PRATOLINI, Vasco
PRATOLINI, Vasco. – Nacque a Firenze, al numero 1 di via de’ Magazzini, il 19 ottobre 1913. La madre, Nella Casati, aveva ventun anni e lavorava come sarta in un atelier in piazza Sasso di Dante. Il padre, Ugo, era commesso nel negozio di colori e articoli da disegno Zolfanelli & Neri di via de’ Calzaioli.
I due coniugi vivevano nella casa dei nonni materni di Vasco, Pio e Rosa Casati: «era mio padre che era venuto ad abitare in casa dei suoceri. C’è tutto un “coté” della famiglia da cui veniva mio padre che non ho mai nemmeno sfiorato, è da romanzo d’appendice» (Caretti, 1996, p. 247). Nel 1915, all’ingresso dell’Italia in guerra, il padre, nato nel 1885, fu richiamato e, ferito nell’autunno del 1917, trascorse la convalescenza a Parma dove la moglie lo raggiunse e dove fu concepito il secondo figlio, che nacque il 14 giugno 1918 e cui furono dati i nomi di Dante Renato Dino, ma fu poi chiamato Ferruccio dalla famiglia cui fu affidato. Il 12 luglio morì la madre, colpita dall’epidemia di ‘spagnola’ e da un attacco di meningite.
«L’infanzia finisce […] là dove comincia la memoria» (Romanzi, II, 1995, p. 612) e, come è scritto in Lo scialo, l’infanzia di Pratolini sembra terminare con il suo primo ricordo: l’immagine della madre sul letto di morte (Romanzi, I, 1993, p. 486).
Pratolini sapeva «digià leggere e scrivere» (Caretti, 1996, p. 247) quando, a cinque anni, fu iscritto come esterno alla prima elementare delle Scuole pie fiorentine. Un ‘incidente’ di percorso interruppe però la sua frequenza presso gli scolopi: «per non so quale indisciplina, il maestro mi fece mettere le mani sul banco e mi ci batté sopra con il righello. Allora gli tirai dietro il calamajo; e mi cacciarono dagli Scolopi […]. Feci allora gli esami d’ammissione direttamente alla seconda elementare, alla Scuola ‘Ubaldino Peruzzi’ di Piazza Santa Croce […] e costì feci la seconda (maestra Salani) la terza (maestro Marucelli) la quarta (maestro Ciani) e la quinta (maestro Naldoni)» (p. 248).
Su quest’ultimo maestro Pratolini scrisse un elzeviro pubblicato nel 1937 sull’Ambrosiano di Enrico Emanuelli. Durante le elementari cominciò a lavorare vendendo cioccolata e caramelle al teatro Olimpia, poi dal barbiere Fossi in piazza Ottaviani. Iniziarono allora le sempre più frequenti assenze scolastiche con il conseguente, e definitivo, abbandono della scuola. Nel 1920 il padre si trasferì nel quartiere di Santa Croce, in via dei Pepi, con la seconda moglie, Erica Giannetti, da cui, nel 1921, ebbe il figlio Nello. Pratolini continuò però ad abitare con i nonni, in via de’ Magazzini. Il 1º maggio 1925 il nonno morì e, nel novembre del 1926, Pratolini e la nonna traslocarono in una camera in subaffitto al numero 2 di via del Corno. Lasciato il lavoro nella bottega di barbiere per una sequela di lavoretti, a tredici anni si impiegò nello studio legale Traverso e, dopo un anno, presso la tipografia Susini che il padre – con cui era andato ad abitare – gli fece lasciare per un posto di viceportiere e cameriere all’albergo Moderno di via Monalda. Risalgono a quel periodo le prime esperienze agonistiche – il calcio fra i ‘microbi’ dell’appena nata Fiorentina, l’atletica, la boxe – e anche le prime collaborazioni alle cronache sportive del Nuovo Giornale e del Brivido sportivo, con lo pseudonimo Tifoneide. Grazie alla conoscenza del francese – studiato per tre anni nel corso serale del Circolo filologico di via Peruzzi – nel 1929 si impiegò presso l’Agenzia italiana degli Etablissements Gouin di Marsiglia. Lasciò allora la casa paterna per tornare a vivere in via del Corno, con la nonna, dove restò fino al 1931.
