VAPORE
. Si chiama vapore un aeriforme che si trovi al di sotto della sua temperatura critica.
Per ogni aeriforme esiste infatti una particolare temperatura, a cui Andrews diede il nome di temperatura critica, tale che al disopra di essa l'aeriforme non può mai liquefarsi, comunque elevata sia la pressione a cui lo si sottopone; se invece la temperatura è minore della temperatura critica si può, con una opportuna pressione, liquefare l'aeriforme. La temperatura critica è dunque la massima temperatura alla quale la sostanza può, sotto una conveniente pressione, esistere allo stato liquido.
Per enunciare con chiarezza le proprietà dei vapori, consideriamo un cilindro sul cui fondo sia un liquido; il cilindro sia chiuso da un pistone che possa scorrere entro di esso a tenuta perfetta ed il complesso sia ad una data temperatura costante t. Se il liquido riempie soltanto parzialmente il cilindro, lo spazio rimanente si riempie di vapore del liquido; la densità d e la pressione p di questo vapore sono indipendenti dal volume del recipiente e variano soltanto se varia la temperatura; p è la massima pressione che il vapore può avere alla temperatura t; se infatti cerchiamo di aumentare la pressione abbassando il pistone e comprimendo così il vapore, parte di esso si trasforma in liquido e la pressione non cresce. Se invece solleviamo il pistone, la pressione rimane costante finché c'è ancora del liquido che evapora; quando tutto il liquido è trasformato in vapore, un ulteriore aumento del volume non viene più compensato dall'evaporazione di nuovo liquido, e perciò la densità del vapore e la sua pressione diminuiscono.
Si dice che un vapore a una certa temperatura è saturo, quando esso ha la massima pressione p che può raggiungere a quella temperatura; un vapore in equilibrio col suo liquido è saturo.
La pressione di un vapore saturo dipende dalla temperatura, e cresce rapidamente al crescere di essa. Naturalmente le pressioni dei vapori saturi di sostanze diverse, a parità di temperatura, sono diverse tra di loro; più le sostanze sono volatili e maggiore è la tensione del loro vapore saturo. Per esempio, le pressioni dei vapori saturi dell'acqua e dell'etere alla temperatura di 20° sono rispettivamente, espresse in cm. di mercurio: 1,74 e 43,3.
Come abbiamo visto parlando delle proprietà dei vapori, in condizioni normali la densità e la pressione di un vapore non possono mai superare la densità e la pressione del vapore saturo a quella temperatura, altrimenti il vapore si condensa.
In determinate circostanze però è possibile comprimere un vapore oltre la sua pressione di saturazione, senza che avvenga la condensazione: si dice allora che il vapore è soprasaturo.
Un vapore soprasaturo si trova in condizioni di grandissima instabilità per modo che basta una perturbazione assai piccola per produrre la condensazione di una parte di esso in modo da riportare la sua pressione alla pressione del vapore saturo corrispondente alla sua temperatura.
La legge con cui varia la tensione di un vapore saturo in funzione della temperatura si può ricavare dall'equazione di Clapeyron, una volta nota l'equazione di stato della sostanza in esame. Se si assume per il vapore l'equazione di stato dei gas perfetti, e si trascura il volume per grammo molecola del liquido rispetto al volume per grammo molecola del gas, si trova che
dove p è la pressione del vapore saturo; T la temperatura assoluta, R la costante dei gas perfetti, q è il calore latente di evaporazione della sostanza per grammo molecola (supposto costante) e K una costante, il cui valore può venir determinato per mezzo del principio di Nernst (3° principio della termodinamica). L'espressione (1) ci mostra che il logaritmo della pressione è, nelle approssimazioni fatte, una funzione lineare di 1/T.
L'espressione (1) rappresenta in alcuni casi in modo molto fedele il comportamento della pressione del vapore saturo in funzione della temperatura; in altri casi invece essa è insufficiente. Si possono però stabilire altre relazioni, simili alla precedente per quanto più complesse, che rappresentano in modo soddisfacente il comportamento dei diversi vapori.
Macchina a Vapore.
Cenni storici. - Alcune proprietà del vapore d'acqua furono certamente conosciute nell'antichità, ma non sembra che esse ricevessero applicazioni importanti.
Archimede, secondo una tradizione trasmessaci da Leonardo da Vinci, avrebbe utilizzato la pressione del vapore per il lancio di proietti, impiegando a questo scopo un congegno, che in nostro linguaggio si potrebbe chiamare mortaio a vapore. Nel trattato Spiritalia seu pneumatica Erone il Vecchio di Alessandria (120 a. C.) descrisse la sfera rotante a vapore (eolipila), in cui si può riconoscere il primo rudimentale esempio di turbina a vapore a "reazione" (v. turbina). Vitruvio riferì intorno ad una "eolipila" impiegata per produrre col mezzo del vapore un forte soffio.
Bisogna poi discendere all'evo moderno per veder fiorire nuove idee intorno alle possibili applicazioni della forza del vapore: e ciò in armonia col sorgere dello spirito di indagine nel dominio delle scienze naturali.
Giambattista Porta descrisse nel 1601 un congegno, nel quale la pressione del vapore, agendo in recipiente chiuso, era impiegata per sollevare acqua; e Salomon de Caus, preposto ai giardini reali sotto Luigi XIII, diede notizia nel 16I5 di un apparecchio analogo, per mezzo del quale egli otteneva un getto d'acqua (fig.1).
Giovanni Branca, architetto della chiesa di Loreto, nel 1629 descrisse un congegno (v. turbina) in cui il vapore generato da una caldaia ed effluente da un ugello dava movimento ad una ruota a palette e, per interposte ruote dentate, ad alcuni pestelli; egli riconobbe pure che tale apparecchio era adatto per altri scopi. Si tratta del primo esempio di turbina a vapore ad "azione".
Nel 1663 il marchese di Worcester pubblicò in forma oscura la descrizione di alcune sue invenzioni, fra cui è notevole solo quella che riguarda il sollevamento dell'acqua in forza della pressione del vapore. Il congegno, che sembra abbia avuto alcune pratiche applicazioni, presentava - secondo l'idea di G.B. Porta - la caldaia separata; e ciò costituiva un perfezionamento considerevole rispetto all'apparecchio di Salomon de Caus.
Un deciso impulso all'impiego del vapor d'acqua in una macchina motrice doveva poi venire dal progresso della fisica; e in proposito è certo che la più importante scoperta scientifica cui è connessa l'origine della macchina a vapore è quella della pressione atmosferica, fatta in Italia dal Torricelli nel 1643. Le successive ricerche ed esperienze in argomento divulgarono la conoscenza del valore ingente della pressione atmosferica e fecero sorgere il desiderio d'impiegarla come forza motrice.
Il fisico olandese Huyghens pensò di servirsi della combustione di una piccola carica di polvere per espellere in parte l'aria da uno spazio chiuso attraverso una valvola automatica: per cui, raffreddandosi successivamente i gas prodotti dall'esplosione, si determinasse nello stesso recipiente una depressione, da utilizzare per sollevamento d'acqua.
Il fisico francese Denis Papin, che fu assistente di Huyghens, riconobbe sperimentalmente i difetti e la scarsa efficienza di tale macchina a polvere e pensò di ottenere una migliore rarefazione dell'aria contenuta in uno spazio chiuso scacciandola per mezzo del vapore e poscia condensando questo per via di raffreddamento; nel 1690 concretò la sua invenzione di cui ecco un breve cenno. Versata poca acqua in un cilindro, uno stantuffo a tenuta veniva abbassato fino a toccare l'acqua, mentre l'aria sfuggiva per un foro che era quindi chiuso per mezzo di un'asticciuola; avvicinato il fuoco al cilindro, il vapore generato nell'interno spingeva lo stantuffo, che veniva fermato in alto da un congegno d'arresto; allontanato infine il fuoco, il vapore si condensava per raffreddameto e la pressione interna diminuiva: per cui, tolto l'arresto, lo stantuffo era spinto verso il basso dalla pressione atmosferica e poteva sollevare un peso.
Papin sperimentò un piccolo modello del suo apparecchio ed eseguì calcoli rispetto ad una macchina avente il cilindro di 610 mm. di diametro e la corsa dello stantuffo di 1219 mm.; si interessò delle possibili applicazioni pratiche della sua macchina e cercò anche di organizzarne la costruzione; ma incontrò difficoltà che non poté superare.
Thomas Savery fu il primo costruttore di macchine a vapore capaci di un servizio industriale.
La macchina del Savery (fig. 2) è essenzialmente costituita dal generatore di vapore "separato" G, dall'utilizzatore P e da rubinetti convenientemente collocati. Riempito P di vapore, interrottane la comunicazione con la caldaia e raffreddatolo dall'esterno per mezzo di acqua fredda, il vapore vi si condensa determinando una depressione; aperta la comunicazione col pozzo sottostante l'acqua viene aspirata in P; chiusa di nuovo questa comunicazione, aperta in basso quella col tubo di sollevamento ed in alto quella con la caldaia, la pressione del vapore si esercita sull'acqua e la spinge in alto.
Il Savery accrebbe la potenzialità della macchina disponendo due recipienti P in luogo di uno ed aggiungendo alla caldaia G un apparecchio A di alimentazione di acqua calda.
