USTA (Osta) MURAD
USTA (Osta) MURAD (Benedetto Rio, Ri, da Ri, D’Arrì). – Nacque a Levanto, precisamente nel Borgo, e fu battezzato il 19 marzo 1574, nella chiesa di Sant’Andrea, quale primogenito di Francesco Rio; ignoto il nome della madre.
La famiglia, di modeste condizioni, era originaria della località Rio, nella Valle di Vara, alle pendici del Monte Gottero, oggi nel Comune di Sesta Godano (La Spezia), ma presto ben inseritasi nel Borgo di Levanto. Il padre è definito marmoraro, nel senso di attivo nell’estrazione dalle cave locali e nel commercio e lavorazione del marmo.
Quando il figlio ebbe dieci-dodici anni, Francesco lo avviò alla vita marinara e forse già nella primavera del 1586 o in data poco posteriore, fu catturato da corsari e condotto schiavo a Tunisi. Considerata l’età, dimenticò ben presto la fede cristiana e fu facile indurlo a passare a quella islamica, con l’assunzione del nome Muràd ben Abdallah; Usta è un titolo, di origine persiana (italianizzato nella forma di Osta), attribuitogli forse successivamente e traducibile come «mastro», «patron», divenuto poi parte integrante del suo nome. È indicato nelle fonti anche come Osta Mrad, Morat o Moratto Genovese e in altre forme.
È meno probabile che si sia recato volontariamente a Tunisi verso la fine del secolo, per convertirsi alla fede islamica, vicenda – se effettiva – taciuta, poiché ovviamente meno ‘onorevole’ per la tradizione familiare e locale. Decise forse di convertirsi qualche anno dopo la cattura, con più consapevolezza, considerata la difficoltà di un suo riscatto e, per contro, attratto dalla possibile promozione sociale per ogni credente musulmano, in base alle proprie capacità. La sua fortunata carriera fu dovuta – si deve supporre – oltre che alle personali qualità, all’essere stato verosimilmente incoraggiato dal padrone ad acquisire un certo grado di istruzione, cosa che ne facilitò in qualche modo l’emancipazione.
A Tunisi dal 1590 si era affermato il potere dei militari, i giannizzeri, perlopiù provenienti dai territori ottomani; nel 1593 il loro capo, Othman, designato come dey, assunse il potere effettivo mentre al pascià, rappresentante del sultano, restarono onori formali. Nel 1594 Usta Murad figura come giannizzero e probabilmente lo era già da qualche anno, in grado di dare 90 scudi in prestito a un padrone marittimo salernitano. Dagli ultimi anni del secolo, Osta Morat è menzionato negli atti del Consolato di Francia a Tunisi. Lui stesso aggiungeva talvolta al suo nome l’indicazione ‘Genovese di Levanto’ o di ‘filiolo dello Marmararo di Levanto’, quasi per imitazione della forma onomastica araba. Si era dato all’attività corsara, verosimilmente prima come raìs (capitano), poi quale armatore di una o più unità; in pochi anni conseguì un’apprezzabile posizione, grazie all’ingente capitale accumulato e impiegato in vario modo, e a un personale prestigio riscosso in numerose campagne corsare, nonché a stima per capacità e correttezza. Divenne così persona di fiducia del dey Othman (1593-1610), in particolare per la gestione di affari finanziari e commerciali, come la compravendita di navi catturate dai corsari, il riscatto di schiavi europei, la commercializzazione di prede corsare. Gli atti del consolato di Francia documentano l’ampia attività mercantile e finanziaria di Usta Murad, attraverso una rete di rapporti con greci, francesi, siciliani, livornesi, ma soprattutto con altri liguri, fra i quali il mercante di Rapallo Giacomo Costa. In particolare, era attivo nella compravendita di navi catturate; i guadagni tratti, e quelli derivati dal riscatto degli schiavi, ammontarono a migliaia di scudi. Usta Murad appare nel 1614 proprietario di un ‘bagno’, ovvero di locali adeguati per il ricovero degli schiavi di sua personale proprietà; secondo un cronista tunisino ne catturò nel corso della sua carriera circa 24.000; di navi ne catturò circa 