URBANO VI
Bartolomeo Prignano nacque a Napoli nel 1318. Scarse sono le notizie sulle origini della famiglia. Si ritiene che il padre Nicolò, probabilmente proveniente da Pisa, emigrato a Napoli per motivi politici, appartenesse al ceto mercantile-artigianale; la madre, Margherita Brancaccio, era invece esponente di una delle famiglie della nobiltà di Napoli. La storiografia non appare concorde neppure circa il luogo di nascita, anche se propende per identificarlo con la città di Napoli; alcuni studiosi di ambito locale ne rivendicano invece i natali all'area salernitana o al territorio che ad oriente di Nocera si protende verso Sanseverino, identificato con il feudo di Acquarola. Stesse incertezze rimangono circa la data di nascita in quanto le uniche notizie al riguardo provengono dalle testimonianze rese per la sua elezione al pontificato, secondo le quali il papa a quell'epoca avrebbe avuto sessant'anni. Di sicuro a Bartolomeo Prignano venne impartita un'ottima istruzione che lo favorì nella carriera ecclesiastica. Studiò diritto canonico all'Università di Napoli e la sua preparazione giuridica fu tale che ben presto acquistò alte cariche all'interno non solo dei quadri della Chiesa ma anche della stessa Università di Napoli. Dottore in diritto canonico, Bartolomeo nel 1360 ricopriva infatti la carica di rettore dello Studio di Napoli. Diacono e canonico nella chiesa cattedrale di Napoli, nello stesso 1360 veniva nominato vicario generale dell'arcivescovo, Bertrando di Meychones, in partenza per Avignone, incarico che ricoprì anche nel 1365. In questo periodo ricevette diversi benefici a Napoli, Bari, Salerno e nella diocesi di Benevento. Il 22 marzo del 1363 Bartolomeo Prignano veniva nominato vescovo di Acerenza. In questa veste fu attivamente impegnato nelle delicate relazioni fra la Chiesa metropolita e i suffraganei, oltre che nella rivendicazione dei diritti e dei privilegi dovuti alla sua diocesi contro i soprusi perpetrati da Francesco del Balzo, duca di Andria, imparentato con la dinastia angioina. Il conflitto, generato dalle occupazioni dei beni ecclesiastici, vede nello sfondo lo scontro fra un giurista del livello di Bartolomeo, in difesa dell'autonomia della Chiesa nel Regno di Napoli, sancita dalle leggi della Piana di S. Martino, e i feudatari avviati verso una sempre maggiore indipendenza giuridica e politica. L'atteggiamento di Bartolomeo in questa occasione fu particolarmente energico e deciso, con un netto distacco dalla linea seguita dai suoi predecessori, atteggiamento che non modificherà neppure quando, nel 1377, sarà nominato arcivescovo di Bari. Già dal 1364 aveva iniziato a soggiornare ad Avignone, anche se in modo saltuario; invece dal 1368 pare che vi si stabilisse definitivamente, al seguito del cardinale Pietro di Monteruc. Ben inserito nella Curia avignonese, Bartolomeo Prignano fece una carriera abbastanza rapida. Gli vennero infatti affidati delicati incarichi giudiziari ed importanti mansioni nella Cancelleria pontificia. In tal modo entrava a far parte della più ristretta cerchia dei collaboratori del cardinale. E fu certamente dovuta alla sua preparazione e all'abilità tecnica dimostrata, oltre che agli appoggi di cui godeva, la successiva nomina alla direzione della Cancelleria papale quando Gregorio XI, nel 1376, si trasferì a Roma. Il 13 gennaio del 1377 riceveva anche l'investitura della cattedra arcivescovile di Bari. Certamente la cultura giuridica, l'integrità morale, il rigore che Bartolomeo aveva dimostrato nell'adempiere ai suoi incarichi, la stima guadagnata presso i suoi collaboratori, dovettero incidere sulla scelta operata in suo favore nel conclave del 1378, oltre naturalmente a considerazioni di carattere più squisitamente politico. Comunque, alla morte di Gregorio XI (tra il 26 e il 27 marzo 1378), dopo settantacinque anni per la prima volta il conclave si teneva nuovamente a Roma e i cardinali sembra venissero sollecitati dalle autorità e pressati dalla minacciosa richiesta del popolo romano: "Romano lo volemo o almanco