La macchina del Savery fu impiegata per sollevare acqua dal fondo dei pozzi delle miniere di carbone e in tale applicazione la pressione del vapore dové essere considerevole, in relazione all'altezza di sollevamento. Per questo, per le imperfezioni costruttive allora inevitabili e per la mancanza di congegni di sicurezza si verificarono esplosioni, talvolta disastrose. Inoltre il consumo di carbone era molto grande (non meno di 15 kg. per compiere un lavoro utile esprimibile con la nostra unità cav.-ora).
Un progresso importante rispetto alla macchina di Savery fu compiuto da Thomas Newcomen e John Cawley, entrambi operai meccanici a Darmouth, in Inghilterra. Dai loro sforzi concordi risultò un congegno per sollevare l'acqua conosciuto sotto il nome di "macchina a vapore atmosferica di Newcomen", avente la caldaia separata come la macchina di Savery, ma pure distinte e fino ad un certo punto indipendenti la motrice e la pompa.
La fig. 3 rappresenta una macchina di Newcomen avente la potenza di circa 40 cavalli e un consumo di carbone minore di 8 kg. per cav.-ora: G è la caldaia, C il cilindro, S lo stantuffo sospeso al bilanciere B, A l'asta della pompa egualmente appesa al bilanciere; riempito il cilindro di vapore, interrotta la sua comunicazione con la caldaia ed aperta quella con un recipiente R di acqua fredda, uno zampillo di questa penetra nel cilindro, condensa il vapore e fa abbassare la pressione interna: prevale allora la pressione atmosferica, S si abbassa e fa compiere allo stantuffo della pompa una corsa di lavoro. Dopo viene riaperta la comunicazione del cilindro con la caldaia e con l'esterno (per lo scarico dell'acqua) ed S viene richiamato in alto dal peso della lunga asta A.
Nella fig. 3 è pure visibile il "meccanismo di distribuzione" ideato da H. Beighton: esso può essere riguardato come un perfezionamento di quello rudimentale escogitato nel 1713 dal Potter, intelligente ragazzo che si servì di cordicelle ingegnosamente disposte per rendere automatiche l'apertura e la chiusura dei rubinetti, prima affidate alla sua opera manuale.
La macchina di Newcomen si diffuse in Inghilterra e vi fu apprezzata; ma infine dovette cedere di fronte alla macchina inventata da James Watt.
A questi fu affidato dall'Università di Glasgow, per ripararlo, un modello funzionante di macchina Newcomen, con cilindro di bronzo di 2 pollici di diametro e corsa di 6 pollici; lo studiò con spirito di ricercatore, ne rilevò il grande consumo relativo di vapore, che del resto era esaltato dalle piccole dimensioni, e finì per riconoscere la causa principale del difetto nel raffreddamento che ad ogni doppia corsa la parete metallica del cilindro subiva da parte dell'acqua iniettatavi. Eseguì esperienze per accertare alcune proprietà del vapore, per trovare la quantità di vapore ottenibile da una caldaia per ogni kg. di carbone bruciato e per determinare il peso d'acqua necessario per condensare un dato peso di vapore.
Dopo ciò pervenne nel 1765 alla sua prima grande invenzione, quella del "condensatore separato", con lo scopo dichiarato di "permettere al cilindro di restare caldo quanto il vapore che vi entrava"; al condensatore applicò la "pompa d'aria" per estrarne con l'acqua anche l'aria che vi penetra e riduce il vuoto; circondò il cilindro di vapore per riscaldarlo (inviluppo di vapore).
La fig. 4 rappresenta una macchina di Watt del tipo normale per sollevamento d'acqua, come si costruiva verso il 1790.
Watt attuò poi la sua vecchia idea di limitare l'introduzione del vapore nel cilindro ad una parte della corsa dello stantuffo e di farlo espandere durante la parte rimanente; introdusse il "doppio effetto"; abolendo la sospensione a catena, la sostituì col cosiddetto "parallelogrammo" guidante l'asta dello stantuffo; trasmise il moto dal bilanciere ad un albero munito di volano e rese con ciò adatta la macchina ad ogni uso industriale; inventò il "regolatore di velocità" a forza centrifuga e l'"indicatore di pressione"; introdusse altri numerosi perfezionamenti particolari. Così diede al mondo, ma prima di tutto alla Gran Bretagna, lo strumento poderoso che doveva rivoluzionare la produzione industriale e, ben presto, i mezzi di trasporto per terra e per mare.
La fig. 5 rappresenta una macchina di Watt del principio del sec. XIX.
Fiorirono di poi intensamente gli studî e le invenzioni intorno alla macchina a vapore.
L'espansione frazionata in due cilindri in serie, che era stata tentata da J.C. Hornblower nel 1790, meglio attuata da A. Woolf nel 1804, prese sviluppo dopo che furono attuate più alte pressioni iniziali per opera di O. Evans in America e di altri in Europa.
R. Fulton eseguì nel 1803 i primi esperimenti di navigazione a vapore e già nel 1912 servizî regolari si iniziavano in America ed in Europa.
Varî inventori si cimentavano intanto per concretare una locomotiva a vapore senza condensatore adatta al servizio ferroviario e il risultato fu raggiunto pienamente da G. Stephenson, che nel 1829 vinse con la macchina "The Rocket" (fig. 6) un concorso memorabile sulla linea di nuova costruzione Liverpool-Manchester.
Il successo fu determinato essenzialmente dalla caldaia tubolare. giÀ sperimentata dal francese M. Séguin, e dal tiraggio artificiale, ottenuto per mezzo del vapore di scarico della macchina.
Per tutto il sec. XIX la macchina a vapore continuò a progredire, ad assumere forme svariatissime e ad estendere le sue applicazioni; frattanto la sua teoria riceveva una sistemazione scientifica rigorosa per virtù della termodinamica, i cui due principî fondamentali, scoperti l'uno dal Carnot nel 1824 l'altro dal Mayer nel 1840, erano stati elaborati da scienziati illustri (v. termodinamica).
Il progresso della macchina a vapore alternativa si è rallentato solo nel sec. XX perché essa in molte applicazioni è stata sostituita dalla turbina a vapore, dai motori a combustione interna e dai motori elettrici).
Cicli e rendimenti (v. gli analoghi paragrafi in turbina: Turbine a vapore).
Diagramma della pressione nel cilindro. - Riconusciuta l'utilità di sapere per ogni posizione dello stantuffo il valore della pressione nel cilindro, Watt inventò l'indicatore di pressione (v.), strumento ncl quale una punta scrivente tracciava sopra un foglio di carta una linea chiusa (diagramma indicato) con ordinate proporzionali alle pressioni e con ascisse proporzionali agli spazî percorsi dallo stantuffo.
La fig. 7 dà, a titolo d'esempio, i diagrammi simultanei presi sulle due camere del cilindro di una macchina a doppio effetto, senza condensatore.
L'area del diagramma relativo ad una camera è proporzionale al lavoro compiuto dal vapore nella camera stessa durante una doppia corsa dello stantuffo, per ogni unità di area della sezione utile del cilindro (sezione del cilindro diminuita della sezione dell'asta dello stantuffo, dove c'è). Perciò, determinata l'area per mezzo del planimetro o in altro modo, e divisala per la base del diagramma, si ottiene come quoziente una lunghezza che, nella scala delle pressioni dipendente dalla taratura dello strumento, rappresenta la "pressione media" nella camera considerata con "riferimento ad una corsa".
Se pm′ e pm″ sono in kg./cmq. le pressioni medie nelle due camere del cilindro per un dato regime della macchina, A′ e A″ le sezioni utili corrispondenti del cilindro in mq., C la corsa dello stantuffo in m., n il numero di doppie corse dello stantuffo al minuto primo, la "potenza" sviluppata dal vapore nel cilindro quale la rivela l'indicatore, perciò detta "potenza indicata" ha, in cavalli, il valore:
Scrivendo A in luog38o di A′ e A″, che sono sempre poco differenti, indicando con pm, la pressione media complessiva 1/2 (pm′ + pm″) e notando che 2 Cn/60 è la velocità media Vm dello stantuffo, l'espressione della potenza indieata si semplifica in:
Questa formula giova anche per determinare le dimensioni principali di una macchina da progettare sotto la condizione che sia capace di sviluppare una data potenza indicata.
Per questo bisogna conoscere o presumere la pm,; e ciò può ottenersi tracciando in sede di progetto il diagramma che presumibilmente si rileverà poi per mezzo dell'indicatore sulla macchina costruita e funzionante. Tale tracciamento si fa in base alle pressioni nella caldaia e nel condensatore che si intendono conosciute, alla temperatura iniziale del vapore se è surriscaldato, al tipo della macchina e a varî altri elementi che influiscono sul risultato. Determinata la pm,, basterà assegnare Vm entro i limiti e con i criterî che la tecnica suggerisce per dedurre immediatamente A e quindi il diametro del cilindro; in assenza di altri dati si potrà assegnare C in buona proporzione con questo diametro e dedurre il numero di giri n.
