VILLAREALE, Valerio
– Nato nel 1773 a Palermo da Mariano e da Giuseppa Mammalà (o Mandalà), rivelò un precoce talento nella scultura.
Il padre, avvocato e procuratore di un’azienda demaniale, era ben inserito nell’ambiente cittadino e il giovane ebbe l’opportunità di frequentare la scuola del pittore Giuseppe Velasco. Nel 1786 partecipò a un concorso bandito dai gesuiti di Palermo e vinse una pensione annua, iniziando così ad affermarsi a livello locale (Malignaggi - Favatella Lo Cascio, 1976, p. 15). Grazie all’intervento dei suoi maestri e del principe di Caramanico, Francesco d’Aquino, viceré di Sicilia, fu beneficiario nel 1794 di una pensione reale per studiare a Napoli risiedendo presso l’agrigentino Paolo Girgenti, disegnatore e pittore (Lentini, 2013).
Come scrisse egli stesso, «meritò nell’anno 1794 di esser mandato in Roma a perfezionarsi coll’assegnamento che gli accordò quella corte. Sotto la direzione del celebre Canova e sotto la guida dei monumenti antichi [...] si migliorò a segno che fu incaricato di lavori di pittura e di scultura» (Archivio di Stato di Napoli, Ministero degli Affari Interni, b. 986, 21 settembre 1806). Si tratta dell’unica notizia relativa a un probabile soggiorno romano dello scultore prima del 1797, anno in cui risulta fra i residenti di palazzo Farnese insieme ai siciliani Sebastiano e Benedetto Ittar e al pittore molisano Pietro Saja (Michel, 1981, p. 607). Il rapporto con Antonio Canova, documentato da diversi stralci di corrispondenza, può essere nato durante le frequenti visite dello scultore veneto a palazzo Farnese, pur non configurandosi come un vero e proprio alunnato (Bruno, 2005, pp. 259 s.).
Nel 1798, a causa dell’avvento della Repubblica romana, Ferdinando IV richiamò tutti i pensionati dall’Urbe, ma la maggior parte dei giovani artisti si era ormai convertita alle idee rivoluzionarie e fra gli studenti si contavano alcuni dei più infervorati sostenitori della Repubblica napoletana del 1799, come Villareale (Nappi, 2020). Il Monitore napoletano (1799) riporta che lo scultore partecipò, a titolo gratuito, alla costruzione dell’Albero della libertà, progettato dal pittore Enrico Colonna e realizzato, insieme a Carlo Beccalli e Giuseppe Battistelli, per un’importante cerimonia repubblicana. L’albero, apparato effimero di tradizione francese, era decorato con simboli della rivoluzione, ma completato per la circostanza con iscrizioni antiborboniche ed elementi imitanti l’antico ispirati dagli apparati della Repubblica romana. Colonna e Villareale furono inoltre direttamente coinvolti nelle attività repubblicane, e il secondo, in una supplica a Giuseppe Bonaparte (Archivio di Stato di Napoli, Ministero degli Affari Interni, b. 986, 6 agosto 1806), ricorda di aver subito gravi conseguenze dalla sua adesione alla causa della rivoluzione napoletana. Lo scultore collaborò con i francesi quando, nell’aprile del 1799, Giuseppe Valadier, giunto a Napoli con l’esercito del generale Jean-Étienne Championnet, stabilì di portare a Parigi i migliori pezzi delle raccolte archeologiche. Il consegnatario del museo Stefano Atticciati richiese che ne venissero lasciati almeno i calchi in gesso, e Villareale seguì le lunghe operazioni, coordinando i formatori; infine i francesi furono costretti a lasciare la città portando a Parigi solo tre sculture (D’Alconzo, 1999, pp. 88 s., 113; Capaldi, 2012).
