ATTICI, VASI
. Nell'insieme dei prodotti di ceramica greca i vasi attici costituiscono la parte predominante e su essi noi possiamo seguire tutta l'evoluzione, attraverso distinte fasi, della pittura dei Greci, dagli incunaboli geometrici dei primi tempi del primo millennio a. C. sino agli albori dell'età ellenistica.
Dopo la civiltà cretese-micenea o preellenica i vasi più antichi attici ci sono stati offerti da due sepolcreti, da quello del pendio occidentale dell'Acropoli e da quello di Eleusi. I vasi sono di piccole dimensioni, brocche, nappi, pissidi ed anforette; la decorazione è a base geometrica con appoggi allo stile miceneo, appariscenti nelle linee curve, minori tuttavia di quelli che possiamo invece scorgere negli anteriori vasi del sepolcreto di Salamina, che è di transizione dal miceneo al geometrico. Nei vasi di Eleusi già appare la decorazione zoomorfa, né manca la figura dell'uomo.
Ma lo stile geometrico attico ci si palesa compiutamente evoluto nei vasi cosiddetti del Dipylon, dai rinvenimenti di maggiore importanza fatti nella necropoli accanto alla porta d'Atene, chiamata del Dipylon, sulla strada del Pireo. Parecchi vasi, di enormi proporzioni (un'anfora raggiunge m. 1,75 di altezza), servivano come segnacoli dei sepolcri, ben protetti dentro una cavità del terreno, e raccoglievano le offerte dei superstiti. Questi vasi sepolcrali, crateri o anfore, sono rivestiti di una decorazione condotta a vernice nera sul fondo giallo-chiaro dell'argilla, decorazione nella quale si palesa un sistema geometrico a base specialmente di meandri. Alcune fasce sono a decorazione zoomorfa con schemi di animali geometrizzati, e non rare sono le scene figurate con allusioni funebri: la πρόϑεσις o esposizione del morto, la ἐκϕορά funerale. La figura umana, ignuda, è ridotta ad uno schema incorporeo: la testa è un cerchiello allungato anteriormente con un punto, l'occhio; il collo è un segmento di linea, il petto è un triangoletto nero, strettissima è la cintura, da cui scendono le gambe lunghissime e magrissime, filiformi sono le braccia. In tal modo la figura umana diventa in vaste composizioni un semplice elemento decorativo, e ciò è accentuato dai riempitivi suggeriti dall'horror vacui. Ma l'aspetto complessivo dei grandi vasi del Dipylon è assai soddisfacente, poiché vi sono ponderatezza e armonia, sicché in germe vi si trovano quegli elementi che saranno le qualità esimie dell'arte ellenica nel suo sviluppo.
Nella ceramica del Dipylon appare l'uso della scrittura: l'iscrizione attica più antica è su una brocca della fine del sec. VIII, che ora si conserva al museo di Atene.
Verso la fine di questo medesimo secolo possiamo collocare alcuni prodotti, in cui le forme animate, così umane come bestiali, o anche mostruose di derivazione orientale, cominciano ad assumere una certa corporeità, mentre d'altro lato s'avverte la tendenza a distinguere la figura maschile dalla muliebre, la quale ultima è di solito rappresentata vestita. Le figure appaiono ormai come masse oscure sul fondo giallognolo del vaso.
Ma tra il sec. VIII e il sec. VII a. C. diventano numerosi gli elementi orientali, cioè le figure di belve e di mostri, mentre nell'ornamentazione a rigide linee rette cominciano ad innestarsi ornati che si allontanano da tale rigidità. La brocca trovata ad Análatos, ora al museo di Atene, è uno dei primi e più significanti esempî di questo mutato indirizzo. Al Dipylon richiamano in questo vaso la tecnica, il metodo decorativo a fasce orizzontali, la scena di danza di uomini e donne espressa sul collo, le figure di cervi pascenti; ma nella fascia maggiore è l'elemento orientalizzante con i leoni e le forme vegetali. Si può seguire il progredire di questa ceramica attraverso varî esemplari, come l'anfora dell'Imetto, il cratere Burgon, un cratere del Museum der antiken Kleinkunst a Monaco, le oinochoai cosiddette del Falero, ove, talora, la figura umana o la semplice testa sono rappresentate con un carattere grottesco non privo di vivacità.