Il diagramma d'indicatore rivela inoltre come si svolge l'azione meccanica del vapore nel cilindro e dà modo di giudicare, almeno sotto certi aspetti, se essa sia corretta o difettosa e di provvedere a ragion veduta per eliminare, se possibile, gl'inconvenienti rilevati.
Funzionamento della macchina a Vapore. - Azione nociva delle Pareti dei Cilindri. Fughe. - Al diagramma indicato A1 B1 F G H I di una macchina a vapore (fig. 8), tenuto conto delle scale delle ascisse e delle ordinate, si può circoscrivere un altro diagramma A B C D E puramente "ideale", relativo ad una macchina ipotetica priva di "spazio morto" (così dicendosi il volume restante fra lo stantuffo in fine di corsa, il fondo del cilindro e gli organi di intercettazione), con introduzione estesa quanto quella accusata dal diagramma reale, ma effettuantesi alla stessa pressione di caldaia, con espansione adiabatica e con scarico per l'intera corsa di ritorno dello stantuffo e corrispondente pressione nel cilindro uguale a quella che regna nel condensatore.
Dal confronto dei due diagrammi risulta che in entrambi l'espansione non è prolungata fino a raggiungere la pressione di scarico: essa non è completa ma, si può dire, troncata, con perdita di area, cioè del lavoro che il vapore potrebbe ancora compiere espandendosi fino alla pressione infima del rispettivo diagramma. Questo è indubbiamente un difetto della macchina a vapore a stantuffo, che non ha riscontro nella turbina; ma si deve notare che esso non può essere praticamente eliminato, perché l'aumento considerevole che dovrebbe perciò subire il volume del cilindro, oltre che urtare contro difficoltà costruttive, di sistemazione e di spesa, porterebbe maggiori perdite di natura meccanica e termica, tanto da rendere illusorio il vantaggio dell'ulteriore lavoro di espansione raccolto nel cilindro.
Si rileva poi a colpo d'occhio che il diagramma reale è di area minore di quella del diagramma ideale: e ciò per cause diverse che qui appresso si accennano.
La linea dell'introduzione del diagramma reale è più bassa della corrispondente ideale a causa delle varie resistenze che il vapore deve superare nel percorso dalla caldaia al cilindro (laminazione del vapore); in conseguenza la pressione iniziale di espansione è più bassa nel diagramma reale, senza però che la curva di espansione debba restare necessariamente tutta più bassa di quella del diagramma ideale; e questo anche perché il volume di vapore che si espande nella macchina reale a parità di ogni altra circostanza è maggiore, per la presenza in essa dello spazio morto.
Ciò si può mettere in evidenza prendendo nel diagramma reale l'origine O′ in modo che il segmento O′ O rappresenti lo spazio morto nella medesima scala in cui OC0 rappresenta il volume generato dallo stantuffo in una corsa. Supposto per un momento di modificare la macchina ideale aggiungendovi lo spazio morto nella stessa misura della macchina reale, il volume iniziale di espansione diviene in essa O′ B0 in luogo di OB0 e la nuova curva di espansione BC′ risulta più alta di BC. Il lavoro per ogni colpo di stantuffo è cresciuto, ma il rendimento specifico è diminuito ed infatti, a parte la troncatura più accentuata dell'espansione, il vapore in più che deve penetrare nel cilindro al principio dell'introduzione per far salire la pressione da OE ad OA (al quale appunto è dovuto il maggior lavoro BC′ C), non produce lavoro utile nell'atto di entrare, a differenza di quanto avviene lungo l'introduzione AB. Lo spazio morto nuoce dunque al rendimento, donde la sua denominazione di "nocivo".
Si compensa in parte tale effetto dannoso per mezzo della "compressione", fase presente in tutte le macchine, con estensione più o meno grande. Lo scarico del vapore si interrompe prima che lo stantuffo arrivi in fine di corsa, ed il vapore restante nel cilindro, isolato dall'esterno, viene compresso, come mostra la curva HI del diagramma reale.
Lo scarico comincia in realtà prima che lo stantuffo arrivi al punto morto, in corrispondenza ad un certo punto F della linea di espansione: si introduce cioè la fase di "anticipo" o "precessione allo scarico", con lo scopo principale che la luce di scarico sia già ampiamente aperta quando lo stantuffo giunge in fine di corsa e non si abbia per laminazione un troppo considerevole e nocivo aumento della contropressione di scarico.
Per ridurre la laminazione al principio dell'introduzione si aggiunge pure la fase, assai breve, di "anticipo all'introduzione" (linea I A1).
Concludendo, alle fasi essenziali di introduzione, espansione e scarico si aggiungono le secondarie di anticipo allo scarico, di compressione e di anticipo all'introduzione.
L'anticipo allo scarico e la compressione sono utili anche per migliorare il comportamento meccanico della macchina, che qui si ritiene sempre a doppio effetto. Ed invero, per la precessione allo scarico si allevia la spinta motrice sullo stantuffo e per la compressione aumenta gradualmente sull'altra faccia la controspinta, in modo che la risultante delle pressioni del vapore cambia di segno, non bruscamente, prima che lo stantuffo sia in fin di corsa: la forza d'inerzia dello stantuffo, rivolta nel senso del moto nella seconda parte della corsa, resta almeno in parte equilibrata da tale risultante già invertita: in definitiva l'andamento della macchina risulta più tranquillo, esente cioè da scuotimenti dannosi.
Le pareti del cilindro non sono termicamente inerti; ma fra esse ed il vapore, di cui variano periodicamente la pressione e la temperatura, si verifica uno scambio di calore, che è particolarmente vivace quando il vapore sia saturo umido, come fu in tutte le macchine quasi fino al termine del sec. XIX.
All'atto dell'introduzione il vapore trova a temperatura più bassa della propria la superficie interna della parete metallica (cilindro, fondo, stantuffo, condotti di introduzione) e la riscalda condensandosi e depositandovi sopra un velo liquido o goccioline; una parte di quest'acqua può rievaporare durante l'espansione, accrescendo alquanto l'area del diagramma per elevazione della linea di espansione; ma la massima parte del calore "momentaneamente" ceduto alla parete viene da questa restituito durante lo scarico e passa in pura perdita al condensatore. Intanto la parete si raffredda e si prepara a provocare di nuovo le "condensazioni iniziali" all'atto dell'introduzione.
Questa azione delle pareti determina alcuni effetti singolari, che, rilevati in tempi ormai lontani, fecero appunto sospettare che essa ne fosse la causa e stimolarono ad accertarla.
Il primo effetto è che la considerazione dei volumi di vapore accusati dal diagramma, tenuto conto delle pressioni per potere assegnare valori apparentemente ragionevoli al peso specifico, non dà elementi sufficienti per determinare il consumo di vapore per ogni colpo di stantuffo: ciò perché l'acqua depositata sulle pareti non figura nel volume, rilevabile dal diagramma, né questo dà alcun altro indizio della presenza di essa.
Un altro effetto degli scambî di calore è che il rendimento termico di una macchina monocilindrica non continua a crescere al ridursi dell'introduzione e all'amplificarsi dell'espansione fino ad espansione completa, come avverrebbe in una macchina ideale, ma cresce fino ad un certo punto e poi diminuisce di nuovo.
Il consumo di vapore di una macchina risulta inoltre aumentato (ed il rendimento termico diminuito) dalle "fughe" inevitabili e talvolta considerevoli attraverso gli organi di intercettazione non mai a perfetta tenuta, e attraverso lo stantuffo.
Rimedî contro l'azione delle pareti. - Un primo ripiego, fino ad un certo punto efficace, per attenuare la perdita di rendimento per scambio di calore fra vapore e parete, consiste nel riscaldare il cilindro dall'esterno. Ordinariamente questo si fa per mezzo del cosiddetto inviluppo (o camicia) di vapore, già impiegato da Watt, cioè disponendo un'intercapedine fra il cilindro ed un altro involucro esterno e facendovi pervenire il'vapore dalla caldaia. Si determina allora un flusso di calore dall'esterno all'interno, la superficie interna del cilindro rimane "mediamente" più calda e le condensazioni iniziali sono attenuate. Il provvedimento si può estendere anche ai fondi del cilindro.
È chiaro che l'inviluppo di vapore provoca d'altra parte aumento delle dispersioni di calore verso l'esterno e perciò queste devono essere accuratamente ostacolate per mezzo di un buon isolamento termico.
L'impiego di alte pressioni e di espansioni molto estese con lo scopo di accrescere il rendimento termico è stato reso utilmente possibile mercé l'espansione frazionata in più cilindri successivi. Teoricamente non vi è differenza fra una macchina avente un solo cilindro, nel quale il vapore si espanda fino ad una certa pressione finale, ed una macchina a più cilindri "successivi", il più grande ed ultimo dei quali sia di volume uguale a quello della macchina monocilindrica: nel primo caso tutto il lavoro viene raccolto da un solo stantuffo, nel secondo viene raccolto dai varî stantuffi di diverso diametro, ma il risultato finale è lo stesso. Così per una macchina ideale l'espansione frazionata non ha giustificazione.
Per una macchina reale la cosa è diversa.
