VACARIO
– Di origine lombarda, nulla si sa circa la sua famiglia (lo si è creduto nativo di Mantova o di Piacenza, ma senza poter addurre argomenti decisivi), e nacque intorno al 1120.
Ricevette una formazione culturale ampia entro la quale il diritto aveva un ruolo di particolare rilievo (proprio in quei decenni, soprattutto in Italia, l’appena risorta scientia iuris era del resto la disciplina che più di ogni altra accendeva l’interesse dei giovani). Si continua a ripetere, senza però che vi sia alcuna prova, che Vacario studiò a Bologna. In realtà è possibile – soprattutto se si considerano la varietà dei suoi interessi e l’approccio non esclusivo al diritto romano – che si sia formato in qualche altro centro padano, come le già ricordate Mantova e Piacenza, dove i locali maestri diffondevano gli innovativi insegnamenti di Irnerio e dei suoi famosi allievi sulle leggi di Giustiniano, senza però trascurare le artes, la Bibbia e i canoni ecclesiastici.
Terminati gli studi, Vacario aveva forse già cominciato a tenere a sua volta lezioni sul diritto civile (inducono a pensarlo le citazioni nelle Dissensiones dominorum e alcune glosse da lui apposte al De regulis iuris di Bulgaro), quando visse il suo momento nodale. Tra il 1143 e il 1144, fu infatti notato dall’arcivescovo di Canterbury, Teobaldo di Bec, all’epoca in viaggio in Italia. Al momento di ritornare in patria, sentendo il bisogno di un giurista che lo supportasse nella disputa che lo opponeva a Enrico vescovo di Winchester e fratello di re Stefano a proposito della carica di legato papale in Inghilterra, Teobaldo decise di portare Vacario con sé.
Al seguito dell’arcivescovo, Vacario rimase sino al 1159, accompagnandolo anche al Concilio di Reims (1148-49), dove Teobaldo volle recarsi contravvenendo all’esplicito divieto del sovrano. Fu probabilmente in quegli anni che Vacario prese gli ordini sacri (in un documento databile tra il 1150 e il 1161 in cui funge da testimone, appare come clericus archiepiscopi).
Si può credere che fra le mansioni svolte al servizio dell’arcivescovo rientrasse anche l’insegnamento. Secondo una nota aggiunta non più tardi del 1182 alla cronaca di Roberto di Torigny, già nel 1149 Vacario insegnava diritto adottando come testo per gli studenti l’opera sua più famosa: il Liber pauperum.
Nessun’altra fonte offre conferma della data indicata nella nota, ma Giovanni di Salisbury, che scrisse nel 1159 e con il quale Vacario si era legato d’amicizia, e Gervaso di Canterbury, che scrisse invece quando ormai Vacario era morto, alludono all’insegnamento sul diritto romano del maestro lombardo.
La possibile sede di un simile insegnamento – tradizionalmente posta a Oxford senza però alcun sicuro fondamento – è oggetto di un vivace dibattito tra gli studiosi. Qualunque fosse la sede iniziale del suo magistero in Inghilterra, proprio l’entusiasmo che esso suscitava potrebbe aver convinto re Stefano (1135-54), politicamente ostile al diritto romano, a vietarne lo studio e l’insegnamento in tutto il regno (1151). Non possiamo sapere se negli anni immediatamente successivi Vacario continuasse ciononostante a insegnare in maniera non ufficiale, ma non è infondata l’ipotesi secondo cui, in quel frangente, questi si sia dedicato ad approfondire lo studio della teologia e del diritto canonico: due discipline che, proprio nel corso del XII secolo, andavano assumendo caratteri del tutto nuovi, oltre che un rilievo centrale nella vita politica. Una qualche preparazione in entrambe, tuttavia, Vacario l’aveva sicuramente già ricevuta da giovane in Italia al pari, per esempio, del suo antico amico e condiscepolo piacentino Ugo Speroni.
Sul finire degli anni Cinquanta, Vacario si trasferì a York al servizio dell’arcivescovo Rogerio (1154-81), conosciuto quando questi era ancora arcidiacono a Canterbury. Di lì a poco Rogerio, schierato con Enrico II d’Inghilterra, si sarebbe duramente scontrato con Thomas Becket. Inevitabilmente Vacario si trovò coinvolto. Nel 1164 fu così inviato a incontrare Becket (che Vacario aveva avuto modo di conoscere in precedenza a Canterbury) nel suo esilio di Parigi, mentre nel 1171 fu inserito dal pontefice Alessandro III tra coloro che dovevano sostenere con giuramento collettivo l’innocenza di Rogerio contro l’accusa di aver concorso nell’assassinio dello stesso Becket.
Caduto nel frattempo il divieto regio con la salita al trono di Enrico II (1154), Vacario era certamente tornato a insegnare il diritto giustinianeo. Di nuovo, ci s’interroga sulla possibile sede di tale insegnamento (che dobbiamo immaginare entro una scuola canonistica destinata prevalentemente alla formazione del clero). Poiché è probabile che almeno dal 1166 Vacario risiedesse a Norwell, ove gli era stata assegnata una parrocchia, si pensa che potesse tenere le sue lezioni in centri come Lincoln o Northampton. Oxford potrebbe aver ospitato la scuola di Vacario (o forse dei suoi antichi allievi) solo nell’ultima parte del secolo quando, appunto, si diffuse colà l’abitudine di chiamare con il nomignolo di pauperistae gli studenti di diritto che si affaticavano sull’opera di Vacario.