italiano". La sera del 7 aprile il Collegio cardinalizio, rinchiuso nella cappella di S. Nicola nel Palazzo Vaticano, composto da ben undici francesi, quattro italiani e uno spagnolo procedeva ad un primo scrutinio che portò all'elezione, con tredici voti, di Bartolomeo Prignano; un secondo scrutinio, effettuato su suggerimento del cardinale Francesco Tebaldeschi per evitare polemiche sull'elezione così repentina, riconfermava l'arcivescovo di Bari quale nuovo pontefice, e questa volta a non votarlo fu solo il cardinale Giacomo Orsini - un'opposizione dovuta a vecchi rancori, "ex antiquo odio", come avrebbe confessato più tardi. Dovendo attendere l'arrivo a Roma del neoeletto pontefice, per calmare la folla tumultuante, i cardinali reputarono opportuno ricorrere all'espediente di indicare nell'anziano e malato cardinale romano Tebaldeschi il prescelto; ma temendo che, saputa la verità, si potessero scatenare delle rappresaglie, alcuni prelati abbandonarono il Palazzo Vaticano e la sera dell'8 aprile il cardinale francese Pietro Vergne, il camerario Pietro Cros, arcivescovo di Arles, insieme ad altri quattro si rifugiarono in Castel S. Angelo. Così venerdì 9 aprile, alla presenza dello stesso Bartolomeo Prignano, ma in assenza di almeno tre dei cardinali francesi, veniva riconfermata l'elezione e finalmente resa nota al popolo romano. Il 18 aprile, giorno di Pasqua, lo stesso Orsini poneva la tiara sul capo di U. sulla sommità della scalinata esterna di S. Pietro. Alle poche ed incerte notizie per il periodo precedente l'ascesa al soglio pontificio, fanno riscontro numerose e varie informazioni per il periodo intercorso fra la morte di Gregorio XI e l'elezione di U., dovute alle deposizioni di ben centosessantaquattro testimoni oculari, chiamati a fornire utili elementi sulla validità del conclave dal quale era uscito Urbano VI. E se in genere era imputato al "sedicioso populo" di aver reso particolarmente minacciosa l'atmosfera del conclave, alcune testimonianze ribadivano che nessuna intimidazione venne perpetrata in quell'occasione nei confronti dei cardinali. Quali furono dunque i fattori che portarono al repentino cambiamento delle decisioni del Collegio cardinalizio? La storiografia a questo proposito ha puntato di volta in volta l'attenzione su motivi di politica interna ed internazionale (M. de Boüard e P. Brezzi), sul risentimento dei cardinali contro un'azione riformatrice troppo violenta di U. (N. Valois, La France et le Grand Schisme, I), che avrebbe provocato lo "scontro di mentalità tra papa e sacro collegio sul modo di essere cardinali" (E. Pásztor) o sul "factionalisme cardinalice" (H. Bresc), o ancora sul tentativo dei cardinali di dare un indirizzo oligarchico alla Chiesa (M. Souchon). Talora l'attenzione degli studiosi si è soffermata sull'atteggiamento risoluto di U. in molte delicate questioni e soprattutto sul suo carattere troppo rigido (H. Seidlmayer), per cui i cardinali si sarebbero trovati nella delicata posizione di dover sollevare dall'incarico un papa che dimostrava di essere incapace e inadatto a ricoprire questo ruolo (W. Ullmann). Di recente è stato messo l'accento sulla crisi delle istituzioni ecclesiastiche (G.G. Merlo) e sullo spirito riformatore (P. Ourliac). Senza volere entrare in merito alla delicata questione, rimane il dato fondamentale che fu lo stesso Collegio cardinalizio, fatta eccezione per il vecchio e malato Francesco Tebaldeschi (morì ai primi di settembre del 1378) che rimase fedele ad U., ad eleggere nel giro di pochi mesi un altro pontefice. Se il clima politico con il quale si apriva il pontificato di U. non era affatto tranquillo - in Castel S. Angelo rimanevano alcuni cardinali francesi sotto la protezione di Pietro Gandelin, che era stato nominato castellano dal cardinale Géraud du Puy, legato pontificio ai tempi di Gregorio XI - da parte sua il nuovo papa dimostrava subito un temperamento forte e agguerrito fino ai limiti della stravaganza; e ben presto i Romani dicevano pubblicamente: "questo papa que noi avemo