VALLARDI
– Famiglia di stampatori e librai attivi nel Milanese dal XVIII secolo. Le prime notizie di una bottega libraria di proprietà dei Vallardi risalgono all’attività di Francesco Cesare, nato a Milano il 15 luglio 1736 da Pietro e da Maddalena Marzorati. Questi trasferì la bottega dello zio Giuseppe Scaccia dal Cantoncello, in vicolo dell’Aquila a Milano, a via Santa Margherita, sede che sarebbe rimasta la principale fino al 1860.
Alla morte di Francesco Cesare (Milano, 31 dicembre 1799), dei sedici figli avuti con la moglie Teresa Cogrossi (sposata nel 1769) diversi si dedicarono all’attività di famiglia, in particolare Pietro, Giuseppe e Santo Francesco, i quali dopo aver coadiuvato il padre fondarono nel 1808 una società insieme al fratello Costanzo o Costantino (Milano, Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura, CCIAAMi, sc. 101, bob. 28).
Santo Francesco (nato nel 1779, non si conosce la sua data di morte) si trasferì subito a Parigi per conto della stessa società, per poi uscirne nel 1812, e nel 1822 ristabilirsi a Milano con una propria bottega, destinata però al fallimento (1835) e infine rilevata dalla moglie, Onorina Leclerc, che vi apportò altri capitali (CCIAAMi, ibid.).
Costantino (nato nel 1789, anche per lui non si hanno notizie riguardo agli estremi di morte) si stabilì a Venezia per gestire un’altra succursale della ditta. Sciolta la prima società nel 1812, acquistò una fonderia di caratteri da Giuseppe Veladini, erede di Luigi Veladini, stampatore nazionale in età napoleonica (Archivio di Stato di Milano, ASM, Atti di Governo, Commercio p.m., b. 355). Un terzo fratello, Paolo (1787-1867), aprì invece un negozio di libri e stampe a Venezia collegato all’attività parigina e poi milanese di Santo (ASM, ibid.); andando male gli affari, presentò supplica per aprire un negozio anche a Milano. La licenza gli fu però negata poiché non intendeva chiudere la prima bottega (ibid.), e proseguì dunque a Venezia con scarso successo.
A definire le sorti della bottega paterna furono invece Pietro e Giuseppe, rinnovando nel 1812 la società sotto la ditta Pietro e Giuseppe Vallardi, specializzata in stampe, libri illustrati e antiquariato librario. Per screzi interni (P. Vallardi, I Vallardi, 1920, tavole f.t.) essa cessò il 29 dicembre 1818, ma le strade dei due fratelli, pur dividendosi, rimasero saldamente legate al commercio librario.
Giuseppe, nato a Milano il 31 maggio 1784 da Francesco Cesare e da Teresa Cogrossi, proseguì con successo l’attività della citata ditta; la specializzazione rimase la medesima: libri illustrati, spesso religiosi, stampe sacre e profane realizzate mediante i torchi calcografici di cui la famiglia era già in possesso. A questi aggiunse nel 1825 un’officina per l’esercizio dell’arte litografica, che intendeva rafforzare a Milano dopo aver osservato le esperienze estere e avendo già preso accordi con maestranze tedesche che si sarebbero trasferite in città (ASM, Atti di Governo, Commercio p.m., b. 355). Sebbene la richiesta fosse motivata con l’intenzione di adottare la nuova tecnica per la riproduzione di stampe artistiche, proposito peraltro mantenuto dall’editore, i torchi litografici consentirono a Giuseppe di affiancare alle stampe incise e ai libri di lusso (pubblicati in qualità di libraio-editore, poiché la casa non possedeva una tipografia, e si serviva generalmente di quella di Pietro Agnelli) prodotti dozzinali, quali ritratti di sovrani e uomini illustri, tavole di storia naturale e persino carte per il rivestimento di scatole e parafuochi (cfr. cataloghi 1819, 1824, 1833). In occasione della supplica presentata per aprire la litografia, una relazione di polizia indirizzata al governo del Lombardo-Veneto, tratteggiava il ritratto di un uomo apprezzato a capo di un’azienda ricca e sana, con un giro d’affari di 200.000 lire annue, un ingente patrimonio familiare e ottimi contatti nei circoli artistici e intellettuali milanesi.
