MAGNANI, Valdo
Nacque a Reggio nell'Emilia il 17 nov. 1912 da Giovanni, gestore di un'officina per auto e seguace del deputato socialista C. Prampolini, e da Severina Iotti. Nel 1930, conseguito il diploma in ragioneria presso l'istituto Angelo Secchi, entrò a far parte della giunta diocesana dell'Azione cattolica e assunse la presidenza del Circolo culturale cattolico del duomo. L'anno seguente s'iscrisse alla facoltà di economia e commercio dell'Università di Bologna, conseguendo la laurea nel 1935. Aveva intanto acquisito il diploma di maturità che gli permise di accedere nel 1936 anche alla facoltà di filosofia, da dove uscì laureato nel 1941. Sempre nel 1936 il M. decise di aderire a un gruppo clandestino formato da intellettuali comunisti, tra i quali G. Degani e A. Negri. Chiamato alle armi nel maggio 1940, venne inviato, con il grado di sottotenente di artiglieria, nella Venezia Giulia e sulla costa dalmata. Promosso capitano nel 1942, dopo l'8 sett. 1943 si schierò con la Resistenza iugoslava, combattendo come commissario politico nella divisione d'assalto Garibaldi, composta da italiani, che operò in Erzegovina.
Rientrato in Italia nel 1945, fu incaricato dal governo di coordinare i lavori di una commissione per il riconoscimento dei partigiani italiani che avevano combattuto all'estero.
Nominato presidente dell'Associazione nazionale combattenti e reduci di Reggio Emilia, nell'aprile 1946 fu decorato con la medaglia di bronzo al valor militare e l'anno dopo ottenne un analogo riconoscimento da parte della Repubblica federativa socialista di Iugoslavia.
Nello stesso tempo il M. percorreva una rapida carriera in seno agli organi dirigenti del Partito comunista italiano (PCI) reggiano: cooptato nel giugno 1946 nel comitato federale, entrò a far parte della segreteria con l'incarico di responsabile della stampa e propaganda e nell'aprile 1947 divenne segretario della federazione comunista locale.
Eletto alla Camera dei deputati il 18 apr. 1948, nel corso della prima legislatura repubblicana il M. intervenne più volte a tutela dei lavoratori reggiani e su rilevanti questioni di politica interna e internazionale. Il 19 genn. 1951, al termine della relazione che, come segretario federale, aveva presentato al VII congresso del PCI reggiano, "a titolo del tutto personale, come semplice compagno" (Dichiarazioni, p. 9) pronunciò un intervento destinato a suscitare clamore dentro e fuori il partito.
Il M. cominciò con l'ascrivere all'impossibilità di un libero confronto la scarsa partecipazione dei militanti al dibattito politico: "La linea del partito è accettata meccanicamente, non si osa fare obiezioni, che restano però nella mente, e l'unità diventa superficiale [(]. Il fatto è che è assai più facile che due o tre compagni, parlando insieme, esprimano delle perplessità o addirittura delle opinioni contrarie a quelle ufficialmente affermate piuttosto che tali perplessità e opinioni vengano dibattute in seno al partito [(]. Si attua così un modo caporalesco di direzione e un'atmosfera che oscilla tra l'entusiasmo di massa [(] e l'intimidazione sul singolo nella vita interna di partito". Il M. sostenne poi che in seno al partito era diffusa e tollerata l'opinione, secondo la quale la campagna per la pace era soltanto una copertura, mentre ai fini dell'avanzamento della rivoluzione in Italia si riteneva inevitabile ricorrere all'intervento armato dell'Unione Sovietica e dei Paesi socialisti. Una tale posizione, secondo il M., sottovalutava le forze e le capacità della classe operaia italiana, facendo affidamento sulle "baionette straniere" piuttosto che sullo sviluppo dialettico della lotta di classe in Italia. Si trattava inoltre di un errore politico che avrebbe reso il PCI estraneo alla vita nazionale e impedito una strategia di alleanze. Pertanto i comunisti italiani dovevano affermare non solo che la loro rivoluzione non sarebbe mai venuta grazie all'intervento di un esercito straniero, ma che avrebbero difeso il territorio nazionale da qualsiasi invasione.
Le affermazioni del M. e il conseguente ordine del giorno, da lui presentato all'approvazione dei delegati, suscitarono l'immediata reazione del congresso, essendo subito chiaro che a essere in discussione era uno dei capisaldi della linea del PCI, vale a dire la fedeltà all'Unione Sovietica, che, in quanto "patria dei lavoratori" doveva prevalere sull'interesse nazionale. Resosi conto dell'impossibilità di una libera discussione, il M. ammise di aver compiuto un errore di metodo e ritirò il suo documento.