fato è toto passo". I cardinali da parte loro lo dipingono fatuo, demente, mentecatto, stolto; e, ancora, melanconico e iracondo lo definiva il cardinale Ugo di Monatalais. Un'impressione confermata peraltro dagli stessi cronisti, che sottolineano che "fu tanta la sua poca pazienza, che inanzi che compiesse luglio [1378], non fu niuno a cui non facesse ingiuria [...]"; e la causa dell'allontanamento dei cardinali è vista proprio nella "mala disposizione di lui" e nel "poco senno" (Marchionne di Coppo Stefani). Il comportamento di U. aveva così sempre di più diffuso una generale sfiducia nei suoi confronti: "poco si credeva alle sue parole [...] poco attenea e molto promettea" (Anonimo fiorentino). La stessa Caterina da Siena, cercando di attenuare il negativo giudizio che i contemporanei avevano di U., manifesta la considerazione che circondava il papa: "Questi cotali fanno tutto il contrario; pigliando una falsa cagione, dicono: non è degno di essere sovvenuto; fosse quel che egli debbe essere e attendesse alle cose spirituali e non temporali!". E se prima dell'elezione al soglio pontificio era considerato un uomo prudente e modesto, divenuto papa aveva manifestato un tale cambiamento da farlo ritenere arrogante e fatuo. Un cambiamento imputato all'esaltazione per l'elezione, considerata da U. quale espressione della particolare benevolenza divina nei suoi confronti, e per questo parlava e si comportava in modo talora così disordinato e insolito da dare l'impressione di non essere nel pieno delle proprie facoltà. La sua profonda formazione giuridica e il carattere decisamente energico influirono senz'altro sulle immediate decisioni. Se fra i suoi primi atti si intravede il desiderio di portare a compimento quanto era stato avviato da Gregorio XI, non appare tuttavia casuale che già il 14 maggio 1378 intervenisse in un settore per lui particolarmente importante con la concessione alla città di Orvieto dello Studio Generale, che gli Orvietani avevano più volte sollecitato al precedente pontefice. Qualche mese dopo, il 26 luglio, a Tivoli firmava la pace con Firenze, ponendo fine alla delicata questione rimasta aperta con la morte di Gregorio; ma certamente obiettivo primario di U. sembra essere la riforma ecclesiastica. In particolare U., mostrando di sentirsi portavoce dello spirito riformatore che aleggiava sulla Chiesa, si mosse nei confronti dell'alta gerarchia ecclesiastica nel tentativo di affermare l'autorità del pontefice al di sopra del Collegio cardinalizio ("omnia possum et ita volo") conducendo un'azione determinata e forte contro ogni tipo di degenerazione materiale e morale. Impegnato ad introdurre alcune riforme soprattutto all'interno della Corte cardinalizia, in questo sollecitato anche da personaggi come Caterina da Siena, si scontrava più volte con il Collegio cardinalizio. Per evitare quello che considerava il male peggiore, la simonia, proibì ai cardinali di richiedere benefici a favore di re o principi; d'altro canto per convincere i porporati a sottomettersi alla sua volontà più che a quella del potere temporale, U. prometteva di concedere loro maggiori ricchezze, finanche il doppio di quanto avrebbero potuto ricevere dai vari signori. Subito dopo l'ascesa al soglio pontificio si riservava le annate di tutti i benefici, di quelli già conferiti e di quelli che avrebbe concesso in seguito (bolla Nonnullorum perversorum del 19 aprile 1378); un provvedimento che rientrava nella sua concezione del primato assoluto del pontefice. Anche in questo settore dunque egli dimostrava di agire in modo del tutto autonomo e arbitrario, conferendo i benefici maggiori e minori a suo piacimento - "ut sibi videbatur et placebat" - come sottolineano alcune testimonianze. La realizzazione di un programma accentratore circa la concessione dei benefici avrebbe portato ad un miglioramento anche riguardo all'osservanza della residenza da parte dei prelati. Nel giugno del 1378 i cardinali, con l'autorizzazione di U., si trasferivano ad Anagni dove il papa li avrebbe dovuti raggiungere