In ambito librario le scelte editoriali coincisero con le passioni di Giuseppe: studioso e collezionista d’arte, pubblicò il catalogo delle opere da lui possedute (circa 300 di cui gran parte di scuola italiana, la cui collezione era stata intrapresa sin dall’inizio dell’attività dei fratelli Vallardi). Il catalogo doveva facilitare la vendita delle opere, nel momento in cui Giuseppe aveva deciso di dedicarsi esclusivamente alla sua raccolta di disegni antichi, iniziata quindici anni prima. Si trattava di opere da lui ritenute leonardesche, ma principalmente attribuibili a Pisanello e alla sua cerchia; la raccolta fu catalogata (Disegni di Leonardo..., 1855) e venduta nel 1859 al Louvre, dove tuttora è conservata come Codex Vallardi. All’arte, all’ornato e al disegno erano dedicati anche alcuni trattati editi dalla casa editrice, per lo più a scopo didattico.
A Giuseppe si deve anche la compilazione e stampa di opere geografiche (Itinerario d’Italia, 1819), l’edizione di almanacchi d’autore, tra cui quello di Defendente Sacchi, Arlecchino (cfr. Berengo, 1980, p. 168), e infine il lancio, nel 1832 di una strenna, Non ti scordar di me, modellata sui keepsake inglesi e destinata a notevole successo. Si trattava di una pubblicazione dalla materialità molto curata, concepita per essere regalata durante le feste di fine anno e conteneva, oltre a tavole illustrate, testi brevi (poesie, novelle) di grandi autori: vi collaborarono Cesare Cantù, Francesco Cusani, il già citato Sacchi, Andrea Maffei, Niccolò Tommaseo.
Alla morte di Giuseppe, avvenuta a Milano, il 5 gennaio 1861, il figlio Luigi Giuseppe (nato a Milano il 19 luglio 1819 da Giuseppe e da Angela Ostinelli) proseguì l’attività paterna, a lui affidata già nel 1853, ma con scarso successo: più attento al proprio estro letterario che alle questioni economiche, finì per smembrare il patrimonio paterno e chiudere la bottega di via Santa Margherita nel 1861. Nel 1865 la ditta Pietro e Giuseppe Vallardi fallì e il 10 giugno 1892 Luigi Giuseppe morì nell’indigenza (P. Vallardi, I Vallardi, cit., tavole f.t.).
Il nome dei Vallardi non scomparve però dal mercato editoriale milanese grazie agli eredi dell’altro figlio di Francesco Cesare e di Teresa Cogrossi, Pietro.
Nato a Milano il 17 settembre 1770, dopo aver infranto la società con il fratello Giuseppe, nel 1818, aprì una nuova bottega libraria insieme alla moglie Giuseppina Redaelli, sposata nel 1807. Fu quest’ultima, alla morte prematura di Pietro l’11 gennaio 1819, a proseguire l’attività con l’aiuto del figlio Antonio, il loro secondogenito (cfr. più oltre per il primogenito Francesco), nato a Milano il 16 agosto 1813 e attivo nella bottega materna subito dopo aver terminato le classi elementari (P. Vallardi, I Vallardi, cit., tavole f.t.). Alla morte di Redaelli nel 1844, fu lui a rilevare l’azienda sotto la ditta Antonio Vallardi, successore della Vedova Vallardi, proseguendo la tradizione di famiglia nel commercio e nell’edizione di libri ascetici, stampe dozzinali, decorative o devozionali, carte geografiche. A questa affiancò l’interesse per l’araldica, tanto da costituire un archivio araldico fondato sulla biblioteca Tenenti-Bonacina, acquisita nel 1863, e sulle raccolte Bianchi, Tettoni e Litta, fondi che avrebbero poi permesso la pubblicazione di un’opera periodica Famiglie notabili milanesi, avviata nel 1875 (L’archivio araldico Vallardi..., 1874).
