Vaisesika
Tradizione filosofica indiana fondata sui Vaiśeṣikasūtra (probabilmente precedenti al 1° sec. d.C.) attribuiti al saggio Kaṇāda. Il più antico trattato successivo pervenuto è quello di Praśastapāda (6° sec.), il Padārthadharmasaṅgraha, ispirato ai Vaiśeṣikasūtra e a sua volta commentato da importanti autori successivi come Vyomaśiva e Śrīdhara (10° sec.). Tra le più influenti opere V. ci sono anche la Kiraṇāvalī di Udāyana (11° sec.), anch’essa un commento del Padārthadharmasaṅgraha, e la Nyāyalīlāvatī di Vallabha (12° sec.), un trattato indipendente. Un’altra opera degna di nota è il Daśapadārthaśāstra di Candramati (5° sec.), una versione modificata del sistema di Kaṇāda. Il V. si presenta già dagli albori come complementare al Nyāya (➔), del quale tende ad assorbire i dettami epistemologici e al quale trasmette idee metafisiche e ontologiche. La principale preoccupazione del V., infatti, è l’indagine del mondo alla ricerca delle categorie (padārtha) (➔ prameya) primarie della realtà, che è concepita come indipendente dall’esperienza soggettiva. Nella formulazione di Kaṇāda, esistono sei categorie: sostanza, qualità, movimento, generalità, specificità e inerenza. A queste se ne aggiungerà più tardi una settima, cioè assenza, con l’implicazione che le prime sei sono invece forme di presenza. L’inclusione dell’assenza nella lista delle categorie primarie avviene nel periodo di Śrīdhara e Udayana, benché fosse già compresa come categoria indipendente nel sistema in dieci categorie di Candramati. Tali categorie, a loro volta suddivise in sottocategorie, sono derivate da constatazioni empiriche o ragionamenti inferenziali e sono intese in senso estensionale e realista. Il V. identifica nove tipi di sostanza, cinque materiali e capaci di moto (terra, aria, fuoco, acqua e manas) (➔ puruṣa), e quattro immateriali e onnipervadenti (tempo, spazio, etere e ātman, il sé). La seconda categoria, la qualità, comprende colore, sapore, odore, tatto, numero, dimensione, separazione, contatto, disgiunzione, lontananza, prossimità, peso, fluidità, viscosità, suono, conoscenza, piacere, dolore, attrazione, avversione, sforzo, merito, demerito, attitudine disposizionale. Di queste 24, però, Kaṇāda ne elenca solo 17 e autori più tardi, come Raghunātha Śiromaṇi (➔), presentano dubbi sulla congruità della lista e della qualità come categoria indipendente. La terza categoria, il movimento, non è accettata come categoria indipendente da alcuni autori, tra cui Bhāsarvajña, che ritengono più logica una sua inclusione tra le qualità in quanto come queste anche il moto inerisce a una sostanza; il dibattito sulla natura sui generis del moto verte soprattutto sulla scansione dei momenti elementari di un dato movimento, che se inteso come temporalmente statico può essere assimilato alla qualità, mentre se concepito come composto da una serie di momenti, acquisirebbe uno status separato da essa. La quarta categoria, generalità, e la quinta, specificità, nel primo V. erano probabilmente intese come concetti relativi di genere e specie. In seguito, però, la generalità finirà per denotare gli universali, considerati reali, indipendenti e permanenti (➔ universali, teorie indiane degli); come la generalità anche la specificità (viśeṣa, da cui il termine V.), diventa concetto da relativo ad assoluto, inteso come la specificità ultima che permette di distinguere l’individualità di ogni sostanza, fino al livello atomico. La sesta categoria, inerenza, è alla base della teoria delle relazioni di Nyāya e V.; l’inerenza è definita da Praśastapāda come la relazione tra due entità inseparabili (ayutasiddha) e invariabilmente compresenti, e spiega la relazione con la sostanza delle categorie qualità, moto, generalità e particolarità, oltre alla relazione della generalità con qualità e movimento. La settima categoria, l’assenza, è secondo la maggior parte degli autori di quattro tipi: assenza antecedente all’origine di un’entità; assenza posteriore alla distruzione di un’entità; assenza reciproca tra due entità; assenza assoluta nel passato, presente e futuro. Ogni assenza, per es. l’assenza di un vaso sul tappeto, ha necessariamente un «contropositivo» (pratiyogin) realmente esistente, il vaso, e un sostrato, il tappeto. Quindi non si potrà parlare, in senso tecnico, di «assenza del figlio di una madre sterile», a causa dell’incongruenza tra contropositivo e sostrato (➔ anche Navyanyāya).