Da questa prima si passa a una seconda fase, dove più accentuata ancora è la corporeità delle figure e dove è già l'uso della policromia. I vasi cosiddetti protoattici costituiscono una terza fase con la quale siamo ormai nel sec. VI a. C.; tra questi vasi è preminente l'anfora di Nesso del museo di Atene: si è già all'illustrazione del mito: sul collo il gruppo di Eracle e del centauro Nesso, sul corpo le tre Gorgoni, di cui una, Medusa, priva del capo. Le forme delle figure sono atticciate e vi è largo uso del graffito e del colore rosso con cui sono espressi i volti, mentre i corpi sono a color nero.
Fin qui s'è notato un'evoluzione graduale di stile che lentamente si sviluppa dai primi incunabuli dell'arte geometrica. Invece le anfore cosiddette di Vurva, o dello stile a fregio di animali, dei tempi tra il sec. VII ed il sec. VI, sovraccariche di forme animalesche e mostruose distribuite a fasce, si riconnettono a modelli toreutici e tessili dell'oriente ellenico. Questo stile a fregi di animali penetra anche addentro nel secolo VI, ove ne abbiamo applicazione in un gruppo di deinoi, cioè di recipienti globulari di grandi dimensioni che dovevano poggiare su sostegni fittili.
Si può dire che con i più recenti dei vasi a fregi di animali e con i vasi protoattici si è già nella fase della ceramica attica con figure nere sul fondo giallo-rossastro dell'argilla. E comincia ora anche l'esportazione di questa merce da Atene al di là dei mari, specialmente in Etruria.
Caratteristiche di questi primi tempi della ceramica con figure nere sono le anfore di destinazione funeraria, in cui è già la divisione della superficie da decorare in due riquadri, uno dei quali è occupato da una protome equina, l'altro da un busto muliebre.
Notevoli sono anche le cosiddette anfore tirreniche, dette così per la loro provenienza etrusca, ove evidenti sono i modelli ionici e calcidesi, con la rappresentazione di miti anche puramente attici.
La fusione della vetusta, secolare corrente indigena con le correnti ionica, calcidese e corinzia ci appare perfetta in un capolavoro che possiamo collocare verso la metà del sec. VI, cioè nella grande anfora dalla circonferenza di m. 1,81 e dall'altezza di cm. 66, detta François (trovata presso Chiusi, ora nel museo di Firenze) e firmata da Clizia pittore e da Ergotimo fabbricante. Essa è ammirevole per il numero e la varietà dei soggetti trattati, per la ponderatezza e la cura dell'assieme e dei particolari delle varie scene, tra cui predomina quella delle nozze di Peleo e di Tetide.
Ormai in questi prodotti attici con figure nere, che vanno sempre più eliminando i prodotti ceramici di altri centri ellenici, noi scorgiamo frequenti le firme dei ceramisti, sia dei fabbricanti o padroni di officine con la voce verbale ἐποίησεν, "fece", sia dei decoratori con la voce verbale ἔγαϕεν, "disegnò".
Rigido e meticoloso è il ceramista Colco, esperto animalista è Teozoto, graziosissime sono le opere dei cosiddetti "piccoli maestri" (Tlesone, Ergotele, Archicle, Glauchite, Tlempolemo, Neandro, ecc.), cioè le tazze leggiere ed eleganti con una sottile fascia figurata, o con una singola figura animalesca in ciascuno dei lati esterni. Ma preminenti sono nella seconda metà del sec. VI tre ceramisti: Amasi, Esechia, Nicostene (v.).
Negli ultimi decennî del sec. VI si avverte tuttavia il decadimento della tecnica con figure nere, sebbene forse si continuò ad usarla ancora durante i primi decennî del sec. V, quando già era apparsa da parecchi anni la tecnica nuova con figure rosse su fondo nero. Anzi per un tipo di vaso, per l'anfora panatenaica (v. anfora) si continuò nella vecchia tecnica consacrata dalla tradizione e dal culto sino alla fine del sec. IV a. C. Infatti dall'anfora panatenaica più antica, quella detta Burgon del British Museum, non lontana dall'anno 566, in cui Pisistrato riordinò le grandi panatenee, sino all'anno 312-311, si ha una serie di anfore panatenaiche, con la figura di Atena Promachos su un lato e con la dicitura "io sono uno dei premî riportati in Atene" e un'allusione ad una gara ginnastica nel rovescio. Con l'anno 373-372 si indica nelle anfore panatenaiche il nome dell'arconte, e col 340-339 la figura di Atena non è più atteggiata a sinistra, ma a destra. Naturalmente queste anfore panatenaiche del sec. V avanzato e del sec. IV sono documenti pregevolissimi d'arte arcaizzante.
