gli influssi che hanno agito su questa classe ceramica e il numero considerevole di vasi c. trovati a Reggio Calabria; spiegherebbe anche le oscillazioni di tipologia e di schemi in confronto alla Grecia continentale. Ma anche questa ipotesi non ha prove. La certezza si avrà solo dal ritrovamento o delle officine ceramiche, o di vasi che siano una fase preparatoria di quelli c., e dallo studio della loro diffusione. Solo l'origine dei vasi a scene figurate è conosciuta: essi provengono dai paesi del Mediterraneo occidentale (un frammento, ora perduto, sarebbe stato trovato a Sciro, ma è dubbio se sia realmente calcidese). Sarebbe necessario identificare anche i vasi sicuramente c. a decorazione non figurata e le località dove furono trovati, perché difficilmente saranno stati esportati lontano dal luogo di produzione. Per ora, solo due vasi di questo tipo sono stati pubblicati, quelli di una tomba di Sala Consilina (Lucania), ora al Petit Palais, a Parigi.
Poiché non si conoscono le fasi preparatorie di questo stile è stato supposto che esso sia sono per impulso di un pittore di talento che avrebbe influito su alcuni contemporanei e sulla generazione successiva. Il Rumpf ha attribuito a questo pittore i ventitré pezzi del suo Gruppo delle Anfore Iscritte (il nome deriva da sei anfore con iscrizioni); alcuni studiosi lo chiamano il Pittore delle Iscrizioni, o delle Anfore Iscritte. È ignoto come e dove il pittore si sia formato. Fu creduto un corinzio, o un ateniese emigrato, o un greco delle Cicladi, ma nessuna ipotesi spiega in qual modo poterono fondersi nella sua produzione le varie correnti stilistiche dell'epoca. I vasi più antichi, un frammento a Reggio (n. 1169), un vaso da Caere (lo psyktèr Castellani nel Museo di Villa Giulia, a Roma, Mingazzini, n. 419), due da Vulci (anfora n. 202 della Bibliothèque Nationale di Parigi; anfora già nella Collezione Pembroke-Hope) mostrano il pittore pienamente formato, ricco di esperienza e conosciuto, perché la sua produzione è già esportata. Ci mancano i suoi vasi giovanili, quelli con cui si è affermato e imposto e che hanno determinato l'esportazione. Nello psyktèr Castellani, di poco anteriore al 550 a. C., è evidente l'influsso dei vasi corinzî e attici del secondo venticinquennio del VI sec. a. C. Sono corinzî l'uso del bianco steso direttamente sull'argilla (le carni della ninfa), la forma dell'unico mantello che copre le tre dee (simile a quelli corinzî più che a quelli attici) e i motivi decorativi del mantello stesso; ma il trovare questi motivi decorativi incisi, e non dipinti, è attico, come attica è l'incisione per il pelo del corpo del sileno e attico il bianco su vernice nera del viso delle tre dee. Lo psyktèr Castellani è uno dei capolavori del pittore, insieme all'anfora n. 202 della Bibliothèque Nationale di Parigi (Eracle e Gerione), e a quella Pembroke-Hope (lotta di guerrieri). Le due anfore, databili fra il 550-540 a. C. sono notevoli per la composizione chiara e serrata, con figure che campeggiano sul fondo arancio, strettamente legate fra loro, benché non si taglino molto e solo in parti secondarie. Il pittore sente l'efficacia decorativa delle ampie superfici colorate non interrotte da particolari, le oppone tra loro, le equilibra. Annunzia già quel gusto decorativo che caratterizza la sua produzione e tutti i vasi calcidesi. Più recenti sono un'altra anfora della Bibliothèque Nationale di Parigi (n. 203: la partenza di un guerriero); la hydrìa di Monaco n. 596, con la lotta di Mopsos e Atalante su una faccia, di Zeus e un gigante sull'altra; il cratere di Würzburg n. 315, con la partenza di Ettore e Paride. In questo gruppo di vasi le figure, calme e composte, senza movimenti violenti, sono disposte a piccoli gruppi paratattici di due o tre. La differenza si nota quando si confronti la lotta fra Zeus e un gigante, sulla faccia posteriore della hydrìa di Monaco, con la lotta fra Gerione e Eracle sull'anfora 202 della Bibliothèque Nationale. In questa il pittore ha concentrato la sua attenzione sul drammatico cozzo dei protagonisti, di cui sottolinea la violenza mediante il contrasto fra il movimento impetuoso dei protagonisti, tesi nello sforzo della lotta, e la ieratica solennità di Atena, l'immobilità della quadriga frontale, la serena calma dei bovi. Nella hydrìa di Monaco il pittore ha visto soprattutto le possibilità decorative offerte dalla lunga coda del gigante, dalle sue ali tese e dal mantelletto di Zeus. Le due figure, una accanto all'altra, in ordine paratattico, sono calme e immobili; solo il braccio alzato di Zeus suggerisce la lotta. Capolavori di pura decorazione sono i due vasi di Würzburg nn. 146 e 147, specialmente quest'ultimo.