Supponiamo che si adotti la disposizione a doppia espansione con "ricevitore" fra i due cilindri, nel quale si scarica il vapore dal minor cilindro ad alta pressione ed al quale attinge il maggiore a bassa pressione. La temperatura del vapore nel ricevitore è intermedia fra quella del vapore proveniente dalla caldaia e quella del vapore nel condensatore: e perciò ciascun cilindro non viene più a contatto con vapore ora alla massima temperatura, ora alla minima, dell'intero processo, ond'è che la causa prima delle condensazioni iniziali si riduce d'importanza ed esse si attenuano; inoltre il calore tolto dal vapore al cilindro minore per rievaporazione è ancora utilizzato nel cilindro a bassa pressione, sebbene con rendimento più piccolo. A questi benefici bisogna aggiungerne altri riguardanti:1. le fughe, che rimangono attenuate in ragione della minore differenza di pressione cui è sottoposto ciascun organo a tenuta; 2. gli spazî morti e particolarmente quello del maggior cilindro, che non deve essere riempito di vapore alla più alta pressione del processo, ma di vapore a pressione ridotta, il che riduce la perdita di rendimento già notata.
Il ricevitore fra i cilindri di una macchina a doppia espansione (composita) è di volume relativamente limitato e perciò la pressione vi subisce fluttuazioni in dipendenza dell'afflusso di vapore dal cilindro ad alta pressione (A. P.) e dell'efflusso verso il cilindro a bassa pressione (B. P.), efflusso ed efflusso la cui fase dipende a sua volta dalla posizione relativa delle manovelle dei due stantuffi.
I diagrammi d'indicatore rilevati sui due cilindri di una macchina a doppia espansione si possono ridurre agevolmente a rappresentare le pressioni (ordinate) ed i volumi (ascisse) nelle medesime scale; così modificati, si possono poi sovrapporre, come mostra la fig. 9. L'operazione ora indicata si usa chiamare "totalizzazione" del diagramma; oltre che per lo studio di una macchina esistente essa giova in sede di progetto, perché la pressione media che si deduce dal diagramma totalizzato serve prima di tutto per il calcolo delle dimensioni del cilindro a bassa pressione: quelle del cilindro A. P. si ottengono poi spesso in base al criterio della distribuzione del lavoro indicato in parti pressoché uguali fra i due cilindri.
Per macchine a triplice (fig. 10) o a quadruplice espansione, aventi ricevitori fra due cilindri consecutivi, valgono considerazioni analoghe.
Quando gli stantuffi di due cilindri paralleli consecutivi di una macchina ad espansione multipla fanno capo per mezzo di bielle a manovelle ugualmente orientate o a manovelle a 180°, il vapore scaricantesi dal cilindro minore può entrare subito nell'altro cilindro senza che occorra un ricevitore intermedio: questo può avere allora volume quasi nullo o per meglio dire piccolissimo, ridotto a quello delle tubazioni di raccordo. Si cade allora nella disposizione delle macchina a doppia espansione Woolf, in cui l'espansione, iniziata nel cilindro A. P., si prolunga poi simultaneamente nello stesso e nel cilindro B. P. La fig. 11 rappresenta il diagramma totalizzato di una macchina a triplice espansione con disposizione Woolf nel gruppo dei cilindri A. P. e M. P. (alta e media pressione).
Un provvedimento molto efficace contro le condensazioni iniziali consiste nell'impiego del vapore surriscaldato. Con le temperature di surriscaldamento attuabili nelle macchine a stantuffo il miglioramento del rendimento termico teorico (v. turbina: Turbina a vapore) è assai modesto; ma assai più notevole è il beneficio proveniente dall'attenuazione - talvolta dall'annullamento - delle condensazioni suddette.
Il salto di temperatura del vapore nel cilindro di una macchina a vapore surriscaldato è, a parità di altre circostanze, maggiore che in una macchina a vapore saturo; ma la trasmissione del calore dal vapore surriscaldato alla parete è assai meno attiva e comunque la cessione del calore da parte del vapore non porta alla condensazione parziale se non quando la temperatura si abbassi fino a quella di saturazione. Si vede dunque che può essere evitato o fortemente attenuato il depositarsi di acqua sulla parete e quindi il dannoso raffreddamento per rievaporazione durante lo scarico.
L'impiego del vapore surriscaldato si è diffuso; ma non si deve tacere che esso ha portato nuovi oneri, non solo attinenti alla generazione in adatto surriscaldatore, ma anche riguardanti gli accessorî di tenuta e la lubrificazione della macchina.
In epoca recente I. Stumpf ideò in Germania una macchina monocilindrica, in cui l'azione della parete è combattuta evitando che il vapore "freddo" permanga lungamente a contatto della parete o, peggio, scorra velocemente lungo la parte più calda di essa raffreddandola in misura considerevole. La disposizione della macchina Stumpf si vede nella fig. 12. Essa è a doppio effetto e ha il disco dello stantuffo di lunghezza assai grande, poco minore della corsa; in conseguenza il cilindro è pure molto lungo. L'introduzione del vapore in ognuna delle camere del cilindro avviene dai fondi o in loro prossimità ed è di piccola durata, il che procura un'espansione assai protratta; lo scarico avviene al centro del cilindro, attraverso luci scoperte dallo stesso stantuffo; e ne consegue l'uguaglianza delle fasi di precessione allo scarico e di scarico, entrambe estese per 1/10 della corsa circa. La compressione è quindi molto estesa ed innalza fortemente la temperatura del vapore rimasto nel cilindro.
Il vapore che va dalla caldaia al condensatore attraverso il cilindro si muove in questo press'a poco sempre in un solo verso: da qui il nome di equicorrente" o "unicorrente" dato alla macchina medesima.
La macchina di Stumpf ha dato buoni risultati e si è diffusa notevolmente. Peraltro essa ha subito modificazioni di particolari per adeguarsi alle esigenze varie d'impiego.
Rendimento organico e rendimento totale. - La potenza Ne disponibile sull'albero di una macchina a vapore (potenza effettiva) è minore della potenza indicata Ni corrispondente al lavoro svolto dal vapore neí cilindri. La differenza Ni - Ne è spesa per vincere le resistenze passive del meccanismo principale della macchina e del meccanismo di distribuzione e per l'esercizio di tutti gli apparecchi ausiliarî indispensabili, quali sono le pompe che servono il condensatore, le pompe per l'olio lubrificante, ecc.
Quando gli apparecchi ausiliarî prendono movimento dalla macchina, sull'albero di questa si trova a disposizione la potenza Ne netta di ogni perdita; quando invece gli apparecchi ausiliarî ricevono la potenza necessaria da motori indipendenti, i consumi di questi vanno tenuti in conto nel fare il bilancio di tutte le forme di energia in giuoco nell'impianto.
Ritenuto che N, sia la potenza effettiva disponibile, si dice "rendimento organico" della macchina il rapporto:
In base a risultati sperimentali si può ammettere che la potenza dissipata Ni - Ne, si distribuisca in due parti: una parte costante, indipendente dal carico, uguale alla potenza indicata Niv per macchina funzionante "a vuoto", cioè senza carico; l'altra parte proporzionale secondo un certo coefficiente α alla potenza Ne: consegue che al rendimento organico si può dare la forma
la quale fornisce il valore di η0 in funzione di Ni, dopo che siano stati determinati Niv ed α per mezzo di due esperienze.
Per macchine monocilindriche senza condensatore (scarico nell'atmosfera) il rendimento organico corrispondente al carico normale è abbastanza alto anche se la potenza è piccola (p. es., 10 cavalli), potendo raggiungere e superare il valore o,85; il rendimento cresce col crescere delle dimensioni e della potenza e può arrivare a 0,94 per macchine di 1000 cavalli.
A parità di potenza le macchine monocilindriche a condensazione hanno un rendimento alquanto minore, ed ancora minore questo è per le macchine ad espansione multipla.
Il prodotto del rendimento organico per il rendimento termico indicato, rapporto tra l'equivalente termico del lavoro indicato e la quantità corrispondente di calore consumata dalla macchina (v. turbina: Turbine a vapore) è il rendimento termico riferito alla potenza effettiva.
Dal punto di vista economico interessa di moltiplicare ancora tale rendimento per quello del generatore di vapore, pervenendo così al rendimento complessivo dell'impianto.
Negl'impianti di potenza considerevole, od anche in impianti di potenza moderata in condizioni particolarmente favorevoli, in ogni caso a vapore surriscaldato ed a condensazione, il rendimento complessivo può raggiungere e superare di qualche poco il valore 0,20; ma discende anche a meno di 1/3 di questa cifra per macchine monocilindriche a vapore saturo, con scarico nell'atmosfera.
Cenno sui sistemi di distribuzione del vapore e di regolazione della potenza. - Si dice distribuzione la successione ordinata delle fasi di ammissione, espansione, scarico e compressione, tenuto conto della posizione dello stantuffo quando una fase termina e l'altra comincia. Spesso si chiama brevemente distribuzione il meccanismo che serve per attuarla.
Di tale meccanismo sono organi essenziali gli otturatori, impiegati per aprire e chiudere la comunicazione del cilindro con la caldaia o col condensatore (o con l'atmosfera).
Gli otturatori possono essere scorrenti sulla sede (piastre, stantufi, rubinetti) ovvero a sollevamento dalla sede (valvole).