La sua bottega, anch’essa in contrada Santa Margherita fino al 1888 (Giornale della libreria, 1888, n. 16), vendeva libri e oggetti di assortimento, e costituiva la vetrina per la produzione dei torchi litografici e calcografici di proprietà di Antonio (attestati in numero rispettivamente di cinque e tre nel 1874; Atti del comitato dell’inchiesta industriale, 1874, vol. V, sez. 13.1). Vi collaborava la moglie, Carolina Galli, sposata il 19 agosto 1850 e madre dei due figli Pietro e Giuseppe, successori del padre alla morte, sopraggiunta a Milano, il 16 agosto 1876. Il primo era già titolare di procura per l’attività paterna nel 1873; questa fu estesa nel 1875 a Giuseppe. Alla morte di Antonio fu naturale che i due rilevassero l’azienda congiuntamente, omaggiando il padre con la scelta della ragione sociale Antonio Vallardi editore, sigla destinata a sopravvivere fino al XXI secolo.
I due fratelli seppero dare in pochi anni un nuovo orientamento all’attività paterna, pur nel solco della tradizione familiare, e connotarla esplicitamente in senso pedagogico-scolastico, beneficiando dei mutamenti politici, sociali e culturali successivi all’unità d’Italia. Pur proseguendo il commercio di libri di altrui edizione e di stampe e oggetti precipuamente devozionali, i fratelli videro nella produzione geografica la forza della tradizione di famiglia, e la declinarono abilmente nel nuovo contesto. Già nel 1872, con Antonio ancora in vita, la cartografia si era unita alla didattica con una serie di carte geografiche a uso delle scuole, subito seguita da un’imponente offerta di carte dalle dimensioni e dai formati più vari («sciolte, sopra tela a piegare, montatura economica, montatura con vernice»); di cui una particolare serie era stata prescelta dall’amministrazione comunale di Milano per rifornire le scuole cittadine (catalogo 1880). La Vallardi non si limitava però a rifornire le scuole locali, al contrario operava in concorrenza con la torinese Paravia, sino ad allora leader nel settore, con l’obiettivo di evitare che le amministrazioni comunali italiane acquistassero materiali prodotti all’estero, come ancora spesso accadeva. Negli anni Novanta dell’Ottocento la produzione di carte geografiche per le scuole acquisì ulteriore linfa dopo che la Vallardi vinse un altro concorso, indetto ancora una volta dal comune di Milano (L’opera cartografica..., 1922-1923). La casa editrice sfruttò inoltre il sapere tecnico della litografia di famiglia con la stampa di tavole illustrate utilizzate a fini didattici sulla base di diversi metodi pedagogici susseguitisi in Italia nel XIX secolo. Fu negli ultimi due decenni dell’Ottocento che il marchio Vallardi iniziò a legarsi anche alla produzione di libri scolastici, e questo perché l’azienda si dotò anche di una tipografia, che non aveva fino a quel momento posseduto, in occasione del trasferimento, nel 1884, in via Moscova 40: una sede che racchiudeva reparti per la fabbricazione di un vasto ventaglio di libri e sussidi didattici. Lo stabilimento sfruttava la forza idraulica e fu uno dei primi a dotarsi di illuminazione elettrica a Milano. Seguì l’apertura di due succursali di vendita a Roma (1887) e Napoli (1890). La disponibilità di una tipografia rese i Vallardi attivi nella stampa e nell’edizione di giornali magistrali e periodici per ragazzi, che venivano utilizzati anche come vetrina della propria produzione editoriale, sulla scorta di quanto già facevano i maggiori editori di varia (come Treves e Sonzogno). Risale a questa fase un accordo di coedizione con la casa editrice del Risveglio educativo, diretta da Guido Antonio Marcati. Un’altra esperienza breve ma significativa è costituita dalla stampa di Scuola italiana moderna, «settimanale di pedagogia, didattica e letteratura» che sarebbe stato alle origini, nel 1904, della casa editrice La Scuola. La scelta di Giuseppe Tovini, responsabile della terza sezione dell’Opera dei congressi, di affidare la stampa del nuovo periodico alla casa milanese può essere interpretata come dimostrazione dell’affidabilità tecnica dell’azienda, che poteva garantire anche una buona distribuzione. Gli esordi non furono però fortunati