vario (varo)
Il comune aggettivo ricorre solo in Pd II 118 Li altri giron per varie differenze / le distinzion che dentro da sé hanno / dispongono a lor fini e a lor semenze, in un passo d'intonazione filosofica (cfr. Cv II XIV 15, Ep XIII 56), ove si parla delle " diverse " influenze dei cieli.
Così concordemente annotano gli antichi chiosatori, a partire dal Lana (" li circuli e li celi di pianeti... si adoverano destribuendo la virtude data a loro per lo primo celo a diversi fini; si come appare nei libri di astrologia iudicativa ") sino al Landino: " sempre la virtù superiore s'infunde in tutti gl'inferiori... ma più efficacemente nel più propinquo inferiore, et mutasi secondo che è differente l'uno dall'altro. Adunque el nono cielo più efficacemente infonde la virtù sua essentiale motiva et conservativa nello octavo, che negli altri ".
La forma ‛ varo ' ricorre, in rima, in If IX 115 a Pola, presso del Carnaro / ch'Italia chiude e suoi termini bagna, / fanno i sepulcri tutt'il loco varo, col consueto significato di " vario ", " diseguale ", trattandosi di forma toscana del tipo avversaro per ‛ avversario ' (Pg VIII 95), contraro per ‛ contrario ' (XVIII 15), matera per ‛ materia ' (V 37), come notavano alcuni antichi chiosatori riportando il varo alla forma più comune " locus ille est varus sive varius propter inaequalitatem sepulchrorum " [Bambaglioli]; " varium diversimode " [Benvenuto]).
Si ricorda l'ampia nota del Boccaccio, che pare invece connettere la voce con ‛ vaio ' (al pari dell'Anonimo che seguì questa curiosa e discutibile interpretazione): " varo, cioè incamerellato, come veggiamo sono le fodere de' vai, il bianco delle quali, quasi in quadro, è attorniato dal vaio grigio, il quale vi si lascia accio ché altra fodera che di vaio creduta non fosse da chi la vedesse ".