Il cassetto semplice (fig. 13), comandato da un eccentrico opportunamente calettato sull'albero principale, effettua la distribuzione per mezzo di unico organo otturatore. Così le varie fasi sono mutuamente vincolate. Il cassetto risulta equilibrato se ha forma di stantuffo (fig. 14).
Il cassetto con piastra di espansione (fig. 15) disimpegna a durata dell'introduzione (e quindi dell'espansione) da quella delle altre fasi.
Disponendo quattro otturatori, due ad ogni estremità del cilindro di cui uno per l'introduzione ed uno per lo scarico, l'inizio dell'espansione si può ancora regolare in modo indipendente dalle altre fasi. I quatto otturatori possono essere rubinetti (fig. 16), introdotti la prima volta dal costruttore americano Corliss; oppure valvole, più frequenti dei rubinetti nelle costruzioni europee. Le valvole (fig. 17) sono a due sedi (talvolta a quattro) affinché risultino equilibrate rispetto alla pressione del vapore.
Lo scarico può essere determinato dallo stantuffo (macchina Stumpf).
I meccanismi di distribuzione sono di tipi svariatissimi. La fig. 18 offre un esempio di macchina a quadruplice espansione con distribuzione a cassetti equilibrati, di costruzione italiana.
La regolazione della potenza si fa ancora nelle piccole macchine nella maniera ideata da Watt, cioè riducendo la pressione iniziale del vapore per mezzo di una valvola di strozzamento equilibrata, posta sotto il comando del regolatore; ma nelle macchine importanti tale procedimento non viene impiegato perché abbassa il rendimento; e si provvede invece a ridurre la fase d'introduzione quando il carico diminuisce.
La distribuzione deve essere perciò ad introduzione variabile: e la variazione può essere ottenuta automaticamente, al comando del regolatore, ovvero manualmente, come si fa per esempio nelle macchine per locomozione (locomotive e macchine marine), dove il meccanismo di distribuzione permette anche l'inversione del moto.
Bibl.: C. Matschoss, Geschichte der Dampfmaschine, Berlino 1901; R. H. Thurston, Traité de la machine à vapeur, Parigi 1893; P. E. Brunelli, Le macchine a vapore, Torino 1934; G. Bauer, Macchine e caldaie marine (trad. di C. Berini), Lucca 1924; M. F. Gutermuth, Die Dampfmaschine, Berlino 1928.
Processi di evaporazione e condensazione nell'industria.
Si indica col nome di concentrazione l'operazione che ha per fine di eliminare, mediante evaporazione, da una soluzione un solvente al cui ricupero non si attribuisce valore.
Si indica c0l nome di distillazione l'operazione che mediante l'evaporazione si propone di ricuperare il liquido separato dalla soluzione. Si dà invece il nome di rettificazione all'operazione che serve a separare mediante evaporazioni e condensazioni ripetute, il componente più volatile di una miscela di liquidi tra loro solubili in concentrazione maggiore di quella nella quale il componente stesso si trova nella miscela di partenza.
A) Concentrazione. - Nella maggior parte dei casi il liquido che si deve eliminare con l'operazione di concentrazione è l'acqua.
Per l'acqua pura la temperatura di ebollizione varia nel seguente modo con la pressione:
La presenza nel liquido di sostanze cristallizzabili produce un innalzamento della temperatura di ebollizione in misura tanto maggiore quanto maggiore è la concentrazione della soluzione.
Nella fig. 19 sono riprodotte due curve che dànno l'innalzamento della temperatura di ebollizione, alla pressione di 760 mm. di mercurio, in funzione della concentrazione per una soluzione di cloruro sodico. Quando il corpo in soluzìone è un colloide, l'innalzamento della temperatura di ebollizione è assai minore a parità di concentrazione. Naturalmente queste considerazioni valgono per le soluzioni di corpi non volatili.
Quando il liquido da concentrare contiene disciolta una certa quantità di gas, come è sempre in pratica, la tensione di vapore del liquido che evapora rappresenta solo una parte della pressione totale ambiente.
Al crescere della temperatura cresce in generale la solubilità delle sostanze disciolte. Tale solubilità però ammette per ogni determinata temperatura un limite definito per tutte le sostanze cristallizzate, cosicché raggiunto durante l'operazione di concentrazione il limite di solubilità, si inizia la separazione della sostanza disciolta. Al contrario, quando la sostanza disciolta è un colloide, durante la concentrazione si passa progressivamente dallo stato liquido allo stato pastoso.
Per eliminare dalla soluzione un certo peso di solvente è necessario f0rnire alla soluzione la quantità di calore corrispondente al calore latente di evaporazione del solvente stesso, se la soluzione trovasi già alla temperatura di ebollizione. In caso diverso è necessario fornire anche la quantità di calore che occorre per portare la soluzione dalla temperatura iniziale alla temperatura di ebollizione.
Il calore latente di vaporizzazione è funzione della temperatura e quindi della pressione alla quale avviene la trasformazione.
Per l'acqua il calore latente di evaporazione in grandi calorie per kg. è dato, per le diverse pressioni dalla seguente tabella:
Poiché il calore di evaporazione rappresenta in generale la parte più importante del calore da fornire per la concentrazione, si sono studiati diversi sistemi atti a ricuperare il calore di evaporazione messo in libertà all'atto della condensazione del liquido evaporato.
Due sono le vie che si possono seguire e che di fatto sono state seguite: una consiste nell'utilizzare il calore di condensazione per fare evaporare altra soluzione mantenuta a pressione inferiore alla pressione alla quale si è fatta avvenire la prima evaporazione (apparecchi di concentrazione a multiplo effetto).
L'altra consiste nel comprimere il vapore proveniente dal concentratore in modo da utilizzarne il calore di condensazione per fare evaporare lo stesso liquido dal quale esso proviene (concentratori a compressione di vapore). In qualche caso la sostanza da concentrare subisce, ad elevata temperatura, una profonda alterazione e perciò è necessario concentrarla alla più bassa temperatura praticamente compatibile con le caratteristiche della soluzione da concentrare. Perciò si fanno concentratori funzionanti a pressione inferiore alla pressione ambiente (concentratori a vuoto).
L'evaporazione naturale è puramente un fenomeno superficiale: quando la tensione parziale del vapore di liquido nell'aria che lambisce lo specchio evaporante è inferiore a quella corrispondente alla sua temperatura, cioè quando l'aria non è satura, tale saturazione tende a prodursi almeno nelle zone ad immediato contatto, a spese della soluzione.
I moti convettivi naturali rinnovano continuamente l'aria a contatto dello specchio evaporante e si produce perciò una continua evaporazione, la quale, come è intuito, è tanto più grande quanto più grande è la differenza fra la tensione parziale del solvente nell'aria ambiente e nel liquido, cioè a parità di ogni altra condizione, temperatura ambiente ed umidità relativa, quanto più è grande la temperatura del liquido da evaporare: anche perché la velocità di evaporazione cresce al crescere della frequenza con la quale si rinnova l'aria sullo specchio liquido.
Nelle saline il calore necessario per l'evaporazione è fornito dal sole per irraggiamento.
Nelle applicazioni industriali si fa circolare sistematicamente, in grandi vasche di piccola profondità, la soluzione preriscaldata in apparecchi scambiatori di temperatura.
Nell'industria i procedimenti di evaporazione di questo primo gruppo hanno oggi poche applicazioni.
I veri e proprî concentratori industriali possono essere suddivisi in gruppi secondo il modo col quale il calore necessario all'evaporazione è fornito al liquido che evapora.
Si hanno concentratori riscaldati a fuoco diretto, a vapore, mediante liquidi caldi e mediante energia elettrica.
I concentratori a fuoco diretto non consentono generalmente una buona utilizzazione del combustibile. Si impiegano nei processi che si svolgono a temperatura superiore ai 140° ÷ 150°.
In generale tali concentratori sono recipienti di ghisa lambiti all'esterno dai prodotti della combustione. Per liquidi che attaccano la ghisa si usano concentratori di ghisa smaltata.
La quantità di calore che si può nell'unità di tempo somministrare al liquido che si concentra dipende dalla superficie bagnata all'interno dal liquido da concentrare e all'esterno dai prodotti della combustione, dalla media differenza di temperatura tra questi e quello, dalle caratteristiche del liquido da concentrare, dalla conduttività totale della parete del concentratore, dall'agitazione del liquido nel concenitratore. Liquidi fortemente viscosi, pareti ricoperte da incrostazioni, dànno luogo ai più ridotti coefficienti di trasmissione del calore e quindi alle evaporazioni specifiche più scarse.
I concentratori a fuoco diretto funzionano generalmente trattando cariche successive di soluzione da concentrare.
I concentratori riscaldati per mezzo del vapore costituiscono la grandissima maggioranza degli apparecchi oggi usati nell'industria.
I concentratori funzionanti per cariche successive sono generalmente costituiti da un recipiente, aperto o chiuso secondo i casi, munito o no di agitatore, riscaldato mediante una camicia di vapore.
Più comunemente il vapore di riscaldamento è immesso in una serpentina di tubo (fig. 20) posta sul fondo o sui fianchi dell'apparecchio.
