USTRUSANA
Toponimo attestato tra il VII e il XII sec. d.C. in fonti sogdiane (documenti dal monte Mug: Ustrušana), cinesi (Xuanzang: Sudulisena) e arabo-persiane (Usrušāna) a designare parte dell'attuale Tajikistan settentrionale, più precisamente l'area compresa tra il Sïr Daryā a Ν, e la catena del Turkestan a S. Come principato autonomo, che tuttavia riconosceva la sovranità turca, l'U. acquistò una sua più spiccata fisionomia culturale e politica rispetto alla Sogdiana nei secoli immediatamente precedenti la conquista islamica, avvenuta nella prima parte del IX secolo. Una notevole quantità di informazioni (in gran parte di carattere retrospettivo) è fornita da scrittori musulmani, tra il IX e il XII sec. (al-Iṣṭakhrī, Ibn Ḥawqal, al-Muqaddasī, ecc.); particolare interesse ha suscitato il problema dell'identificazione della capitale, Bunjikat, da loro descritta. Fino agli inizî degli anni '60 si discuteva su due ipotesi di localizzazione: Ura Tyube (sito di Mug Tepa) e Šahristan. I risultati delle ricerche archeologiche compiute negli ultimi decenni (che tuttavia incontrano grandi difficoltà a Mug Tepa, situata in un centro urbano) sembra diano ragione alla seconda ipotesi; tra i suoi principali fautori N. N. Negmatov, autore degli scavi di Qal'aye Kakhkakha I-III (presso Šahristan), sito che oggi gran parte degli studiosi sono concordi nell'identificare con Bunjikat.
Sebbene le testimonianze archeologiche e artistiche di maggiore interesse, sulle quali peraltro si sono maggiormente concentrati gli sforzi degli archeologi a partire dalla metà degli anni '50, risalgano a epoca alto-medievale (VII-IX sec.), le campagne di scavo hanno portato alla scoperta di siti databili a epoche più antiche. L'Età del Ferro (VII-IV sec. a.C.) è documentata principalmente dai due siti di Nur Tepa e Khojent (Leninabad). Il primo, sorto nel VII sec. a.C., copre una superficie di 18 ha e comprende una roccaforte e un insediamento urbano; ciascun settore venne protetto da una cinta muraria in argilla pressata (pakhsā) nel VI-V sec. a.C. Sono state parzialmente scavate abitazioni seminterrate, case con muratura rinforzata da armature lignee e, nella fase finale, in pakhsā e mattoni crudi. A Khojent, fondata nel VI-V sec. a.C., sono stati portati alla luce tratti della cinta muraria in pakhsā e mattoni crudi e rovine di strutture architettoniche urbane. Khojent è tradizionalmente identificata con la città conquistata da Alessandro Magno e da lui rifondata, come pòlis greca, con il nome di Alexandria Eschate. Intorno al V sec. a.C. nasce anche Mug Tepa (Ura Tyube). L'urbanistica e l'architettura del periodo sono ancora poco studiate, ma la ceramica offre dati di un certo interesse; Nur Tepa ha fornito vasellame sia modellato a mano, affine ai complessi ceramici di Burgulyuk (Ferghāna) e della Battriana settentrionale, sia lavorato al tornio (grossi contenitori per derrate alimentari a fondo sferico del tipo denominato khum, tazze, boccali a pareti sottili, vasi su alto piede); questo trova i confronti più pertinenti nella Battriana settentrionale e a Yaz Depe II (Margiana). Oltre ai due gruppi indicati, a Khojent si segnala anche ceramica dipinta, di datazione più bassa, analoga a quella del Ferghāna (Eylatan).
