TULLI, Valeria
TULLI, Valeria (Valeria Valeri). – Nacque a Roma l’8 dicembre 1921. Il padre, Zauro, grande affabulatore, faceva il tranviere, dopo essere stato postiglione per il trasporto della posta da Poggio San Lorenzo a Rieti. La madre, Maria, una contadina sabina analfabeta e di genuina fede religiosa, si era trasferita a Roma a ventidue anni. Aveva quattro fratelli: Girolamo, detto Gino, il maggiore, più grande di vent’anni, che scelse per lei il nome di Valeria e che fu poi direttore amministrativo via via del Popolo di Roma, del Tempo e dell’Ansa; Peppino, e ancora Davide e Lorenzo che lavoravano dall’età di undici, dodici anni, e di cui lei era fiera per la loro bellezza. A mutarle il cognome in Valeri fu il marito, provocando poi equivoci con Franca Valeri.
Valeria frequentò la scuola elementare a Trinità dei monti, dove andava a prenderla all’uscita il fratello Peppino, e giovanissima l’Azione cattolica italiana nella parrocchia di via Flaminia. Ma scandalizzò la famiglia sia per la separazione dal marito, Franco, sposato nel 1943, in tempo di guerra, conosciuto mentre ancora studiava all’istituto magistrale, sia per la professione di attrice. Nella sua autobiografia – racconto sorprendente, carrellata di generose amicizie femminili e di amori molteplici in un gioioso libertinaggio, inclusi tradimenti, operati e subiti – Valeria si etichettava come una normale attrice di prosa (Mi pare di averci capito qualcosa, 2015, p. 7). Affascinata da Guido da Verona e Pitigrilli, che le accesero la fantasia di lettrice adolescente, annoverò tra le sue varie relazioni un suicida e un principe marocchino, un capitano dei granatieri, che la lasciò per sposare una ricca ereditiera, e un ragazzo di venticinque anni amato follemente a sessant’anni.
Con il marito abitò a Roma in casa dei genitori, in via Masaccio, dopo essere rimasti nascosti in quella di un amico dei suoceri per via della comune militanza nel Partito d’azione, lei da staffettista.
Nei primi anni Quaranta Valeria entrò nella scuola di recitazione diretta da Pietro Sharoff, dove il maestro era Sandro Ruffini. Qui preparò il saggio L’albergo dei poveri di Maksim Gor′kij al Valle di Roma. Partecipò, arrivando seconda, a un concorso per annunciatori alla radio, dove incrociò pure tra gli aspiranti, oltre a Nicoletta Orsomando, anche Enrico Maria Salerno, destinato poi a essere la storia sentimentale più importante della sua esistenza, anche se i due non si unirono mai in matrimonio.
Il debutto vero avvenne per lei a Forlì nel 1949 con Caldo e freddo di Fernand Crommelynck, quale prima attrice giovane nella ditta Carli-Lombardo, dove esibì bellezza e freschezza giovanile, quindi passò nella compagnia Volpi-Zoppelli.
Un apprendistato frenetico, il suo, se in soli tre anni recitò in ben ventotto commedie, con repliche anche a Tripoli.
Sempre nel 1949, mentre figurava nel cast di Svegliati e canta di Clifford Odets, venne vista da Gino Cervi, presente in sala. Il celebre attore la scritturò nella sua troupe con Andreina Pagnani all’Eliseo per un piccolo ruolo in Gli ultimi cinque minuti di Aldo De Benedetti, al posto di Fulvia Mammi nonché per la parte di Myrtle Mae, divenuto nei ricordi Mirtelmè (Mi pare di averci capito qualcosa, 2015, pp. 70-73), in Harvey di Mary Chase, per la stagione 1950-51. Ma tornò poi a recitare nel testo bizzarro di De Benedetti per un allestimento televisivo del 1968 diretto da Carlo Lodovici, in cui si scontrava con Salerno per l’affitto di un appartamento, per poi tormentarsi nelle peripezie sentimentali di coppia, forse allusive alle loro vicende private.
Alberto Sordi, che la diresse nel suo film Io e Caterina del 1980, per la parte di una moglie insofferente dei consueti tradimenti, le disse che assomigliava alla Pagnani, da lui amata. A ricordare in effetti la collega era la sua voce calda, flautata e musicale. Da qui il gran talento come doppiatrice, almeno a partire dagli anni Sessanta: basti citare le serie televisive americane Beautiful e Capitol.
Nel cinema venne poco utilizzata, secondo la classica separatezza, tutta italiana, tra i due mondi. Si ricordano tra il 1950 e il 2010, almeno Adriana Lecouvreur di Guido Salvini nel 1955, dov’era l’attrice Duclos, rivale della prima donna, e Le stagioni del nostro amore di Florestano Vancini nel 1966, in cui dette vita al personaggio di Milena, la moglie trascurata di Salerno. E infine nel 1981 Il carabiniere, di Silvio Amadio, dove fu un’accorata madre meridionale, lavorando al fianco ancora di Salerno e della loro figlia Chiara, avuta nel 1957, destinata a sua volta a un futuro di attrice e doppiatrice.
