ARETINI, VASI
. Fra i varî generi di vasi antichi, trovati nel territorio della città etrusca e romana di Arezzo, sono detti aretini (arretina vasa, arretinae testae) quelli che si distinguono per la loro argilla fine e ben depurata, proveniente da giacimenti locali, per la intensa cottura che ha dato alla terra un color rosso vivo, per la speciale sopracoloritura interna ed esterna con vernice finissima corallina, per le forme svelte e la decorazione in rilievi che mostrano l'imitazione di vasi metallici, per la presenza quasi costante di marche impresse o stampate sui nomi dei vasai in latino.
Vasi di tal genere si sono trovati in ogni parte d'Italia, specialmente nell'Etruria, nel Lazio e nella Campania, e frammenti con marche e decorazioni caratteristiche della stessa ceramica si rinvengono quasi in ogni parte dell'impero romano, nella Spagna, nella Francia meridionale, in Inghilterra, in Germania, in Grecia, nelle isole del Mediterraneo, in Asia Minore e sulle coste settentrionali dell'Africa. Però, siccome dagli scavi in Arezzo e nel suo territorio provengono gli esemplari, senza alcun confronto, più numerosi e più belli, e colà si sono scoperti pure gli avanzi di parecchie officine, non si può mettere in dubbio la veridicità degli accenni di antichi scrittori (Plin., Nat. hist., XXXV, 160; Mart., Epigr., I, 53 e XIV, 98; Anthol. lat., 259 R.; Isid., Etym., XX, 4, 5), dai quali si deduce che il principale centro di fabbricazione e diffusione di detti vasi era proprio Arezzo.
Le lodi che gli stessi antichi scrittori attribuiscono all'industria vasaria di Arezzo non sono esagerate, poiché risulta che le officine di quell'importante centro artistico potevano gareggiare con le officine della Campania, da più tempo famose; e se Pozzuoli aveva una fabbrica propria di vasi che somigliano agli aretini (Bull. dell'Inst., 1875, p. 242), Arezzo d'altra parte produceva largamente, e forse fin dal sec. III a. C., anche vasi di quel genere che è detto comunemente etrusco-campano, e che si distingue per la terracotta giallo-rossiccia, per la coloritura a vernice nera lucente, e per ornamenti semplici (cerchi, palmette, foglie) stampati nel centro interno dei vasi. Il fatto che ad Arezzo in un unico scavo si sono raccolti frammenti di vasi, gli uni a vernice nera, gli altri a vernice rosso-corallina con identica decorazione, impressa a mezzo del medesimo stampo, attesta che l'industria dei vasi neri, cosiddetti etrusco-campani, continuò ad essere praticata in Arezzo anche quando fioriva la produzione dei vasi rosso-corallini, la quale per altro si affermò con assoluta predominanza e fu considerata come la più alta conquista dei vasai romani.
Più che le stratificazioni o lo stile decorativo di questi vasi, ci offrono elementi sicuri per la loro datazione le marche impresse coi nomi dei vasai. Le marche più antiche si trovano sui vasi neri e risalgono al sec. II a. C.; quelle dei vasi rossi cominciano ad apparire al principio del sec. I a. C. in forma rettangolare, nel centro interno. Sono poste all'esterno, in mezzo ai rilievi decorativi, derivando dalla stessa forma, quando la decorazione raggiunge la maggiore finezza, nell'età augustea. Più tardi hanno forma di pianta di piede, e cessano dopo la fine del sec. I d. C.
Siccome i vasi aretini trovati a Pompei rivelano già la decadenza, se ne deduce che l'industria s'andava spegnendo verso il 79 d. C.
Le marche dànno di regola un prenome e un gentilizio al genitivo (essendo sottinteso ex figlinis) per indicare la persona, di condizione libera, proprietaria della fabbrica; e, abbinato sulla stessa marca o distinto su altra parte del vaso, un nome per lo più servile e straniero, di schiavo adunque, al nominativo (sottinteso fecit). I nomi sono dati spesso con abbreviazioni o nessi.
Le marche rivelano che le officine appartenevano a note famiglie romane venute in Arezzo probabilmente con le colonie dedottevi prima da L. Cornelio Silla (Arretini Fidentiores) e poi da Cesare od Ottaviano (Arretini Iulirnses); aiutano a stabilire il sito delle varie officine, la loro importanza, le loro vicende; indicano specialmente paesi greci d'Asia Minore come luoghi d'origine degli artisti che, con la loro abilità tecnica, tenevano alta la reputazione dell'industria dei rispettivi padrini.
