utilitarismo
Concezione filosofica che indica nell’utilità (➔ ) il criterio dell’azione morale e il fondamento dei valori; già presente nel mondo greco, si definì tuttavia nel 18° sec. e trovò in J. Bentham (➔) e poi in James Mill (➔) la sua sistemazione.
A Bentham, considerato il fondatore di tale indirizzo di pensiero, si deve la formulazione del principio fondamentale dell’u., secondo il quale è utile ciò che ha come conseguenza la più grande felicità del maggior numero di persone. L’u. assume, dunque, un carattere edonistico, perché si fonda sulla massimizzazione del piacere (e minimizzazione del dolore), e consequenzialistico, in quanto fonda la morale sul risultato, in termini di benessere degli individui. Ancora a Bentham si fa risalire un’esigenza tipica di tutti gli utilitaristi, ossia quella di fare dell’etica una scienza esatta come la matematica: un rigoroso edonismo basato sul calcolo della differenza quantitativa tra i piaceri. Il principio edonistico è sia egoistico, ossia regola le scelte individuali, sia universalistico, in quanto fonda le decisioni pubbliche sul benessere generale, inteso come somma delle felicità dei singoli.
Già con Bentham l’u. si allargava al campo giuridico e politico, con la proposta di radicali riforme. L’u. fu successivamente al centro della riflessione filosofica di J. Mill e di John Stuart Mill (➔). A quest’ultimo sono da attribuire sia la tendenza a distinguere i piaceri anche dal punto di vista qualitativo, sia il coerente radicalismo teso ad applicare, in tutti i campi sociali e politici, il criterio utilitaristico di un accrescimento del benessere e della felicità individuali e generali. Rilevanti aspetti utilitaristici sono presenti anche in altri filosofi: così, a H. Spencer (➔) si deve l’indicazione della morale utilitaristica come ultima tappa dell’evoluzione, mentre H. Sidgwick (➔) analizzò le varie forme di u. conciliandole con il senso comune. Nelle teorie di questi filosofi, l’u. acquista un tono di effettiva moralità, in quanto non solo si distingue dall’edonismo con il considerare non l’utile immediato del piacere, bensì quello più remoto e costante, ma si contrappone anche a un u. puramente egoistico, con l’esigenza di contemplare l’utilità propria, ma anche quella del maggior numero possibile di individui. G.E. Moore sostenne, infine, un peculiare ‘u. ideale’ che rifiutava la definizione edonistica del bene.
Successivamente, il dibattito si è limitato alla ricerca della struttura ottimale di un sistema utilitaristico. Si è distinto tra u. della regola (S. Toulmin, P. Nowell-Smith) e u. dell’atto (J.J. Smart), a seconda che si privilegiasse la giustificazione di poche regole generali o di ogni singolo atto.
Nel pensiero economico, l’u. è ripreso dai padri fondatori del marginalismo (➔), S. Jevons (➔) , C. Menger (➔) e M.-E.-L. Walras (➔), e rappresenta un pilastro del sistema teorico neoclassico. Il marginalismo accredita una speciale versione della filosofia utilitaristica, quella per cui il comportamento umano è esclusivamente riducibile al calcolo razionale teso alla massimizzazione dell’utilità, e a tale principio, che elimina ogni connotazione morale, viene riconosciuta validità universale. Il contributo, tra gli altri, di F.Y. Edgeworth (➔) e V. Pareto (➔), permette inoltre di passare dal concetto di utilità cardinale, misurabile quantitativamente, a quello di utilità ordinale, che specifica unicamente relazioni di preferenza tra differenti panieri di beni. Nella teoria della scelta, questo sistema di preferenze (➔ preferenze, assiomi sulle ) è costruito a partire dall’assioma di razionalità degli individui.
A livello aggregato, tale approccio implica che sia possibile ordinare le allocazioni solo in base al criterio di ottimalità paretiana: un’allocazione è preferibile a un’altra se assicura un’utilità maggiore, o non minore, a tutti gli agenti. Tuttavia, l’idea di somma cardinale delle utilità è ancora utilizzata nella teoria della scelta pubblica, perché il criterio paretiano non permette di identificare un’unica allocazione ottima. La funzione di benessere utilitaristica, che il pianificatore sociale vuole massimizzare, è data quindi dalla somma delle utilità individuali. Essa è neutrale rispetto alla disuguaglianza nella distribuzione delle utilità tra gli agenti, ma non necessariamente in quella della ricchezza: in particolare, se essi hanno una stessa funzione di utilità strettamente concava, allora il punto di ottimo sociale è raggiunto solo se le risorse sono equamente distribuite.