USUFRUTTO
. È un diritto reale, definito nelle fonti giustinianee (Inst., II, 4, de usufr., pr.; Dig., VII, 1, de usufr., 1): ius alienis rebus utendi fruendi salva rerum substantia. La genuinità dell'inciso salva rerum substantia, messa in dubbio da qualche scrittore (S. Di Marzo, S. Perozzi), è ribadita da un testo dei Tituli ex corpore Ulpiani (4, 26), in cui si parla di potestas utendi fruendi salva substantia. L'inciso vuol dire che l'usufruttuario deve rispettare l'integrità della cosa e la sua destinazione economica. La persona cui l'usufrutto compete, è detta fructuarius, usufructuarius, o anche dominus ususfructus; il proprietario della cosa gravata di usufrutto è dominus proprietatis (nel diritto giustinianeo, dominus nudae proprietatis).
Sul concetto romano dell'usufrutto fervono dispute, ritenendo qualcuno (M. Pampaloni) che la giurisprudenza classica lo configurasse come pars dominii; altri (S. Perozzi) come proprietà interinale altri ancora (S. Riccobono) che i giuristi classici lo configurassero come un diritto alla species e i compilatori giustinianei come un diritto che investe il corpus della cosa. Una serrata critica di queste teorie ha fatto P. Bonfante rilevando che la concezione dell'usufrutto come pars dominii non è se non traslato o pretesto per applicare all'usufmtto molte regole della proprietà; che la concezione dell'usufrutto come proprietà interinale urta contro il fatto che molte facoltà del proprietario sono negate all'usufruttuario; e che l'ordinamento classico dell'usufrutto è quello di ius in re. Nel diritto giustinianeo l'usufrutto, come l'uso e l'abitazione, è considerato una servitus; di qui la necessità di distinguere nel concetto della servitus le due categorie: servitutes personarum e servitutes rerum. L'usufrutto, come l'uso e l'abitazione, rientra nella prima.
Sulla funzione originaria dell'usufrutto non vi è disputa. Tutto conduce a ritenerlo nato per scopo alimentare, principalmente per provvedere alla vedova; e doveva nascere, come nacque, per tempo, in un regime giuridico come il romano che non conosceva l'istituto della donazione nuziale, proprio dei diritti orientali e dei diritti germanici. L'usufrutto nelle stesse fonti giustinianee è trattato in relazione con il testamento e con i legati. Circa la data, l'Elvers la riporta a un periodo di poco posteriore alle XII Tavole; O. Karlowa alla prima metà del sec. III a. C.; più probabile la data ritenuta da M. Voigt, e ora comunemente accolta, che lo riporta alla prima metà del sec. II a. C.
Oggetto di usufrutto può essere soltanto una cosa inconsumabile. Sotto la spinta di necessità e di esigenze sociali da soddisfare, e precipuamente per salvare la validità dei legati d'usufrutto su un patrimonio o su una quota di patrimonio in cui fossero comprese anche cose consumabili, si venne ammettendo la possibilità pratica di costituire un diritto temporaneo di godimento sulle cose consumabili (v. quasi usufrutto). I poteri dell'usufruttuario sulla cosa sono rappresentati dall'uti e dal frui. Il rispetto dello stato attuale e della destinazione della cosa importa che l'usufruttuario non possa trasformare giardini e parchi in orti e frutteti, una casa signorile (domus) in casa d'affitto (insula) o in albergo e non possa mutare gli uffici degli schiavi: insomma, l'economia dell'usufruttuario è puramente conservativa. Nel diritto giustinianeo, per altro, i poteri dell'usufruttuario sono ampliati, in quanto non soltanto può sfruttare miniere in esercizio, ma aprirne di nuove, e fare in genere innovazioni che riescano a migliorare la cosa. Nel concetto del fructus rientra tutto il reddito della cosa: sia i frutti naturali sia i frutti civili (v. frutto); i primi, nel momento della perceptio; i secondi, giorno per giorno. Gli alberi di un bosco ceduo cadono in proprietà dell'usufruttuario, quando sono operati i tagli nei tempi e nei modi debiti: alberi morti e capi del gregge cadono in sua proprietà, ma è tenuto a sostituirli. Se l'usufrutto del fundus importi l'usufrutto dell'instrumentum fundi è controverso; come si controverte sulle facoltà comprese nel fructus dell'instrumentum. Quando l'usufrutto cade su uno schiavo, l'usufruttuario ha diritto alle opere e fa suoi gli acquisti fatti con denaro proprio o con opere dello schiavo stesso. L'usufruttuario sopporta tutte le spese necessarie alla manutenzione della cosa e tutti i pesi a essa inerenti. Tenuto al comportamento del bonus paterfamilias, all'atto