La Storia degli antichi vasi fittili aretini, scritta da A. Fabroni (Arezzo 1841), contiene interessanti notizie circa i più antichi trovamenti di vasi aretini e la loro natura, notizie che poi furono aggiornate dagli studiosi aretini G. F. Gamurrini, A. e U. Pasqui, A. Del Vita e riassunte nel Corp. Instr. Lat., XI, 11, p. 10811-2.
Già nel 1282 ser Ristoro di Arezzo, nel suo Libro della compositione del Mondo, accenna a trovamenti di vasi corallini. G. Vasari (Vite, VIII, p. 163) racconta che suo nonno (1484) trovò tre vasche da decantazione e parecchi vasi interi e frammentarî nel sito di un'antica fabbrica alle Carciarelle, ove si fece un'altra grande scoperta nel 1494 alla presenza di Giovanni de' Medici, poi Leone X, e si trovò la marca di L. Calidius. Nel 1779 F. Rossi scoprì a Cincelli (Centum Cellae) le officine di P. Cornelius e C. Cispius con utensili da lavoro, fornaci, forme e vasi. Ma la fabbrica più grande e più ricca, che appartenne a M. Perennius, si rinvenne nel 1883 a S. Maria in Gradi, entro la città, e colà con successive esplorazioni (1886-1887) si ricuperarono centinaia di vasi, forme e punzoni, appartenenti al periodo più florido della ceramica corallina. Una succursale di M. Perennio era a Cincelli. A S. Maria in Gradi, vicino a Perennio, avevano officine i Rasinii e i Vibieni; fra piazza S. Francesco e via Guido Monaco C. Annius, C. Volusenus e C. Memmius; fra via Guido Monaco e piazza del Popolo, C. Umbricius e L. Avilius.
Un'altra vasta officina in località Orciolaia non si sa a chi appartenesse, ed è incerto ove esercitassero la loro industria L. Iegidius, C. Murrius, L. Saufeius, C. Vibius, P. Hertorius, le cui marche si trovano su frammenti mescolati nel sito di Fonte Pozzolo, ove provengono da scarico. Lo stesso deve dirsi nei riguardi di C. Amurius, T. Rufrenius, L. Tettius e dei Clodii, dei quali si lessero i nomi su frammenti trovati in piazza S. Agostino.
Tra i decoratori, che spesso segnavano il nome sui vasi come i pittori dei vasi greci, quelli di cui conosciamo i saggi più belli sono: Nicephoros, Tigranes Cerdo e Bithynus di M. Perennio; Primus, Antiochus, Rodo di P. Cornelio, Certus, Pantagatus dei Rasinî; Phileros di C. Memmio; Crescens di Annio, ecc.
Ciascuna fabbrica aveva inoltre gran numero di schiavi addetti alla preparazione della creta, alla tornitura e alla stampa, alla rifinitura, alla cottura; si conoscono i nomi di oltre quaranta schiavi appartenenti a P. Cornelio, il quale sembra che riunisse sotto di sé le tre fabbriche già esercite da Perennio, Cispio e Tellio a Cincelli. Talora singoli artisti passavano da un padrone all'altro (Pantagatus da C. Rasinio a C. Memmio).
La scoperta di utensili da lavoro, di punzoni e matrici permette di ricostruire i principali metodi di fabbricazione dei vasi aretini.
I punzoni (fig. 1) trovati sono tutti di terracotta finissima, il che non esclude che se ne facessero di legno o di metallo; hanno forma di sigillo, (sigilla), ma l'ornato o la figura da riprodurre è in rilievo, eseguita e ritoccata a mano con somma precisione. Il Museo archeologico di Arezzo ne possiede esemplari mirabili.
I punzoni con rilievi servivano a preparare le matrici fittili in forma di ciotole o di lastrette piane, per lo più discoidali, in cui si ripeteva più volte la stessa impressione per ricavarne altrettanti rilievi, uguali al punzone, da applicare sulle pareti dei vasi lisci. Le matrici a forma di ciotola (fig. 2) hanno base spianata o discoidale per adattarsi sul tornio, su cui si stampavano le copie. La cavità interna emisferica, ben levigata, si divideva in zone orizzontali, concentriche per mezzo di solchi o serie di rosette, di ovoli, di foglioline stampate. Sulla zona inferiore girava spesso un serto di foglie. Invece la zona intermedia, più ampia, veniva suddivisa in riquadri (di solito quattro) da pilastri, o erme, tripodi, trofei, alberi, pure stampati con punzoni, e infine, sempre per mezzo di questi, in ciascun riquadro si disponeva un motivo ornamentale o una scena figurata.