Relativamente limitate sono anche le conoscenze sui siti archeologici databili tra gli ultimi secoli a.C. e i primi secoli d.C.; in particolare, il versante meridionale montuoso dell'U. è quasi inesplorato. In quest'epoca la regione è verosimilmente da considerare parte della Sogdiana. Non sono emersi indizi che autorizzino a ipotizzare la sua inclusione nell'impero kuṣāṇa. L'insediamento urbano di maggior rilievo è Munčak Tepe (scavi di V. F. Gajdukevič, 1943-44), che occupa un'area rettangolare (4 ha) difesa da una cinta in mattoni crudi, attualmente delimitata a Ν dal Sïr Daryā. La cittadella era situata nella parte NE, su di un'altura. I dati sull'architettura sono tuttora scarsi. Situata ai confini con le steppe, Munčak Tepe era probabilmente caposaldo militare; la vocazione artigianale e commerciale del sito è denotata dalla presenza di un forno ceramico (inizi dell'era cristiana) e dal rinvenimento di manufatti in metallo e gioielli. I traffici internazionali che interessavano la regione, situata sul percorso della «via della seta», trovano testimonianza nel tesoretto di monete romane del I-II sec. d.C., rinvenuto presso il villaggio di Mujum (delle 300 originarie, si sono conservate 19 monete), ma anche negli oggetti di importazione (cauri, collane di ambra, uno specchio cinese) presenti nei corredi funerarî delle due necropoli di Munčak Tepe, dove veniva praticato il rituale dell'inumazione - singola o collettiva - all'interno di tombe a fossa. Il rito dell'incinerazione è tuttavia testimoniato da un frammento di ossuario con decorazione a rilievo figurata (un volto dai tratti grotteschi e un grappolo d'uva). Strati di occupazione coevi sono stati evidenziati a Mug Tepa (Ura Tyube), a Khojent e a Širin (I-III). A Širin I, sul basso corso dello Širinsay, gli scavi condotti da Negmatov negli anni '70 hanno rivelato una cospicua stratificazione archeologica del IV- V sec. d.C. Degna di menzione è la scoperta di edifici composti da due file di stretti ambienti paralleli disposti perpendicolarmente sui lati di un corridoio centrale, tipologia nota in altre regioni centroasiatiche (nell'U. anche a Qal'a-ye Kakhkakha I); tra i reperti dal sito si segnala una torques in oro e corallo, con terminazione a protome equina in argento. Non lontano da Širin, presso il villaggio di Kurkat, è stata esplorata una necropoli costituita da camere funerarie rupestri, scavate nei versanti E e S del monte Širin e in gran parte risalenti al IV-V sec. (alcune di esse datano ai primi secoli d.C.); l'inumazione avveniva all'interno di nicchie scavate nella parete di fondo della camera, ma sono attestate anche sepolture in giare (khum) o in contenitori più piccoli. I corredi includono amuleti zoomorfi, collane in diversi materiali e altri ornamenti. La complessa stratificazione di Mug Tepa comprende livelli di occupazione del V- VII sec.; tra i reperti, un ossuario in terracotta, le cui pareti sembra riproducano le facciate di un edificio di culto (figure o sculture entro nicchie, semicolonne, alberi stilizzati, vano centrale aperto, simboli del sole e della luna).
Sull'U. altomedievale (VII-IX sec.) - che non comprende più Khojent, costituitosi principato indipendente - la documentazione archeologica è molto più ricca, ed è fornita principalmente dagli scavi di Qal'a-ye Kakhkakha I-III (probabilmente l'antica capitale Bunjikat) presso Sahristan. La città rivela uno schema tripartito comprendente l'insediamento urbano propriamente detto o šahre- stān (Qal'a-ye Kakhkakha I), la cittadella o kuhendiz (II) e il suburbio o rabad (III). Qal'a-ye Kakhkakha II è una cittadella di pianta quadrata, situata su di un'elevazione naturale, sulla riva sinistra dello Šahristansay, e difesa da un'imponente fortificazione. L'unica costruzione, un palazzo di tre piani, sorgeva nella parte NE dell'insediamento; i primi due piani comprendevano ambienti residenziali e di servizio, il terzo sale di parata decorate da pitture murali. A eccezione di pochi frammenti, i dipinti sono scomparsi a causa dell'incendio che distrusse il palazzo nel IX secolo. Pochi frammenti carbonizzati attestano inoltre la presenza di decorazioni in legno intagliato. Nell'area suburbana (Qal'a-ye Kakhkakha III) sono stati esaminati alcuni tratti della cinta muraria (IX-X sec.); la maggior parte dei reperti consiste di ceramica e monete d'epoca islamica. Di interesse ben maggiore sono i risultati degli scavi a Qal'a-ye Kakhkakha I. Anche questo settore della città era difeso da un solido impianto murario rinforzato da torrioni. Nell'angolo SE era la cittadella interna; qui è stato scavato un complesso palaziale costruito su un'alta piattaforma artificiale, a sua volta poggiante su un rilievo roccioso. Il palazzo è stato identificato con la residenza degli afšin (governatori); oltre ad ambienti residenziali e di servizio, esso comprendeva una caserma (o