Più raramente si usano in questi apparecchi superficie riscaldanti cilindriche, anulari, concentriche, costituite da doppie pareti immerse nel liquido da concentrare (fig. 21).
Per maggiori potenze si usano concentratori riscaldati con il fascio tubiero (fig. 22) costituito da una serie di corti tubi verticali compresi tra due piastre fissate al fasciame dell'apparecchio.
Al centro del fascio tubiero si trova un tubo di maggior diametro. Quando si introduce vapore nella camera di vapore il liquido che è contenuto nei tubi si riscalda rapidamente e raggiunge la temperatura di ebollizione. Si formano nei tubi delle gallozze di vapore che, più leggiere, tendono a salire e trascinano il liquido da concentrare. Si forma in questo modo un'attivissima circolazione nel senso indicato dalle frecce, la quale aumenta notevolmente il coefficiente di trasmissione fra il liquido che si concentra e la superficie del tubo scaldante.
In altri casi il fascio tubiero è disposto orizzontalmente.
I concentratori funzionanti a singole cariche si trovano in condizioni variabili dal principio alla fine della concentrazione, perché modificandosi questa varia la temperatura di ebollizione e varia, quando non si tratti di sostanze cristallizzabili, la viscosità del liquido, fattori che diminuiscono la quantità di calore trasmessa attraverso alle superficie scaldanti.
Al contrario i concentratori a funzionamento continuo lavorano in condizioni ben determinate e costanti: da un lato entra la soluzione e dall'altra esce la soluzione concentrata. Quando durante la concentrazione si separa una sostanza solida, questa è eliminata in modo continuo o periodicamente.
Molti degli apparecchi sopra descritti pussono servire anche per funzionamento continuo, ma in generale si preferisce adottare in questo caso apparecchi appositamente studiati, capaci di realizzare una circolazione molto intensa del liquido da concentrare. Un tipo caratteristico è quello che si ottiene separando l'apparecchio destinato a riscaldare il liquido dall'apparecchio nel quale avviene la vera e propria evaporazione. Questa tendenza è giustificata dalla necessità di realizzare nel riscaldatore le massime velocità possibili nella miscela liquido-vapore per aumentare al massimo il coefficiente di trasmissione e di ridurre al minimo la velocità del vapore là dove esso deve separarsi dalle gocce di liquido trascinato.
Il fascio riscaldante può essere verticale (fig. 23) o inclinato (fig. 24). Questo secondo presenta alla circolazione dei liquidi minore resistenza e perciò, a parità di condizioni, realizza una più intensa circolazione.
Su un concetto abbastanza diverso sono basati i concentratori a fascio tubiero riscaldante lungo. In essi (fig. 25) il liquido da concentrare è introdotto in basso (A) mediante un apparecchio a livello costante che lo fa salire sino a circa un terzo dell'altezza dei tubi del riscaldatore. Nei tubi si formano emboli di vapore che tendono a trascinare in alto il liquido distendendolo, per così dire, lungo le pareti dei tubi, cosicché l'evaporazione avviene su strati molto sottili e resta notevolmente facilitata. Si riduce in questo modo il tempo nel quale il liquido da concentrare resta esposto all'azione del calore e si ottengono prodotti migliori. Il liquido concentrato si raccoglie da B mentre il vapore sviluppato durante la concentrazione, liberato dalle gocce di liquido con un'energica centrifugazione prodotta da diaframmi opportunamente disposti, esce da C.
I concentratori assumono forme particolari quando durante l'operazione di concentrazione si separano dal liquido trattato notevoli quantità di cristalli. I cristalli debbono essere separati in una zona nella quale il liquido si trovi praticamente in stato di riposo. Vi sono tra i costruttori diverse tendenze. Una consiste nel raccogliere i cristalli nella camera di evaporazione disponendo sotto di essa un fondo conico T (fig. 26).
Il liquido da concentrare entra da D, si riscalda nel fascio tubolare; passa al corpo evaporatore S, i cristalli si raccolgono in T mentre il liquido rifluisce normalmente al riscaldatore attraverso alla valvola B. Quando sul fondo di T si sono raccolti cristalli in quantità sufficiente si apre la valvola G che permette il passaggio dei cristalli separati nel recipiente N munito di fondo filtrante. Il liquido che accompagna i cristalli è così separato e ritorna in ciclo, mentre i cristalli stessi si fermano sul setto filtrante del fondo. Chiusa la valvola G si possono estrarre i cristalli senza interrompere il regolare funzionamento dell'apparecchio.
Un'altra tendenza è quella di mettere il raccoglitore dei cristalli sotto al riscaldatore, e però questo sistema presenta qualche svantaggio, inquantoché non è possibile con esso pulire i tubi senza interrompere completamente il funzionamento dell'apparecchio.
In qualche caso si dispongono anche apparecchi per l'estrazione continua dei cristalli, separati mediante raschiatori, coclee inclinate, elevatori a secchielli, ecc. (apparecchi poco diffusi).
Quando si vuole ricuperare in tutto o in parte il calore latente di evaporazione che si libera all'atto della condensazione, si dispongono, come è già stato accennato, i concentratori in cascata, in modo che il vapore che si sviluppa ad una certa pressione nel primo concentratore, viene condotto a condensarsi nel fascio tubiero del secondo concentratore nel quale il liquido da concentrare si trova sottoposto ad una pressione minore e perciò evapora ad una temperatura minore di quella dei vapori provenienti dal precedente corpo (fig. 27).
Si possono disporre in serie due, tre, quattro e più corpi. Generalmente la convenienza economica cessa dopo il terzo corpo, perché la quantità di calore necessaria per evaporare l'unità di peso del solvente diminuisce molto lentamente, mentre aumenta il costo d'impianto.
L'altro sistema già accennato per ricuperare il calore di evaporazione, consiste nel comprimere il vapore uscente dal concentratore e rimandarlo nella camera di riscaldamento (fig. 28).
Il vapore proveniente dal concentratore è compresso in un turbocompressore comandato a mezzo di un motore elettrico o di una turbina a vapore, il cui vapore di scarico si può impiegare per compensare le perdite termiche del concentratore e preriscaldare il liquido da concentrare.
La compressione può farsi anche a mezzo di vapore vivo con un iniettore di forma particolare; il rendimento dell'iniettore non ha molta importanza in questi casi perché l'energia non utilizzata per la compressione del vapore si ritrova nel vapore compresso e viene utilizzata. Un sistema di concentrazione completamente diverso da quelli finora descritti è fondato sulla polverizzazione del liquido da evaporare in una corrente d'aria opportunamente riscaldata.
L'impianto consiste praticamente in una torre nel basso della quale si introduce aria calda, mentre in alto si spruzza il liquido da concentrare che cadendo si riscalda e si concentra.
Pregi particolari di questo sistema sono la rapidità con la quale si produce l'evaporazione e la temperatura relativamente bassa alla quale essa può avvenire. La concentrazione può essere spinta in questi apparecchi fino all'essicazione completa del prodotto (per es. fabbricazione del latte in polvere). Il rendimento termico dell'operazione è relativamente basso perché l'aria che ha servito per la concentrazione viene espulsa e trascina con sé una notevole quantità di calore. In questi apparecchi con un kg. di carbone si possono evaporare dai 5 ai 6 kg. di acqua.
B) Distillazione. - La differenza di impiego fra i concentratori di cui si è parlato ed i distillatori non è tale da determinare profonde varianti costruttive tra essi: difatti ogni concentratore chiuso può essere usato come distillatore, ricuperando il liquido condensato.
L'elemento caratteristico del distillatore è il coperchio dal quale parte il tubo di sviluppo che conduce i vapori al condensatore. La f0rma del coperchio deve facilitare l'allontanamento dei vapori che si sviluppano dalla superficie del liquido in ebollizione, evitando qualsiasi trascinamento di particelle liquide che renderebbero impuro il prodotto distillato, e, nello stesso tempo, impedire che il liquido che si forma per condensazione sul cappello ricada nel liquido che evapora.
Queste esigenze sono in parte contradittorie e perciò le soluzioni pratiche sono un compromesso che, secondo i casi, tiene maggiormente presente l'una o l'altra esigenza.
La forma più comunemente usata è quella con il cosiddetto duomo di vapore (fig. 29), corpo cilindrico sovrapposto al coperchio, spesso separato dal resto della caldaia per mezzo di un diaframma portante un tubo sul quale è montato un paraspruzzi a distanza regolabile. Le gocce di liquido eventualmente trascinate ricadono nel distillatore mentre i vapori relativamente purificati passano al condensatore.