e la collaborazione cessò dopo solo un anno, nel 1894; trasferita a Brescia l’iniziativa avrebbe avuto più successo. Quanto ai libri, si assistette a sodalizi tra l’editore e alcuni educatori e insegnanti che andarono a costituire ‘la scuderia’ Vallardi: un gruppo redazionale fisso, impegnato su più fronti nel lavoro editoriale; tra questi spiccava Guido Fabiani, direttore editoriale dell’azienda, insieme con Sofia Bisi Albini, Siro Corti, Celestino Calleri, Pietro Cavazzuti, Felicita Morandi e Virginia Staurenghi Consiglio. Fabiani fu anche direttore del maggior giornale magistrale dell’azienda: Il corriere delle maestre, che ben si collocava nel filone, aperto presso la casa editrice, di pubblicazioni destinate al corpo docente. Sul finire del secolo la produzione editoriale si rivolse anche a lettori adulti, che da poco si erano avvicinati alla lettura, con collezioni di volumetti che dovevano costituire delle vere e proprie ‘biblioteche’ di saperi pratici o precetti morali per il pubblico dei ceti sociali più bassi (proficua fu la collaborazione con Emilio De Marchi). L’offerta si rivolgeva anche alle famiglie della borghesia, cui erano destinate grandi opere come i vocabolari Melzi o quelli di Policarpo Petrocchi. Nel 1899 fu riaperta una bottega nel cuore della città, in piazza della Scala, poi trasferita nel 1909 nell’antica sede di via Santa Margherita.
Fuori della casa editrice i due fratelli percorsero biografie tra loro diverse.
Pietro, nato a Milano il 9 marzo 1852 da Antonio e dalla già citata Carolina Galli, terminati gli studi liceali rinunciò a quelli universitari a causa della salute malferma del padre. Presa in carico l’azienda, si dedicò agli aspetti amministrativi; il 29 giugno 1881 si sposò con Giuditta Capra. La sua esperienza professionale, insieme con il fatto di aver condotto l’azienda familiare a diventare una delle maggiori case editrici di libri scolastici sul territorio italiano, lo portarono a una vivace attività all’interno dell’Associazione tipografico-libraria italiana (ATLI), di cui fu presidente nei periodi 1893-96, 1899-1902, 1909-12; dal 1906 fu anche membro del Bureau international des éditeurs a Berna, e consigliere della Società italiana degli autori.
Oltre a dibattere, in queste sedi, i problemi dell’editoria scolastica (fu tra i molti a esprimersi contro la proposta del ministro Guido Baccelli di introdurre un libro di testo unico nelle scuole, eventualità che avrebbe leso non di poco gli interessi della sua categoria), Pietro fu attivo nella discussione sulla proprietà letteraria; il suo operato fu importante in una stagione di necessaria contrattazione con gli operai del settore poligrafico, i primi ad avanzare rivendicazioni nei confronti degli imprenditori (Gigli Marchetti, 1983, passim).
La sua vita pubblica non rimase confinata all’ambito professionale: nel 1899 si candidò, senza successo, alla Camera in occasione delle elezioni suppletive per il V collegio di Milano, rimasto vacante a seguito della condanna di Filippo Turati, che, ricandidatosi grazie a un indulto, risultò vincitore. Pietro fu inoltre eletto consigliere della Camera di commercio di Milano nel 1907 e consigliere di opere di beneficenza. Gli furono conferite diverse onorificenze: cavaliere dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, cavaliere dell’Ordine della Legion d’onore, cavaliere dell’Ordine di Leopoldo del Belgio, grand’ufficiale della Corona d’Italia.
Morì a Milano il 21 novembre 1927.
Giuseppe, nato a Milano il 3 agosto 1854 dagli stessi genitori di Pietro, non terminò gli studi classici per ragioni di salute. Rilevata l’azienda del padre si dedicò alla direzione tecnica, in conseguenza della sua passione per l’arte e il disegno. Condusse un’esistenza meno esposta di quella del fratello, dedicandosi all’azienda e ai figli, anche in ragione della prematura morte delle sue due consorti: Luigia Olgiati, sposata il 5 giugno 1881, da cui ebbe Antonio, ed Elvira Isacchi, sposata il 20 marzo 1887, da cui ebbe Ferdinando. Fu membro dell’ATLI a partire dal 1895 e del Collegio dei probiviri per le industrie poligrafiche di Milano dal 1823. Morì a Milano il 24 maggio 1916.