per chiarire la delicata questione della legittimità della sua elezione. Le notizie di una congiura ai suoi danni e i consigli di Rainolfo de Gorse, vescovo di Sisteron, dissuasero U. dall'effettuare il viaggio. Tra il 21 e il 26 giugno infatti era giunto a Roma il priore dei Certosini di S. Martino di Napoli, amico intimo del papa, per invitarlo, a nome dei cardinali, a presentarsi ad Anagni. U. invece il 26 giugno si recava a Tivoli dove, qualche giorno dopo, veniva raggiunto da una seconda delegazione, anche in questo caso condotta da un suo amico, Martino Zalva vescovo di Pamplona, per trovare una soluzione a quella che ormai era ritenuta una controversa elezione, ma con esito negativo. Sappiamo infatti che se, almeno da buona parte dei cardinali francesi, era stata avanzata la richiesta dell'abdicazione incondizionata, il settore moderato dei porporati avrebbe proposto che il papa fosse affiancato da un consiglio direttivo, formato da uno o più cardinali "coadiutores". Il 30 giugno anche i cardinali italiani (Simone de Brossano, Pietro Corsini e Giacomo Orsini), inviati da U. ad Anagni per verificare le intenzioni dei cardinali dissidenti, raggiungevano il papa a Tivoli nel tentativo di comporre la frattura in atto con il Collegio cardinalizio. Il papa mandava quindi ad Anagni Andrea Caraffa e Guglielmo della Voulte, vescovo di Marsiglia; e per ben due volte anche il suo penitenziere, Enrico di Buda, per convincere i cardinali di Montalais, Vergne e de Luna a recarsi a Tivoli. Fallirono anche le successive ambasciate di U. condotte da altri suoi stretti collaboratori e amici, come il suddiacono Giovanni de Bar e Bartolomeo Zabrizi, vescovo di Recanati; esito negativo ebbero anche le missioni dei cardinali di Anagni. Così il 20 luglio i cardinali dissidenti, incoraggiati anche dal successo delle truppe mercenarie al loro servizio, che qualche giorno prima avevano sconfitto i Romani sul ponte Salario, dichiararono all'unanimità la nullità dell'elezione papale. In quegli stessi giorni veniva presentata al papa un'ulteriore soluzione per evitare lo scisma: la convocazione di un concilio generale. Ottenuto il consenso di U. a questa proposta, il 26 luglio i cardinali italiani, promotori dell'iniziativa, ripartivano da Tivoli e, recatisi prima a Vicovaro, giungevano poi a Palestrina dove si incontrarono con tre colleghi francesi, i quali tornarono ad Anagni per consultare gli altri. Il 2 agosto arrivava la risposta dei dodici cardinali ultramontani (Aigrefeuille, Cros, Flandrin, Ginevra, Lagier, La Grange, Luna, Malesset, Montalais, Noëllet, du Puy Sortenac e Vergne), che da Anagni ribadivano di non considerare valida l'elezione di Urbano VI. La dichiarazione del 9 agosto con la quale dalla cattedrale di Anagni veniva proclamata la sede vacante veniva giustificata per l'appunto con il clima turbolento ed inquieto nel quale si sarebbe svolto il conclave. Continuarono tuttavia le ambasciate per cercare di evitare lo scisma: l'ultimo tentativo fu effettuato intorno alla metà del mese quando il papa, rientrato a Roma, veniva raggiunto da Gonzales, priore del convento domenicano di S. Sabina a Roma, amico del cardinale de Luna, nominato portavoce del gruppo dei cardinali di Anagni. Ancora in questo senso si svolgeva l'incontro a Gaeta, intorno alla fine del mese, fra l'inquisitore di Napoli, il domenicano Nicola Moschino Caracciolo, amico di U., successivamente da questo eletto cardinale, ed il confratello Nicola Eymerich, inquisitore del Regno di Aragona, che proveniva da Fondi, ma inutilmente. Frattanto i tre cardinali italiani si recavano a Sessa e, intorno al 12 settembre, venivano chiamati a Fondi dai loro colleghi ultramontani, che avevano trovato rifugio nel castello di Onorato Caetani. Vennero condotte qui le ultime trattative su di un concilio che, composto dai prelati di tutte le provincie, si sarebbe dovuto tenere in un luogo scelto dai cardinali; nel frattempo a questi sarebbe stata affidata l'amministrazione dei beni temporali e ad ogni prelato la giurisdizione di