Varieté
(Germania 1925, bianco e nero, 110m a 18 fps); regia: Ewald André Dupont; produzione: Erich Pommer per UFA; soggetto: dal romanzo Der Eid des Stephan Huller di Friedrich Hollaender; sceneggiatura: Ewald André Dupont, Leo Birinski; fotografia: Karl Freund; scenografia: Oskar Friedrich Werndorff.
Il prigioniero numero 28 di un penitenziario, dopo aver scontato dieci anni, ha la possibilità di beneficiare di un condono di pena. Accetta quindi di raccontare la storia del proprio delitto al direttore del carcere, che deve esprimere il proprio parere sull'eventuale grazia. Il suo nome è 'Boss' Huller: acrobata e padre di famiglia, si esibiva in un misero spettacolo di luna park insieme all'infelice consorte. Un giorno un marinaio gli fa conoscere una danzatrice, originaria di un paese del Sud, che lo spinge a ribellarsi alla sua triste esistenza. I due fuggono insieme e si esibiscono in coppia in un numero acrobatico al trapezio nel corso di una fiera a Berlino. Artinelli, un artista internazionale che ha appena perduto il fratello, li nota e li ingaggia per formare un trio presso il Wintergarten berlinese. Lo spettacolo, nel quale Artinelli esegue un triplo salto mortale con gli occhi bendati, ottiene un grande successo, ma dietro le quinte i rapporti sono tormentati: l'acrobata e la ragazza, infatti, sono diventati amanti. Scoprendosi tradito, Huller decide di vendicarsi: dopo aver teso un agguato ad Artinelli, lo uccide per poi consegnarsi alla polizia. Ottenuta la grazia, Huller esce dal carcere e ritrova la moglie ad aspettarlo.
Varieté è un dramma degli istinti che intreccia il tema della ribellione e quello della sottomissione. Il circo, all'epoca, costituiva insieme al music-hall uno degli scenari preferiti del cinema tedesco. Ewald André Dupont sfruttò queste ambientazioni in altri film (Moulin Rouge, e Piccadilly, girati tra Francia e Gran Bretagna, entrambi del 1928), come in seguito faranno autori di cinematografie ed epoche diverse quali Gottfried Reinhardt, Carol Reed, Jean Delannoy, Cecil B. DeMille, Kurt Neumann, Alfred Hitchcock e Ingmar Bergman. Quest'ultimo in particolare, ambientando Das Schlangenei (L'uovo del serpente, 1977) nella Berlino del 1923, rende omaggio proprio al trio di trapezisti di Dupont. Friedrich Wilhelm Murnau, che non riuscì a realizzare Varieté, diresse in seguito Four Devils (1929), oggi perduto, in cui comparivano personaggi dello stesso tipo. Il circo, il luna park o il music-hall costituiscono i luoghi privilegiati per tutta una serie di produzioni che tentano di gettare uno sguardo al di là del visibile, del quotidiano: è il mondo delle illusioni, dei travestimenti, della sfida nei confronti della morte, dei drammi privati gettati in pasto al pubblico. Nel caso di Varieté, attraverso la semplice vicenda di un triangolo amoroso, il tentativo è quello di indagare la profondità dell'animo umano e i suoi lati più oscuri, interrogandosi sulla natura degli istinti che possono impadronirsi di un uomo fino a spingerlo a commettere un delitto passionale.
Film del tardo espressionismo o del primo realismo tedesco, Varieté oscilla costantemente tra universo interiore ed esteriore, utilizzando l'intera gamma delle innovazioni cinematografiche sviluppate dai grandi tecnici dei primi anni Venti e in particolare da Karl Freund, che era stato l'operatore di Der letzte Mann di Murnau. Ma, in modo molto più estroverso rispetto a quest'ultimo film, Varieté si sviluppa attraverso una sorta di ininterrotta rincorsa espressiva, dove ogni idea visiva viene immediatamente sostituita da un'altra, per assicurare la progressione narrativa del film ma anche per sottolinearne una punteggiatura drammatica (in particolare Dupont ricorre ad alcune ellissi divenute ormai leggendarie, come quando la mano brandisce il coltello). La molteplicità dei punti di vista e degli angoli di ripresa moltiplica lo spazio e gli assicura un completo dinamismo. Se alcune scenografie comportano ancora un arresto ai volumi dell'espressionismo, il film nel suo insieme si apre verso una visione molto più ampia del mondo. La soluzione che consiste nel distribuire i personaggi sui diversi piani dell'inquadratura, in modo da modificare i rapporti di forza e il tono drammatico all'interno di una scena, è significativo del superamento delle tecniche espressioniste.
Con Varieté Dupont divenne internazionalmente il regista di spicco della UFA, benché incompreso dal pubblico francese. Insieme a Murnau e a Ernst Lubitsch, fu uno dei pochi cineasti tedeschi conosciuti all'epoca anche oltreoceano, cosa che gli permise poi di realizzare Piccadilly (girato in Gran Bretagna con un budget astronomico), uno degli ultimi film muti distribuiti negli Stati Uniti. Il romanzo di Felix Hollaender venne adattato più volte per gli schermi, da Viggo Larsen (Der Eid des Stephan Huller, 1912), da Reinhard Bruck (1921) e in epoca sonora in una triplice versione: francese (Variétés ‒ I tre diavoli, Nicolas Farkas 1935), tedesca (Variété, Nikolaus Farkas e Jacob Geis, 1935) e inglese (The Three Maxims in Gran Bretagna, The Show Goes On negli Stati Uniti, Herbert Wilcox 1936).
Interpreti e personaggi: Emil Jannings (Stephan 'Boss' Huller), Lya de Putti (Berta-Marie), Warwick Ward (Artinelli), Maly Delschaft (moglie di Huller), Georg John (marinaio), Kurt Gerron, Charles Lincoln, Alice Hechy, Trio Codonas.
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F. Guerin, Dazzled by the light: technological entertainment and its social impact in 'Varieté', in "Cinema journal", n. 4, Summer 2003.