Il periodo trascorso con il padre al numero 5 di via Toscanella, di fronte allo studio di Ottone Rosai, lasciò tuttavia un’impronta indelebile nella sua vita: «Rosai è stato importante anche perché da lui ho scoperto i contemporanei» (Vasco Pratolini, 1988, p. 63). Ai primi tentativi di scrittura, alle letture entusiaste e disordinate dell’infanzia e della prima adolescenza, si aggiunsero i libri di Piero Jahier, Aldo Palazzeschi, Federigo Tozzi, Dino Campana, Giuseppe Ungaretti. Tramite Rosai conobbe Dino Caponi, Bruno Bècchi, Renzo Grazzini, Romano Bilenchi, Dino Garrone e Berto Ricci. Decise allora di dedicarsi interamente allo studio frequentando da esterno i corsi all’Università e passando i giorni in biblioteca e le notti, con Rosai e gli amici del tempo, al caffè Alhambra di piazza Beccaria. Risale a quell’epoca la passione per Fëdor M. Dostoevskij e Alfred Döblin e la scoperta di Dreiser: «Furono i miei tre D., per i quali deliravo» (Camon, 1973, p. 43).
Il 1º novembre 1931 apparvero su Il Bivacco di Perugia i suoi Asterischi fiorentini. Il 31 luglio 1932 l’articolo Pensieri di giovane inaugurò la sua collaborazione a Il Bargello, poi particolarmente intensa dal 1934. Nel 1935, con il racconto Vita di Uno, vinse a Firenze i ‘pre’ Littoriali.
Sono gli anni della sua formazione intellettuale: «Cominciai a conoscere Croce, la filosofia tedesca, dopo aver digerito ed essermi sostanzialmente nutrito degli illuministi. E la frequentazione dei miei classici ai quali sempre tornavo: Compagni, Boccaccio, Sacchetti, Machiavelli, Dante… Disperazione di dover sempre ricominciare, voracità, e abissi d’ignoranza che mi si aprivano di volta in volta. Questo durò più di tre anni. Come vivevo contemporaneamente? In un certo modo che finii per sputar sangue» (Camon, 1973, p. 42).
Il 16 maggio 1935 venne ricoverato nello stabilimento Villa delle Rose del centro sanatoriale di Arco in Trentino, dove restò fino alla primavera dell’anno seguente, tranne una breve parentesi fiorentina a settembre, con successivo rientro ad Arco nel sanatorio di Villa Bellaria. Durante il ricovero nacquero le pagine di Una giornata memorabile (1941) e da questa esperienza sanatoriale derivarono il Giornale di Bellaria (1938), Ingresso a Villarosa (1941), Gli uomini che si voltano. Diario di Villa Rosa (1952).
Tornato a Firenze strinse amicizia con Elio Vittorini e ciò significò per lui leggere Svevo, Proust, Radiguet, ma anche riflettere sul senso della sua adesione al fascismo, valutarne le ragioni e volgersi verso nuove prospettive ideologiche. Nel maggio del 1936, in seguito a una ricaduta, fu ricoverato nel complesso sanatoriale Abetina-Villa Bombardieri di Sondalo in Valtellina, dove rimase fino all’autunno. In quel periodo – in coincidenza con la guerra di Spagna e anche grazie alla corrispondenza con Vittorini – maturò il suo dissenso dal fascismo. Tornato guarito a Firenze, dopo un fallimentare tentativo di partecipare con Vittorini alla guerra di Spagna riprese la vita di prima iniziando a frequentare il caffè delle Giubbe rosse dove conobbe Eugenio Montale. Risale a quel periodo la lettura di Morto ai paesi di Alfonso Gatto e l’amicizia con il poeta, con cui condivise, dal 1º agosto 1938 al 1º agosto 1939, la redazione di Campo di Marte, la rivista diretta ed edita da Vallecchi che fu il punto d’incontro dell’ermetismo fiorentino e il cui sottotitolo fu rivendicato da Pratolini, come un effettivo programma di vita e di impegno politico e sociale.
«“Campo di Marte”, come era scritto sotto la sua testata, voleva proprio essere un “quindicinale di azione artistica e letteraria” […]. Cercare agganci con gli operai, diffondere stampa clandestina, significava avere altra biografia. Ma, volendo agire nel delimitato ed a noi più pertinente terreno della cultura, era quanto di più attivo il gruppo che comunque formavamo, potesse fare. Di più attivo, di più obiettivamente contro» (Camon, 1973, p. 37).