Nel periodo successivo alla rivoluzione, la storia dell’artista è più difficile da ricostruire: Colonna e Domenico Masucci, altro scultore pensionato a Roma, che avrebbe collaborato spesso con Villareale, furono incarcerati, schedati dalla polizia fra i rei di Stato ed esiliati a Marsiglia (Filiazioni..., 1800). Lo scultore palermitano non subì lo stesso trattamento, ma fu incarcerato (Filangieri di Candida, 1898, p. 95). Giuseppe Pitrè (1864, pp. 155 s.) parla dell’intervento di Francesco Maria principe di Cassaro, che lo avrebbe salvato dal patibolo, ma che forse si limitò a farlo liberare evitandogli l’esilio e permettendogli di tornare a Roma, dove continuò a usufruire dell’alloggio, dello studio a palazzo Farnese e della pensione dei Borboni, che conservò fino al 1811.
A causa delle turbolenze politiche non si sono ritrovate finora opere giovanili napoletane di Villareale, come il ritratto di Leopoldo di Borbone, del 1795, o romane. È noto che per Frederick A. Hervey, quarto conte di Bristol, lo scultore eseguì a Roma diverse opere: Perseo trafigge Medusa, Aiace rapisce Cassandra, Pan e Siringa, Ebe e Giove (Malignaggi - Favatella Lo Cascio, 1976, p. 35, con altra bibl.), di cui si sono rapidamente perse le tracce, poiché, nel 1804, il catalogo della cospicua raccolta di quell’aristocratico ne ricorda solo due (Figgis, 1989-1990, p. 103).
Fra il 1801 e il 1802 Villareale collaborò a Napoli con l’ingegnere Francesco Maresca a progetti di committenza borbonica, come la decorazione del Museo mineralogico, dove realizzò il gesso del doppio ritratto dei reali su un basamento rappresentante le dodici province del Regno, distrutto in seguito dai francesi (Archivio di Stato di Napoli, Segreteria di Casa Reale, b. 1554). Nel 1802 partecipò, insieme a Filippo Tagliolini, a Masucci e ad altri, all’allestimento dei fastosi apparati per il rientro di Ferdinando IV dall’esilio, con statue in gesso anche colossali (Strazzullo, 1962).
Negli anni trascorsi a Roma lo scultore si dedicò all’intaglio del cammeo, arte in cui fu considerato eccellente (Gallo, 1863), ed ebbe modo di migliorare la propria formazione a contatto con esponenti della scultura come Canova e Bertel Thorvaldsen, e con pittori come Gavin Hamilton e probabilmente i francesi Pierre-Jean David d’Angers e Jean-Auguste-Dominique Ingres (Chiaramonte, 2007, pp. 28-31). Nel 1808 eseguì un Perseo in marmo (Grandesso, 2013, p. 125, fig. 10) che riflette le ricerche sui modelli classici della cultura romana. Nel 1802 sposò Teresa Lucchi, cugina dell’incisore di cammei e medaglista Benedetto Pistrucci.
Nel 1806, con l’avvento di Giuseppe Bonaparte al trono di Napoli, «per la sua abilità e per la sua onestà e per il suo particolare attaccamento alla gran nazione per la quale aveva sofferto delle disgrazie», Villareale si sentì in grado di richiedere un incarico all’Accademia di belle arti di Napoli (Archivio di Stato di Napoli, Ministero degli Affari Interni, b. 986, 21 settembre 1806), ma non riuscì a ottenerlo. Nel 1809 gli fu promesso un posto di restauratore nel Real Museo, che nel 1811 non aveva ancora occupato, e per questo protestò vivamente dichiarando come, nell’attesa, avesse abbandonato le sue attività a Roma e si trovasse in difficoltà finanziarie. Canova stesso intervenne in suo favore e, forse grazie a questo sostegno, Villareale fu incaricato di eseguire i busti di Gioacchino e Carolina Murat, completati fra il 1811 e il 1812 (b. 989) e distrutti al ritorno dei Borboni. Nel 1811 ebbe infine il posto al Real Museo e, lasciata definitivamente Roma, intraprese, poco tempo dopo, la decorazione degli appartamenti della reggia di Caserta con Masucci e Beccalli. Villareale, oltre al rilievo policromo con il profilo di Alessandro Magno nella sala di Alessandro (Margozzi, 1992, p. 24), eseguì tre pannelli e tre sovrapporte nella sala di Marte (1813) e altri nella sala di Astrea (1813-14): si tratta di eleganti rilievi in stucco bianco e dorato, con episodi mitologici allusivi alle virtù dei coniugi Murat, dei quali si sono conservati anche i bozzetti in gesso (Neoclassiche compostezze, 2012, pp. 61-70, 101-103). Fra il 1811 e il 1814 lo scultore fu attivo anche nel Palazzo Reale di Napoli (Nappi, 2020), ma con la fine del 1814 e del governo francese, ormai quarantenne, decise di tornare nella città natale. Nei primi mesi del 1815 ebbe la commissione per due grandi rilievi in marmo, la Traslazione delle ossa di s. Rosalia nel 1624 e S. Rosalia libera Palermo dalla peste, collocati nel duomo di Palermo nel 1816 (Lentini, 2013) e considerati subito dei capolavori.