quelli spirituali. Ma la "via concilii" venne presto abbandonata per la "via compromissi" con la proposta di un comitato più ristretto degli elettori: tre cardinali italiani e tre francesi. Questa soluzione fu appoggiata dall'ambasciatore di Giovanna I, Niccolò Spinelli, conte di Giovinazzo, che era stato inviato a Fondi per sollecitare l'elezione di un papa italiano. Il conclave tenutosi il 20 settembre a Fondi, sotto la protezione di Onorato Caetani, con l'incoraggiamento di Luigi d'Angiò, fu brevissimo essendo stata già decisa la nomina di Roberto di Ginevra. L'elezione veniva annunciata il 21 settembre. Il 31 ottobre avveniva l'incoronazione del pontefice della seconda obbedienza che prese il nome di Clemente VII (ritiratosi prima a Napoli, da qui si imbarcava per Marsiglia e, il 20 giugno del 1379, si insediava con la sua Curia ad Avignone). Aveva così inizio il lungo e tormentato periodo dello scisma d'Occidente che si concluderà solo trentanove anni più tardi. Il Regno di Napoli ebbe un ruolo senza dubbio di rilievo, per il sostegno fornito alla seconda obbedienza, successivamente lo avrà soprattutto per la formazione di clan familiari che nell'appoggiare U. ben presto finiranno per imporsi a lui. Tale meccanismo fu innescato dalla necessità del papa romano di creare ex novo la propria Curia. Insieme ai cardinali era infatti passata al seguito di Clemente anche la quasi totalità del personale della Camera apostolica, per lo più francese. U. si trovava così a dover riorganizzare non solo il Collegio cardinalizio ma soprattutto un corpo di funzionari di grande efficienza e preparazione come quello della Curia avignonese. Mettendo quindi da parte il rigore morale, che gli aveva impedito di avere inclinazioni nepotiste - tanto da venire magnificato come il migliore papa da più di cento anni -, si trovò nella condizione di doversi appoggiare ai propri concittadini e parenti. Il 17 settembre del 1378 U. nominava i primi venticinque nuovi cardinali, di cui sette erano di Napoli; nella seconda designazione (1381) di sei cardinali, la metà era napoletana; successivamente (1382-1385) due su tre porporati provenivano da Napoli ed infine, nel 1384, cinque furono i napoletani su nove eletti, fra cui due suoi parenti, Marino Vulcano e Rinaldo Brancaccio. L'obiettivo politico di U. fu duplice: ristabilire l'autorità papale su quei territori che, per la lunga assenza dei pontefici da Roma, si erano resi quasi indipendenti, e mantenere sotto controllo il Regno di Napoli. In linea con la ricerca del pieno dominio su Roma e sui territori dello Stato pontificio è l'interruzione della pace con Francesco di Vico, prefetto di Roma, che teneva Viterbo e Civitavecchia. Tuttavia il potere di Francesco di Vico, passato naturalmente nelle fila dei clementini, si incominciò ad incrinare nel 1386 con la perdita di Montefiascone, ma solo con il suo assassinio, nel maggio del 1387, le città di Viterbo, Amelia e Todi tornavano sotto il controllo di Urbano VI. Le milizie mercenarie al soldo di Clemente VII avevano inoltre portato la guerra fino a Roma, ma con la vittoria conseguita a Marino il 29 aprile 1379 dalla Compagnia di S. Giorgio, composta di italiani al servizio di U. e al comando di Alberico da Barbiano, anche Castel S. Angelo tornava sotto il controllo del papa romano. Una successiva spedizione promossa da Clemente VII per occupare lo Stato pontificio si concluse nel 1384 con un fallimento. Il contributo di 100.000 fiorini d'oro richiesto da U. alle chiese e ai conventi di Roma provocava però nuovi malcontenti in una città le cui condizioni economiche apparivano tutt'altro che floride. Dalla parte del papa romano si schierava invece il Comune di Tivoli, che nel 1381 muoveva la sua vittoriosa guerra contro gli Orsini di Tagliacozzo e il loro alleato Corrado di Antiochia. Tale atto, voluto ed appoggiato dal papa, era stato peraltro dettato dalla decisa opposizione di questi signori al pagamento dei pedaggi imposti dai Tiburtini. Risale alla fine del maggio 1378 il provvedimento di U. contro