L’azienda sopravvisse ai due fratelli grazie all’operato dei loro discendenti Pompeo e Giuseppe, figli di Pietro, e del cugino Antonio, meglio noto come ingegnere Antonio.
Nato a Milano il 15 aprile 1882 da Giuseppe e da Luigia Olgiati, ottenne dal padre e dallo zio Pietro mandato di procura generale nel 1906 (CCIAAMi, sc. 718, bob. 265) e fu responsabile del progetto di un nuovo stabilimento in via Stelvio 22, volto ad ampliare e innovare tutti i comparti della filiera produttiva di libri e materiali didattici. Questo vide la luce tra il 1908 – anno in cui Antonio si sposò con Angelina Crosti (15 luglio), dalla quale avrebbe avuto quattro figli – e il 1909.
I nuovi stabilimenti consentirono di aumentare ulteriormente l’offerta, che consisteva di materiali didattici, arredi scolastici, carte geografiche, libri didattico-educativi, ed era rinnovata costantemente sulla base dei programmi e dei metodi di volta in volta in uso.
Pur gestendo l’azienda con i due cugini Pompeo e Giuseppe a partire dal 1916 (altri due eredi di Pietro e Giuseppe figuravano poi come soci a responsabilità limitata nella nuova compagine; CCIAAMi, ibid.), Antonio Vallardi influì maggiormente sulle sorti della casa editrice rispetto ai due cogerenti, che esercitavano la professione legale, mentre Antonio lavorava personalmente in azienda come direttore tecnico.
A questa epoca risale l’apertura di filiali di vendita in altre città d’Italia (Bologna, Catania, Torino, Trieste). Si deve probabilmente allo stesso Antonio l’acquisto, in linea con la tradizione di famiglia, del Museo Campi: una serie di riproduzioni in gesso destinate a servire da modello per le scuole di disegno, definita poi gipsoteca Vallardi, implementata da un apposito reparto produttivo della casa editrice e giunta a contare 6000 modelli di opere riprodotte in gesso.
La collezione fu però smantellata nel 1927 e parzialmente conservata da due dipendenti della Vallardi (Cavagna di Gualdana, 2017).
Come lo zio Pietro, Antonio fu attivo nell’ATLI, di cui fu presidente tra il 1926 e il 1929, anni cruciali per il libro di testo, durante i quali si fece carico di difendere l’operato dell’associazione di fronte alle critiche che giungevano da intellettuali e politici (Il popolo d’Italia, 6 agosto 1926). Rispose in maniera circostanziata alle accuse avanzate agli editori di speculare sui manuali e si espresse contrariamente al progetto, ormai nell’aria, del libro unico di Stato (Giornale della libreria, 1926, n. 22; La tribuna, 17 febbraio 1927).
Non si trattava però di opposizione alle scelte politiche del regime, se già nel 1925 Vallardi aveva sottoscritto, insieme a Vallecchi, Cappelli e Zanichelli, un documento, esito del convegno di Bologna delle istituzioni culturali fasciste, che esprimeva sostegno ai progetti culturali fascisti (Il popolo d’Italia, 2 aprile 1925, cit. da Tranfaglia - Vittoria, 2000, p. 249); anche nelle pubblicazioni della casa editrice si coglie un graduale avvicinamento al fascismo.
Sostituita l’ATLI nel 1929 con la Federazione nazionale fascista degli industriali editori, Vallardi ne fu vicepresidente, rassegnando le dimissioni «per ragioni personali» nel 1940 (Giornale della libreria, 1940, n. 18).
Per quanto osteggiato da Vallardi e dalla categoria, il libro di Stato fu effettivamente introdotto nel 1930 e, sebbene a Vallardi fossero assegnate quote consistenti per la stampa e la distribuzione del testo unico (in Lombardia, Piemonte e Lazio, con la concessione della distribuzione in tutte le filiali di vendita che l’azienda aveva dislocato sul territorio italiano; Caringi, 2000, p. 48), la produzione della casa editrice si concentrò necessariamente sulle scuole secondarie, settore fino a quel momento sostanzialmente trascurato. Nel 1931 Vallardi fu tra gli editori che parteciparono alla cordata per salvare le sorti del collega Angelo Fortunato Formiggini ed entrò nel comitato di consulenza tecnica insieme a Giulio Calabi e Carlo Signorelli. Lo stesso anno l’editore fu ferito da due colpi di pistola esplosi, per ragioni non chiarite, da un artigiano che lavorava saltuariamente per la ditta. Pur sembrando le condizioni inizialmente gravi, si rimise nel giro di poche settimane.