carcere) e un santuario (convertito in moschea dopo la conquista araba). Il nucleo di rappresentanza ha rivelato numerosi ambienti, tra i quali spiccano la vastissima sala del trono (230 m2) con entrata da N, ampio basamento nella parte meridionale e una nicchia per il trono al centro della parete S, e una «sala piccola» tetrastila, di pianta quadrata (95 m2), con entrata da E; entrambe le sale presentavano banchi in argilla lungo le pareti. Gran parte degli ambienti di questo settore era decorata da pitture murali, come attestano i frammenti rinvenuti nella sala del trono, negli ambienti 5, 6, 11 e, in quantità ben maggiore, nella «sala piccola» e nel corridoio 7, che all'epoca degli scavi conservavano ancora ampi brani pittorici in parete. L'esecuzione dei dipinti era preceduta dall'applicazione di due strati preparatori, il primo (spesso fino a 20 mm) composto di argilla mista a paglia, il secondo di impasto più fine e di minore spessore (fino a 5 mm). Seguiva la stesura di uno strato di gesso (ganč) sul quale era tracciato uno schizzo preliminare in ocra e, successivamente, applicato il colore secondo una tecnica affine alla tempera. Lo strato cromatico era sia campito uniformemente in ampie superfici, sia sfumato con effetti chiaroscurali. Come a Penjikent, troviamo diffusamente impiegato il blu lapislazzuli, oltre a diverse tonalità dell'ocra e del cinabro, ma diversamente dal sito sogdiano, è qui utilizzato anche il verde malachite (caratteristico, invece, della scuola pittorica kuceana). Nella «sala piccola» tutte le pareti erano dipinte; dai brani conservatisi in parete e dai frammenti caduti si può ricostruire uno schema decorativo che scompone la parete in una serie di registri (2 0 3) con composizioni tematiche, delimitati in alto e in basso da una banda ornamentale (p.es. girali). Al centro della parete O, di fronte all'entrata, è la scena principale: un grande personaggio maschile seduto su un trono sorretto da cavalli e affiancato da musicanti. Ai lati dell'immagine si snodano composizioni pittoriche su tre registri, nelle quali rientrano guerrieri ritratti in diverse azioni e musicanti sotto un padiglione. Sulle altre pareti della sala è rappresentato, su più registri, un combattimento tra un re su un carro, con il suo esercito, e figure demoniache. Sulla parete E figurano inoltre una divinità femminile a quattro braccia seduta su leone, contraddistinta dai simboli del sole e della luna, e un dio tricefalo a quattro braccia corazzato, a cavallo, nell'atto di tendere l'arco. La dea è rappresentata due volte, in un caso in posa frontale e affiancata da una figura terrifica con tre teschi sulla fronte. Sulla parete Ν prosegue la scena di battaglia; nel registro inferiore è una fortezza dalla cui porta esce un guerriero e una pacifica scena di banchetto con musicanti. Frammenti dalla parete S (maggiormente danneggiata dall'incendio) mostrano parti di figure di guerrieri dai tratti demoniaci e, forse, di una terza raffigurazione della dea già menzionata. Secondo la lettura che ne dà N. N. Negmatov, la composizione pittorica avrebbe il suo fulcro nella parete O, la cui immagine centrale rappresenterebbe l'antenato divinizzato della stirpe regnante (ma altri studiosi ritengono si tratti di una figura divina). Le scene dipinte sulle altre pareti lo vedrebbero impegnato nella lotta contro le forze del male, sostenuto da due delle principali divinità del pantheon di U. (e sogdiano): Nanā e Wešparkar. Interessanti resti pittorici sono stati anche rinvenuti nel corridoio 7. Procedendo dall'estremità S della parete O (a sinistra dell'entrata alla «sala piccola») fino a una nicchia per trono, e oltre questa, si susseguono scene delle quali è per noi difficile indovinare il nesso logico e il significato generale: un «consiglio di guerra» (tre figure maschili sedute a gambe incrociate nell'atto di conversare), un personaggio seduto su trono leonino ai bordi del quale è inginocchiata una figura femminile dai capelli lunghissimi, una coppia inginocchiata con bambino, una figura stante in posa frontale, un animale che nuota in un fiume, tre personaggi in abiti fantastici, una lupa che allatta due infanti, altri personaggi in cammino. Al di là del trono è riprodotta una serie di scene analoghe. Dell'intera composizione, di cui si è ipotizzato un legame con il culto degli antenati o con la rappresentazione di ambiente esotico non meglio identificabile, l'emblema di Roma è forse il soggetto più sorprendente; veicolo della sua introduzione in Asia centrale furono le monete romane o, più probabilmente, le bratteate bizantine, sulle quali il motivo ricorre con frequenza; si è ipotizzata una sua fusione con la simbologia del lupo presente sia nell'immaginario iranico, sia nella mitologia turca. La «lupa capitolina» di Qal'a-ye Kakhkakha I resta tuttavia un unicum in tutta l'arte centroasiatica.