Onorato Caetani, conte di Fondi, al quale venne negato il rimborso di un prestito di ben 12.000 fiorini d'oro, erogato a favore della Camera apostolica ai tempi di Gregorio XI, e che fu estromesso dal rettorato della Campagna e Marittima, ufficio affidato a Tommaso di Sanseverino (poi eletto senatore di Roma); sia questo atto, in linea con il programma politico di U., che certamente gli creò delle forti inimicizie, sia la richiesta del riconoscimento della sovranità feudale sul Regno di Napoli e l'appoggio dato al papa romano da Carlo di Durazzo, sembrano essere stati fattori determinanti per la rottura con la regina Giovanna I d'Angiò. Si distinguono infatti due fasi nella politica di Giovanna. Dopo un'iniziale piena adesione ad U. che, originario del Regno, poteva suscitare molte aspettative, e al quale la regina aveva inviato, subito dopo l'elezione, un'ambasciata composta, fra l'altro, dallo stesso marito, Ottone di Brunswick, Giovanna fu la prima a prendere posizione, anzi ad aiutare i cardinali di Anagni, molto probabilmente incoraggiata dal suo consigliere, Niccolò Spinelli, amico di Roberto di Ginevra, oltre che dal marito Ottone di Brunswick. Venne inoltre appoggiata in questa iniziativa proprio da Onorato Caetani che, oltre ad essere suo vassallo e ormai dichiarato nemico di U., si stava imparentando con la famiglia reale attraverso le nozze della sua unica sorella, Iacobella, con il fratello di Ottone. Tuttavia il popolo napoletano rimase fedele ad U., anche con clamorose manifestazioni a favore del papa romano; tanto da costringere, in occasione di un soggiorno di Clemente VII a Napoli nella primavera del 1379, la regina a schierarsi dalla parte di Urbano VI. Si trattava di un cambiamento così repentino che già nell'estate di quello stesso anno Giovanna tornava ad abbracciare il partito clementino ed entrava in trattative con il duca Luigi d'Angiò, fratello di Carlo V re di Francia, per la successione al trono. U. nella primavera del 1380 dichiarava eretica Giovanna I, la scomunicava e la sostituiva con il cugino, Carlo di Durazzo, della linea ungherese degli Angiò, che, nel novembre del 1380, era stato eletto senatore di Roma, capitano e gonfaloniere della Chiesa, e che venne incoronato a Roma nel 1381. Entrato a Napoli, Carlo III d'Angiò, con l'aiuto del cardinale Gentile da Sangro, fece prigioniera la regina Giovanna, che morirà in carcere (1382). Questo programma politico trovava il suo giusto corollario nella politica finanziaria portata avanti da Urbano VI. La sua attenzione a questo settore emerge dalle disposizioni impartite al suo collettore di Aragona e Navarra, Bertrando di Massello, dalle quali sembra trapelare anche un tentativo di riforma (O. PŠrerovsk´y). In particolare il 28 aprile del 1378 raccomandava al Massello di raccogliere le imposte dovute alla Camera apostolica. In un'altra lettera del 5 maggio giustificava la riserva delle annate e la revoca della proroga nei pagamenti dei "servitia communia" con le gravi difficoltà economiche in cui si trovava la finanza pontificia anche in vista delle spese che avrebbe dovuto affrontare per la difesa e il recupero delle terre e dei beni della Chiesa. Tuttavia se da una parte cercava di attuare una riscossione più equa delle imposte, dall'altra faceva ricorso all'arma della scomunica contro quei vescovi che non avevano provveduto per tempo a far fronte ai loro impegni finanziari. La stretta connessione fra questi due aspetti, quello politico-militare, e quello finanziario, è messa in rilievo da un contemporaneo, Teodorico de Nyem, ed entrambi sembrano rappresentare un rilevante problema per il papa: "Urbano si è trovato continuamente implicato in guerre e per questo motivo ed anche pei molti suoi viaggi ha dovuto spendere grosse somme di denaro. Eppure egli non si è mai macchiato di simonia; anzi conferiva gratuitamente tutti i benefizi dentro e fuori della Curia e teneva fermo nella mente a chi aveva concesso una prebenda vacante e di sua spettanza, perché non gli voleva dare alcun concorrente. Non