Sul piccolo schermo Valeria fu nel 1965 Cleopatra, e Salerno Antonio, nel dramma shakespeariano diretto da Vittorio Cottafavi, liberando bizze, puntigli e ardori amorosi. Sulla scena era stata anche Porzia con Memo Benassi, Giorgio De Lullo e Romolo Valli nel Mercante di Venezia a Verona nel 1955, con la direzione di Mario Ferrero.
Nella stagione 1955-56 a Genova era stata una mirabile Ondina di Jean Giraudoux, accanto a Salerno, diretta di nuovo da Ferrero, spettacolo galeotto per il loro amore. Insieme i due interpreti parteciparono a quindici produzioni, avviando la costituzione dello Stabile stesso di Genova con repertori anche impegnativi, lontani dalla sua vena leggera: fu dunque Emma in I mariti di Achille Torelli sempre con messinscena di Ferrero, Anna in La conchiglia all’orecchio di Valentino Bompiani, qui anche regista, spettacolo poi portato nel 1958 in Sudamerica; Sasha in Ivanov di Cechov nel 1956, regia sempre di Ferrero, e l’anno dopo Bianca in La Gibigianna di Carlo Bertolazzi, Giulia in La moglie ideale di Marco Praga, entrambe le volte diretta dal compagno che l’aveva pure guidata come Elettra nell’Oreste alfieriano del 1956, e infine una sofferta Isabella, nello shakespeariano Misura per misura, accuratissimo allestimento di Luigi Squarzina.
Nel 1960 l’attrice entrò nella compagnia degli Attori Associati fondata da Giancarlo Sbragia, Ivo Garrani e Salerno. Con il compagno, ebbe un grande successo come Rosa Sacco, la dolente consorte di una delle due vittime in Sacco e Vanzetti di Mino Roli e Luciano Vincenzoni, nel 1960, regia di Sbragia.
Nel 1963-64 interpretò La vita è sogno di Calderón de la Barca accanto ad Alberto Lupo, con cui poi fece nel 1981-82 Fiore di cactus di Pierre Barillet e Jean-Pierre Gredy. Grande successo riscosse dieci anni dopo con L’anitra all’arancia di William Douglas-Home assieme ad Alberto Lionello, virando decisamente verso il genere brillante e nei tempi perfetti della commedia da boulevard, ben sintonizzati con la sua natura scanzonata e vitalistica.
Dalla stagione 1980-81 fece compagnia con Paolo Ferrari accentuando i registri comico-grotteschi. Con lui fu al teatro Parioli quattro volte per vent’anni in Vuoti a rendere di Maurizio Costanzo, a partire dal 1986, storia di una coppia arrivata alla terza età e rassegnata a spostarsi in campagna per lasciare l’appartamento al figlio. Ferrari aveva sette anni di meno, ma lei non dimostrava i suoi ottantasei e dunque i conti tornavano. E in questo importante, ultimo sodalizio artistico recitò tra l’altro in Sinceramente bugiardi di Alan Aykburn nel 1987, dove coinvolse pure la figlia Chiara, in una tournée di tre anni. Sempre accanto a Ferrari, rifulse pure in Gin Game di Donald Lee Coburn nel 1990, ambientato nella tristezza di una casa di riposo, ma in cui nondimeno si scatenava in un indiavolato charleston, ripreso in tournée dopo vent’anni nel 2013; ancora, in Lettere d’amore di Albert Ramsdell Gurney dapprima nel 1992, e poi nella stagione 2013-14 con la Compagnia dei Piccoli per caso, in cui due bambini veri sostituivano i due attori nei primi anni del loro rapporto; lo spettacolo fu ripreso ancora nel 2015 questa volta accanto a Giancarlo Zanetti. Sempre di Costanzo, cofirmato con Enrico Vaime, nel 2008 interpretò il musical Portami tante rose.it, dove recitava, ballava e cantava inglobando il casting di Amici, la trasmissione della moglie dell’autore, Maria De Filippi. Convinta che il testo non funzionasse, intervenne lei stessa nel montaggio. Del resto era già stata nel 1977-78 con Gino Bramieri brillante protagonista del musical di Garinei e Giovannini Anche i bancari hanno un’anima di Terzoli e Vaime.
La Valeri preferì sempre considerarsi attrice spontanea, viva, al naturale, di empito senza calcoli, dosaggi, astuzie tecniche, in un certo senso popolare, caratteristiche che avevano reso agevole il suo incontro con il mezzo televisivo, e particolarmente adatta al ritmo degli sceneggiati.