La bravura dell'artista si rivelava nella scelta dei motivi per i punzoni e nella preparazione di questi, nella varia maniera di combinare fra loro i motivi ornamentali e figurati per comporne matrici originali, infine nel ritoccare e ravvivare i rilievi degli esemplari usciti dalle matrici. Tornire, stampare, attaccare piedi, orli e ornamenti di riporto, verniciare e cuocere erano operazioni meccaniche, le quali tuttavia richiedevano, pure dagli operai più modesti, abilità e pratica per la perfetta riuscita dei prodotti.
Al successo che questi ottennero contribuì notevolmente la novità della coloritura; i vasai aretini sostituirono alla moda della vernice nera, sfruttata dalle fabbriche greche e italiote, quella di una vernice rosso-corallina brillante, che fa risaltare il rilievo e contribuisce, con la sottigliezza e la risonanza delle pareti, a dare ai migliori esemplari quell'aspetto di vasi cristallini del quale parla Marziale (Epig., I, 53, 6). La formula della vernice, fluidissima, a base di silica, ossido di ferro e di qualche sostanza alcalina, con difficoltà si è potuta imitare nelle belle riproduzioni della Arretia Ars.
Le forme sono tutte derivate da originali metallici, semplicissime: piatti, bicchieri, tazze emisferiche, più di rado cilindriche, di piccole dimensioni (calices). Forme diverse, a cratere, anfora, boccale con manici, sono rarissime.
Il genere più modesto era quello dei vasi lisci fatti completamente al tornio, ma alcuni minuscoli esemplari dell'officina di Calidio si ammirano per la leggerezza e l'eleganza delle sagome.
Più elaborato era il genere dei vasi sui quali, appena tolti dal tornio, si applicavano ornamenti in rilievo ricavati da matrici (testine, figurine isolate di satiri, amorini, ecc.).
Il tornio e le applicazioni concorrevano inoltre alla confezione dei vasi più artistici, e cioè di quelli stampati con forme a ciotola. La matrice, posta sul tornio, si spalmava internamente di argilla, che, girando il tornio, si assottigliava con lo stecco e prendeva all'esterno la decorazione in rilievo. Al calco si sovrapponeva l'orlo, e tolto dalla forma, sempre a mezzo del tornio, si aggiungevano il piede e di rado i manici, le cui attaccature si nascondevano con ornamenti sovrapplicati.
Rarissimo rimase un quarto genere con decorazione cosiddetta en barbotine. Quando la superficie del vaso era ancora fresca, vi si colava sopra argilla diluita in modo da produrvi graziosi disegni, per lo più geometrici o floreali in rilievo. Rilievi decorativi nascondevano le attaccature dei manici (fig. 4).
Ma i vasi aretini per eccellenza sono quelli ricavati da forme a ciotola, ai quali propriamente si adatta la denominazione di terra sigillata. Tutti i pregi, tutte le risorse decorative dell'industria aretina si riassumono in essi per realizzare il trionfo dell'arte vascolare romana.
È difficile indicare e classificare i soggetti e i generi decorativi, tante sono le varietà dei tipi e delle loro combinazioni, ed è pure arduo dire in cosa si distingue la ceramica di M. Perennio da quella di P. Cornelio e di altri fabbricanti, perché il primo trattò svariate maniere, dalle più complesse e delicate alle più semplici e rozze. Solo possiamo dire che M. Perennio riempiva la zona principale dei vasi stampati con gruppi di figure tutte della stessa altezza, senza indicazioni del piano di posa e con sobrî ornamenti accessorî. Suoi soggetti notevoli sono, fra gli altri, la caccia al leone di Alessandro M., la caduta di Fetonte, Ercole e Onfale, l'apoteosi di Ercole, le Muse con i rispettivi nomi scritti in greco, particolare questo singolarissimo; caratteristiche alcune scene comiche di rozza fattura. Altri soggetti sono comuni pure ad altre fabbriche: Tritoni e Nereidi, scene dionisiache, banchetti e gruppi erotici (figg. 5-6), Menadi e sacerdotesse danzanti, scene di caccia, di sacrificio, di vendemmia. Talvolta, invece di gruppi, si ripetono all'ingiro semplici figure, fra cui delicatissimi genî muliebri con serti e strumenti musicali.