Nel 1941 fu nominato grand’ufficiale della Corona d’Italia (Giornale della libreria, 1941, n. 11).
Colpito lo stabilimento dai bombardamenti del 13 e 15 agosto 1943, la produzione fu forzatamente interrotta, ma la ricostruzione fu rapida e, prima che nel 1948 lo stabilimento di via Stelvio rientrasse in funzione, la sede amministrativa fu collocata in via Montello 16, nello stesso palazzo in cui viveva l’editore e buona parte della famiglia. L’ufficio commerciale aveva invece sede nella storica bottega di via Santa Margherita. Nel dopoguerra il catalogo spaziava dai materiali didattici alla manualistica scolastica, dalla letteratura infantile alla divulgazione, settore rafforzato da una nuova linea di guide e manuali pratici. Altre filiali furono aperte e in Argentina fu fondata un’agenzia di distribuzione dei prodotti Vallardi.
Nel 1946 Antonio fu nominato presidente della sezione lombarda del nuovo organo di categoria, l’AEI (Associazione Editori Italiani), e nel 1948 scelto per il ruolo di presidente della stessa associazione, diventata AIE (Associazione Italiana Editori), sulla base della sua «probità», del suo «spirito di colleganza» ed «equilibrio» (Giornale della libreria, 1948, n. 5-6). Mantenne la carica fino al 1956, quando ne fu nominato presidente onorario. Fu anche presidente dell’Unione internazionale degli editori e consigliere Siae (Caringi, 2000, p. 40). Tra le varie onorificenze ottenute si ricorda anche la medaglia d’oro del comune di Milano nel 1955 (Giornale della libreria, 1955, n. 26).
Morì a Milano il 28 luglio 1965.
Nel 1969 il figlio più giovane, Giuseppe, rilevò l’attrezzatura grafica, i macchinari e parte dei diritti delle pubblicazioni cartografiche per fondare una propria sigla: la Vallardi Industrie Grafiche, attualmente gestita da due dei suoi figli; il marchio A. Vallardi fu invece rilevato dalla Garzanti nel 1971, e, in seguito alle vicende societarie della casa editrice, è ora parte del gruppo editoriale Mauri Spagnol.
Altri membri della famiglia si dedicarono all’attività editoriale con aziende proprie.
In particolare Francesco (nato a Milano il 2 dicembre 1809), figlio di Pietro e di Giuseppina Redaelli e fratello di Antonio, il quale dopo gli studi di medicina a Pavia si dedicò brevemente alla professione medica, distinguendosi in particolare per l’assistenza ai colerosi, per poi proseguire il proprio impegno civile nell’editoria. Per questo si associò allo stampatore Galeazzi; il sodalizio fu però burrascoso e, scioltolo, Francesco presentò supplica e ottenne di esercitare autonomamente il commercio di libri e stampe (1840, ASM, Atti di Governo, Commercio p. m., b. 355), fondando la casa editrice Dott. Francesco Vallardi, che aveva sede in via Oriani (poi in via Disciplini). Fu denominata Libreria della speranza (Teseo, 2003, s.v.), probabilmente in ragione delle aspirazioni patriottiche dell’editore, legato da vincoli di amicizia con uomini del calibro di Cesare Beccaria, Carlo Cattaneo, Emilio Visconti Venosta. Infatti, dopo aver dato alle stampe alcuni classici e opere ascetiche, si fece editore, nel 1847, del celebre Nipote del Vesta verde, almanacco pubblicato fino al 1859 in chiave antiaustriaca, compilato da Cesare Correnti.