Nell’ottobre 1938 apparve sul numero 4 di Letteratura il racconto Prima vita di Sapienza. Conclusa, per intervento del regime, l’esperienza di Campo di Marte, interrotta la collaborazione a Il Bargello, la mancanza di un’occupazione lo convinse, alla fine del 1939, ad accettare l’impiego presso la Direzione generale delle belle arti del ministero dell’Educazione nazionale e ad abbandonare Firenze cui, dopo la morte della nonna, avvenuta il 28 novembre 1939, niente più lo legava.
Il primo anno romano trascorse tra grandi difficoltà economiche cui lo scrittore – in continuo trasloco da una pensione all’altra – tentò di rimediare con i proventi della collaborazione a giornali e riviste (Incontro, Corrente, L’Ambrosiano, Letteratura). Il 1940 è anche l’anno della lettura del romanzo di Michail Jur′eviĉ Lermontov dal cui titolo derivò Un eroe del nostro tempo, l’anno in cui la stesura delle Cronache di poveri amanti iniziò a prendere corpo e, soprattutto, l’anno della consegna a Vallecchi delle prose di Il tappeto verde (Firenze 1941): «Forse è vero che il primo libriccino è come il primo amore: le trepidazioni, le speranze, la coscienza che dopo di esso ci sarà tutta una vita da meritare» (lettera a Vallecchi, 4 dicembre 1940).
La notte di San Silvestro del 1940 Pratolini conobbe Cecilia Punzo, che sposò il 12 aprile 1941: «testimoni di Cecilia erano Gatto e Lauricella; i miei: Calamandrei e Parronchi. Compare d’anello doveva essere Enrico Vallecchi, sul quale contavamo molto perché ci facesse un bel regalo, invece venne e ci portò affettuosissimamente tutti a bere» (Vasco Pratolini, 1988, p. 53).
Dal 15 marzo al 12 luglio 1941 partecipò alla redazione di Il Ventuno. Il Domani, curandone la parte letteraria e artistica.
Al progetto delle Cronache – «sono la mia opera segreta, c’impiegherò chissà quanto tempo, ma voglio che sia una cosa imperfetta ma precisa al massimo» (lettera a Vallecchi, 29 ottobre 1941) – si sostituì quello di un romanzo già in parte pubblicato in rivista – Maestrale, Primato, La Ruota, Il Popolo di Roma, Lettere d’oggi – e il cui manoscritto fu consegnato a Vallecchi il 18 gennaio 1942, con un titolo (Matilde) che mutò poi in Un ragazzo. Biografia dell’adolescenza sino al definitivo Via de’ Magazzini con cui uscì nel marzo del 1942. Nell’agosto del 1942 Vallecchi pubblicò Un cuore semplice di Gustave Flaubert tradotto da Cecilia Punzo e con la prefazione di Pratolini che, in quell’anno, completò la traduzione per Einaudi delle Choses vues di Victor Hugo, proseguendo nella stesura dei racconti di Le amiche (Firenze 1943).
Insoddisfatto dal proprio lavoro al ministero e pressato dalle difficoltà quotidiane decise di lasciare Roma e, a ottobre, accettò la nomina presso il Conservatorio di musica di Torino dove insegnò storia dell’arte e poesia moderna. A Torino collaborò a La Ruota e Primato, entrò in contatto con i redattori del Dado, la rivistina diretta da Maria Luisa Spaziani e iniziò a collaborare a La Stampa. Ma il 15 febbraio 1943 era già rassegnato a un nuovo trasferimento: «Le scuole a Torino si riaprono domani, ma non per ora il ‘Conservatorio’, che pare non si debba riaprire proprio […]. Così stando le cose […] è nuovamente in ponte l’idea di stabilirci a Parma» (lettera a Vallecchi, 15 febbraio 1943). Giunto, il 14 marzo 1943, a Parma – dove l’anno precedente aveva pensato di trasferirsi su sollecitazione di Oreste Macrì e Giacinto Spagnoletti – a metà di aprile era già sul punto di andare a Fermo dove restò, ospite della cognata, fino a metà agosto e dove si dedicò alla traduzione del Bubu de Montparnasse di Charles-Louis Philippe (edito per Rosa e Ballo nel 1944). L’articolo Fatto personale (in Architrave, 31 maggio 1943) testimoniava l’urgenza di un impegno civile che culminò, dopo il rientro a Roma nel settembre del 1943, nella partecipazione di Pratolini alla Resistenza, con il nome di Rodolfo Casati, come responsabile politico del Partito comunista italiano (PCI) per il settore Flaminio-Ponte Milvio, ma anche nell’elaborazione di Il mio cuore a Ponte Milvio (Roma 1954), della Premessa alla seconda edizione di Via de’ Magazzini edita da Bompiani (Milano 1949) e, soprattutto, nella stesura di Il quartiere (Milano 1944).