Il diverso modo di concepire l'azione e la composizione ha fatto supporre che sulle anfore più antiche il pittore abbia adattato delle megalografie, mentre i vasi più recenti, decorativi e paratattici, rispecchierebbero il suo reale temperamento. Ma, poiché i vasi a carattere drammatico sono i più antichi, si può anche pensare a due fasi successive dell'attività del pittore: nella seconda avrebbero pieno sviluppo quelle tendenze decorative che caratterizzeranno tutta la produzione calcidese.
Alcuni vasi del Gruppo delle Anfore Iscritte sono stati creduti lavori di bottega, per esempio l'anfora B 155 del British Museum e quella n. 594 di Monaco. Questi due vasi sono repliche scadenti delle scene dipinte sull'anfora n. 202 della Bibliothèque Nationale. L'Eracle e Gerione della faccia principale è ripetuto sull'anfora B 155, ma la lotta è fredda, fiacca e confusa; le tre teste di Gerione, a croce, sono ridicole e la dignitosa Atena è diventata una buona donnetta. La quadriga frontale della faccia secondaria, un soggetto che il pittore ha adoperato due volte, sempre brillantemente (anfora n. 202, cratere B 15 del British Museum), è ripetuta su ambedue le facce dell'anfora n. 594 di Monaco: le due quadrighe fondono, imbarbarendole, quelle del maestro, i cavalli sono goffi, tozzi, pesanti. L'attribuzione delle due anfore alla bottega, invece che al maestro, sembra giustificata.
Il Rumpf ha visto che la mancanza quasi assoluta di pieghe nei vasi di questo gruppo non è indice di arcaismo. Soltanto Neis, sull'anfora B 155 del British Museum, ha pieghe che fanno scendere il vaso a circa il 530 a. C. Tra le opere sicuramente attribuite al maestro, le più recenti sembrano essere la hydrìa di Monaco n. 596 e il cratere di Würzburg n. 315. Nella prima una indicazione cronologica è data dal corto mantello di Zeus, che copre il petto e ricade in due lembi dietro le spalle, mantello che appare in Attica su rari vasi della fabbrica di Nikosthenes, del Pittore di Andokides, di Psiax e di altri, databili tra il 530 e e il 500 a. C. Perciò la datazione della hydrìa di Monaco al 550 a. C., proposta da alcuni studiosi, sembra essere troppo alta. Bisogna scendere al 530-525 a. C., cioè all'epoca del cratere di Würzburg, datato dal mantello di Elena, aderente al corpo in modo da disegnarne le forme, e da quello di Andromaca, che le modella il braccio. L'attività del Gruppo delle Anfore Iscritte va da poco prima del 550 al 530-525 a. C.
