vaiolo
Malattia infettiva acuta, contagiosa ed epidemica, di natura virale, caratterizzata da un tipico esantema vescicolo-pustoloso. Il vaiolo umano e quello dei diversi animali sono provocati da virus distinti ma appartenenti alla stessa famiglia (Orthopoxvirus). L’infezione riveste carattere ora minaccioso, ora mite, a seconda del virus: il Variola major è quello con maggior mortalità, mentre il V. minor, ha una mortalità di ca. l’1%. Il contagio avviene per contatto diretto, e successivamente ha un periodo di incubazione di 1÷2 settimane, durante il quale il virus si moltiplica nei linfonodi, nel midollo osseo, nella milza, nel fegato e nei reni. Nei primissimi giorni in cui si manifesta la malattia, si hanno sintomi di tipo febbrile, con mialgie, nausee ed emicranie, per poi evolvere nell’eruzione di esantemi e pustole dovute alla morte delle cellule epiteliali. Il virus si replica nel citoplasma delle cellule infette: ciò impedisce alle cellule di sintetizzare le proteine per il loro normale funzionamento, portandole alla morte. Il virus produce, inoltre, anche proteine che attaccano le cellule del sistema immunitario, distruggendole. Il vaiolo è stato uno dei morbi più devastanti nella storia dell’uomo (in ca. 13 secoli ha ucciso più di un miliardo di persone), anche se non si è sviluppato in forma epidemica fino al formarsi di popolazioni relativamente numerose. Nelle piccole popolazioni, infatti, la malattia scompare quando tutti gli individui contagiabili sono stati infettati e hanno di conseguenza sviluppato l’immunità verso di essa. In Cina la malattia è stata rilevata fin dal 1122 a.C., mentre nel mondo occidentale la prima descrizione accurata del vaiolo risale al 930 d.C. e si deve al medico arabo al-Rāzī. Nel 1518 la malattia fece la sua prima comparsa nel Nuovo Mondo fra gli abitanti dell’isola di Hispaniola, decimandone la popolazione in pochi anni. La medicina era impotente; tuttavia, si sapeva che il morbo non si prendeva mai due volte. Avendo notato che molti degli schiavi provenienti dall’Oriente che avevano sul viso i segni della malattia ne erano immuni, si poteva tentare di provocare artificialmente la malattia in forma benigna, sperando così di proteggere un soggetto sano da ulteriori contaminazioni. L’introduzione della pratica, nota da secoli in Persia e in India, trovò forti resistenze in Occidente, anche se esistono testimonianze del suo uso sporadico in Spagna, dove sembra essere stata introdotta dagli arabi. Tradizionalmente il merito di aver diffuso il metodo in Inghilterra è attribuito a Mary W. Montagu, moglie dell’ambasciatore inglese a Costantinopoli. Nonostante la pratica dell’inoculazione si fosse diffusa in tutta Europa nel Settecento, per molti anni continuarono le controversie sulla sua utilità e soprattutto sull’innocuità del procedimento. Un nuovo capitolo della lotta al vaiolo è rappresentato dalla vaccinazione, scoperta dal medico inglese Edward Jenner. Jenner iniziò nel 1778 i propri studi sulla relazione tra la malattia vaccina e il vaiolo che colpiva gli uomini. Notò soprattutto che le persone infettate dal vaiolo vaccino resistevano anche all’inoculazione, il che faceva ipotizzare che fossero protette dalla malattia. Tuttavia, soltanto nel 1796 Jenner si decise a sperimentare la sua ipotesi. Prelevò del pus dalla mano di una giovane mungitrice e lo trasmise su un bambino sano di 8 anni, che non era stato mai inoculato. Dopo successive inoculazioni, con pus proveniente da una pustola infetta, il bambino rimase immune. Il procedimento di Jenner ebbe successo e si diffuse in Europa abbastanza velocemente, anche se con il tempo vennero rilevati alcuni inconvenienti, come la perdita progressiva dell’efficacia del vaccino umano. Nel 1967, la malattia ancora causava quasi quindici milioni di ammalati ogni anno, ma in poco più di dieci anni la malattia è stata dichiarata eradicata (1980), grazie a una campagna internazionale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il virus è tuttavia ancora conservato in alcuni laboratori degli Stati Uniti e dei Paesi dell’ex-Unione Sovietica: ciò rappresenta un potenziale rischio terroristico, e da più parti negli ultimi anni si è richiesto che anche questi ceppi vengano distrutti. (*)
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