Il 19 marzo 1944 nacque la figlia Aurelia e il «piccolo-grande avvenimento» (Parronchi, 1996, p. 114) che rallegrò la sua vita non ne alleviò le angustie economiche, aggravate dall’urgenza di aiutare il fratello Ferruccio, ricoverato presso l’ospedale di Careggi a Firenze e trasferito nel dicembre di quell’anno presso l’ospedale Forlanini di Roma. Nel settembre del 1944 la partecipazione alla costituzione della casa editrice romana La Nuova Biblioteca, risollevò in parte le condizioni di un bilancio familiare che restò problematico anche quando, a dicembre di quell’anno, Pratolini divenne redattore capo di La Settimana, il ‘periodico d’attualità’ pubblicato dapprima a Roma e, dal luglio del 1945, a Milano da La Nuova Biblioteca.
Nel luglio del 1945, dopo la morte del fratello – avvenuta a Firenze nella notte del 20 giugno – Pratolini si trasferì a Milano al seguito della redazione della Settimana ma, nonostante l’amicizia di Gatto e Vittorini, la partecipazione all’ambiente del Politecnico, la collaborazione a Milano Sera, la mancanza di tempo per il suo lavoro di scrittore lo decise, alla fine dell’anno, a lasciare il capoluogo lombardo per Napoli, approfittando del guadagno derivato da un contratto con Mondadori per l’elaborazione dei racconti del Mestiere da vagabondo (Milano 1947).
In una lettera a Parronchi del 29 dicembre 1945, Pratolini, mentre si dichiara immerso nella conclusione della stesura del «libro dichiaratamente autobiografico» (poi Cronaca familiare, Firenze 1947), è già proiettato nella composizione di quelle Cronache che «sono (dovranno essere!) un romanzo nel senso tradizionale e cioè, per incominciare, narrato in terza persona, non più io, tu, ma egli, egli, egli! […]. Un romanzo, e con il respiro del romanzo d’impegno, sulle 300 e più pagine. Protagonista: una strada. Quale strada? Via del Corno. […] Non so come sia adesso, so come era nel 1928-30. Ma io porterò l’azione ancora più indietro: al ’25-’26. Ne voglio fare la mia Aci-Trezza».
Terminato alla fine di gennaio Cronaca familiare, Pratolini, che intanto aveva collaborato alla sceneggiatura di Paisà di Roberto Rossellini, si immerse nella stesura delle Cronache di poveri amanti. Molte, tra il febbraio 1946 e il febbraio 1947, sono le lettere a Parronchi sull’argomento, molte le richieste di informazioni, diversi i resoconti sul procedere del romanzo, la sua trama, i suoi personaggi, le modalità stilistiche di una scrittura di cui si delinea la vocazione cinematografica: «Io vorrei avere inventato un uso particolare del presente storico, un’impostazione narrativa diretta e partecipe, secondo per secondo, della vita dei personaggi» (Parronchi, 1996, p. 148).
Nel gennaio del 1947 il dattiloscritto di Cronache di poveri amanti vinse il premio Libera Stampa di Lugano. Il premio gli fornì la disponibilità economica per rinunciare alla collaborazione con il Tempo di Milano e dedicarsi all’attività narrativa. Decise così di non lasciare Napoli, dove restò fino al 1952 insegnando storia dell’arte presso l’Istituto artistico industriale. Tra il dicembre 1946 e il febbraio 1947 rivide e congedò le Cronache, terminò il racconto Lungo viaggio di Natale e attese alla stesura del saggio Florence 1947 (in Les temps modernes, 1947, agosto-settembre). Alla pubblicazione, in primavera, delle Cronache per Vallecchi (Firenze 1947), seguì un processo per diffamazione intentato all’autore e alla sua casa editrice da Concetta Marrucchi che si era sentita colpita dalle descrizioni presenti nel romanzo a proposito dell’albergo Cervia di cui era gerente. Nonostante le incongruenze evidenziate nella difesa da Pratolini, il processo si concluse nel febbraio del 1948 con una condanna pecuniaria a carico di Vallecchi.