Il Rumpf ha riconosciuto altri gruppi stilistici, ai quali ha dato il nome di uno o più vasi del gruppo stesso: il Gruppo della Hydrìa di Cambridge; il Gruppo delle Anfore di tipo B (Bauchamphoren); il Gruppo dell'Anfora di Lipsia; il Gruppo della Hydrìa di Orvieto; il Gruppo dell'Anfora di Vienna; il Gruppo dell'Anfora di tipo B di Tarquinia; il Gruppo delle Anfore di Bonn; il Gruppo della Tazza di Fineo. Alcuni vasi rimangono isolati. Per il Rumpf questi gruppi corrisponderebbero ad altrettanti pittori; altri studiosi vorrebbero aumentare o diminuire il numero dei ceramografi. La qualità artistica di questi gruppi è raramente alta; in alcuni, anzi, è decisamente scadente (Gruppo dell'Anfora di tipo B di Tarquinia; Gruppo delle Anfore di Bonn). Questa produzione manca spesso di originalità; salvo eccezioni, continua lo stile e i motivi del Gruppo delle Anfore Iscritte, senza tentare formule e soluzioni nuove. Schemi, tipi, singole figure sono ripetuti senza grande varietà né di disegno, né di composizione; il pennello li ha tracciati quasi meccanicamente. Tuttavia non è noiosa o monotona; è quasi sempre di buon gusto e di notevole effetto decorativo, il diseguo è facile. Buon gusto, ottima tecnica, facilità decorativa sono l'eredità trasmessa dal Gruppo delle Anfore Iscritte.
Il Gruppo delle Anfore di tipo B e quello della Tazza di Fineo, superano per qualità gli altri, benché non raggiungano il livello del Gruppo delle Anfore Iscritte. Il primo deve il nome a quattro anfore di questo tipo (Ermitage n. 1479; Louvre E 802, E 805; anfora da Nepi al Museo di Villa Giulia, a Roma). E il più vicino per cronologia e stile al Gruppo delle Anfore Iscritte. Il vaso più antico del gruppo, lo psyktèr di Tarquinia R. C. 6830, datato al 550 a. C. ma forse di qualche anno più recente, è decorato unicamente con un gruppo di due animali e mostra un gusto decorativo notevole. I vasi a scene figurate, specialmente le quattro anfore a cui il gruppo deve il nome, sono disegnati con sicurezza e gusto; le figure sono slanciate, vibranti, elastiche. Due delle quattro anfore (Louvre E 805, Ermitage n. 1479) offrono elementi databili: le pieghe del panneggio li portano al 530-525 a. C. L'anfora di Villa Giulia, vicinissima per stile a quella dell'Ermitage, manca di pieghe, ma dovrà datarsi alla stessa epoca. Il Gruppo della Anfore di tipo B è quindi databile fra il 550-545 e il 530-525 a. C. Il Gruppo della Hydrìa di Cambridge gli è contemporaneo.
Il Gruppo della Tazza di Fineo, il più recente, ci mostra un maestro notevole, il Pittore di Fineo (v.), la cui produzione è databile fra il 530-510 a. C.; gli è contemporaneo il Gruppo della Hydrìa di Orvieto. I Gruppi dell'Anfora di Lipsia, delle Anfore di Bonn, dell'Anfora di Vienna sono un poco anteriori, circa 540-525 a. C., e formano il passaggio fra i gruppi più antichi e quello della Tazza di Fineo.
Due gruppi di vasi, spesso detti "pseudocalcidesi", hanno imitato la ceramica calcidese. Sono il Gruppo dell'Anfora di Memnone (da un'anfora, ora perduta, con il combattimento fra Achille e Memnone) e il Gruppo di Polifemo (dall'anfora del British Museum B 154: accecamento di Polifemo). La tecnica differisce da quella dei vasi c.;. la qualità non è mai alta, in molti esemplari è assai scadente. Il Gruppo di Polifemo, abbastanza numeroso, è contemporaneo al Pittore di Fineo, al quale alcuni studiosi lo collegano, e sarà da datarsi fra il 530 e il 510-500 a. C. Il Gruppo dell'Anfora di Memnone è un poco anteriore. Il luogo di produzione è sconosciuto.
In Etruria, dove furono esportati i più bei vasi c., è rarissimo trovare influenze sulla produzione locale. Si è parlato di un influsso sulla Tomba dei Tori, a Tarquinia, ma tale influsso è inesistente. L'influsso più evidente è su uno dei tripodi Loeb. Un gruppo di vasi di bronzo, anche esso di origine incerta, fra i quali il grande cratere trovato a Vix (Francia), è stato avvicinato ai vasi calcidesi.