Il passaggio alla tecnica con figure rosse è dato da alcuni pochi vasi in cui alla vieta tecnica con figure nere, ove regna il convenzionalismo e ove l'uomo si distingue dalla donna per il colore della pelle, nero per l'uomo e bianco per la donna, si sostituisce la tecnica policroma, cioè a figure sovrappinte su un fondo nero. Ma si pervenne alla soluzione, più comoda e più idonea ai perfezionamenti ulteriori del disegno, col fare emergere le figure rossastre dal fondo dell'argilla, applicando della vernice nera tra figura e figura; le particolarità interne di ciascuna figura furono espresse per mezzo del pennello imbevuto di vernice più o meno diluita.
I primi prodotti della tecnica novella si possono collocare tra il 530 e il 520 e l'apparizione di questi prodotti che vengono esportati, specialmente nella Magna Grecia, in Sicilia e in Etruria, segna la fine delle fabbriche degli altri centri ellenici, le quali intristiscono e muoiono o si riducono meschinamente ad usi locali.
Ma abbiamo prodotti nei quali le due tecniche s'incontrano e da un lato del vaso si hanno le figure nere, dall'altro le figure rosse. Andocide (v.) è il ceramista che si presenta a noi come quello che vuol conciliare le due tecniche tra loro opposte, l'antica e la nuova; si aggiungano per questi tentativi anche Nicostene, Panfeo, Olto (v.). Tentativi fallaci, perché il nuovo trionfa appieno e si ha sin dagli ultimi anni del sec. VI una magnifica fioritura di prodotti ceramici con figure rosse del cosiddetto "stile severo", che pur presentando caratteri di legato arcaismo e di convenzione, si distingue nel tempo stesso per grande audacia concettuale e formale.
Il vaso più usato da questi ceramisti tra la fine del sec. VI e i primi due decennî del sec. V è la tazza, onde questo periodo di ceramica attica è anche designato col nome dei "pittori di tazze". In un ciclo più antico predominante è la figura di Epicteto, che lavorò nelle officine di Nicostene e di Panfeo, e poi in quelle di altri fabbricanti successivi. Nel gruppo di Epicteto rientrano fabbricanti e decoratori diversi: Ischilo, Chelide, Epilico, Ermeo, Fedippo, lo Scite, varî pittori che sono stati designati o dal nome del fabbricante dei vasi da loro decorati o dal vaso preminente nella loro opera pittorica o dal nome di un efebo elogiato. Poiché è in questo tempo specialmente in voga l'uso di scrivere sui vasi il nome di questo o di quell'altro giovane di ottima famiglia, noto per gli esercizî della palestra o per l'eleganza della vita, accompagnando tale nome con l'epiteto di καλός, "bello". Sono questi nomi, detti impropriamente amatorî - in alcuni casi tuttavia si tratta di giovinetti amati dai ceramisti - che ci forniscono un tramite preziosissimo per la ricostruzione di determinati gruppi di vasi da rivendicare a un dato ceramista o pittore, per ricostruire infine anche dal punto di vista cronologico il quadro complessivo di questa attraentissima fase della ceramica di stile severo. Fase che è la più importante di tutto lo sviluppo dell'arte ceramica attica, perché non mai come in questa età, in cui si ha tanta dovizia di prodotti, noti a noi specialmente dai sepolcreti dell'Etruria, e tanta frequenza di nomi di ceramisti, la ceramica attica si avvicinò per nobiltà di forme e per grandiosità di contenuto alla grande arte.
Dopo la cerchia di Epicteto si ha quella di Eufronio: predomina la grande figura di questo artista, che, dapprima, dipinse nell'officina di Cacrilione, e fu rivale di Eutimide; Smicro e Finzia compiono questo gruppo di ceramisti che precedono il pieno rigoglio dello stile severo. Dopo e accanto ad Eufronio vediamo svolgere la loro attività un numero cospicuo di ceramisti noti o dalle loro firme o dalle loro formule stilistiche. Spiccano tra costoro Duride, Ierone e Brigo (v.), la cui attività perviene sino verso il 470 a. C. Ma quali capolavori rimangono talora anonimi! Tale è, p. es., il caso dello psykter del Museo di Villa Giulia a Roma con la furiosa lotta tra Lapiti e Centauri.