Dal 24 maggio al 19 giugno 1947 scrisse le cronache del Giro d’Italia per Il Nuovo Corriere di Firenze. Nel mese di ottobre uscì Mestiere da vagabondo e parvero concretarsi le trattative con Luchino Visconti per la riduzione cinematografica – realizzata però solo nel 1953 da Carlo Lizzani – delle Cronache: «si lavorò sei mesi alla sceneggiatura, non mancava altro […] che “partire”. Poi, coloro che dovevano finanziare il film cambiarono parere» (Vasco Pratolini e il cinema, 1987, p. 57). Al progetto, prospettato nel febbraio del 1946 a Parronchi, dei due romanzi che avrebbero dovuto formare una trilogia con Il Quartiere – Il sabato è festa e Compagno scrittore – si aggiunse quello, poi abbandonato, della «storia di una ragazza di Napoli che sposa un toscano e va ad abitare in una città toscana che può essere Firenze» (Parronchi, 1996, p. 171). Risale a quel periodo la stesura, conclusa nell’aprile del 1948, del romanzo il cui titolo «provvisorio» La repubblichina divenne Un eroe del nostro tempo (Milano 1949).
Il romanzo fu per lui «una cura di disinfezione dal lirismo e dalla digressione vuoi politica, vuoi ‘poetica’, vuoi moralistica» (Parronchi, 1996, p. 175) e fu anche occasione di riflessione sulle modalità e la vocazione ‘cronachistica’ della sua scrittura. La stesura di Le ragazze di San Frediano (dapprima in Botteghe oscure, III (1949), poi Firenze 1952) conseguì all’intento di piegare la propria «consueta materia» narrativa a «un esito burlesco» (Parronchi, 1996, p. 231), ma si profilò allora anche il progetto di Una storia italiana.
Nel 1949 uscirono sia la versione americana (New York, Viking Press) sia quella inglese (London, Hamish Hamilton) di Cronache di poveri amanti che l’anno seguente apparve in francese per i tipi di Albin Michel.
Pratolini, che era andato per la prima volta a Parigi nel febbraio del 1949, vi tornò nell’aprile del 1950 in occasione della pubblicazione della traduzione del romanzo che, nel maggio del 1950, fu insignito con il premio internazionale del Club francese del libro.
Nel luglio dello stesso anno, pur non rinunciando ancora al suo romanzo napoletano, si accinse alla scrittura di due nuovi romanzi – I fidanzati del Mugnone e Il bracciante del Valdarno. Il progetto si evolse, tra il 1950 e il 1951, nell’elaborazione di un unico romanzo dal titolo Una storia italiana e, nei tre anni seguenti, nella programmazione, presentata a Vallecchi nella lettera del 3 novembre 1954, di «un ciclo di romanzi» ambientati in un arco temporale di settant’anni, tra il 1875 e il 1945, e riuniti dal titolo comune di Una storia italiana. Il primo di essi fu Metello, pubblicato da Vallecchi (Firenze 1955), dopo alcune anticipazioni in rivista tra l’estate del 1953 e il dicembre del 1954.
Nel frattempo Pratolini, tornato a Napoli dopo un viaggio, tra dicembre e gennaio 1951, in varie capitali europee per conto di Milano Sera, Il Nuovo Corriere e Paese Sera, lasciò l’insegnamento e nell’aprile del 1952 si trasferì a Roma, intensificando la propria attività in ambito teatrale e cinematografico.
Alla collaborazione con Giandomenico Giagni, intrapresa nel 1951 per la stesura del radiodramma La domenica della buona gente e la sua trasposizione cinematografica per la regia di Anton Giulio Majano (1953), si aggiunsero quelle per la sceneggiatura di Cronaca di un delitto di Mario Sequi (1952), di Terza liceo di Luciano Emmer (1953), e del film tratto da Alessandro Blasetti (1953) dal racconto di Pratolini Mara. Nel 1953 fu proiettato a Parigi il documentario di Visconti, Appunti su un fatto di cronaca su testo di Pratolini. Nel 1954 collaborò con Suso Cecchi d’Amico alla sceneggiatura di Gli sbandati di Citto Maselli. In quel periodo realizzò la versione teatrale dell’ultima novella del Decamerone, messa in scena con il titolo Gualtieri e Griselda a Certaldo (30-31 agosto 1952) con la regia di Vito Pandolfi.
