VALENTINIS, Elena
(Elena de’ Cavalcanti, Elena da Udine), beata. – Figlia di Valentino III de’ Valentinis (del quale si conoscono almeno altri sei figli maschi e cinque femmine) e di Elisabetta di Maniago, sua terza moglie, nacque a Udine fra il 1395 e il 1396, come si deduce dalla data di morte, avvenuta in età di sessantadue anni secondo i biografi antichi.
Mancano informazioni sulla sua fanciullezza ed educazione. Forse all’inizio del secondo decennio del Quattrocento, Valentinis sposò Antonio Cavalcanti, un mercante di panni, di famiglia fiorentina immigrata a Udine nel secondo Trecento. Sono noti i nomi di sei figli: tre femmine, Elisabetta, Caterina, monaca clarissa, e Allegrina o Lirina, e tre maschi, Antonino, Speranzio e Carlo. Quest’ultimo, il maggiore, divenne il capo della famiglia, dopo la morte del padre, avvenuta nel settembre del 1441, e il progressivo disimpegno della madre. Incaricata dal marito del regimen domus, che esercitò risiedendo nell’abitazione dei Cavalcanti ubicata nel Mercato Vecchio, nel centro della città, Valentinis negli anni Quaranta non trascurò di occuparsi degli affari di casa stipulando alcuni contratti di società per attività commerciali e artigianali, specialmente nel settore della drapperia, con altri cittadini udinesi. Ancora nel marzo del 1446 Valentinis, tramite il fratello Daniele, si rivolse al Comune di Udine per rimediare alla cattiva amministrazione domestica del figlio Carlo.
Ciò contrasta con le leggende agiografiche, che parlano di una plateale conversione avvenuta immediatamente dopo la morte del marito, quando si sarebbe tagliata i capelli e avrebbe proclamato di scegliere Cristo come sposo.
L’11 agosto 1446 Valentinis dettò il primo testamento, indicando la chiesa conventuale di S. Lucia, dei frati eremiti di s. Agostino, come luogo di sepoltura, e lasciando eredi universali i tre figli maschi. Il 16 settembre 1446 fece redigere l’inventario della casa del marito, per tutelare tutti gli eredi. È pensabile che in quel periodo abbia traslocato presso la sorella Profeta, rimasta vedova sul finire del 1446 e il cui marito fu sepolto nella tomba di frate Antonio da Milano, uno dei confessori della futura beata.
Il legame con gli agostiniani si scorge anche in una donazione del 18 aprile 1449, quando Valentinis, per la dillectio e la caritas verso il convento di S. Lucia, «ac etiam pro remissione peccatorum suorum», donò ai frati tre paramenti liturgici (Tilatti, 2011, p. 683). Lo stesso giorno compì una serie di lasciti a familiari e persone a lei legate da vincoli di amicizia e di affetto. Spicca la donazione alla sorella Profeta di tutti i suoi libri e devociones, con il vincolo che fossero poi destinati al convento degli eremiti.
Il 31 dicembre 1449 Valentinis dettò un altro testamento, dal quale si ha la certezza che abitava insieme con la sorella Profeta, nel borgo di Gemona estrinseco. Gli eredi universali erano Carlo e Speranzio. Antonino nel frattempo era morto. Il testamento era la premessa al pellegrinaggio penitenziale a Roma, in occasione del giubileo del 1450; la decisione fu condivisa con le sorelle Profeta e Daniela e il viaggio fu menzionato, sebbene di sfuggita, anche nelle leggende agiografiche. Il 7 agosto 1452 Valentinis stipulò il patto matrimoniale per la figlia più giovane, Lirina, sciogliendosi così da ogni residuo vincolo verso la famiglia biologica, a undici anni dalla scomparsa del coniuge.
Una donazione al convento degli eremiti di S. Agostino di Udine del 20 novembre 1452 la ricorda per la prima volta, insieme con Profeta, come terziaria (mantellata) agostiniana; successivamente fu sempre menzionata come tale. La tradizione agiografica riferisce che fu guidata a tale decisione dalla predicazione di frate Angelo da San Severino e la vuole come ‘fondatrice’ delle terziarie udinesi. Quest’ultima notizia è confermata da una sorta di matricola riportata in calce alla regola quattrocentesca delle mantellate, che la pone al primo posto.
C’è da interrogarsi sul grado di consapevolezza che Elena potesse avere della sua santità. In una singolare disposizione notarile, del febbraio del 1457, ella affermò di seguire da molto tempo la regola delle terziarie agostiniane e di aver vissuto una vitam satis bonam, ribadì quindi la volontà di essere sepolta nella chiesa di S. Lucia. Morì il 23 aprile 1458.