Si aggiungano i vasi configurati, in cui l'abilità del ceramista si fonde con quella del coroplasta: gioielli come il balsamario a doppia testa muliebre da Eretria, nel Museo del Louvre, e come il balsamario a forma di astragalo (v.) del Museo di Villa Giulia, firmato da Sirisco, sono testimonianze fulgide di questa abilità.
Tra il 480 ed il 470 a. C. si compie nella ceramica attica la trasformazione dallo stile severo allo "stile grandioso". Tutto ha una intonazione di solenne grandiosità, quale doveva esprimere la pittura parietaria di Polignoto di Taso e della sua scuola, della quale la pittura ceramica ha risentito l'influsso. Perciò questa fase, che va circa dal 475 al 450 a. C., si denomina anche polignotea.
Scompare il predominio della tazza, subentrano vasi di grandi proporzioni: anfore a volute, anfore, crateri, kelebai. Divengono rare le firme dei ceramisti e scarsi sono gli elogi a determinati giovani. Le figure, che adornano le alte pareti dei vasi, sono allungate; vi è in esse un'espressione di solennità, di calma sdegnosa quando sono in riposo, di compostezza quando sono in movimento. Tutto è maestoso, specialmente il contenuto tragico delle scene; le figure, in cui cominciano a sciogliersi i ceppi del convenzionalismo arcadico, sembrano esprimere un linguaggio nobile, elevato. È, insomma lo spirito eschileo o pindarico che caratterizza questi dipinti. In essi si avvertono innovazioni audaci di scorci - siamo nell'età di Mirone - mentre nella composizione vediamo, specialmente in un insigne cimelio, nel cratere degli Argonauti e dei Niobidi da Orvieto del Museo del Louvre, le innovazioni compositive di Polignoto, cioè la disposizione delle varie figure a livelli diversi in terreno montuoso.
Naturalmente in questo venticinquennio dal 475 al 450 noi scorgiamo uno sviluppo graduale nelle forme, di modo che, se un vaso dei primi tempi richiama, p. es., i marmi di Egina, uno della fine della fase già si avvicina ai marmi del Partenone.
Il Partenone è invero da tener presente per poter meglio valutare ed ammirare i preziosi esemplari di arte ceramica che dobbiamo collocare nel trentennio tra il 430 e il 420, nella fase cioè dello stile bello o fidiaca. Nobiltà serena e non più severa è nelle figure e nelle scene di questi vasi fidiaci: all'accento eschileo si sostituisce l'accento sofocleo.
Rari sono i nomi dei ceramisti in questa fase fidiaca e su prodotti non molto significanti: fa eccezione l'opera di Sotade (v.).
Notevoli sono anche gli onoi o epinetra, tra cui eccelle per la delicatezza e la leggiadria delle scene dipinte quello di Eretria del museo di Atene. È specialmente in questa fase fidiaca che appare la maggiore fioritura dei vasetti funerarî, detti lekythoi, i quali non venivano esportati. Sono queste lekythoi la testimonianza più gentile della pittura ceramica policroma su fondo bianco, di cui è cosparsa la parte cilindrica e la gola del vaso: i soggetti, naturalmente, hanno tutti un'intonazione mortuaria.
Altri vasi funerarî sono le controphoroi, di cui si hanno esempî assai fini nella fase di pittura di stile severo; né devono essere taciuti i γαμικοὶ λέβητες "vasi nuziali" con scene di offerta in occasione di nozze. Ovunque è compostezza serena e sobria eleganza, mentre nei vasetti minori s'avverte una tendenza al leggiadro, un carattere di pittura miniaturistica.