In altri casi invece, specialmente quando i vapori del liquido da distillare sono molto pesanti, il tubo di sviluppo si raccorda al coperchio con una curva molto dolce e con un'ampia sezione che va diminuendo progressivamente fino ad assumere le dimensioni del tubo di attacco al condensatore. Quando sono ben disegnati, questi raccordi permettono di ridurre di molto la differenza di pressione che normalmente esiste tra distillatore e condensatore (fig. 30, distillatore di ghisa smaltata con riscaldamento da doppio fondo). Quando dalla sostanza posta in distillazione si sviluppano due diversi liquidi ed interessa di ottenere un distillato contenente in una determinata concentrazione il componente più volatile si usano generalmente gli apparecchi rettificatori propriamente detti (v. avanti), ma in qualche caso la funzione di arricchire leggermente il distillato del componente più volatile può essere assolta dallo stesso coperchio del distillatore che funziona come un condensatore ad aria o ad acqua, facendo ricadere nel distillatore una miscela ricca del componente meno volatile e lasciando cosi passare al condensatore un vapore più ricco di quello che originariamente si era sviluppato dal liquido in distillazione. Appartengono a questa categoria i cappelli detti a testa di moro o a collo di cigno, apparecchi tutti che presentano oggi solo una limitata applicazione e hanno più che altro interesse storico.
I processi di distillazione possono avvenire a pressione ordinaria o a pressione ridotta secondo la temperatura di ebollizione e le caratteristiche del liquido che si vuole distillare.
Se si insuffla vapore d'acqua in un distillatore contenente un liquido non miscibile con l'acqua, questo distilla a temperatura più bassa di quella che corrisponde alla pressione regnante nel distillatore e precisamente la distillazione avviene alla temperatura per la quale la somma della tensione di vapore dell'acqua e del liquido da distillare uguaglia la pressione totale esistente nel recipiente di distillazione. Di questo fenomeno si approfitta specialmente per la distillazione dei liquidi ad elevato punto di ebollizione (olî minerali, acidi grassi, ecc.).
I distillatori possono essere riscaldati a fuoco diretto, come è già stato indicato per i concentratori. Il riscaldamento del liquido da distillare può avvenire nello stesso distillatore o in un apparecchio separato.
Quando il riscaldamento del liquido da distillare non avviene nel distillatore si hanno i distillatori tubolari (pipe still) molto usati negli impianti di distillazione di olî minerali e negl'impianti di piroclasi.
Quando la temperatura di distillazione è elevata ed interessa che in nessun punto essa venga sorpassata si usano distillatori riscaldati con liquidi caldissimi circolanti in apposite serpentine. Quando i liquidi impiegati come vettori di calore sono ad elevato punto di ebollizione (olî minerali, ecc.) e il sistema riscaldante è mantenuto a pressione costante di poco superiore alla pressione ambiente, in altri casi, quando si usa come fluido riscaldante l'acqua, il sistema scaldante costituisce un circuito chiuso, da una parte facente capo al distillatore da riscaldare e dall'altra ad un forno.
La circolazione dell'acqua avviene per differenza di densità dovuta alla differenza di temperatura; in qualche caso la circolazione invece è attivata mediante pompa. Normalmente i distillatori sono riscaldati con vapore mediante camicie o mediante fasci tubolari in modo completamente analogo a quello che è già stato descritto per i concentratori. Una particolare menzione meritano i distillatori d'acqua, i quali debbono consentire una produzione economica ed occupare in linea di massima il minor spazio possibile, considerazione questa della massima importanza specialmente per gl'impianti di bordo.
Naturalmente i distillatori d'acqua possono, come è stato detto per i concentratori, essere disposti in modo da utilizzare il calore di condensazione per fare evaporare la loro acqua. Quindi si hanno distillatori a doppio, triplo e quadruplo effetto, di costruzione più o meno complessa. Un'applicazione interessante del principio della compressione del vapore che si sviluppa dal distillatore, mediante vapore vivo per riutilizzarlo nella camera di riscaldamento, si ha nel distillatore di acqua Prache e Bouillon illustrato alla fig. 31.
L'acqua da distillare è introdotta nell'apparecchio dal serbatoio I, passa nel preriscaldatore R nel quale è fatta circolare mediante la pompa K, quindi dal vertice del decantatore L passa nel distillatore E. In esso la circolazione dell'acqua è assicurata dalla pompa M. Una parte del vapore che si sviluppa dal distillatore passa nel fascio tubiero G del preriscaldatore R, ivi condensa e si raccoglie da O; l'altra parte aspirata dall'eiettore Tc nel quale da A arriva il vapore vivo, va a condensarsi nella camera B dalla quale si scarica attraverso a Q.
La produzione di un kg. di acqua distillata richiede con questi apparecchi 0,2 kg. di vapore. Vi è la possibilità di mettere diversi apparecchi autocondensatori in serie come si mettono i soliti evaporatori negli effetti multipli. In questi casi si ottengono consumi ancora più ridotti.
In taluni casi invece di distillare una miscela di liquidi si sottopongono a distillazione prodotti solidi, come erbe, frutti, ecc., per ricavarne le essenze. Si tratta in generale di piccoli apparecchi dalle forme più svariata, riscaldati a vapore o con acqua calda, a semplice effetto, perché, trdttandosi di modeste unità funzionanti poche ore all'anno, non vi è la convenienza economica di costruire apparecchi complicati come sono i distillatori a multiplo effetto.
Un ultimo cenno meritano gl'impianti destinati a realizzare la distillazione sotto alti vuoti, impiegati particolarmente per il ricupero di sostanze organiche a bassissima tensione di vapore. Fra l'apparecchio evaporatore ed il condensatore si introduce un compressore a getto di vapore e in tal modo si realizza la condensazione ad una pressione maggiore di quella che regna nell'evaporatore mentre ordinariamente tale pressione è minore di quella dell'evaporatore per effetto delle resistenze intercalate fra l'uno e l'altro apparecchio.
C) Rettificazione. - Il fatto fondamentale sul quale si basa la rettificazione è che la composizione dei vapori che si sviluppano da una miscela di liquidi è diversa da quella del liquido evaporante ed è più ricca del composto più volatile; condensando i vapori ottenuti dalla prima evaporazione e sottoponendoli ad una nuova distillazione in altro ambiente, si ottiene un distillato ancora più ricco del componente più volatile, cosicché per giungere ad una certa concentrazione non vi è che ripetere un determinato numero di volte la coppia delle operazioni suddette.
Gli apparecchi di rettificazione, come quelli di distillazione e di concentrazione possono essere disposti per funzionare in modo continuo o per cariche successive. Consideriamo in un primo tempo questo secondo caso. Si debbano separare i componenti di una miscela binaria costituente una soluzione perfetta; nella fig. 32 si è tracciata la curva che dà la composizione del vapore in equilibrio con il liquido la cui composizione è espressa in % del composto più volatile sul totale.
Fissata la massima concentrazione del componente più volatile tollerata nel liquido alla fine dell'operazione - a % - e la minima concentrazione ammessa per il distillato - z % - si possono determinare i gradini teoricamente necessarî per realizzare la rettificazione. Infatti il vapore in equilibrio con il liquido avente composizione a % è caratterizzato dal punto 1: condensando tale vapore si ottiene un liquido che ha la stessa concentrazione e cioè b %; evaporando questo si passa al punto 2 ed il condensato ha composizione c %. Analogamente si ragiona per i punti 3, 4 e z. La costruzione indica che sono necessarie quattro condensazioni intermedie per realizzare la separazione nei rapporti indicati più sopra.
Questo diagramma rappresenta una condizione di equilibrio puramente teorico perché suppone che tutto il distillato ritorni nell'ultimo piatto z. Se supponiamo invece che non tutto il vapore sviluppantesi dall'ultimo piatto della colonna rifluisca in essa ma, come nella realtà avviene, una parte passi al condensatore per essere raccolta, l'equilibrio non potrà più sussistere. Per semplicità si supponga che di 100 gr. di vapore che arrivano al deflemmatore (così si chiama il condensatore parziale posto in testa alla colonna di rettificazione) 80 gr. rifluiscano al piatto 4 e 20 gr. passino al condensatore dal quale escono come distillato. Supponendo nulle le perdite ed uguali i calori di distillazione delle miscele a diversa composizione distillate dai varî piatti, per ridistillare gli 80 gr. ricaduti nel piatto 4, devono arrivare ad esso dal piatto 3 gr. 80 di vapore e, per sostituire i 20 gr. distillati, più di 20 gr. di vapore perché il vapore che si sviluppa dal piatto 3 ha un contenuto in materie volatili e % minore di z %. Ma poiché i calori di vaporizzazione si suppongono uguali e non vi deve essere accumulazione nei piatti, è necessario ammettere che al piatto giunga un vapore più ricco. In altre parole il fatto di prelevare dalla testa della colonna una certa quantità di vapore obbliga ad aumentare il numero di piatti e cioè il fenomeno non può essere rappresentato dal diagramma della fig. 32. Si è tracciato perciò il diagramma fig. 33.
Dall'ultimo piatto (n) si sviluppa un vapore di composizione z %, dunque il liquido nel piatto ennesimo ha composizione h %. Perché questa si mantenga il vapore che vi arriva deve avere composizione (4 h+ z)/5 ed il liquido del piatto (n − L) ha composizione g %.
Analogamente il vapore che viene dal piatto (n − 2) ha composizione 4 g + z)/5 e nel piatto il liquido ha composizione f % e così di seguito. Per arrivare all'esaurimento a % occorrono 7 piatti e non 4 come nel caso di prelievo nullo. Di più il numero dei piatti dipende dal riflusso perché l'ultima composizione del vapore è z/(r + 1) dove r è il rapporto fra il riflusso e il distillato.
