USURECEPTIO
. È, nel diritto romano antico e classico, una sorta di usucapione (v. prescrizione: Diritto romano, XXVIII, p. 201) che per particolari circostanze ha luogo nonostante che il possessore della cosa sia conscio della sua appartenenza ad altri.
I due casi di applicazione sono noti principalmente attraverso le Istituzioni di Gaio, II, 58 segg.
Il primo è quello della cosa già trasmessa ad altri in fiducia, cioè con l'intesa che in date circostanze l'acquirente debba renderla all'alienante. Se tale alienazione era stata fatta a una persona fidata a scopo di prestito o per mettere i beni al riparo da temute confische o per donare a causa di morte e simili (f. cum amico), bastava che l'alienante avesse comunque tenuto presso di sé o recuperato la cosa, quindi possedutala un anno, perché ne riacquistasse la proprietà. Se invece l'alienazione fiduciaria era stata fatta a scopo di garanzia reale (f. cum creditore), occorrevano condizioni ulteriori: o che intanto il debito fosse stato pagato, o che l'alienante tenesse la cosa altrimenti che per averla avuta dal creditore stesso in affitto o in concessione precaria.
Il secondo caso si verificava in tema di prediatura (v. XXVIII, p. 174), e più precisamente in occasione del procedimento esecutivo contro l'appaltatore di opere e imposte pubbliche e i suoi garanti (praedes). L'andamento di questa procedura esecutiva è peraltro troppo misterioso per consentire una precisa definizione delle circostanze in cui l'usureceptio si verificava: comunque, doveva trattarsi anche qui di attribuzione provvisoria della proprietà ad altri, con riserva di riacquisto da parte del debitore esecutato.
La difficoltà di spiegare come mai si rinunciasse, in questi due casi, al requisito della buona fede, è messa generalmente in rapporto con l'analogo regime dell'usucapio pro herede (v. prescrizione: Diritto romano), ed eliminata con l'ipotesi che tale fosse anche in ogni altro caso il regime dell'usucapione antica. Ciò non è escluso, e alla possibilità di un simile criterio generale non nuoce neppure il rilievo che gl'istituti successivamente raccolti sotto il nome comune di usucapione erano in origine indipendenti gli uni dagli altri. Piuttosto è da dire che non si può trattare di una regola che per semplice inavvertenza sia rimasta intatta nei casi nostri, mentre altrove la si cambiava: infatti appartiene alla giurisprudenza repubblicana la massima per cui il fiduciante non commette furto se si impossessa della cosa da lui trasferita; e questa massima non ha potuto avere altro scopo che di evitare il divieto di usucapione, sancito quanto alle cose furtive dalle leggi.
Sembra più probabile l'opinione che spiega il regime eccezionale dell'usureceptio riconnettendolo ad esigenze proprie delle situazioni giuridiche nelle quali trovava luogo. Ciò sembra chiaro in tema di fiducia (v. fiducia: Diritto romano XV, p. 232). Questa importava un trasferimento della proprietà, con l'intesa che in date circostanze la cosa sarebbe restituita all'alienante; ma è certo che in un primo periodo, la cui durata ha potuto essere molto lunga, a questa intesa non corrispondeva un vero obbligo giuridico del fiduciario, munito di azione (la costruzione dell'actio fiduciae classica esclude infatti perentoriamente che la si potesse intentare nell'antico sistema delle azioni della legge: v. azione: Diritto, V. p. 702 segg.). In queste condizioni, la facoltà riconosciuta al fiduciante di riacquistare con l'usureceptio la proprietà ha dovuto essere il primo mezzo escogitato dalla giurisprudenza per ovviare all'eventuale infedeltà del fiduciario: anche il Perozzi ha visto che, con le riserve introdotte dalla giurisprudenza stessa nei riguardi della fiducia cum creditore, si evitava in pieno che la ripresa di possesso facesse torto al fiduciario.
Purtroppo non è possibile, allo stato attuale delle nostre conoscenze sulla prediatura, stabilire in qual senso la situazione dell'usu recipiens fosse qui analoga a quella del fiduciante.
Dall'usucapione normale l'usureceptio del fiduciante differisce anche nel senso che il riacquisto della proprietà si compie sempre in un anno, mentre in generale ne occorrono due per gl'immobili: tale eccezione, che invano si è tentato negare supponendo varie corruzioni nel manoscritto di Gaio, non vige nel caso della prediatura.
Bibl.: W. Stintzing, Das Wesen von bona fides und titulus in der röm. Usucapionslehre, Berlino 1852; A. Pernice, Labeo, II, i, Halle 1900, p. 228 segg.; G. Beseler, Beiträge zur Kritik der röm. Rechtsquellen, II, Tubinga 1911, p. 1; S. Galgano, I limiti subbiettivi dell'antica usucapio, Napoli 1913; S. Perozzi, Istit. di dir. rom., 2ª ed., Roma 1928, I, p. 654, n. 2; G. Grosso, Sulla fiducia a scopo di manumissio, in Ann. univ. di Camerino, III, 1929, p. 81 segg.; P.-F. Girard, Manuel élém. de dr. rom. 8ª ed. a cura di F. Senn, Parigi 1929, pp. 328 segg., 556; P. Bonfante, Istit. di dir. rom., 10ª ed., Milano 1933, p. 273 segg.; G. Segrè, Corso di dir. rom. (le garanzie reali), Torino 1935, p. 160 segg.; oltre la bibliografia già data alle voci fiducia e prediatura.