La tecnica, lo stile, il repertorio di immagini divine e mitologiche consentono di assimilare i dipinti di Qal'a- ye Kakhkakha I alla scuola pittorica sogdiana; di questa, tuttavia, essi testimoniano una fase tarda, in gran parte successiva alla fine di Penjikent (722 d.C.); l'U. non cadde in mano araba che un secolo dopo. In base a confronti con il sito sogdiano, le pitture del corridoio 7 sono datate alla prima metà dell'VIII sec., i dipinti della «sala piccola» alla seconda metà del secolo o all'inizio del IX secolo. Vi si riscontra una tendenza al virtuosismo nel disegno e un'accentuata caratterizzazione di talune figure (in particolare, le immagini terrifiche), ma anche una certa mancanza di accuratezza nella resa anatomica dei personaggi. Per le pitture di Qal’a-ye Kakhkakha, infine, non resta che auspicare una pubblicazione più adeguata e completa.
Gli ambienti del palazzo hanno conservato centinaia di frammenti carbonizzati di decorazione in legno intagliato (da colonne, fregi di coronamento delle pareti e soffitti); oltre a numerosi motivi ornamentali (vegetali e geometrici) si segnalano soggetti figurati, spesso all'interno di archi o medaglioni perlati (dalla sala del trono un timpano con scene di combattimento di ispirazione epica). Costruito nel VII-VIII sec., il palazzo fu definitivamente distrutto da un incendio intorno alla fine del IX sec., probabilmente nell'893/94, data dell'annessione dell'U. al regno samanide. Nella parte SO del sito è stato scoperto un edificio (probabilmente una caserma) costituito da due serie di stretti ambienti paralleli disposti sui lati di un corridoio centrale.
Nel circondario di Šahristan sono state individuate numerose rocche, capisaldi difensivi ubicati in posizioni strategiche. Di particolare interesse la fortezza di Čilkhujra (2,5 km a S di Šahristan), costruita in pakhsā e mattoni crudi. Il primo piano comprendeva un nucleo centrale di quattro ambienti circondato da stretti corridoi, con una coppia di vani a cupola a ogni angolo; al secondo piano erano un santuario e alcuni ambienti residenziali. Delle pitture murali non si conservano che frammenti insignificanti; anche qui si sono conservati resti (carbonizzati) di decorazione lignea intagliata (tre teste e altri frammenti). Degno di nota il rinvenimento di documenti in sogdiano.
Come in Sogdiana, i governatori locali dell'U. portavano il titolo di afšin e battevano moneta propria. Reperti numismatici tramandano i nomi di alcuni di essi (Čirdmiš, Satačari, Rahanč, VI-inizî VII sec. d.C.). L'ultimo afšin, Haydar, ricoprì un ruolo di prestigio nel centro del califfato abbaside, Sāmarrā; dalle fonti scritte sappiamo che la sua conversione all'Islam fu superficiale e che egli rimase legato alla religione avita, di carattere fondamentalmente iranico e analoga a quella della Sogdiana. Grazie all'influenza dell’afšin e alla tolleranza delle autorità musulmane, questo culto continuò a essere praticato nell'U. in piena epoca islamica, fino a che l' afšin non fu processato nell'841/42 per gli eccessi del suo zelo religioso pagano. Solo da quel momento ebbe inizio una più radicale islamizzazione del paese.
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(C Lo Muzio)