diede mai consensi a nuove estorsioni, ma si accontentò dei vecchi, benché modesti tesori della Camera Apostolica. Inoltre era di sentimenti così elevati, che non si lamentava mai, quando lo stringesse il bisogno". L'Europa cristiana si trovò ad un certo punto costretta a scegliere tra U. e Clemente VII non potendo coesistere due pontefici, i quali peraltro cercavano l'appoggio di sovrani e di città, con l'invio di lettere e ambasciate onde affermare la piena validità della loro elezione. Per risolvere lo spinoso problema della legittimità furono naturalmente coinvolti i maggiori e più noti giuristi dell'epoca, tra cui Baldo degli Ubaldi, Giovanni da Spoleto, Tommaso da Acerno, Giovanni da Legnano e Bartolomeo da Saliceto, che si pronunciarono a favore della legittimità di U.; dalla parte di Clemente VII si schierarono Niccolò Spinelli e i giuristi dell'Italia meridionale. Nel luglio del 1378 il cardinale Giacomo Orsini, l'unico che nel conclave non aveva votato il futuro U., chiedeva a Giovanni da Legnano, Baldo degli Ubaldi e Bartolomeo da Saliceto di esporre il loro parere legale sulla grave questione. Se i primi due risposero con sollecitudine a questa richiesta, Bartolomeo da Saliceto consegnava, circa un anno dopo, al cardinale Orsini il suo Consilium pro Urbano VI. In questo scritto veniva sostenuta l'infondatezza della tesi della non validità. E la dimostrazione che non era stata fatta alcuna pressione né intimidazione stava fra l'altro, secondo Bartolomeo, nel fatto che i cardinali avessero voluto e quindi anche potuto ripetere l'elezione dalla quale uscì un'altra volta il nome di Urbano. Le posizioni dei vari paesi non furono sempre nette e decise e non di rado oscillarono fra la fazione urbanista e quella clementina a seconda degli interessi o dei convincimenti personali dei regnanti. Certamente questa situazione poteva presentare lati del tutto favorevoli per quei signori e principi in cerca di una loro affermazione e di un riconoscimento di carattere istituzionale o di benefici che aiutassero le loro finanze. Non è facile d'altronde discernere le ragioni che furono alla base delle diverse posizioni o che portarono, nel corso degli anni, a mutare opinione. È probabile che l'atteggiamento neutrale ed ambiguo mostrato dai Visconti che, pur avendo aderito ad U., oscillavano fra le due obbedienze, cercando alleanze e favori da entrambe le parti, fosse determinato dalla scelta del papa romano di non riconoscere la pace di Sarzana, conclusa fra il papato e Firenze con la mediazione di Bernabò Visconti, legato di Gregorio XI. Una decisione che U. prese, fra l'altro, nel timore di accrescere il potere del signore di Milano, a seguito delle concessioni che avrebbe dovuto fare al Visconti in ricompensa dell'intervento; un potere che si sarebbe potuto estendere praticamente su tutta la penisola anche attraverso la promessa dell'alleanza matrimoniale fra Ludovico, figlio di Bernabò, e Maria, figlia di Federico III d'Aragona re di Sicilia. In modo altrettanto incerto e poco chiaro si mosse la stessa città pontificia di Bologna, la cui Università aderiva al partito clementino, ottenendo il riconoscimento di una quasi completa indipendenza e favori a molti dei suoi membri. Per quanto riguarda i rapporti internazionali, anche in questo campo le mosse di U., fin dagli inizi, appaiono improntate ad una sostanziale ricerca di libertà ed indipendenza giurisdizionale e alla coscienza della dignità suprema del pontefice. Il papa romano avrebbe voluto così riportare i rapporti con l'imperatore secondo le modalità in atto ai tempi di Innocenzo III. Rifiutò quindi di trattare con Corrado di Wesel, ambasciatore dell'imperatore Carlo IV, già accreditato presso Gregorio XI, per la conferma dell'elezione del figlio Venceslao quale re dei Romani, in quanto era opinione di U. che simili negoziati potessero essere condotti solo dai più alti dignitari dell'Impero. Non riconobbe il trattato concluso fra Gregorio XI e il re d'Inghilterra, Edoardo III, dal quale esigeva, come da tutti gli altri, che