È la tendenza al grazioso e al gentile che si manifesta nei prodotti ceramici degli ultimi due decennî del sec. V, corrispondenti a una novella fase di pittura vascolare chiamata midiaca. Tale nome proviene dal vaso che è il rappresentante tipico della serie, dall'idria proveniente dall'Italia meridionale, ora nel British Museum, firmata dal fabbricante Midia. In quest'idria è il ratto delle Leucippidi per opera dei Dioscuri sulle spalle del vaso, il mito di Eracle nel giardino delle Esperidi nella fascia sotto le anse orizzontali. Quest'idria rappresenta magnificamente un indirizzo di arte graziosa, leggiadra, in cui si esprimono, mediante un inarrivabile virtuosismo, le forme umane, vagamente atteggiate anche quando il contenuto delle scene esigerebbe agitazione, violenza, focosità; vi è il trattamento convenzionale del vestito a pieghe minute, fitte, rigorosamente parallele tra di loro. Nella scultura il riscontro migliore è dato dai rilievi della balaustrata del tempietto di Atena Nike. Ed è in questi vasi midiaci il trionfo pieno della donna, della giovinezza e dell'amore.
Il leggiadro ci appare anche in vecchie scene del mito rinnovate, così nella Centauromachia e così nella Gigantomachia delle due tazze firmate da Aristofane e da Ergino, così nell'Amazzonomachia d'un ariballo cumano. Tale leggiadria di contenuto si ha anche quando, invece di piccole figure sparse a varî piani secondo il metodo compositivo polignoteo, si hanno grandi figure sulle pareti di grandi vasi: l'esempio più insigne ci è dato dalla grande anfora di Ruvo con la perigliosa impresa della cattura del demone Talos per parte dei Dioscuri.
La fine della guerra del Peloponneso (404 a. C.) con le sue conseguenze rovinose per Atene pare abbia portato a un decadimento della sua arte industriale ceramica. I prodotti dei primi tempi del sec. IV sono una documentazione di decadimento degli indirizzi artistici precedenti con ripetizioni stucchevoli, con sciatteria e banalità di disegno. Pochi esemplari emergono su tanta mediocrità: l'anfora di Pronomos del museo di Napoli con l'allestimento di uno spettacolo scenico, e l'anfora di Milo del Museo del Louvre con una furiosa scena di Gigantomachia. Ma anche in questi cimelî di ceramica del sec. IV il tralignamento delle forme è talora appariscente.
Una rinascita della ceramica attica si ha a partire dal 375 a. C. all'incirca, quando cioè risorge la potenza militare e civile di Atene. È il tardivo e breve rifiorimento dei vasi cosiddetti di Kerč, perché gli esemplari migliori della serie si sono rinvenuti a Kerč nella Crimea, l'antica Panticapeo. Prevalgono le forme dell'idria, della pelike, dell'ariballo, e v'è policromia abbondante con doratura, specialmente nelle figure centrali delle composizioni pittoriche. Elemento principale è la figura muliebre e le scene sono improntate a leggiadria e amabilità. Bene appare che questi vasi appartengono ai tempi in cui crebbe e si sviluppò l'indole artistica di Prassitele. Ma le figure dei vasi di Kerč sono solide, quasi d'intonazione plastica, rispetto alle figure midiache essenzialmente disegnatore.
Ben presto tuttavia anche nella serie dei vasi di Kerč si avverte il decadimento, l'irrigidirsi delle forme, il crepuscolo di un'arte già gloriosa. Ne è prova un'idria con il giudizio di Paride, rinvenuta ad Alessandria, e perciò posteriore al 332-33, ed ora nel Museum der antiken Kleinkunst di Monaco. Poi in un gruppo di vasi si ha la scomparsa completa delle figure risparmiate sul fondo nero; è in questi vasi il pieno uso della policromia sulla vernice nera dello sfondo; riappare con assai mutati spiriti d'arte la tecnica raramente trattata nel sec. VI a. C.
E si ha infine negli ultimissimi prodotti dell'incipiente ellenismo l'ornamentazione non più figurata, ma vegetale e geometrica,. policroma su fondo nero. Sono vasi di piccole proporzioni (piatti, tazze, cantari, skyphoi, oinochoai). Talora vi sono colombe e delfini nel repertorio ornamentale, né mancano altri soggetti, come ghirlande, bucranî, tirsi, ecc.
Cosa curiosa: questi prodotti si ricollegano per la preminenza del repertorio decorativo geometrico ai vasi geometrici primitivi, e i vasi tipici della serie si rinvennero in quel medesimo pendio occidentale dell'acropoli ateniese che ha dato i più antichi prodotti di ceramica attica. (V. Tavv. LXXV-LXXVI).
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