Le biografie descrivono un percorso di perfezione imperniato sulla devozione eucaristica, sulla penitenza e sull’ascesi indirizzata all’imitazione delle sofferenze di Cristo, ispirato anche dalla lettura di trattati spirituali come quelli di Domenico Cavalca e di Ugo Panciera. I testamenti confermano che Valentinis possedeva libri; nel 1449 la sorella Profeta le donò quendam librum sancti Augustini. Inoltre fu certamente assistita da padri spirituali agostiniani e domenicani, fra i quali il più celebre fu Leonardo Mattei da Udine.
Quanto narrato dagli agiografi riassume gli ultimi sei anni di vita di Valentinis. Tuttavia essi narrarono anche alcuni episodi precedenti, ma trasfigurati alla luce dell’esperienza finale: ne risultano obliterati tutti gli aspetti connessi con la vita secolare ed esaltati i tratti di una vocazione assimilata al modello monastico, che Valentinis nella realtà non pare aver mai vissuto nei termini degli stilemi agiografici (disprezzo del mondo, segregazione, rispetto assoluto dei voti solenni di povertà, castità, obbedienza...), né erano previsti dalla regola delle terziarie udinesi.
Simone da Roma (morto post 1465) fu il primo biografo della beata. Era un agostiniano, chiamato a Udine da Padova, dove studiava teologia, per redigerne la vita. Scrisse poco dopo la morte di Valentinis mentre ferveva la devotio popolare alimentata dai frati e si susseguivano episodi miracolosi, registrati da notai e trascritti in un libello cartaceo, ora perduto.
La Vita redatta da Simone si caratterizza per due elementi: in primo luogo, la scelta del volgare, in modo da raggiungere un pubblico ampio di laici, ignari del latino ma capaci di leggere, e, in seconda istanza, la certificazione notarile dell’autenticità delle notizie raccolte. Non erano scelte scontate e tradiscono il desiderio di diffondere la devozione. Non è escluso che ciò celasse l’intenzione di avviare una causa di canonizzazione, della quale però non resta traccia. Ciò non toglie che il filtro agiografico sia stato efficacemente applicato, per rendere la figura di Valentinis conforme alle visioni e aspirazioni dell’ordine degli eremiti di s. Agostino. I modelli di riferimento sono espliciti: alla vergine Maria e al Cristo sofferente si accostano s. Agostino, s. Monica, s. Nicola da Tolentino. Di s. Agostino, Valentins interpreta la conversione adulta verso il rifiuto delle mollezze della mondanità; di s. Monica veste l’abito e riproduce il profilo di una donna, madre e vedova, ma capace di ascendere alle vette della santità; con s. Nicola da Tolentino (canonizzato nel 1446) si salda il legame della fidelitas agostiniana all’eredità del vescovo di Ippona.
La leggenda di Simone è articolata in quindici capitoli. I primi due riguardano le nobili origini e la conversione di Valentinis, dopo la morte di Antonio. Le virtù e le prassi devote della beata occupano altrettanti capitoli: carità, penitenza, astinenza, preghiera, devozione eucaristica, povertà, rispetto del silenzio e dell’obbedienza. Quindi si narrano, con molti riferimenti a luoghi e personaggi reali della città quattrocentesca, le tentazioni perpetrate dal demonio, l’eroica pazienza di Valentinis, le dieci visioni con cui Dio la gratificò. Seguono cinque miracoli operati in vita. Intensa è la descrizione della morte santa, preceduta dalla definitiva separazione dagli affetti familiari, giacché non volle al proprio capezzale né i figli, né parenti. Chiudono la biografia le esequie e la sepoltura nella chiesa conventuale, con i relativi prodigi e guarigioni miracolose, toccati sia ai frati sia a persone della città.
La leggenda di Simone, al netto del miracoloso o meraviglioso, delineava una vita devota rigida e dura, ma imitabile da donne, come Valentinis, agiate, vedove o nubili in età avanzata. Occorreva aver coscienza della propria condizione precaria e convertirsi a una tertia militia sorvegliata da un ordine religioso. Non tutte potevano adire all’eroismo virtuoso di Valentinis, ma a tutte era offerta la possibilità di salvarsi. Ella impersonò questo modello per tutto il Quattrocento, il che spiega il successo del culto e le riscritture agiografiche. Simone da Roma fu infatti la fonte principale per altri tre agiografi: Giacomo da Udine (morto nel 1482), un canonico di Aquileia, l’agostiniano Giacomo Filippo Foresti da Bergamo (1434-1520) e Giovanni Garzoni da Bologna (1419-1505), medico e letterato.
