Vacaspati Misra
Filosofo indiano (la sua acme si colloca nel 850, o secondo altri tra il 900 e il 980). Aderente alla scuola dell’Advaita Vedānta, inaugura la tendenza di questa scuola a includere in sé tutte le altre (➔ Mādhava). V. compose infatti – caso unico nella filosofia indiana – commenti anche a opere di Sāṅkhya, Nyāya, Mīmāṃsā e Yoga, ogni volta difendendo le posizioni della rispettiva scuola, tanto che le sue opere divennero tutte classici della scuola in cui si collocano. Particolarmente significativo, in tal senso, è il suo commento alle Sāṅkhyakārikā, poiché esso rivoluzionò la lettura del Sāṅkhya che da allora è stato interpretato nell’ottica dell’Advaita Vedānta. In partic., V. utilizza la metafora del riflesso per spiegare il rapporto fra intelletto (buddhi) (➔ prakr̥ti, Sāṃkhya) e spirito (puruṣa). Secondo V., il puruṣa può influenzare la prakr̥ti pur rimanendo completamente inalterato perché riflette, come uno specchio, le attività dell’intelletto, il quale reagisce poi a tale riflesso (l’intelletto ha bisogno del passaggio consistente nel riflettersi delle proprie attività nel puruṣa perché è di per sé incosciente di tali attività). Influenzato dall’Advaita Vedānta è anche l’insistere sulla base upaniṣadica del Sāṅkhya. All’interno del Nyāya, V. compose un subcommento al testo fondamentale della scuola, in cui difende l’inerenza dagli attacchi dei buddisti. Sul piano teologico, V. segue Uddyotakara nell’affermare che Dio come inteso nel Nyāya non ha karma o dharma positivi. L’assenza di attributi morali fa sì che il problema dell’esistenza del male si configuri quindi in modo assai diverso rispetto alla teologia occidentale. V. si distingue anche per gli argomenti sull’esistenza di Dio (➔ Udayana), cui aggiunge, precedendo o forse seguendo Jayanta Bhaṭṭa (➔ Nyāya), quello del «grande consenso», diversamente interpretato come consensus gentium o consenso delle persone più importanti (fra le quali, ovviamente, non verrebbero annoverati materialisti, buddisti e giainisti).