Sulla base di questa parziale autocritica venne rieletto nel comitato federale e compreso tra i delegati al VII congresso nazionale, ma la sua riconferma ai vertici del PCI reggiano fu rinviata a dopo l'incontro che avrebbe dovuto avere a Roma con la direzione del partito. Il 25 gennaio il M. annunciò tuttavia le proprie dimissioni dal PCI e dalla Camera, imitato, con le stesse motivazioni, dal deputato comunista bolognese A. Cucchi.
Il PCI emanò un comunicato in cui i due dissidenti erano presentati come "rinnegati senza principi, nemici della classe operaia e del partito, strumento dei nemici del comunismo, dell'Unione Sovietica e di tutti gli onesti difensori della pace, della libertà e dell'indipendenza del nostro paese" (Partito comunista italiano, Due agenti, p. 7).
Non era che l'inizio di una martellante campagna diffamatoria nei confronti di Cucchi e del M., formalmente espulsi dal PCI il 2 febbraio e spregiativamente ribattezzati "magnacucchi". P. Togliatti, che aveva più volte avuto ospite il M., essendo questi cugino e amico della sua compagna Nilde Iotti, li definì "due pidocchi" nascosti nella criniera di un nobile cavallo. Il leader comunista sembrava così alludere al ruolo di agenti infiltrati nel PCI, che Cucchi e il M. avrebbero svolto per conto di Tito. Tale accusa, formulata per primo da P. Nenni, fatta propria e rilanciata dal PCI, faceva leva sul particolare rapporto che legava il M. alla Iugoslavia.
Il M. aveva vissuto con grande disagio l'allineamento del PCI alla condanna del titoismo e all'espulsione della Iugoslavia dal Cominform, volute da Stalin; tuttavia non aveva lasciato trasparire alcun dissenso dalla linea del partito, limitandosi a mostrare scarso fervore nella campagna "anti-titina".
Dopo che, il 30 genn. 1951, la Camera aveva respinto le loro dimissioni, Cucchi e il M. cominciarono a muoversi sul piano dell'organizzazione politica. Il 10 febbraio annunciarono la nascita del Comitato per l'unità e l'indipendenza del movimento operaio e il 29 marzo lanciarono il manifesto di fondazione del Movimento dei lavoratori italiani (MLI), che il 16 giugno si dotò di un proprio organo di stampa, il settimanale Risorgimento socialista.
Lo scopo dichiarato del movimento era quello di liberare la coscienza socialista dall'asservimento alle centrali estere, rivolgendosi in primo luogo alle forze sparse della sinistra non socialdemocratica e antistalinista.
Il MLI era sostenuto finanziariamente dalla Iugoslavia e contava circa 2000 aderenti, ma alle elezioni amministrative del 1952, presentatosi con le liste di Socialismo indipendente, raccolse appena 30.000 voti. Constatata la difficoltà di far breccia nell'elettorato del PCI e del Partito socialista italiano (PSI), nel marzo 1953 il MLI decise di dar vita, insieme con altri piccoli raggruppamenti politici, come il Partito cristiano-sociale di G. Bruni, i gruppi socialisti e socialdemocratici di E. Bellitti e di G. Pera, all'Unione socialista indipendente (USI). Neanche questa nuova aggregazione era destinata a durare.
I 225.000 voti raccolti alle elezioni politiche del 7 giugno, ancorché decisivi per sconfiggere il tentativo d'introdurre la legge maggioritaria, si rivelarono insufficienti a garantire la sopravvivenza dell'USI, rimasta peraltro senza un proprio rappresentante in Parlamento.
Le prospettive aperte dalla crisi del centrismo incoraggiarono la politica autonomista del PSI e la confluenza in questo partito di molti esponenti di Unità popolare e dell'USI. Questa scelta fu avversata da Cucchi, che decise di entrare nel PSDI di G. Saragat, e compiuta dal M. soltanto nel 1957, dopo vani tentativi di essere riammesso nel PCI.
Cooptato nel comitato centrale del PSI, il M. intervenne dalle pagine di Mondo operaio e di Problemi del socialismo nel serrato dibattito che fin dal 1959 si venne svolgendo sul programma del partito in vista di una sua partecipazione al governo.