Se il merito maggiore che la critica siciliana riconosce a Villareale è di aver portato nella scultura dell’isola il rinnovamento del neoclassicismo canoviano, sono da considerare anche la sua attività di docente – gli fu infatti subito conferita una cattedra di scultura all’Università di Palermo – e quella di restauratore (Chiaramonte, 2007).
Le sole opere di pittura di Villareale sopravvissute sono i frammenti del cartone preparatorio di un mosaico commissionato nel 1832 dal re Ferdinando II per la Cappella Palatina di Palermo (Palermo, Galleria regionale di palazzo Abatellis; Barbera, 2018), ispirato a Hamilton, ma l’attività come restauratore è meglio documentata, contando interventi importanti, come quelli sulle metope ritrovate a Selinunte nel 1832 e su diverse statue antiche (Chiaramonte, 2007). Lo scultore svolse un ruolo nell’ambiente culturale palermitano anche per la sua appartenenza alla massoneria (Malignaggi - Favatella Lo Cascio, 1976, pp. 10 s.), associazione cui aveva probabilmente già aderito durante gli anni trascorsi a Napoli e a Roma e che rappresentò il proseguimento più cauto del giovanile entusiasmo rivoluzionario. Partecipò a Napoli al concorso (1823-27) per il monumento equestre di Ferdinando IV, vinto dallo scultore di origine catanese Antonio Calì (Neoclassiche compostezze, 2012, pp. 36 s.).
A Palermo eseguì numerose memorie funerarie seguendo il modello canoviano della stele con rilievo: il Monumento del beato Giuliano Maiali, del 1821, e la stele di Giuseppina Turrisi Colonna, del 1848, entrambi nella chiesa di S. Domenico, dove si trova una delle sue opere maggiori, il Monumento di Giovanni Meli, del 1828, commissionatogli da Agostino Gallo.
Il crudo e sensuale realismo della Baccante addormentata, firmata e datata 1833 (Brasile, San Paolo, Museu de arte), indica un allontanamento dal neoclassicismo che, pur non essendo continuativo, appare tuttavia evidente anche nella Baccante che danza e, in misura minore, nell’Arianna abbandonata, entrambe del 1838, alla Civica Galleria d’arte moderna Empedocle Restivo di Palermo.
Nella scia dei lavori per la reggia di Caserta, ma eseguito per celebrare i moti del 1848, si colloca il rilievo per il palazzo comunale di Palermo, raffigurante la Sicilia coronata da Cerere e Minerva.
L’ultima opera importante dello scultore fu il monumento di Stefania Branciforti (Palermo, chiesa di S. Francesco di Paola), del 1852.
Morì durante l’epidemia di colera del 1854 e fu sepolto nella chiesa di S. Domenico fra i palermitani illustri.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Ministero degli Affari Interni. I inventario. Serie Antichità e Belle Arti, 1799-1842, bb. 986, 989; Segreteria di Casa Reale, b. 1554.