900. I suoi successi come rais e le sue capacità manageriali lo fecero assurgere nel 1615 alla carica di generale delle galere di Biserta, ovvero di capo della flotta statale tunisina, con poteri di controllo anche sui corsari privati. Nel lungo periodo di esercizio della carica, la flotta tunisina – perlopiù costituita da sei galere efficienti e ben equipaggiate – dopo aver subito alcuni insuccessi nel 1617, sotto il diretto comando di Usta Murad ottenne alcuni notevoli risultati come l’incursione nella Terra di San Marco, nei pressi di Palermo, il 12 giugno 1619, la clamorosa entrata nelle Bocche di Cattaro di tredici galere nel giugno del 1624, con il saccheggio della base veneziana di Perasto, d’intesa con la fortezza turca di Castelnuovo, e lo scacco inflitto un anno dopo, all’uscita dal porto di Siracusa, da sei galere tunisine a cinque dell’Ordine di Malta. L’abbandono dopo il 1625 del comando diretto della flotta tunisina da parte di Usta Murad, fu seguito da due insuccessi: nel 1628 nel canale di Sicilia e nel 1636 al largo delle coste albanesi. Egli concentrava ormai il suo impegno negli affari, specialmente nel riscatto di schiavi, non solo a Tunisi, ma anche in altre città barbaresche, nel 1626 ad Algeri. Sotto il lungo governo del dey Yusuf (1610-1637), promotore dell’attività corsara tunisina, Usta Murad continuò ad accrescere la sua fortuna: acquistava e rivendeva navi predate, lingotti d’oro, partite ingenti di varie merci, con transazioni per importi spesso fra i 500 e i 1000 scudi d’oro, mediante accordi anche con l’Ordine di Malta e con mercanti ebrei di Livorno, acquistando stima e autorità riconosciuta. Consigliere del dey, mediava talvolta contenziosi fra consoli e armatori corsari, mostrando abilità di negoziatore e pacificatore. Nella Medina di Tunisi possedeva un grande e lussuoso palazzo, un altro immobile alla Goletta e una dimora nei dintorni della capitale; in segno di deferenza, era lo stesso cancelliere del consolato di Francia che si recava presso di lui per la firma di alcuni atti. Verso il 1615 sposò la figlia di un rinnegato di Genova e ne ebbe tre figli (Murad, Ali, Mohammed) e una figlia, poi sposatasi con il convertito Kahia Hussein.
La sua attività imprenditoriale e poi quella di governo furono sempre ispirate al mantenimento di buoni rapporti con i francesi, cercando anche di favorire un accordo tra la Francia e Algeri. La strage di algerini avvenuta a Marsiglia nel febbraio del 1620 per reazione a un proditorio attacco corsaro di un rais algerino aprì una crisi nei rapporti franco-algerini: Usta Murad convinse tuttavia il dey Yusuf a non guastare i buoni rapporti da tempo stabiliti con la Francia. Nel 1626 si aggravarono invece i rapporti tunisino-algerini per gli sconfinamenti di tribù tunisine in territorio algerino, al fine di sottrarsi alle imposizioni fiscali, e si giunse a un aperto conflitto; Usta Murad fu al comando delle forze tunisine e alla guida diretta di uno dei tre corpi d’armata. Per la disobbedienza o gli errori dei due altri comandanti, la guerra, iniziata con successo dai tunisini, finì in una definitiva sconfitta nel maggio del 1628, per la quale tuttavia non fu intaccato il prestigio di Usta Murad. Questa vicenda, però, insieme a suoi precedenti atteggiamenti sin troppo favorevoli alla Francia, ne pregiudicò del tutto la possibile e da lui molto desiderata ascesa a pascià di Algeri, quale rappresentante del sultano ottomano.
Usta Murad esercitò sempre un ruolo di moderatore, con attitudine alla transazione e conciliazione, rispetto al dey Othman, forse per un giuoco di ruoli. Ebbe l’appoggio di Mami Ferrarese, un altro potente rinnegato, nell’attuazione di uno scaltro piano per far accettare, alla morte del dey Yusuf, la successione nella sua persona, come se fosse stato già in precedenza designato. Mami Ferrarese fu ucciso poco dopo, si può sospettare per mandato di Usta Murad.