Giacomo da Udine scrisse in latino e dedicò la Vita della beata a papa Paolo II (1464-71). Egli per la maggior parte estrasse le notizie biografiche da Simone, ma poté forse contare anche sui ricordi di Carlo Cavalcanti, che viene citato, e che sappiamo aver promosso il culto per la madre, commissionando un ciclo di affreschi che dovevano istoriare la cappella, oggi scomparsa, dove riposava.
I lineamenti della santa terziaria agostiniana furono ripresi e sottolineati da Foresti, che pubblicò nel 1497 la vita di Valentinis nel contesto di una più vasta raccolta di biografie di figure femminili illustri (De plurimis claris sele[c]tisque mulieribus), e da Garzoni, che fra il 1497 e il 1501 sviluppò in latino un testo volgare di Giovanni Paci, priore degli agostiniani bolognesi.
Dopo questa fiammata, la fortuna di Valentinis sembra declinare all’interno dell’ordine, eclissata dall’ascesa di s. Rita da Cascia. A Udine il centro della devozione rimase il convento di S. Lucia. Nel 1675 i Valentinis finanziarono il rifacimento della cappella, assumendone la cura. Fra il 1764 e il 1768 gli agostiniani intrapresero le pratiche per la beatificazione equipollente. Il processo restò incompiuto, forse per la soppressione veneta dei piccoli conventi. Ai frati subentrarono monache francescane (1772) e il corpo di Valentinis restò in S. Lucia sino al 1806, quando, a causa delle soppressioni napoleoniche, fu trasferito. Nel 1845 fu esposto nel duomo della città, dove si trova tuttora. L’occasione spinse i canonici a riprendere la causa di beatificazione. Il processo fu ultimato nel dicembre del 1846 e approvato dalla Congregazione dei riti il 23 settembre 1848. Pochi giorni dopo Pio IX approvò con un apposito decreto il culto ab immemorabili.
Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. Lat., 1223: Giacomo da Udine, Vita beatae Helenae Utinensis; Iacobi Philippi Bergomensis De plurimis claris sele[c]tisque mulieribus..., Ferrarie 1497, cc. CXLVIv-CXLVIIIv; Simone da Roma, Libro over legenda della beata Helena da Udene, a cura di A. Tilatti, Tavagnacco 1988.
G.B. Sertorio, Vita della beata Elena, Udine 1599; P.C. Suardo, Fiorito giardino in cui s’odorano le fragranze di candidissimi gigli di purità virginale, d’inmortali amaranti di fecondità coniugale, di palidette viole d’umiltà vedovile, di rose spinose di religiosa penitenza, nella vita miracolosa della beata E. V., Udine 1677; [A. Comoretto], Vita della beata E. V., terziaria dell’Ordine eremitano di sant’Agostino..., Udine 1760; L. Fabris, Vita della beata E. V. da Udine terziaria mantellata agostiniana..., Udine 1849; G. Biasutti, Profilo spirituale della beata E. V. (con cenni storici inediti). Nel V centenario della morte, Udine 1958; A. Tilatti, “Per man di notaro”: la beata E. V. da Udine tra documenti notarili e leggende agiografiche, in Cristianesimo nella storia, VIII (1987), 3, pp. 501-520; Id., La regola delle Terziarie agostiniane di Udine (sec. XV), in Analecta Augustiniana, LIV (1991), pp. 63-79; P. Sist, E. V. da Udine (1396-1458). Le agiografie di una beata agostiniana, ibid., LXVI (2003), pp. 91-176 (con l’edizione della vita di Garzoni: pp. 141-152); A. Knowles Frazier, Possible lives. Authors and saints in Renaissance Italy, New York-Chichester 2005, pp. 42, 188 s., 227, 229-235, 240, 244-252, 256-258, 404 s., 418 s., 451; A. Tilatti, V. E. (Elena de’ Cavalcanti), beata, in Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei Friulani, II, L’età veneta, a cura di C. Scalon - C. Griggio - U. Rozzo, Udine 2009, pp. 2542-2548; Id., “Et ego... presens fui...” Carte di notai per Elena da Udine, la beata, in Scritti di storia medievale offerti a Maria Consiglia De Matteis, a cura di B. Pio, Spoleto 2011, pp. 675-693.