Collaborò all’attività editoriale la moglie, Teresa Tagliaferri, sposata il 4 aprile 1836, il cui ruolo nella pubblicazione dell’almanacco e nel coordinamento dei contatti con gli esuli emerge dal carteggio Correnti (Dizionario biografico delle donne lombarde, 1995, s.v.). Limitatamente al 1858 pubblicò anche Il Pungolo, quotidiano diretto da Leone Fortis e, dal 1859, La Perseveranza. Mutata la temperie politica si concentrò su opere di medicina, manuali, trattati, collezioni e una colossale Enciclopedia medica italiana pubblicata per associazione, così come altre grandi opere di carattere geografico, settore sviluppato in particolare negli anni Ottanta del XIX secolo.
Nel 1869 ottenne dall’imperatore d’Austria una medaglia d’oro preliteris et artibus (sic, Giornale della libreria, 1888, n. 52, p. 635) per la pubblicazione dell’Italia sotto l’aspetto storico, letterario, artistico e statistico, altra pubblicazione onerosa realizzata a dispense a partire, simbolicamente, dal 1859 (Giornale della libreria, 1888, n. 52; 1895, n. 39).
Tra gli anni Settanta e Ottanta fu notevole, come presso molti altri editori, l’impegno nella manualistica scolastica, in questo caso pensata per l’utilizzo nelle scuole secondarie e nei collegi militari, con una netta prevalenza di materie scientifiche o storico-geografiche.
Morì a Varese in località Truno il 18 settembre 1894.
A lui e alla moglie è intitolata la casa di riposo Francesco e Teresa Vallardi, fondata nel 1930 ad Appiano Gentile dal figlio Cecilio (1855-1934), che prese in carico l’azienda alla morte del padre e assorbì in seguito le attività editoriali del fratello Leonardo (1842-1930), noto per essersi distinto nelle battaglie del Risorgimento (Dizionario del Risorgimento, 1931-1937, s.v.). Insieme a Maria, morta a trent’anni, Cecilio e Leonardo furono gli unici dei sei figli di Francesco giunti all’età adulta. L’azienda fu poi presa in carico dagli altri discendenti in sostanziale continuità con le scelte del fondatore, mantenendo un vasto catalogo anche dopo le difficoltà della seconda guerra mondiale.
Nel 1978 il marchio fu rilevato dalla casa editrice Piccin di Padova.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Atti di Governo, Commercio p.m., b. 355; Registro successioni (1862-1901), b. 71, f. 156; Milano, Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura (CCIAAMi), Archivio storico, Sezione postunitaria (1861-1920), Registro ditte, Notifiche e iscrizioni ditte, Posizioni singole, sc. 101 (bob. 28); sc. 718 (bob. 265); Catalogo dei libri di proprio fondo o che trovansi in maggiore numero presso la ditta Pietro e Giuseppe Vallardi..., Milano 1819; Catalogo delle stampe tanto in nero che a colori componenti il fondo di calcografia di Giuseppe Vallardi..., Milano 1824; Catalogo di quadri appartenenti a Giuseppe Vallardi dallo stesso descritti e illustrati con brevi annotazioni, Milano 1830; Manuale calcografico per l’artista, il mercante e l’amatore, opera ornata di tavole in rame di Giuseppe Vallardi, Milano 1832; Catalogo dei libri d’ogni genere e in varie lingue in assortimento. Specialmente di quelli pubblicati dalla antica ditta Pietro e Giuseppe Vallardi..., Milano 1833; Disegni di Leonardo da Vinci posseduti da Giuseppe Vallardi, dal medesimo descritti ed in parte illustrati, Milano 1855; Il nipote del Vesta verde, numero commemorativo, Milano 1884; Manoscritti della già biblioteca duca Litta ora di Antonio Vallardi in Milano, via Santa Margherita, Milano 1868; Atti del comitato dell’inchiesta industriale, Roma 1874, vol. V, Deposizioni orali, sez. 13.1; L’archivio araldico Vallardi a Milano, in Bibliografia italiana, VIII (1874), 2, pp. 5 s.; Catalogo generale della ditta editrice Antonio Vallardi, Milano 1880; Cav. Dott. Francesco Vallardi, Discorsi commemorativi, Milano 1895; Catalogo generale 1900-1901, Milano 1900; Un secolo e mezzo di vita editoriale. 