Ševčuk, Valerij
Scrittore ucraino, nato a Žitomir il 20 agosto 1939. Figura di spicco della 'generazione degli anni Sessanta' (šistdesjatnyky), ha mosso i primi passi come prosatore realistico, pur privilegiando il momento psicologico. Verso la fine degli anni Sessanta si è convertito alla 'prosa magica' (chymerna proza), a una raffinata ricerca stilistica, che, pur vicina al 'realismo magico' latino-americano, affonda le radici nella tradizione letteraria ucraina.
Della sua ampia produzione, in parte proibita negli anni Sessanta e pubblicata interamente solo a partire dagli anni Ottanta, si segnalano: Večir svjatoji oseni (1969, Una sera del santo autunno), Kryk pivnja na svitanku (1979, Il grido del gallo all'alba), Dolyna džerel (1981, La valle delle sorgenti), Tepla osin′ (1981, Caldo autunno), Na poli smyrennomu (1983, Sul campo umile), Dim na hori (1983, La casa sulla montagna), Malen′ke večirnje intermezzo (1984, Piccolo intermezzo serale), Zolota trava (1984, Erba dorata), Barvy osinn′oho sadu (1986, I colori del giardino autunnale), Try lystky za viknom (1986, Tre foglie dietro la finestra), Kaminna luna (1987, Eco di pietra), Stežka v travi. Žytomyrs′ka saha (1994, Un sentiero in mezzo all'erba. La saga di Žitomir), U čerevi apokaliptyčnoho zvira (1995, Nel ventre di un animale apocalittico), Oko prirvy (1996, L'occhio dell'abisso).
Nella sua 'prosa magica', dove si avverte l'influenza del filosofo ucraino G.S. Skovoroda e non mancano impliciti riferimenti a N. Gogol´, le coordinate temporali e spaziali sono consapevolmente deformate, il mondo reale e quello immaginario coesistono in perfetta armonia e si compenetrano con la massima libertà, creando un universo originale. È una dimensione sospesa tra il vero e il fantastico, che illumina con una luce sinistra i lati più significativi della realtà, anche se il fascino dell'orrore è spesso segnato da una vena grottesca e su tutto regna una serena malinconia. In questa dimensione, dove spesso le forze del male dilagano senza alcuna ragione plausibile, il mondo degli uomini interagisce con quello delle forze magiche e demoniache e il confine tra il bene e il male è molto incerto, mentre la psiche umana risponde a pulsioni erotiche incontrollate. Nello scontro tra il tempo e l'uomo, questo finisce inevitabilmente sconfitto, anche se talvolta riesce a strappare qualche bagliore di eternità. Try lystky za viknom rappresenta la migliore sintesi tra la dimensione storica e la 'prosa magica'. Costituito da tre biografie in prima persona ambientate nel Seicento, nel Settecento e nell'Ottocento ucraino, il romanzo è costruito su una precisa documentazione e narra lo scontro tra la spiritualità creativa dei protagonisti e il razionalismo dell'impero centralizzato che spinge il mondo ucraino alla rovina.
La lingua di Š. spazia dalla solennità di un inno liturgico alla semplicità dell'espressione arcaica. La sua prosa 'urbana' e colta, di un maestro raffinato, sa piegarsi a una bizzarra realtà provinciale, rifugio di stranezze, idiozie, barlumi di genialità. Merito di Š. è anche quello di avere recuperato la poesia rinascimentale e barocca ucraina, di cui ha curato numerose antologie (Pisni Kupidona, 1984, Canti di Cupido; Marsove Pole, 1988-89, Campo di Marte, 2 voll.). Š. ritrae inoltre con erudizione e brio i personaggi della letteratura ucraina: Myslenne derevo (1989, L'albero pensante), Iz veršyn i nyzyn (1990, Dalle vette e dai piani) e soprattutto Doroha v tysjaču rokiv (1990, La strada lungo mille anni). In Kozac′ka deržava (1995, Lo Stato cosacco) lo scrittore indaga le tappe, le modalità e le basi politico-ideologiche della formazione dello Stato ucraino nell'età cosacca.
bibliografia
M. Pavlyšyn, Kanon ta ikonostas (Il canone e l'iconostasi), Kiev 1997.