Bibl.: E. Pfuhl, Malerei u. Zeichnung d. Griechen, I, Monco 1923, p. 195 ss., dà la bibliografia precedente. Ottimo è A. Rumpf, Chalkidische Vasen, Berlino - Lipsia 1927, a cui si aggiungano le recensioni in Journ. Hell. Stud., XLVIII, 1928, p. 120 ss.; Gnomon, IV, 1928, p. 329 ss.; Rev. Ét. Gr., XLI, 1928, p. 93 ss.; Rev. Arch., XXV, 1927, II, p. 170 ss. Inoltre E. Buschor, Griechische Vasen, Monaco 1940, p. 79 ss.; A. Rumpf, Malerei u. Zeichnung, Monaco 1953, p. 54 s.; G. Lippold, Vasen und Münzen, in Jahrbuch, LXVII, 1952, p. 78 ss. - Fabbricazione in Etruria: H. R. W. Smith, The Origin of Chalcidian Ware, in University of California Publications in Class. Archaeology, I, 3, Berkeley 1932, p. 85 ss. e la recensione in Philologische Wochenschrift, LIV, 1934, col. 680 ss. - Fabbricazione nell'Italia meridionale o nella Sicilia: E. Pottier, Musée National du Louvre, Catalogue des Vases antiques, II, Parigi 1899, p. 551 ss.; C. V. A., University of California, i, p. 24; G. Valler, Rhégion cité chalcidienne (in pubblicazione: v. Comptes-rendus Académie Inscriptions, 1951, p. 285). - Due vasi di provenienza greca, creduti calcidesi, sono dimostrati attici da D. A. Amyx, The Gorgon-Hydria from Eretria, in Am. Journ. Arch., XLV, 1941, p. 64 ss. - Alla lista dei vsai calcidesi, data dal Rumpf, si aggiunga: Journ. Hell. Stud. cit.; Gnomon cit.; Rev. Ét. Gr. cit., p. 102 ss.; H. R. W. Smith, cit., pp. 86; 139 ss. (l'anfora della Royal Society of Literature, Londra, riprodotta a tav. 16, non apprtiene al Gruppo della Hydrìa di Cambridge, ma a quello dell'Anfora di Memnone); Mon. Ant. Lincei, XXXII, 1927, coll. 338, tav. 92, 4; XLII, 1955, col. 639, n. 4, fig. 144 a, b; Boll. d'Arte, VIII, 1928, p. 173 s.; C. V. A., Providence, i, tav. 7; C. V. A., France 15, Paris, Petit Palais p. 4, e tav. 2, nn. 11-14; Bull. Metropolitan Museum of Art, dicembre 1946, p. 131 ss.; British Museum Quarterly, XVI, 1951, p. 74 ss.; XVII, 1952, p. 13 s.; Auction Sale XI, 1953, Monnaies et Médailles, Basilea s. a., nn. 315 e 316; Auction Sale XIV, June 19, 1954, Monnaies et Médailles, Basilea s. a., nn. 53 e 54; Studi Etruschi, XXIV, 1955-56, p. 147 e tav. IV a; un'anfora del Gruppo delle Anfore Iscritte con satiri e menadi è in proprietà privata a Basilea; due anfore del Louvre, G. Vallet, Le groupe de Polyphème et la céramique "Chalcidienne", in Rev. Ét. Anc., LVIII, 1956, p. 42 ss. - Per i crateri "calcidesi": H. Payne, Necrocorinthia, Oxford 1931, p. 330. - Vasi c. da Sala Consilina: C. V. A., Petit Palais cit., tav. 2, nn. 11-14. - Ceramica di Eretria: J. Boardman, Pottery from Eretria, in Annual Brit. School Athens, XLVII, 1952, p. i ss. - Rapporti con il cratere di Vix: G. Vallet-Fr. Villard, Un atelier de bronzies: sur l'École du cratère de Vix, in Bull. Corr. Hell., LXXIX, 1955, p. 50 ss. Contro: A. Rumpf, Κρατὴρ Λακωνικός, in "Charites". studien zur Altertumswissenschaft, Bonn 1957, p. 127 ss.