Nei vasi di P. Cornelio e affini le figure (amorini, maschere) costituiscono elementi accessorî, e invece dànno carattere alla decorazione motivi naturalistici di foglie, tralci, festoni (fig. 4), spesso inframezzati o appesi a maschere, bucranî ed altri emblemi. Caratteristici dell'officina di P. Cornelio sono un vaso firmato da Parides col corteggio agreste di Dioniso e Arianna, un altro di Rodo con testa di Augusto e il nome dell'imperatore, un terzo con festoni e figura di generale loricato.
I motivi figurati e ornamentali dei vasi aretini sono gli stessi che, nell'ultimo cinquantennio della repubblica e nel primo dell'impero, ritroviamo in Italia su vasi di metallo sbalzati su rilievi marmorei neo-attici e su lastre fittili (tipo Campana), su stucchi e pitture murali, su altari marmorei e sulla stessa Ara pacis. Riflettono lo stile eclettico dell'arte romana di quel periodo. I vasi greci d'oro e d'argento certo hanno dato l'ispirazione diretta ai vasi aretini. Infatti una ciotola d'argento della raccolta Currie nel Museo archeologico di Firenze somiglia molto a un vaso corallino del Museo Arezzo, e il bicchiere con scheletri del tesoro di Boscoreale trova la sua corrispondenza in una forma del museo stesso; ma nessuna matrice aretina si ottenne con calco diretto da originale greco in metallo.
Dobbiamo riconoscere quali precedenti all'industria aretina le coppe fittili di Delo e forse di Pergamo, quelle umbre di C. Popilius (F. Courby, Les Vases grecs à reliefs, Parigi 1922, pp. 397, 416, 434, 451), ma resta alle fabbriche aretine il vanto di avere rinnovato in quest'industria, rivolta all'ornamento della mensa la nobile tradizione della plastica fittile aretina, di cui sono un saggio le splendide sculture trovate presso le mura laterizie alla Catona (Notizie degli scavi, 1920, p. 194); di avere perfezionato i tipi greci con le eleganti sagome degli orli e dei piedi; di averli ravvivati con lo splendore della vernice corallina, di avere inventato le più armoniose e delicate combinazioni di ornamenti, scegliendo questi da fonti svariatissime con un gusto e una freschezza che fanno apparire monotona la simile produzione ellenica.
Per il numero e per la bellezza dei pezzi sono soprattutto notevoli le raccolte dei musei di Arezzo e di Firenze.
L'industria della terra sigillata aretina, decaduta nella seconda metà del sec. I d. C., si può dire spenta alla fine del secolo stesso. Numerose fabbriche provinciali, specialmente della Gallia, la soppiantano, conquistando i mercati dell'impero, al punto che L. Rasinius Pisanus adotta la maniera gallica, e vasi del degenerato tipo aretino vengono importati in Italia dalle provincie. Di essi meritano di stare accanto agli originali aretini quelli che furono trovati a Graufesenque (Condatomagus), nell'antico territorio dei Ruteni (Rouerge), e perciò chiamati "vasi Ruteni".
Bibl.: Oltre il Fabroni, op. cit., v. Funghini, Degli antichi vasi fittili aretini, Arezzo 1893; H. Dragendorff, De vasculis Rom. rubris, Bonn 1894 e Bonner Jahrb., 1895, p. 18 segg., I-VI (forme tipiche).
Per le iscrizioni: G. F. Gamurrini, Le iscrizioni degli antichi vasi fittili aretini, Roma 1859 e Corp. Inscr. Lat., XI, ii, pp. 1081-1160.
Pei ritrovamenti: Not. scavi, 1883, p. 265; 1884, p. 369; 1890, p. 63; 1893, p. 138; 1894, pp. 49, 93 e 116; 1896, p. 453; 1919, p. 264; 1920, p. 172.
Notevoli le introduzioni di G. H. Chase a The Loeb Collection of Arretine Pottery, New York 1908 e a Catal. of the Arretine Pottery, in Museum of fine Arts, Boston 1916; quella di H. B. Walters, al Catol. of the Rom. Pottery in the British Museum, Londra 1908.
Bibl. completa in A. Della Seta, Italia antica, 2ª ed., Bergamo 1928, p. 467, cui aggiungi A. Del Vita, I vasi di Arezzo, in Atti del I Congr. Naz. di studî romani, Roma 1928. Per i vasi della Gallia oltre il Walters, op. cit., J. Déchelette, Vases ornés de la Gaule, Parigi 1904; per quelli della Germania e altre regioni dell'Europa centrale, R. Knorr, Töpfer u. Fabriken verzierter Terra-sigillata des ersten Jahr., Stoccarda 1919.