Fu infatti nel 1964-65 una deliziosa signora Stoppani, la mamma del protagonista nei sei episodi del Giornalino di Giamburrasca, interpretato da Rita Pavone, regia di Lina Wertmuller, costumi di Piero Tosi, sodale di Luchino Visconti, musiche geniali di Nino Rota. Con Salerno fu poi nei due anni della serie La famiglia Benvenuti, nel 1968-69, diretta da Alfredo Giannetti con Valerio Fioravanti, detto Giusva, bambino prodigio nel ruolo del figlio, successivamente e fuori dalle telecamere finito sulle prime pagine per terrorismo nero. In questa serie Valeria delineò il ruolo di moglie innamorata e perplessa davanti alle scelte del marito architetto, in fondo realizzando sul piccolo schermo quella sua convivenza ufficiale impedita dalle leggi (essendo Salerno sposato con un’altra donna). Anni dopo fu guest star in Un posto al sole nel 1997 (madre di Giulia Poggi), in Compagni di scuola nel 2001, dov’era la Signora Salina, la madre dei due professori nella fiction ambientata nel mondo della scuola, in Una famiglia in giallo del 2004, dove era Caterina, la mamma del commissario Giovanni Bentivoglio (Giulio Scarpati), appassionata di indagini poliziesche, e nel Commissario Manara (interpretato da Guido Caprino), nel 2009-11, dov’era la zia dell’ispettore Lara Rubino (Roberta Giarrusso).
Nel 2014 apparve nella nona stagione di Un medico in famiglia accanto a Lino Banfi e Milena Vukotic nel ruolo di una vicina di casa. Complessivamente i ruoli interpretati in televisione, spesso sagomati su di lei, oscillavano tra quelli di madri apprensive e di anziane eccentriche e disinibite.
A novantadue anni, mentre saliva in macchina, cadde fratturandosi il femore, il che non le impedì di tornare dopo pochi mesi in scena. Nel 2012 partecipò a uno spettacolo di poesie e canzoni romane, leggendo Trilussa, Belli e Pascarella, divertendosi alla festa delle stornellate e dei versi trasteverini. Nel 2014 tornò assieme a Milena Vukotic in Le fuggitive di Pierre Palmade e Christophe Duthuron, regia di Nicasio Anzelmo. Anche stavolta, come in precedenza con i suoi partner, Valeria dimostrò un’insolita capacità di convivere sul palco, senza subalternità o prevaricazioni.
Non mancarono negli ultimi anni ulteriori exploits in scena, dove veniva apprezzata soprattutto dalle spettatrici di età avanzata, per le quali costituì quasi una bandiera rassicurante. Misura perfetta trovò in Madame Lupin di Marie Pacome, in scena nel 1998 per la regia di Patrick Rossi Gastaldi, in cui disegnò in modo superbo, amalgama perfetto tra grazia e malizia, un’anziana ladra che fa scuola di furto per aspiranti lestofanti. Sempre guidata da Rossi Gastaldi, era stata due anni prima interprete di Il clan delle vedove di Ginette Beauvois-Garcin, e nel 1999 di La signora omicidi di William Rose, in scena per tre anni, e del coevo In viaggio con la zia di Graham Greene.
Numerosi i premi e i riconoscimenti ricevuti: in particolare nel 2006 il presidente Azeglio Ciampi le conferì l’onorificenza di grande ufficiale al merito della Repubblica, mentre ricevette l’Alabarda d’oro nel 2012 e nel 2015 il premio alla carriera Ermete Novelli, oltre che la cittadinanza onoraria di Forlì.
Morì l’11 giugno 2019, a novantasette anni, chiudendo una carriera in assoluto tra le più longeve e produttive del nostro teatro, se si considera che aveva lavorato sino al 16 gennaio di tre anni prima, allorché venne omaggiata nella trasmissione Sogno o son desto condotta da Massimo Ranieri. L’annuncio venne dato dalla figlia Chiara.
I funerali si svolsero il giorno dopo la sua morte nella chiesa degli Artisti a Roma, in piazza del Popolo.
Fonti e Bibl.: Oltre alla ricca recensionistica delle riviste teatrali d’epoca, cfr. la voce relativa agli inizi di carriera firmata da C.M. Rietman, nella Enciclopedia dello spettacolo, IX, Roma 1962, pp. 1400 s.; per i rapporti umani e artistici con l’attore Enrico Maria Salerno si veda V. Salerno, Enrico Maria Salerno, mio fratello, Roma 2002; per il periodo impegnato nello Stabile ligure, utile il numero 12 dei Quaderni di Gargnano Teatro di Genova, a cura di L. Carnielli, Roma 2003; e soprattutto la leggiadra autobiografia in V. Valeri, Mi pare di averci capito qualcosa, Bologna 2015.