della restituzione è responsabile per ogni inadempimento degli obblighi e deterioramento della cosa cagionato dalla sua colpa (culpa levis). Per gli abusi gravi il proprietario può chiedere la restituzione prima del termine. A garanzia degli obblighi, l'usufruttuario deve promettere al proprietario se usurum boni viri arbitratu et restituturum. Tale cauzione (cautio fructuaria), imposta dapprincipio al legato d'usufrutto, fu poi estesa all'usufrutto, qualunque ne fosse la causa: non è richiesta invece nell'usufrutto legale (del paterfamilias o del coniuge binubo), nell'usufrutto che il donante si riserva, nell'usufrutto costituito in dote. L'usufrutto è costituito a vantaggio di una determinata persona: cessa al più tardi con la morte di questa. Soltanto nel diritto giustinianeo è fatta eccezione a questo principio con l'ammettere che il legato di usufrutto possa essere esteso dal testatore anche agli eredi del legatario (Dig., VII, 4, quibus mod. ususfr. vel us. am., 5, pr., interpol.). Si disputava nel diritto classico se si potesse costituire usufrutto a favore di persone giuridiche: la ratio dubitandi era: ne in perpetuum inutiles essent proprietates semper abscedente usufructu. Prevalse, ciò nonostante, l'affermativa. Giustiniano fissò il termine di cento anni considerando questo termine come finis vitae hominis longaevi. Per il suo carattere personale, l'usufrutto non si può alienare, salvo la rinuncia a favore del proprietario; ma può essere ceduto l'esercizio del diritto. L'usufruttuario difende il suo diritto con la vindicatio ususfructus e l'esercizio del diritto stesso con gl'interdetti possessorî, che gli sono concessi soltanto in via utile nel diritto classico, perché non possiede (ha soltanto la possessio naturalis della cosa), in via diretta nel diritto giustinianeo (in questo diritto ha la quasi possessio o possessio iuris: v. quasi possesso).
La dottrina romana mantenne la sua efficienza non solo nelle regioni bizantine ma anche in quelle soggette ai Longobardi. E alla tradizione romana s'ispira fondamentalmente l'ususfructuarius ordo, cui tante volte alludono i documenti medievali. Qualche mutamento deriva dalle consuetudini e dalle leggi speciali. Con autonomo sviluppo il diritto tedesco giunse alla configurazione di una Leibzucht, diritto di godimento vitalizio e personale e quindi intrasmissibile, creato di solito con convenzione. Una figura singolare di usufrutto è offerta dall'Altentheil (cioè pars senilis), che avrebbe dovuto essere una specie di assegno di riposo fatto dai figli, cui erano trasmessi i beni di famiglia, ai genitori resi per età incapaci al lavoro.
Alla definizione romana è aderente, pur con qualche ambiguità e qualche inesattezza, la definizione contenuta nell'art. 477 del cod. civ. it.: "l'usufrutto è il diritto di godere delle cose di cui altri ha la proprietà, nel modo come ne godrebbe il proprietario, ma con l'obbligo di conservarne la sostanza tanto nella materia quanto nella forma". Si stabilisce per legge, o per atto volontario, o mediante prescrizione acquisitiva (art. 478). I due casi più notevoli di usufrutto legale sono quelli del coniuge esercente la patria potestà sui beni provenienti al figlio da successione, donazione o qualunque altro titolo lucrativo (art. 228 segg.) e quello del coniuge superstite sui beni dell'altro coniuge sia nella successione legittima sia nella testamentaria (art. 753, 812 segg.). L'atto volontario è un negozio giuridico, a titolo gratuito o oneroso, inter vivos o mortis causa. Per prescrizione l'usufrutto si acquista in trent'anni; in dieci, se al possesso si accompagni un titolo trascritto e la buona fede (art. 2134, 2137, 415). L'usufrutto può stabilirsi su ogni specie di beni, mobili e immobili: quando cade su questi ultimi, si applicano a esso le norme generali di ogni acquisto di diritti immobiliari, come quelle della necessità dell'atto scritto (art. 1314) e della trascrizione (art. 1932). I diritti dell'usufruttuario sono: a) diritto al possesso della cosa, che deve prendere nello stato in cui si trova (art. 496); b) diritto al godimento integrale delle utilità che la cosa ha in sé e mediante la sua produzione può offrire (art. 466, 479), al godimento delle accessioni e delle pertinenze (art. 494). Fa suoi i frutti che al cominciar dell'usufrutto egli trova pendenti quantunque maturati in tempo anteriore, come sono del proprietario quelli pendenti al cessar dell'usufrutto benché