1750-1900. Ricordo della ditta editrice Antonio Vallardi, Milano [1900]; Lodo arbitrale nella vertenza Melzi-Vallardi pronunciato dagli arbitri Sig. Avv. Luigi Majno, Avv. Prof. Eliseo Antonio Porro, Avv. Giovanni Vaghi il 15 settembre 1906, s.d.; Strenne educative e istruttive 1910-1911, Milano 1911; P. Vallardi, I Vallardi. Per le nozze Vallardi-Isacchi. Milano, 23 giugno 1920, Milano 1920; Ricordo della ditta editrice Antonio Vallardi 1822-1922, Milano 1922; L’opera cartografica della Casa Editrice Antonio Vallardi di Milano. Comunicazione dell’Ing. Antonio Vallardi, in Atti dello VIII Congresso geografico italiano..., 1921, I-III, Firenze 1922-1923, II, Comunicazioni, pp. 401-405; Pietro Vallardi, Milano 1928; Antonio Vallardi Editore. Celebrando 200 anni di attività, Milano 1952; Il bicentenario vallardiano, in La martinella, VI (1952), 9, pp. 568-572; Gipsoteca Vallardi (già museo Campi). Raccolta di seimila calchi in gesso riprodotti in novantasei tavole, Milano 1932; La Collezione araldica Bonacina-Vallardi e le officine araldiche lombarde, a cura di A. Borella D’Alberti, Teglio 1997; Giornale della libreria, 1888, n. 4, p. 365 e n. 16, p. 150; 1889, n. 44, p. 734; 1892, n. 52, p. 690; 1895, n. 3, pp. 417 s.; 1916, n. 22, p. 190; 1926, n. 22, pp. 278 s.; 1927, n. 47, p. 692; 1940, n. 18, p. 70; 1941, n. 11, p. 48; 1948, n. 5-6, pp. 45 s.; 1955, n. 26, s.n.p.; si consultino inoltre: supplementi al Giornale della libreria contenenti i cataloghi di libri scolastici, 1888-1970; Giornale della libreria, ATLI, Catalogo collettivo della libreria italiana, 1878, 1881, 1884, 1891, 1948, 1955, 1959.
Dizionario del Risorgimento nazionale, a cura di M. Rosi, Milano 1931-1937, s.v.; M. Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Torino 1980; A. Gigli Marchetti, I tre anelli: mutualità, resistenza, cooperazione dei tipografi milanesi, Milano 1983; Dizionario biografico delle donne lombarde, a cura di R. Farina, Milano 1995; L. Morelli, Un bestiario riscoperto. I meravigliosi disegni di Pisanello, in Charta, V (1996), 24, pp. 42-44; F. Caringi, Vallardi: il sapere e la formazione dell’uomo, in Editori e lettori. La produzione libraria in Italia nella prima metà del Novecento, a cura di A. Gigli Marchetti - L. Finocchi, Milano 2000, pp. 28-52; N. Tranfaglia - A. Vittoria, Storia degli editori italiani, Roma-Bari 2000; M.A. Silleni, La Collana di manuali scientifici, storici e letterari di Francesco Vallardi (1866-1940), in La fabbrica del libro, XIX (2013), 1, pp. 17-24; Teseo. Tipografi e editori scolastico-educativi dell’Ottocento, a cura di G. Chiosso, Milano 2003, ad voces; Editori italiani dell’Ottocento. Repertorio, a cura di A. Gigli Marchetti et. al., Milano 2004, ad voces; M. Galfré, Il regime degli editori, Roma-Bari 2005; E. Marazzi, Nuovi libri per nuovi studenti. Gli editori di testi scientifici per le scuole secondarie a Milano, in L’istruzione secondaria nell’Italia unita, a cura di C.G. Lacaita - M. Fugazza, Milano 2013; E. Marazzi, Libri per diventare italiani, Milano 2014; J. Meda, Mezzi di educazione di massa, Milano 2016; F. Targhetta, Uno sguardo all’Europa. Modelli scolastici, viaggi pedagogici ed importazioni didattiche nei primi cinquant’anni di scuola italiana, in Storia comparata dell’educazione. Problemi ed esperienze tra Otto e Novecento, a cura di M. Chiaranda, Milano 2010, pp. 155-176; G. Cavagna di Gualdana, Alla scoperta dei segreti perduti di Milano, Roma 2017.