valdesi
Membri del movimento religioso che trae origine nel sec. 12° dall’attività del mercante lionese Valdo. Il movimento valdese non ha alle origini alcun atteggiamento esplicito di rivolta contro la Chiesa costituita, né si propone la fondazione di una setta o Chiesa od ordine: è un movimento laico di liberi predicatori che intende portare la parola di Gesù a diretto contatto delle classi più umili e più povere. Come tanti altri movimenti contemporanei, il movimento valdese primitivo vuol essere prima di tutto rinuncia totale a ogni ricchezza attraverso il voto di povertà. Ciò che costituisce il tratto distintivo del valdismo originario di fronte al francescanesimo è l’insistere sul diritto alla predicazione per i laici. Ed è questo il carattere destinato a sviluppare i germi antiecclesiastici impliciti nel movimento, fino a fargli assumere quell’atteggiamento polemico contro le istituzioni della Chiesa che ha portato il valdismo a contatto con le grandi correnti dell’eresia medievale dominate dal catarismo (➔ ), con il quale il movimento valdese non ha alcuna sostanziale affinità. Infatti, durante i secc. 13° e 14° il valdismo mantenne intatto il suo carattere di movimento evangelico e rifiutò ogni sistema filosofico-teologico, mostrando anzi una singolare ripugnanza a ogni innovazione di carattere dommatico. Muovendo da una libera interpretazione del Vangelo, il valdismo diffonde nel popolo precetti di morale pratica, positiva, e prospetta come esempio da seguire la vita degli apostoli. Proclamando l’uguaglianza di tutti i fedeli nell’ambito della Chiesa e il sacerdozio universale fondato unicamente sul merito individuale (retaggio di tutti, uomini e donne), e non sopra una consacrazione esteriore (retaggio di una classe privilegiata), spezza alle basi la ragion d’essere della gerarchia ecclesiastica e della Chiesa stessa. Movimento laico e popolare (i v. erano quasi tutti contadini e artigiani), dava con ciò un colpo potente alla stessa organizzazione gerarchica della società del tempo, strettamente legata alla Chiesa, e rivelava tutto il suo carattere rivoluzionario. I v. conoscevano a perfezione la Bibbia; predicavano la povertà e l’astensione dal lavoro; vivevano d’elemosina; rifiutavano i sacramenti impartiti dagli ecclesiastici; praticavano la confessione l’un con l’altro; negavano la transustanziazione e la validità della Messa; rifiutavano il culto dei santi e dei morti; non ammettevano la comunione dei santi, né il Purgatorio. Condannavano come illeciti la menzogna, il giuramento e ogni forma di giudizio. Praticavano la continenza, non in odio alla materia creata, ma per desiderio di perfezione. Uniti in comunità di carattere fraterno, non sembra abbiano conosciuto (almeno fino a tutto il sec. 14°) una forma precisa e definita di vera e propria organizzazione ecclesiastica. La condanna ecclesiastica non impedì il rapido diffondersi del movimento in Lombardia, nel Delfinato, nella Provenza, in Alsazia, in Lorena, in Svizzera, in Germania e nella Spagna. Nel sec. 13° la propaganda v. si estese fin nell’Ungheria, in Polonia, in Boemia, dove anzi, secondo dati leggendari, si sarebbe recato e sarebbe morto (1217) lo stesso Valdo. Perseguitati accanitamente – specialmente durante la famosa crociata bandita da Innocenzo III –, i v., dopo due secoli e mezzo, erano praticamente scomparsi dall’Austria, Germania, Francia, Spagna. Più a lungo resistettero in Boemia, dove nuclei di v. che sussistevano ancora verso la metà del sec. 15° si fusero con gli hussiti per opera specialmente di F. Reiser. Dei gruppi italiani, oltre quelli piemontesi e lombardi, va ricordato quello che si stabilì (primi del sec. 14°) in Calabria. Ma il gruppo di v. destinato a sussistere e a mantenersi intatto attraverso i secoli fu quello che si venne raccogliendo, fin dal sec. 13°, in alcune valli delle Alpi Cozie (Val Queiras, Valluisa, Valle Argentiera, Val Freissinière, dalla parte della Francia; Val Pragelato, Val Perosa, Val S. Martino, Valle Pellice o di Luserna, con la valle laterale di