Nel caso della rettificazione continua, il liquido da rettificare viene introdotto alla temperatura di ebullizione nel piatto nel quale il liquido ha composizione corrispondente.
Le colonne di rettificazione possono essere costruite in modo diversi. Le classiche per i vini e le soluzioni alcooliche sono formate da una serie di piatti sovrapposti i quali sono attraversati (fig. 34) da un tubo che limita il livello del liquido nel piatto: da questo stramazza l'eccesso di liquido che passa al piatto inferiore. Il fondo del piatto è attraversato da un congruo numero di tubi b più alti del tubo di troppopieno, sopra ai quali sono disposte delle campanelle c che obbligano il vapore proveniente dal piatto inferiore a gorgogliare nel liquido del piatto.
Un altro tipo di piatto (fig. 35) ha il fondo forato con molti piccoli fori ed è munito di un tubo di troppopieno a. I fori si calcolano in modo che il vapore saliente impedisca riflusso di liquido attraverso ad essi.
Si comprende anche facilmente che la stessa azione che si ottiene con le successive condensazioni e vaporizzazioni che ordinatamente si compiono nei piatti, si può ottenere anche in una colonna piena di materiali atti a suddividere il liquido rifluente e la colonna di vapore montante in una serie di condotti di dimensioni tali da assicurare il contatto fra vapore e liquido, in modo che possa avvenire l'arricchimento del primo in composto più volatile.
Per dimensionare opportunamente queste colonne a riempimento occorre conoscere l'altezza corrispondente ad un piatto. La rettificazione, come le altre operazioni ricordate, si può fare tanto a pressione normale quanto a pressione ridotta. Gli apparecchi non mutano caratteristiche.
D) Condensazione. - Col nome di condensazione si indica l'operazione tecnica mediante la quale si sottrae ad un vapore il calore latente di condensazione e lo si riduce allo stato liquido, in una parola l'operazione inversa dell'evaporazione. Essa può, come l'evaporazione, farsi a pressione atmosferica o a pressione maggiore o minore di questa, secondo le caratteristiche del vapore da condensare e secondo la temperatura del fluido raffreddante di cui si dispone.
L'impiego del condensatore è indispensabile quando si debba mantenere in un appareechio ove si compie un'operazione di evaporazione una pressione minore dell'atmosfera ed in tutti i casi nei quali interessa di ricuperare sotto forma liquida il liquido evaporato (dìstillazione).
Il condensatore è anche parte essenziale delle macchine che utilizzano il vapore come vettore di calore da trasformare in lavoro meccanico. Concettualmente non esiste alcuna differenza fra i condensatori impiegati assieme agli evaporatori per il ricupero dei liquidi ed i condensatori delle motrici a vapore. In pratica le diverse esigenze dei due casi portano più che ad una differenza di forma ad una diversa tecnica di esecuzione e ad un criterio di scelta alquanto diverso. Per condensare un vapore puro esente da gas sarebbe sufficiente sottrarre ad esso la quantità di calore corrispondente alle calorie di condensazione impiegando un congruo quantitativo di fluido raffreddante (in generale acqua) ad una certa temperatura ed automaticamente nel recipiente collegato al condensatore si stabilirebbe la pressione corrispondente alla temperatura alla quale ha luogo la condensazione.
In pratica invece al condensatore arriva sempre una miscela di vapori e di gas, i quali, non condensando, si accumulano in esso e abbassano la pressione parziale del vapore: debbono dunque essere continuamente eliminati come si elimina il condensato.
I problemi dunque che debbono essere risolti sono tre:
1. sottrarre in modo continuo una certa quantità di calore;
2. allontanare dall'apparecchio una data quantità di liquido condensato senza turbare il regime di pressione in esso esistente;
3. allontanare dall'apparecchio, con le cautele di cui sopra, tutti i gas che durante la condensazione in esso si sono raccolti.
Conviene trattare separatamente i condensatori destinati a ricevere vapor d'acqua e quelli destinati ad altri liquidi. Nei primi il fluido impiegato per sottrarre calore al vapore da condensare è sempre l'acqua: data la temperatura dell'acqua refrigerante a disposizione resta fissata la pressione minima che si può raggiungere nel condensatore.
Quando interessa ricuperare l'acqua ottenuta dalla condensazione si fa in modo che il vapore da condensare non venga a diretto contatto con l'acqua refrigerante (condensatori a superficie).
Quando invece tale ricupero non interessa, può essere conveniente di far avvenire il contatto diretto tra acqua e vapore (condensatori a miscela). Questi ultimi sono più semplici e meglio si adattano ai piccoli e medî impianti. L'acqua refrigerante arriva al condensatore aspirato dalla depressione che in esso si forma od in leggiero carico. La miscela di acqua refrigerante e di vapore condensato può essere estratta dal condensatore tanto mediante una pompa quanto disponendo questo ad altezza superiore a quella corrispondente alla pressione atmosferica su un bacino a chiusura idraulica (colonna barometrica). La fig. 36 mostra la sezione di un condensatore a miscela nel quale l'acqua è estratta mediante pompa non rappresentata in figura. La figura 37 mostra l'installazione di un condensatore a miscela con scarico a colonna barometrica.
Vi sono anche condensatori a miscela nei quali l'acqua refrigerante è distribuita in forma di pioggia sottile che il vapore da condensare attraversa. L'eliminazione dei gas non condensati deve avvenire sempre nel punto più freddo del condensatore e là dove si possa con ragione presumere che sia divenuta completa la condensazione dei vapori.
I gas possono essere estratti mediante un mezzo apposito e possono essere estratti assieme alla miscela dell'acqua refrigerante e del condensato. Nel primo caso si usano pompe d'aria dette pompe a vuoto secco a stantuffo con cassetto compensato per ridurre al minimo l'effetto dello spazio nocivo ed elevare al massimo il rendimento volumetrico della pompa anche agli alti vuoti (fig. 38), oppure si usano eiettori ad acquai che estraggono l'aria per trascinamento (fig. 39) e particolari pompe nelle quali l'aria da estrarre è incapsulata fra due emboli di acqua e trascinata via od infine mediante eiettori a vapore, semplici o doppî.
Quando non si dispone di un mezzo speciale per l'eliminazione dei gas non condensati, essi vengono eliminati assieme alla miscela dell'acqua refrigerante e del condensato, sia mediante una pompa a vuoto umido (fig. 40) sia mediante i cosiddetti condensatori a getto (fig. 41).
I condensatori a superficie sono generalmente costituiti da un fascio di tubi sottili percorsi all'esterno dal vapore ed all'interno dall'acqua refrigerante. Nell'esempio indicato alla fig. 42 il vapore da condensare entra dall'alto A, dal basso sul fasciame è estratto il condensato da una specie di pozzetto di raccolta B mentre l'aria viene estratta lateralmente sempre dal fasciame C. L'acqua refrigerante è introdotta su una testata da D e scaricata sulla stessa da E, l'altra serve unicamente da rinvio. Il complesso dei tubi può essere disposto in modo particolare per facilitare l'investimento da parte del flusso di vapore entrante.
Le figg. 43 e 44 sono esempî notevoli delle più comuni disposizioni.
Per estrarre dai condensatori a superficie i gas non condensati si usano gli stessi mezzi che sono stati descritti per i condensatori a miscela.
Accenniamo ora brevemente ai condensatori accoppiati ai distillatori ed alle colonne di rettificazione. Essi non differiscono sostanzialmente da quelli già descritti per le motrici, se non perché sono generalmente destinati a condensare quantità relativamente esigue di vapori. La forma più semplice è rappresentata da una serpentina immersa in un recipiente contenente l'acqua refrigerante. In altri casi invece è costituita da un fascio tubolare immerso nell'acqua e percorso all'interno dal vapore da condensare.
Quando non si distillano liquidi puri e vi è pericolo che delle sostanze solide od incrostanti siano trascinate dai vapori che si debbono condensare, occorre prendere tutte le precauzioni atte ad evitare la formazione di depositi sulle superficie che servono alla trasmissione del calore e predisporre il necessario per la loro facile e frequente pulitura.
L'estrazione dei gas non condensabili in questi casi si fa nel serbatoio dove si raccoglie il condensato.
Quando la tensione di vapore del condensato è notevole anche a temperatura relativamente bassa, i gas estratti dal condensatore si mandano sopra sostanze capaci di trattenere per assorbimento o per dissoluzione i vapori in essi contenuti. Ciò permette di ridurre al minimo le perdite.
Un caso particolare è quello dei condensatori delle macchine frigorifere. In essi si liquefà il vettore frigorifero, spesso a pressione maggiore dell'atmosferica. Funzionano in circuito chiuso e non vi è necessità di estrarre da essi i gas non condensabili che una volta eliminati più non si riformano. In generale tali condensatori sono costituiti da una serie di serpentine immerse in vasche piene di acqua od irrorate da pioggia, onde approfittare in parte del calore di evaporazione dell'acqua refrigerante per sottrarre calore al vapore da condensare. In qualche caso invece di usare serpentine si usano tubi a doppia parete nei quali si realizza la controcorrente tra vapore da condensare ed acqua refrigerante. Quest'ultima percorre sempre lo spazio anulare tra i tubi.