VALENTINO
. Eretico, fondatore di una delle più importanti scuole gnostiche. Le notizie più precise su di lui sono fornite da Clemente Alessandrino il quale riferisce che V. sarebbe stato scolaro di Teoda, preteso discepolo di S. Paolo, e ne pone l'attività al tempo degl'imperatori Adriano e Antonino. Con questa determinazione cronologica generica concorda quella di S. Ireneo (Adv. haer., III, 4, 3), secondo il quale V. venne a Roma sotto il pontificato di Igino e vi continuò a insegnare fin sotto quello di Aniceto. Dunque, all'incirca tra il 135 e il 160. S. Epifanio (Haer., 31) parla anche di una predicazione di lui a Cipro; ma è notizia dubbia, così come pare abbia colorito retorico la notizia di Tertulliano (De praescr. haer., 30) il quale dice V. espulso dalla Chiesa due volte, come Marcione.
Un'esposizione del sistema di V., secondo le fonti antignostiche generalmente usate per la ricostruzione dei varî sistemi, è data alla voce Gnosticismo, XVII, p. 448. Qui conviene soggiungere che ogni tentativo di ricostituire il sistema di V. deve necessariamente limitarsi alle sole linee generali. I pochi (6 in tutto) frammenti autentici, conservatici da Clemente Alessandrino, infatti, non concordano bene con quanto si può desumere dalle altre fonti; forse, Clemente stesso non li ha sempre intesi rettamente o ha fatto qualche confusione. Né molto di più si può ricavare da un altro frammento che S. Epifanio introduce in forma di citazione. Comunque, si tratta sempre di passi troppo frammentarî perché si possa ricavarne un intero sistema, e alcuni di essi dànno luogo a gravi dubbî e divergenze circa la loro retta interpretazione. Così, per es., riguardo alla cristologia. Da uno dei frammenti, in cui V. dice che Gesù "tutto avendo tollerato, era padrone di sé stesso" e che egli era giunto a tal punto di continenza "che neppure il cibo si corrompeva nel suo organismo, poiché in realtà non v'era in lui capacità di corruzione", anzi "mangiava e beveva in maniera particolarissima, non restituendo gli alimenti" si è creduto da alcuni di desumere almeno una tendenza al docetismo; mentre d'altra parte l'interpretazione opposta, di un Gesù cioè che avrebbe, per così dire, conquistato la propria natura divina attraverso l'esercizio della continenza sembra avvalorata da un altro frammento, in cui V. attribuisce ai suoi stessi discepoli la capacità di vincere la morte e qualsiasi corrompimento. Ora, questa incertezza sembra esservi stata fra gli stessi discepoli di V. Infatti, secondo S. Ippolito (Philosoph., VI, 35) la scuola valentiniana si sarebbe divisa in due ali: una occidentale, in Italia e nella Gallia meridionale, con Secondo, Eracleone e Tolomeo che, rispettivamente, anche Clemente Alessandrino e Ireneo dicono discepoli di V.; l'altra orientale, con Axionico e Teodoto, ai quali si ricollega anche Bardesane. Ora, i primi sarebbero stati, in un certo senso, adozionisti, poiché secondo essi il corpo di Gesù era psichico e solo al momento del battesimo si sarebbe posato su di lui l'Eone; i secondi, invece, docetisti, poiché "dicevano che il corpo del Salvatore fu spirituale". Tertulliano (Adversus Valentinianos) insiste sul mistero di cui i valentiniani, frequentissimum plane collegium, si circondavano. Ma i frammenti autentici di V. sono desunti per lo più da scritti di carattere pratico, omilie e lettere, e fanno pensare che le sue preoccupazioni fossero prevalentemente di carattere pratico ed etico, e si volgessero soprattutto al problema del destino dell'anima e della sua salvezza. Pare altresì che egli ravvisasse una rivelazione divina anche nei precetti morali dei filosofi. Tertulliano (De carne Chr., 17 e 20) e il Canone muratoriano attribuiscono a V. e alla sua scuola anche dei Salmi o Inni. Fondandosi su ciò, e su argomenti interni, E. Buonaiuti ha creduto di poter attribuire a V. anche le Odi di Salomone (v. salomone, XXX, p. 550), certo almeno accolte in quei circoli gnostici egiziani, probabilmente anche valentiniani, tra cui fu in onore la Pistis Sophia, che cita le Odi stesse. A V. è attribuita anche un'opera Sulle tre nature, in cui probabilmente trattava della nota distinzione degli uomini in "ilici" o materiali, "psichici" o animali e "pneumatici" o spirituali, capaci di degradarsi fino alla prima condizione o di elevarsi fino alla suprema.
Bibl.: O. Bardenhewer, Geschichte der altkirchlichen Literatur, Friburgo in B. 1913, pp. 358-364; E. Buonaiuti, Frammenti gnostici, Roma 1923, p. 95 segg.; C. Schmidt, in Die ReEligion in Gesch. u. Gegenw., V, Tubinga 1931, col. 1436 (ivi bibl. ulteriore).