Angrogna, dalla parte del Piemonte). Questi nuclei di v. furono da principio bene accolti dai signori locali, specialmente dai conti di Luserna, ma già fin dal 1220 si andò creando una situazione di ostilità aggravatasi nei secoli successivi, che culminò nelle famose persecuzioni del 1370-78 (ordinata, questa, da Gregorio XI e condotta dal francescano Francesco Borelli) e del 1487, ordinata da Innocenzo VIII e guidata dall’arcidiacono Alberto Cattaneo. In questo periodo, anteriore all’adesione dei v. alla Riforma, non si può parlare di vere e proprie comunità di v. nelle valli. Solo con l’adesione alla Riforma il movimento valdese acquistò una vera e propria autonomia di fronte alla Chiesa romana. I primi contatti dei v. con la Riforma risalgono al 1526, ma l’adesione formale a essa fu decisa nel sinodo di Chanforan presso Angrogna, al quale parteciparono (12 sett. 1532) tutti i ministri valdesi, detti «barba», delle valli, delle comunità dei v. di Puglia e di Calabria e i tre riformatori svizzeri G. Farel, A. Saunier e P. Robert detto l’Olivetano. La questione più importante fu l’istituzione di un culto pubblico. Fu altresì bandita ogni forma di simulazione e di compromesso riguardo alla partecipazione dei v. alle cerimonie del culto cattolico, e fu infine accettata una formula di fede che implicava l’adesione dei v. alle idee dei riformatori svizzeri sui seguenti punti: la predestinazione, le opere buone, il giuramento, la confessione fatta a Dio soltanto, il riposo domenicale, il digiuno non obbligatorio, il matrimonio lecito anche ai barba, infine due soli sacramenti: battesimo ed eucarestia. La formula ripudiava la vendetta, ammetteva la liceità della professione di magistrato, ammetteva che non ogni usura è proibita da Dio. Due barba del Delfinato, Daniele di Valenza e Giovanni di Molines, raccolsero intorno a sé un gruppo dissidente e cercarono appoggi anche in Boemia, ma il sinodo di Praly, nell’ag. del 1533, confermò le decisioni di Chanforan. Il culto pubblico fu inaugurato nella valle d’Angrogna nel 1555. L’organizzazione ecclesiastica seguiva nelle sue grandi linee quella delle chiese riformate svizzere. Ma l’adesione dei v. alla Riforma segnò l’inizio di lunghe persecuzioni che, salvo brevi interruzioni, durarono due secoli, le cui tappe fondamentali furono: il massacro che, nel giugno 1561, condusse alla completa distruzione delle comunità in Calabria; la capitolazione del 5 giugno 1561 firmata a Cavour, con la quale Emanuele Filiberto, duca di Savoia, concedeva la tolleranza del culto valdese con limitazioni determinate riguardo ai luoghi; i massacri (le cosiddette Pasque piemontesi) perpetrati nell’apr. del 1655 dalle truppe di Vittorio Amedeo I di Savoia, ai quali seguì l’emanazione delle «patenti di grazia» (Pinerolo, 18 ag. 1655); la politica, infine, verso i v. seguita da Vittorio Amedeo II, che può essere divisa in due periodi, uno di netta repressione (espulsione dei v. dalle Valli, 1686, e loro emigrazione in Svizzera, Brandeburgo, Palatinato, Württemberg, fino al «glorioso ritorno», 16-17 ag. 1689), l’altro di appoggio (editto di tolleranza del 23 maggio 1694), che corrispondono e sono in funzione della diversa politica seguita dal duca sabaudo nei riguardi della monarchia francese. Va ricordata, in questi anni, l’emanazione della confessione di fede cd. del 1655 – ma probabilmente anteriore – che è tuttora, con l’aggiunta di un Atto dichiarativo approvato dal sinodo valdese del 1894, la confessione di fede vigente nella Chiesa valdese, confessione d’impronta rigidamente calvinista e modellata sulla Confessione gallicana delle chiese riformate in Francia. La definitiva emancipazione dei v., propugnata tra gli altri da V. Gioberti e da R. d’Azeglio, fu sancita da Carlo Alberto con l’editto del 17 febbr. 1848 (pubblicato il 25). La situazione fatta ai v. dallo Statuto del regno e dalla l. 24 giugno 1929 sui culti ammessi non differiva dalla situazione fatta in Italia a tutti gli altri culti non cattolici: tale situazione è passata nella vigente Costituzione.