varco
È vocabolo esclusivo della Commedia, dove compare sempre in rima (v. anche VALCO).
Nel suo significato più generico è sinonimo di " passaggio " e indica un luogo o un'apertura per dove si passa, spesso con l'idea che il passaggio sia angusto e difficoltoso: un varco sono la rovina di rocce scoscese attraverso cui è dato scendere dal sesto al settimo cerchio dell'Inferno (If XII 26) o le scale che portano da una cornice all'altra del Purgatorio (Pg XI 41, XVI 44); lo scoglio sconcio ed erto, cioè il ponte che attraversa la quarta bolgia, sarebbe a le capre duro varco (If XIX 132); dall'alto del cielo Stellato a D. appare di là da Gade il varco / folle d'Ulisse (Pd XXV11 82), cioè sono visibili le acque dell'oceano Atlantico che Ulisse aveva tentato di varcare, di traversare (cfr. Pd II 3 dietro al mio legno che cantando varca il pelago della difficile navigazione poetica).
In senso estensivo indica la bocca, in quanto la voce, rotta dalle lagrime e dai sospiri, esce a fatica attraverso di essa: sì scoppia' io sottesso grave carco, / fuori sgorgando lagrime e sospiri, / e la voce allentò per lo suo varco (Pg XXXI 21).
Due volte designa l'atto del passare: If XXX 8 Tendiam le reti, sì ch'io pigli / la leonessa e ' leoncini al varco (nella locuzione ‛ pigliare al v. ' è implicito il senso di " cogliere di sorpresa " le belve " al passaggio "); in Pg XXXII 28 La bella donna che mi trasse al varco è Matelda, che aveva tratto D. a varcare il Lete.
Per affinità concettuale, sempre nel senso di " passaggio " (cfr. Scartazzini-Vandelli, Chimenz), è trasferito dall'ambito spaziale a quello temporale nella locuzione in picciol varco / di tempo (Pd XVIII 64), che vale quindi " in breve spazio di tempo ".