RASPUTIN, Valentin Grigor'evič
Scrittore russo, nato a Ust'-Uda (Irkutsk) il 15 marzo 1937. Trascorsa l'infanzia e la prima giovinezza nel villaggio di Atalanka, sulla riva del fiume Angarà, R. se ne allontanò per la prima volta nel 1955 per iscriversi alla facoltà di Lettere dell'università di Irkutsk. Qui avviò la collaborazione con giornali locali e con la televisione (1958), per poi intraprendere, divenuto corrispondente di due giornali di Krasnojarsk, lunghi vagabondaggi per la Siberia. Nel 1961 pubblicò il suo primo racconto, Ja zabyl sprosit' u Leški ("Ho dimenticato di chiedere a Leška"). Gli scritti di questi anni, pubblicati nel 1966 in due raccolte (Kraj vozle samogo neba, "Il paese vicino al cielo", e Kostrovye novych gorodov, "I falò delle nuove città"), dedicati per lo più agli aspetti esotici della vita siberiana o all'entusiasmo dei pionieri dipinti in chiave romantica, non rivelano ancora la nascita di un nuovo scrittore. Verso la metà degli anni Sessanta un racconto, Vasilij i Vasilisa (1966, "Vasilij e Vasilisa"), apre una nuova fase della sua opera.
Vasilij, un uomo non cattivo, che ubriaco arriva a minacciare la moglie incinta con un'accetta; Petr, il figlio maggiore, che non vuole rinunciare allo stipendio del kolchoz per seguire e aiutare il padre nella tajga; Vasilisa, la moglie, che per tutta la vita vieta al marito l'accesso all'izba, ma sa consolarlo e fargli forza nel momento della morte, sono già personaggi tipicamente rasputiniani, capostipiti di intere generazioni di loro simili. È nell'anno successivo, il 1967, che il racconto Den'gi dlja Marii (trad. it., I soldi per Maria, 1988) attira su R. l'attenzione della critica. Il racconto è costruito secondo lo schema prediletto dallo scrittore: una catastrofe annunciata (qui il momento in cui Maria, commessa nello spaccio del paese, dovrà restituire mille rubli di un ammanco di cassa o essere arrestata) getta luce sulla consistenza etica dei personaggi, dando adito a considerazioni poco liete sulla decadenza morale di chi rinneghi, o sogni di farlo, le proprie origini: le radici contadine, il rispetto della natura, l'esperienza del lavoro manuale svolto in comune, assicurano all'uomo una serena saggezza, cui corrisponde il nulla dei neo inurbati, degli stipendiati, dei baraccati di villaggi-cantiere sorti dall'oggi al domani. Così in Poslednyj srok (1970; trad. it., L'ultimo termine, 1975) l'evidente approssimarsi della morte della madre riunisce nell'izba i figli, lontani da anni, indifferenti a tutto, ignari di quel profondo senso di ''appartenenza'' al mondo, alla vita, che dà armonia e solidità spirituale alla vecchia contadina.
Alla metà degli anni Settanta R. è scrittore affermato, redattore della rivista Naš Sovremennik, esponente di rilievo, con V.P. Astaf'ev e V.I. Belov, della nuova corrente di prosa ''campagnola'', con la sua predilezione per i generi brevi, eventualmente cicli di narrazioni, e per un linguaggio molto vicino al parlato delle campagne. Caratterizzano le sue opere toni di particolare drammaticità: in Živi i pomni (1975; trad. it., Vivi e ricorda, 1986) un disertore ritorna al villaggio natio, sulle rive dell'Angarà, ponendo la giovane moglie di fronte all'irrisolvibile contrasto tra vincoli coniugali e legami sociali: al termine, come sempre in R. incombente (qui il momento in cui sarà evidente la gravidanza della protagonista), la giovane si butterà nell'Angarà, incapace di risolvere il conflitto. In Proščanie s Matëroj (1976; trad. it., Il villaggio sommerso, 1980), forse l'opera di R. più matura, un villaggio sulle rive dell'Angarà, Matëra appunto, dev'essere abbandonato entro la metà di settembre, quando le acque di un lago artificiale lo cancelleranno dalla faccia della terra.
Nei giorni tristi e febbrili che precedono quella data vecchi e giovani, fautori del nuovo e custodi della tradizione, si fronteggiano in uno scontro dalle tinte sfumate, in cui al dolore per la perdita si accompagna il dubbio sulla sua ineluttabilità. I colori si fanno più accesi e quasi pubblicistici nelle ultime opere di R., in cui la difesa della cultura contadina "autenticamente russa", la preoccupazione ecologica per lo sfruttamento indiscriminato della natura, il rimpianto di un mondo di valori arcaici, in cui l'uomo sudava e rispettava il proprio pane, si carica di toni rusiti in una neo slavofilia di chiara impronta nazionalista, rabbiosamente antioccidentale. Così in Požar (1985, "L'incendio") ritroviamo gli evacuati di Matëra in un villaggio nuovo, prefabbricato, dove le case tutte uguali ospitano esseri amorfi che non arano e non seminano, ma abbattono in modo scriteriato il bosco, attenti solo a realizzare un piano fissato da chissà chi. Un incendio improvviso, lungi dal risvegliare solidarietà, dà modo a questi ''uomini nuovi'' di saccheggiare case e negozi: quando il bene e il male si confondono, ci dice R., trionfa la legge ferina del più forte.
Bibl.: V.N. Sapošnikov, Valentin Rasputin, Novosibirsk 1978; R. Oliva, Valentin Rasputin, un classico siberiano, in Rassegna Sovietica, 6 (1983); W. Kasack, Lexicon der russischen Literatur ab 1917, Monaco 1986.