Il M. riaffermò il carattere marxista del PSI, sostenendo la necessità di un programma che esprimesse una posizione alternativa rispetto all'oligarchia dominante in Italia. Le sue posizioni risultarono minoritarie, facendolo sentire sempre più a disagio nel partito avviato alla collaborazione con la Democrazia cristiana (DC).
Nel 1961 il M. chiese nuovamente di essere riammesso nel PCI ma, nonostante fosse cambiata la posizione di questo partito nei confronti della Iugoslavia, riscontrò il permanere di antiche diffidenze. Soltanto nell'aprile del 1962 il comitato centrale comunista ratificò la sua riammissione.
Il M. lavorò alla sezione economica del partito, senza tuttavia ricoprire cariche politiche né elettive, fino a che non gli fu offerta l'opportunità di impegnarsi nel movimento cooperativo, dove in poco tempo riuscì a conquistare posizioni di prestigio.
Nel 1964 entrò nel comitato esecutivo dell'Associazione nazionale delle cooperative agricole, di cui, l'anno successivo, divenne presidente. Nel gennaio 1978 assunse la presidenza della Lega nazionale delle cooperative e mutue, che mantenne fino al febbraio 1979. Fu quindi presidente dell'Istituto di studi cooperativi Luigi Luzzatti.
Il M. morì a Roma il 3 febbr. 1982.
Tra gli scritti del M.: Una politica socialista per gli Italiani: discorso pronunciato alla Camera dei deputati nella seduta dell'8 ag. 1951, Roma [1951]; Dichiarazioni e documenti, Bologna [1951], in collab. con A. Cucchi; Crisi di una generazione, Firenze 1952 (in collab. con A. Cucchi; nuova ed., con introduzione di M. Flores, Roma 1995); Dieci anni perduti. Cronache del Partito socialista italiano dal 1943 a oggi (con lo pseudonimo di P. Emiliani), Pisa 1953 (nuova ed., con saggio critico e biografia a cura di F. Boiardi, Bologna 1989).
Fonti e Bibl.: Bologna, Arch. dell'Istituto Gramsci Emilia-Romagna, Carte Valdo Magnani 1943-1982; Partito comunista italiano, Due agenti dell'imperialismo. Documenti ufficiali delle organizzazioni del PCI sull'espulsione di M. e Cucchi, s.l né d. [ma 1951]; Chi sono i magnacucchi, Bologna 1953; G. Mammarella, Il Partito comunista italiano dalla Liberazione al compromesso storico, Firenze 1975, ad ind.; G. Galli, Storia del Partito comunista italiano, Milano 1976, ad ind.; L. Mercuri, Il movimento di Unità popolare, Roma 1978, ad ind.; G.C. Pajetta, Le crisi che ho vissuto. Budapest, Praga, Varsavia, Roma 1982, p. 42; F. De Martino, Un'epoca del socialismo, Firenze 1983, ad ind.; G. Zaccaria, La destalinizzazione a Reggio Emilia. Dal dissenso di V. M. alla via italiana al socialismo, Reggio Emilia 1984; F. Boiardi, V. M.: dieci anni perduti, Bologna 1989; Id., V. M., in Il Parlamento italiano. Storia parlamentare e politica dell'Italia 1861-1988, XV, De Gasperi e la scelta occidentale 1948-1949, Milano 1991, pp. 491-493, 543; F. Magnani, Una famiglia italiana, Milano 1991; I magnacucchi. V. M. e la ricerca di una sinistra autonoma e democratica, a cura di G. Boccolari - L. Casali, Milano 1991; P. Di Loreto, La difficile transizione. Dalla fine del centrismo al centro sinistra 1953-1960, Bologna 1993, ad ind.; A. Roveri, Il socialismo tradito. La sinistra italiana negli anni della guerra fredda, Firenze 1995, ad ind.; G. Caredda, Governo e opposizione nell'Italia del dopoguerra, Roma-Bari 1995, ad ind.; A. Agosti, Palmiro Togliatti, Torino 1996, ad ind.; N. Caiti - R. Guarnieri, La memoria dei "rossi". Fascismo, Resistenza e ricostruzione a Reggio Emilia, Roma 1996, pp. 647-672; R. Zangheri - G. Galasso - V. Castronovo, Storia del movimento cooperativo in Italia 1886-1996, Torino 1997, ad ind.; G. Gozzini - R. Martinelli, Storia del Partito comunista italiano, VII, Dall'attentato a Togliatti all'VIII congresso, Torino 1998, ad ind.; Chi è? 1957, s.v.; Diz. della Resistenza (Einaudi), II, Torino 2001, sub voce.