Il Monitore, maggio 1799, n. 30, in M. Battaglini, Il Monitore napoletano: 1799, Napoli 1999, pp. 606-609; Filiazioni de’ rei di stato condannati dalla suprema Giunta di Stato, e da’ visitatori generali, in vita, e a tempo ad essere asportati da’ reali domini, Napoli 1800, pp. 17-22; A. Gallo, Sopra una Baccante eseguita in marmo dall’egregio sig. V. V. da Palermo..., in Effemeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia, II (1833), pp. 38-51; S. Costanzo, V. V., in Passatempo per le Dame, settembre 1836, n. 38, pp. 301-305; A. Gallo, Sull’influenza che esercitarono gli artisti italiani in vari regni d’Europa, Palermo 1863, pp. 1-20, in A. Rossi, La questione romana davanti al parlamento, Firenze 1867, p. 11; G. Pitrè, Profili biografici di contemporanei italiani, Palermo 1864, p. 154; A. Filangieri di Candida, Notizie e documenti per la storia dell’arte nel napoletano, V. Vicende della Quadreria di Capodimonte nel 1799, in Napoli nobilissima, VII (1898), pp. 94 s.; F. Strazzullo, Apparati e feste per il ritorno a Napoli di Ferdinando IV nel 1802, ibid., s. 3, II (1962), pp. 112-118; D. Malignaggi - D. Favatella Lo Cascio, V. V., Palermo 1976; O. Michel, L’Accademia, in Palais Farnèse, I, 2, Rome 1981, pp. 567-602, 607; N.F. Figgis, The Roman property of Frederick Augustus Hervey, 4th earl of Bristol and bishop of Derry (1730-1803), in The volume of the Walpole Society, LV (1989-1990), pp. 77-103; M. Margozzi, La scultura dell’Ottocento, Roma 1992; S. Tedesco, V., V., in L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani, III, Scultura, Palermo 1994, pp. 347-349; P. D’Alconzo, L’anello del re: tutela del patrimonio storico-artistico nel Regno di Napoli, 1734-1824, Firenze 1999, pp. 88 s., 113; I. Bruno, Presenze siciliane a Palazzo Farnese nel Settecento, in Luigi Vanvitelli, 1700-2000. Atti del Convegno internazionale di studi..., 2000, a cura di A. Gambardella, Caserta 2005, pp. 255-263; V. Chiaramonte, V. V., scultore e conoscitore, tra cultura antiquaria e restauro, in Figure di restauratori e casi di restauro in Italia tra XVIII e XX secolo. Atti del Convegno nazionale di studi..., a cura di P. D’Alconzo, Napoli 2007, pp. 25-57; A. Fiadino, Architetti e artisti alla corte di Napoli in età napoleonica: progetti e realizzazioni nei luoghi del potere, 1806-1815, Napoli 2008; C. Capaldi, La statuaria classica dalla collezione Farnese nel Museo archeologico di Napoli, Pozzuoli 2012, pp. 63 s.; Neoclassiche compostezze. Il gusto per l’antico nel Real Palazzo di Caserta (catal., Caserta), a cura di P.R. David, Roma 2012, pp. 36 s., 61-70, 101-103; S. Grandesso, Lord Bristol mecenate delle arti e della scultura moderna, in Studi neoclassici, I (2013), pp. 117-126; R. Lentini, V. V. scrive al re, in Per, XXXVII (2013), pp. 30-33; G. Barbera, Due cartoni di V. V. per i mosaici del loggiato della Cappella Palatina, in Arte in Sicilia. Studi per Elvira D’Amico, a cura di G. Bongiovanni, Palermo 2018, pp. 115-119; M.R. Nappi, Enrico Colonna, un artista fra classicismo e ribellione, in La cultura dell’antico a Napoli nel Secolo dei Lumi. Omaggio a Fausto Zevi nel dì genetliaco. Atti del Convegno..., Napoli-Ercolano... 2018, a cura di C. Capaldi - M. Osanna, Roma 2020; V. Caruso - M.R. Nappi, La scultura a Napoli negli apparati effimeri tra Sette e Ottocento,in Scultura in età contemporanea: nuove proposte. Atti del Convegno..., Napoli... 2019, in corso di stampa.