maturati nel tempo in cui questo durava; c) diritto di disposizione. L'usufruttuario può cedere l'esercizio del suo diritto, che rimane però sempre commisurato circa la sua durata alla vita del cedente: si discute se sia cedibile il solo esercizio, costituendosi così un mero rapporto obbligatorio, o lo stesso diritto di usufrutto, salvo la limitazione a esso derivante, quanto alla durata, dalla vita del cedente. All'inizio dell'usufrutto l'usufruttuario deve fare a sue spese l'inventario dei mobili e la descrizione dello stato degl'immobili, presente o debitamente citato il proprietario (art. 496): da questo obbligo può essere dispensato dal titolo o dalla volontà del titolare della nuda proprietà. Deve inoltre prestar cauzione che godrà della cosa da buon padre di famiglia e la restituirà al cessar dell'usufrutto indiminuita non deteriorata (art. 497). Dalla cauzione è esente il genitore che ha l'usufrutto legale sui beni dei figli, il venditore o il donante che si riservi l'usufrutto sulla cosa venduta o donata. Gli obblighi durante il godimento sono riassunti dalla formula dell'art. 497 che stabilisce, conformemente al principio romano, che l'usufruttuario deve usare della cosa da bonus paterfamilias. A carico dell'usufruttuario sono le spese ordinarie e le straordinarie cagionate dall'inadempimento di quelle, i carichi annuali del fondo, i debiti per i quali il fondo sia ipotecato, i censi, le rendite semplici imposte sul medesimo, ecc. (art. 501, 506, 508). Alla fine, l'usufruttuario è tenuto alla restituzione del possesso della cosa. L'usufrutto si estingue: per morte dell'usufruttuario (art. 515), in trent'anni se a favore di persona giuridica (art. 518); per lo spirare del termine, per cui fu stabilito, e che non può essere superiore alla vita dell'uomo o al trentennio per le persone giuridiche, mentre, se fissato in relazione al raggiungimento di una certa età da parte di una terza persona, viene mantenuto fermo ancorché questa sia morta prima di averla raggiunta (art. 517); per la consolidazione, cioè per il riunirsi nella stessa persona della qualità di usufruttuario e di proprietario; per prescrizione estintiva (non uso entro trent'anni); per totale perimento della cosa; per abuso che l'usufruttuario faccia del suo diritto (art. 516).
Bibl.: G. Noodt, De usufructu libri duo, in Opera omnia, Leida 1767; C. Pellat, Exposé des principes généraux du droit romain sur la propriété et ses principaux démembrements et partic. sur l'usufruit, 2ª ed., Parigi 1850; Elvers, Die römische Servitutenlehre, Marburgo 1856; F. Glück, Commentario alle Pandette (trad. B. Brugi), Milano 1900; C. Longo, La categoria delle servitutes nel diritto romano classico, in Bull. Ist. dir. rom., 1900; C. Fadda, Il limite di tempo all'usufrutto delle persone giuridiche, in Atti Accademia Napoli, 1902; R. De Ruggiero, Cautio usufructuaria, in Studi in onore di V. Scialoja, Milano 1905, I, p. 71 segg.; id., Usufrutto e diritti affini. Lezioni di diritto romano, Napoli 1913; id., Istituzioni di diritto civile, 7ª ed., Messina 1934, II, p. 484 segg. e bibl. ivi citata; S. Di Marzo, Sulla definizione romana dell'usufrutto, in Studi in onore di C. Fadda, Napoli 1906, I, p. 189 segg.; S. Riccobono, Lezioni di diritto romano, Palermo 1907-08 (su esse v. P. Zanzucchi, Zeitschrift der Sav.-St. f. Rechtsgesch., XXX [1909], p. 509 segg.); M. Pampaloni, Il concetto classico dell'usufrutto, in Bull. Ist. dir. rom., 1910; id., Questioni di diritto giustinianeo, in Riv. it. per le scienze giur., 1911; F. Messina Vitrano, Il legato d'usufrutto nel diritto romano, parte 1ª, Palermo 1913; E. Albertario, L'origine postclassica del possesso dell'usufrutto, in Bull. Ist. dir. rom., 1913; W. W. Buckland, The conception of usufructus in classical Law, in Law Quarterly Review, 1928; P. De Francisci, Note esegetiche intorno all'alienazione dell'usufrutto, in Studi in onore di A. Ascoli, Messina 1932, p. 53 segg.; P. Bonfante, Corso di diritto romano, III: Diritti reali, Roma 1933, p. 52 segg.; G. Grosso, Corso di diritto romano. L'usufrutto, Torino 1935; id., In tema di cautio fructuaria, in Atti Accademia Torino, 1936; R. Trifone, Contributo alla storia dell'usufrutto (l'usufrutto dei boschi), Milano 1929; id., Precedenti storici degli articoli 487, 488, 490 del cod. civ., in Studi in onore di A. Ascoli, Messina 1932, p. 595 segg.; G. Venezian, Dell'usufrutto, dell'uso e dell'abitazione, Napoli 1896-1913 (2ª ed., Torino 1936).