Nel febbraio del 1955, al ritorno da un viaggio in Francia e in Inghilterra, trovò il ‘caso Metello’ già esploso e aperto a nuove e controverse polemiche. Nonostante le aspre e opposte critiche di cui fu oggetto sia da parte dello schieramento cattolico (Carlo Bo, Leone Piccioni) sia da quello laico (Carlo Muscetta, Cesare Cases, Franco Fortini, Italo Calvino) il romanzo, per altro subito apprezzato da Mario Alicata, Carlo Salinari, Giancarlo Vigorelli ed Enrico Falqui, vinse il premio Viareggio. In quell’anno Pratolini commentò le partite di calcio per Il Campione e seguì il Giro d’Italia per Il Nuovo Corriere e Paese sera. Nel 1956 Vallecchi pubblicò Diario sentimentale e, a luglio, Pratolini si recò a Berlino presso la casa editrice Volk und Welt che ne stava traducendo le opere. La notorietà conquistata non valse a placarne l’insoddisfazione per il proprio lavoro: «Ho distrutto tutto e l’“America” e le pagine di “Jacqueline amore” che avevo scritto: erano delle cose ignobili, inammissibili, lontane quanto la luna rispetto a ciò che dovevo realizzare» (Parronchi, 1996, p. 347).
La commedia L’America si chiama amore, prevista nel programma 1955-56 del Piccolo Teatro di Milano, fu ritirata e, mentre Pratolini procedeva nella collaborazione alla sceneggiatura per il film di Emmer Il momento più bello (1957) e alla stesura con Carlo Lizzani del soggetto del film di Gottfried Kolditz, Simplon-Tunnel (1959), il progetto di Una storia italiana rimase in sospeso fino al 1957 quando, rincuorato dal premio Antonio Feltrinelli per le lettere, assegnatogli il 7 giugno dall’Accademia nazionale dei Lincei, procedette alla stesura di Lo scialo (Milano 1960) che nel 1961 vinse il premio internazionale Charles Veillon di Losanna. Durante l’estate del 1958 collaborò con Visconti e Suso Cecchi d’Amico al soggetto di Rocco e i suoi fratelli (1960). Nel 1960 collaborò alla sceneggiatura del film di Mauro Bolognini La viaccia (1961), scrisse il soggetto del film, non realizzato, Il miracolo (1963), tenne la rubrica cinematografica del settimanale ABC. Tra il 1960 e il 1961 scrisse L’ammuina, il trattamento, profondamente modificato in fase di sceneggiatura, del film di Nanni Loy Le quattro giornate di Napoli (1962), e collaborò alla sceneggiatura del film che Valerio Zurlini trasse da Cronaca familiare (1962), cui fu assegnato il Leone d’oro al Festival di Venezia. Nel dicembre del 1962 venne trasmesso in televisione l’atto unico Ellis con la regia di Daniele d’Anza. Nella primavera del 1963 Pratolini si recò negli Stati Uniti. Nel frattempo lavorò a La costanza della ragione (Milano 1963) che vinse il premio Marzotto e da cui Pasquale Festa Campanile trasse il film omonimo (1965). Continuò, intanto, nell’elaborazione del terzo libro di Una storia italiana, il cui titolo definitivo – Allegoria e derisione (Milano 1966) – venne annunziato il 30 luglio 1966 a Parronchi con un entusiasmo destinato a svanire dopo la dura accoglienza riservata al romanzo da parte della critica. Negli anni seguenti Pratolini, che nel 1965 aveva collaborato al soggetto del film di Dino Risi, Andremo in città (1966), scrisse un trattamento, inutilizzato, per Fratello sole sorella luna (1971) di Franco Zeffirelli e collaborò alla sceneggiatura del film di Nelo Risi, La colonna infame (1973).
Nel marzo del 1967 morì il padre e, in quell’anno, la plaquette di poesie La città ha i miei trent’anni (edita per Scheiwiller) inaugurò una esperienza poetica che proseguì con la pubblicazione nell’Almanacco dello Specchio Mondadori delle poesie di Calendario del ’67 (Milano 1975), confluendo poi in Il mannello di Natascia e altre cronache in versi e prosa (1930-1985), sempre per Mondadori (Milano 1985) cui, nel 1985, fu assegnato il premio Viareggio. Il romanzo Malattia infantile, annunciato nel maggio del 1967 a Parronchi, e che avrebbe dovuto essere il quarto libro di Una storia italiana, non fu mai concluso.