Dal 1637 al 1640 fu dey, ovvero governatore, di fatto con poteri sovrani, della ‘reggenza’ di Tunisi, soltanto formalmente parte dell’Impero ottomano.
Il suo governo fu segnato da equità, soprattutto verso la popolazione, favorita dal contenimento dei prezzi dei generi alimentari più necessari, dal potenziamento delle strutture di difesa del territorio, dalla creazione di Porto Farina, dove fra l’altro fu accolta una comunità di moriscos espulsi dall’Andalusia.
La morte del dey ligure sopraggiunse nel 1640, dopo soltanto un triennio, in circostanze poco chiare; fu forse una vendetta dei seguaci di Mami Ferrarese.
Usta Murad è un esempio significativo di rinnegato capace di mantenere il legame con i familiari e rapporti di collaborazione con il Paese di provenienza, contestualmente allo stretto inserimento nella società nella quale la sua personale vicenda lo aveva proiettato. Dal 1594, se non già da qualche tempo prima, il padre – che risultava assente a Levanto – lo aveva raggiunto a Tunisi e, forse con qualche saltuario ritorno in Liguria, lo affiancò per alcuni anni nell’attività commerciale e in quella finanziaria già intraprese; molti riscatti di schiavi furono gestiti per conto del Magistrato del riscatto, allora istituito a Genova. Francesco Rio divenne armatore di navi mercantili attive fra la Tunisia e l’Italia; morì a Tunisi prima della fine del secolo e fu sepolto nel locale cimitero cristiano.
ll successo di Usta Murad, oltre a coinvolgere il padre e due fratelli (specialmente Bartolomeo, nato nel 1591, anch’egli attivo a Tunisi fra il 1613 e il 1634), promosse il rango sociale dell’intera famiglia in patria, come attestano i matrimoni contratti nel 1603 dal fratello Giovanni (nato nel 1576) e l’anno successivo dalla sorella Mariola, (nata nel 1585/1586 e morta il 24 marzo 1670), con membri della famiglia Lavaggiorosso, agiati mercanti. Un altro discendente della famiglia fu attivo a Tunisi negli ultimi decenni del secolo.
Collaboratori molto attivi di Usta Murad furono due altri rinnegati: Hussein, genovese, che ne sposò la figlia, e Muràd Raìs, alla nascita Agostino Bianco di Arenzano, dal 1625 a capo del porto di Biserta. La famiglia Rio si estinse nel 1763, secondo notizie del noto cartografo Matteo Vinzoni, autore anche di una mappa di Levanto.
Fonti e Bibl.: La fonte principale di notizie su Usta Murad è l’accurato regesto degli atti del Consolato di Francia a Tunisi, i cui originali si trovano presso gli Archives départementales di Nantes, redatto da P. Grandchamp, I, La France en Tunisie à la fin du XVIe siècle (1582-1600), Tunis 1920, II, La France [...] au début du XVIIe siècle (1601-1610), 1921, III, La France [...] au début du XVIIe siècle (1611-1620), 1925, IV, La France [...] au XVIIe siècle (1621- 1630), 1926, V, La France [...] au XVIIe siècle (1631-1650), 1927.
B. Roy, Deux documents inédits sur l’expédition algérienne de 1628 contre les tunisiens, in Revue tunisienne, XXIV (1917), pp. 183-197; A. Riggio, I bey del secolo XVII, in Archivio storico per la Calabria e la Lucania, XIV (1945), pp. 169-171; J. Pignon, Osta Moratto turcho-genovese, dey de Tunis (1637-1640), in Cahiers de Tunisie, III (1955), pp. 331-362; S. Bono, I corsari barbareschi, Torino 1964, pp. 362-368; M. Quaini, Levanto nella storia, III, Dal piccolo al grande mondo: i levantesi fuori di Levanto, Genova 1993; A. Terenzoni, Dalla schiavitù alla reggenza di Tunisia. Benedetto D’Arri ligure di Levanto (1574-1640), Genova 2003 (per primo ha utilizzato i documenti anagrafici e istituzionali del Comune di Levanto, con notizie anche sui familiari di Usta Murad); S. Bono, Guerre corsare nel Mediterraneo, Bologna 2019, ad indicem.