USO (XXXIV, p. 843)
Usus auctoritas. - Il binomio si trova in un passo delle XII tavole, riprodotto, piuttosto ad sensum che nel dettato originario, in Cicer., Top., 4, 23: "usus auctoritas fundi biennium est, ceterarum rerum omnium annuus est usus". Certo le due parole che c'interessano si trovavano così unite nella legge; e già i classici, compreso Cicerone stesso (pro Caec., 19, 54), consideravano giustamente l'espressione come un asindeto, che per la migliore intelligenza dei loro contemporanei trascrivevano anche in "usus et auctoritas".
Secondo l'opinione più diffusa, almeno dal Mommsen in qua, la parola usus ha il senso che più tardi fu espresso con usu capio (usucapione); considerando però quest'ultima non già nel suo effetto giuridico dell'acquisto di proprietà, bensì come il processo che nel corso del tempo vi conduce. La parola auctoritas designa invece la garanzia alla quale, in caso di mancipatio (v. mancipazione, XXII, p. 86) a scopo di vendita, l'alienante è tenuto nei confronti dell'acquirente e contro la rivendicazione da parte di un terzo (v. evizione, XIV, p. 662).
Perché i due nomi siano abbinati, è chiaro: compiuta l'usucapione, l'acquirente è proprietario in ogni caso, anche se l'alienante non lo era; e pertanto egli può respingere l'altrui rivendicazione senza ricorrere all'auctoritas. La connessione fra usucapione e garanzia era al tempo delle XII Tavole e nei secoli seguenti così inscindibile, che per esprimere un divieto di usucapione si diceva che l'obbligo dell'auctoritas perdurava indefinitamente: così per le cose furtive (subruptae) si trova scritto "quod subruptum erit, eius rei aeterna auctoritas esto", e per le cose vendute a uno straniero "adversus hostem aeterna auctoritas".
È opinione pressoché universale, a nostro avviso giustificatissima, che il decorso del tempo fissato dalla legge (due anni per gl'immobili, uno per i mobili) fosse necessario all'acquisto della proprietà soltanto quando si fosse acquistato a non domino, o la mancipatio fosse affetta da un vizio di forma. Non va taciuto, però, che secondo recenti tendenze dottrinali il diritto antichissimo avrebbe invece considerato il biennio o l'anno successivo a qualunque mancipatio come un periodo critico, durante il quale l'acquirente non avrebbe avuto altro diritto che quello (personale) connesso con la responsabilità dell'alienante, e soltanto al compimento del termine lo si sarebbe potuto considerare come proprietario. Osta a nostro avviso a quest'ordine d'idee, a tacere di altri rilievi, la solenne affermazione di proprietà attuale in cui si sostanziano i due atti di acquisto del diritto antico, mancipatio e in iure cessio.
Piuttosto va ricordato che, mentre per gl'immobili le XII Tavole menzionano accanto all'usus l'auctoritas, per i mobili si trova menzionato soltanto l'usus: ciò si spiega pensando che si sia voluto fissare il principio dell'usucapione anche rispetto alle cose nec mancipi, che in massima sono tutte mobili e che, non essendo idonee alla mancipatio, non potevano neppure dar luogo ad auctoritas.
Altro problema è di vedere se l'usus della legge decemvirale possa venire considerato come sinonimo di possessio. Certo nell'epoca avanzata dell'evoluzione giuridica romana si parlò di possessio ad usucapionem: questa fu considerata come un possesso qualificato, nel senso che, oltre ad avere tutti gli elementi proprî di ogni possesso, doveva inoltre rispondere a quei requisiti speciali che occorrono per potere col decorso del tempo divenire proprietarî. Ma questa terminologia potrebbe anche essere l'effetto di una subsunzione tardiva, connessa con l'importanza eccezionale che al possesso si riconobbe in epoca classica. Nell'età più antica, il nome di possessio risulterebbe riservato, al contrario, alla signoria delle genti patrizie sull'ager occupatorius, istituto che non aveva certo niente di comune con l'usus conducente all'acquisto del dominium ex iure Quiritium; e d'altra parte, l'usus non era affatto limitato alle cose corporali (come fu in epoca classica il possesso), bensì identificato con l'esercizio di un qualunque diritto assoluto suscettibile di rivendicazione, ivi compresa la potestà maritale (manus, v. usurpazione: Diritto romano, XXXIV, p. 851) e le servitù. Soltanto quando, per effetto di leggi speciali e di desuetudine, l'usucapione delle potestà e delle servitù fu abolita, e d'altro canto la protezione pretoria elevò il possesso delle cose corporali a categoria fondamentale del pensiero giuridico, la giurisprudenza sembra aver avvicinato usus e possessio. Ma tutto ciò è oggetto, anche attualmente, di vivacissime discussioni.
Per quanto riguarda più propriamente il regime dell'usucapione, dell'evizione, del possesso, rinviamo alle voci relative.
Bibl.: E. Rabel, Die Haftung des Verkäufers wegen Mangels im Rechte, Lipsia 1902, p. 5 segg.; Th. Mommsen, De auctoritate commentatio (1843), ripubbl. in Jurist. Schr., III, Berlino 1907, p. 458 segg.; P. Bonfante, Scritti giuridici varii, II, Torino 1917, p. i segg.; P.-F. Girard, Mélanges de dr. rom., II, Parigi 1923; S. Perozzi, Istit. di dir. rom., 2ª ed., Firenze 1928, I, p. 650 seg.; E. Albertario, Sul concetto romano del possesso, in Bull. Ist. dir. rom., XL (1932), p. 5 segg.; F. De Visscher, Le rôle de l'auctoritas dans la mancipatio, in Rev. hist. de droit, s. 4ª, XII (1933), p. 603 segg.; W. Kunkel, Röm. Privatrecht, Berlino 1935, p. 134; R. Monier, Manuel élém. de dr. rom., I, Parigi 1935, p. 502 seg.; F. Leifer, Mancipium und auctoritas, in Zeitschr. Savigny-Stift, LVI (1936), p. 136 segg.; F. Bozza, Il possesso, p. 1ª, Napoli 1936, p. 27 segg.