L’11 giugno 1983 ricevette la laurea honoris causa dall’Università di Firenze e, durante il convegno su Pratolini e il cinema (Firenze 6-7 luglio 1985) gli fu assegnato il Fiorino d’oro. A maggio del 1988 ricevette il premio letterario Ori di Taranto - Una vita per il romanzo e, a dicembre, il premio Pirandello per la narrativa. Nello stesso anno gli fu conferito il premio Penna d’oro della Presidenza del Consiglio.
Il morale e le condizioni di salute di Pratolini non trassero giovamento dai riconoscimenti ottenuti e, nella sua ultima lettera a Parronchi, lo scontento che lo aveva accompagnato per tutta la vita si esprime con gli accenti di un’ormai raggiunta rassegnazione: «mi porto dietro da troppo tempo questa che si è convenuto chiamare depressione e quindi ogni ipotesi o progetto di lavoro restano tali, anzi ho preso l’abitudine di non pensarci proprio» (Parronchi, 1996, p. 432).
Morì nella sua casa di Roma la mattina del 12 gennaio 1991 e venne sepolto nel cimitero fiorentino Alle Porte Sante di San Miniato.
Opere. Romanzi, a cura di F.P. Memmo, I-II, Milano 1993-1995. E inoltre: La costanza della ragione, Milano 1963; Allegoria e derisione, Milano 1966; Il mannello di Natascia e altre cronache in versi e prosa (1930-1980), Milano 1985; Cronache dal Giro d’Italia, Milano 2009; Al Giro d’Italia. V. P. al 38° giro d’Italia (14 maggio - 5 giugno 1955), a cura di E. Paccagnini, Milano 2001.
Fonti e Bibl.: Firenze, Archivio contemporaneo A. Bonsanti del Gabinetto Vieusseux, Fondo Vallecchi, Lettere di V. Pratolini a E. Vallecchi (trascritte, introdotte e annotate da Elena Guerrieri); Pratolini scrive a Vallecchi: lettere (1938-1942) e Pratolini scrive a Vallecchi: lettere (1942-1958), tesi di laurea, Università degli studi di Firenze, rispettivamente aa. 2008-09 e 2012-13. Per epistolari e carteggi si vedano: La lunga attesa. Lettere a Romano Bilenchi (1935-1972), Milano 1989; Lettere a Sandro, Firenze 1992; Lettere di P. a Oreste Macrí, in O. Macrí, P. romanziere di “Una storia italiana”, Firenze 1993, pp. 203-237; V. P. a Mario Puccini (1947-1956). Dalle carte d’archivio, in I segni e la storia, Firenze 1996, pp. 260-293; A. Parronchi, Lettere a Vasco, Firenze 1996; Carteggio Pratolini-Grazzini, in Renzo Grazzini: pittore tra cronaca interiore e storia civile, Pisa 1997, pp. 285-336.
A. Asor Rosa, V. P., Roma 1958; F. Camon, Il mestiere di scrittore: conversazioni critiche, Milano 1973, pp. 33-53; R. Bilenchi, Amici, Torino 1976, ad ind.; F.P. Memmo, V. P., Firenze 1977; F. Longobardi, V. P., Milano 1984; G. Bertoncini, V. P., Roma 1987; V. P. e il cinema, Atti del Convegno… 1986, a cura di A. Vannini, Firenze 1987; V. P., a cura di L. Luisi, Taranto 1988; V. P. tra cinema e teatro, a cura di P. Bartolini, Prato 1992; Atti del Convegno internazionale di studi su V. P.… 1992, Firenze 1995; L. Caretti, P. intervista Pavese, in Id., Antichi e moderni. Studi di letteratura italiana-Seconda serie, Roma 1996, pp. 237-246; F.P. Memmo, V. P.: bibliografia (1931-1997), Firenze 1998; R. Rodondi, Per una bibliografia pratoliniana, in Archivi del nuovo, III (2000), 6-7, pp. 148-159; M. Marri Tonelli, Arco nel romanzo non scritto di V. P., Arco 2013; M. Biondi, P., Firenze 2014; V. P. (1913-2013). Atti del Convegno internazionale di studi… 2013, a cura di M.C. Papini - G. Manghetti - T. Spignoli, Firenze 2015.