Negli stessi anni, i documenti – che spaziano tra il 1150 e il 1189 – mostrano Vacario assolvere vari incarichi politico-diplomatici o da giurista pratico in Inghilterra e sul continente. A dimostrazione della considerazione che Alessandro III nutrì per lui come giurista esperto, in ben sette occasioni tra il 1176 e il 1180 Vacario fu scelto quale giudice delegato del papa. Prima del 1186 si recò ancora una volta in Francia, a Rouen, e, sotto il pontificato di Urbano III (1185-87), intervenne in una delicata controversia legale di cui rimane eco nella Collectio Cottoniana e nel Liber extra. Nell’ultimo documento che lo riguarda (1198), Vacario figura incaricato dal nuovo pontefice Innocenzo III di fare propaganda nel territorio di York a favore della crociata.
Il nome di Vacario è soprattutto legato all’introduzione del diritto giustinianeo in Inghilterra e l’opera sua principale è appunto il Liber pauperum. Si tratta di una maneggevole e funzionale antologia di quei testi giustinianei attorno ai quali si andavano all’epoca esercitando le famose scuole dei legistae nell’Italia centrosettentrionale e nella Francia meridionale. I singoli passi normativi – tratti dal Digesto, dal Codice (compresi gli ultimi tre libri che solo da pochissimi anni s’erano ritrovati) e dalle Novelle (queste ultime nella forma riassunta delle cosiddette authenticae) – erano raccolti secondo l’ordine delle materie adottato dal Codice e corredati di glosse esplicative. Sia i testi sia le glosse appartenevano al bagaglio di conoscenze che Vacario aveva portato con sé venendo via dall’Italia e riflettono perciò lo stato della scienza giuridica negli anni Trenta-Quaranta del XII secolo (anche i Tres libri del Codex cominciavano a essere ‘letti’ al tempo in cui Vacario studiava in Italia). Ciò considerato, egli potrebbe aver composto il suo Liber in un momento compreso tra gli anni Cinquanta e la fine dei Settanta di quel secolo.
I manoscritti (ne rimangono sette completi più vari frammenti) non ci restituiscono la stesura originale, che forse non conteneva glosse, ma solo varie versioni successive al 1190 rielaborate dagli studenti con integrazioni di testi normativi e di glosse. Il Liber pauperum era dunque un testo ‘aperto’, che andava integrato secondo le indicazioni del docente e le necessità pratiche dei singoli studenti. Divenute via via più numerose, le glosse furono anche raccolte in forma autonoma dagli allievi (un vero e proprio apparatus che seguiva l’ordine del Liber). La tradizione manoscritta testimonia del successo che l’opera di Vacario continuò a incontrare anche nei decenni immediatamente successivi alla morte del maestro.
Oltre al Liber, l’insegnamento di Vacario doveva prevedere anche lo studio delle Istituzioni (intorno al 1190 un allievo di Vacario compose una lectura Institutionum che chiaramente presuppone il Liber pauperum), dei due ultimi titoli del Digesto e di alcuni scritti sulla procedura.
Nel concepire e realizzare la sua singolare antologia, Vacario era ben consapevole di porsi al di fuori della tradizione bolognese (fondata sul recupero dell’intero corpo giustinianeo) e di avvicinarsi invece alle tecniche epitomatrici tipiche dei canonisti. Nel prologo egli spiega le ragioni di questa scelta. Certamente egli intendeva favorire i meno abbienti (è probabile che avesse in mente le ultime parole del § 12 della constitutio Tanta): il suo Liber avrebbe consentito loro di procacciarsi con una spesa assai più contenuta (l’acquisto di un solo volume contro i vari che componevano il Corpus iuris ‘bolognese’) la parte più utile della legislazione giustinianea. Più ancora, però, a spingerlo verso quella scelta doveva essere stata la consapevolezza di trovarsi a insegnare un diritto che non era vigente in quel territorio e che però poteva rappresentare un’utile ‘tecnica’ di base da utilizzare non solo nella prassi dei tribunali e nella redazione degli atti giuridici, ma anche in tutti i campi, pratici o teorici, del sapere intellettuale.
L’ulteriore produzione letteraria di Vacario che comprende altre tre opere giunte sino a noi. La prima è una Summa de matrimonio databile tra il 1166 e il 1170. Si tratta di uno scritto al tempo stesso di teologia e di diritto canonico in cui Vacario sostiene l’originale tesi secondo cui il matrimonio si perfezionerebbe con la reciproca e consapevole traditio dei nubendi. La seconda è il trattato De assumpto homine con il quale s’inserisce nel dibattito teologico circa la natura di Cristo aperto in quegli anni in Francia. L’ultima opera, concepita tra il 1170 e il 1180, è il Liber contra multiplices et varios errores. Anch’essa di contenuto prevalentemente teologico, consiste nella puntuale e argomentata confutazione delle teorie enunciate dall’amico d’infanzia Ugo Speroni a proposito del sacerdozio, della predestinazione e dei sacramenti.
Morì, presumibilmente in Inghilterra, intorno al 1200.
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