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urlare

di Andrea Mariani - Enciclopedia Dantesca (1970)
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urlare

Andrea Mariani

Nell'italiano antico, in stretto rapporto col latino ululare, si riferiva al verso del lupo; si veda per es. il commento del Boccaccio a If VI 19 (Urlar li fa la pioggia come cani): " Urlar... è propio de' lupi, come che e' cani ancora urlino spesso ". Riferendosi infatti a voci e suoni umani, generalmente D. usa il verbo ‛ gridare '; ma nei due luoghi della Commedia in cui il termine compare il suo uso è efficacissimo, anche se riferito a uomini, perché si tratta, nel passo citato, di dannati che gridano in modo disumano, tormentati da uno strazio che li imbestialisce; e in Pg XXIII 108 di peccatrici tormentate da un dolore morale.

Analogo traslato nell'uso dei verbi ‛ abbaiare ' (If VII 43) e ‛ latrare ' (per es. XXXII 105 e 108: si noti che mentre Bocca ‛ latra ' per il dolore, in un lamento incomprensibile, Buoso gli ‛ grida ' delle parole precise).

In If VI 19 l'idea dell'uso del verbo è derivata forse dalla descrizione di Cerbero, che latra rintronando le orecchie dei golosi; sotto le grinfie di quel cane gigantesco, immersi nell'orribile fanghiglia e percossi dalla pioggia, i dannati hanno perduto ogni connotato umano, sicché il loro lamento non è un ‛ gridare ' ma un u.: " efficacissimo al principio del verso. Cerbero urla... e li fa urlare come cani, li degrada a livello di cani com'è lui stesso " (Torraca). Dunque il come cani che chiude il verso non è pleonastico, ma intensivo. Quanto alla ragione di questo u., che è la pioggia, si osservi la curiosa nota del Vellutello: " i cibi che piovono a questi crapulanti da la bocca ne lo stomaco... si vengono... a putrefar... la qual putrefazione genera poi nel corpo diverse infirmità che danno varii dolori... e da queste nascono poi gli ululati, le strida, le querele, et i rammarichi ".

" Potente, e geniale nell'invenzione " (Mattalia), " immagine potentissima d'un dolore spirituale " (Porena) è l'u. di Pg XXIII 108 le svergognate [donne fiorentine] ... / già per urlare avrian le bocche aperte; " alte sopra que' petti sconciamente messi in mostra... l'immaginazione di Forese, con acre compiacenza, pone le bocche aperte per urlar da dolore acuto " (Torraca). Nota il Bosco che in questo verso " l'urlo… non lo si ascolta, lo si vede: è contrazione di lineamenti... le donne fiorentine non urlano già nell'aspettativa del dolore… esse si preparano a urlare nell'aspettativa del castigo... contorcono le bocche nell'urlo che verrà " (D. vicino, Caltanissetta-Roma 1966, 167). Benvenuto pensa che nell'uso del verbo ci sia un velato accenno al fatto che le Fiorentine " sunt uxores luporum ".

Dal punto di vista grammaticale si ricordi che per urlare può essere inteso, oltre che finale, anche causale; in tal caso il verso significherebbe non già " aprirebbero le bocche per urlare ", bensì " avrebbero le bocche aperte a causa degli urli ". V. anche URLO; GRIDARE.

Vocabolario
urlare
urlare v. intr. [lat. ŭlŭlare; v. ululare] (aus. avere). – 1. Emettere grida acute e prolungate, e ripetute, riferito a lupi, cani e ad altri animali: lupi che urlano nella notte; il cane, colpito, fuggì urlando; la belva ferita continuò...
urlóne
urlone urlóne s. m. (f. -a) [der. di urlare]. – Persona che urla frequentemente, o che parla per consuetudine a voce molto alta.
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