venisse riconosciuta la giurisdizione universale della Chiesa. Inoltre avendo dichiarato, subito dopo l'elezione al soglio pontificio, che il papa aveva il potere di deporre re e imperatori in tal senso si mosse contro Enrico II, re di Castiglia, che, seppure alleato di Gregorio XI nella guerra contro Firenze, si era ormai schierato a favore di Clemente VII. Nonostante l'approccio infelice con l'imperatore, Carlo IV di Lussemburgo divenne il primo ed anche agguerrito difensore di Urbano VI. Il figlio Venceslao il 27 febbraio del 1379 aveva stretto alleanza con gli arcivescovi di Treviri, Magonza e Colonia e con Ruperto I, conte palatino, a favore di U.; e nel giugno dello stesso anno insieme a Ludovico d'Angiò, re di Ungheria e di Polonia, dichiarava apertamente il suo appoggio al papa romano. Il re dei Romani proponeva a Riccardo II una triplice alleanza fra l'Impero, l'Ungheria e l'Inghilterra. Altrettanto risolute e ferme furono le posizioni di Louis de Male, conte di Fiandra, e di Riccardo II, re d'Inghilterra. Nemico della Francia, Riccardo II il 20 ottobre del 1378 in un parlamento convocato a Gloucester deliberava l'adesione a U. e la confisca dei ricchi benefici che i cardinali ribelli avevano nell'isola. Anche il Portogallo, alleato dell'Inghilterra, dopo alcune esitazioni iniziali, finì per schierarsi dalla parte del papa romano. Aderiva invece al partito clementino Carlo V, re di Francia, anche se dopo un breve periodo di neutralità. D'altronde i sostenitori della seconda obbedienza avevano la loro roccaforte nella Linguadoca, amministrata da Luigi d'Angiò, che era divenuto il più fervido sostenitore di Clemente VII. Certamente sulla determinazione di Carlo V incise anche il legame di parentela del re con i conti di Ginevra. Tra la fine del 1378 e gli inizi del 1379 anche la Savoia e la Scozia, alleata della Francia, si schierarono dalla parte di Clemente VII. Una sintesi mirabile delle ambiguità e delle divergenze sorte in seguito alla presenza di due papi è offerta dal caso dei Regni iberici. Pietro IV re d'Aragona da un lato si manteneva neutrale raccomandando ai suoi funzionari inviati in Italia di rimanere imparziali, dall'altro, invece, intervenne a favore di U. nella concessione di riscuotere le imposte papali nel suo Regno. Il re inoltre si prodigò affinché l'abate di Sassoferrato, Perfetto Malatesta, collettore papale, arrestato dagli uomini del cardinale di Térouanne, venisse rilasciato. Il Malatesta rientrato a Barcellona, nel giugno del 1379, in ringraziamento leggeva alla presenza del re la sua composizione De triumpho romano. Furono probabilmente proprio interessi di carattere economico alla base della decisione presa nel settembre del 1379 da Pietro IV di rimanere "indifferente" e perciò di trattenere le rendite della Camera apostolica. Egli comunque aveva ottenuto da U. che venisse fondata un'Università a Lérida in opposizione a quella di Parigi dove si trovavano teologi del partito clementino. Inoltre il re di Aragona "iam portaverat raubas et aquilam", ossia la veste rossa con le insegne della famiglia Prignano (l'aquila azzurra in campo oro), dono del neoeletto Urbano VI. Un simile dono U. lo aveva fatto anche all'imperatore, al re del Portogallo e al re di Castiglia, il quale, tuttavia, essendo alleato della Francia, si schierava con Clemente VII. Fu tentata anche la via di fatto per imporre una delle due obbedienze. I maggiori fermenti erano nelle regioni d'Oltralpe: nell'aprile del 1383 una crociata inglese si scontrava contro l'armata avignonese, e qualche mese dopo, veniva sconfitta ad Ypres; altrettanto sfortunata si rivelò la spedizione contro la Castiglia. Un'altra crociata fu promossa contro Carlo III d'Angiò, nel corso della quale moriva a Bari Luigi d'Angiò (20 settembre 1384). U. infatti, nell'estate del 1384, si era rifugiato presso suo nipote a Nocera e, temendo che il re di Napoli, insieme ad alcuni cardinali, stesse cospirando contro di lui, fece imprigionare i porporati sospetti. Tale comportamento del papa provocò l'immediata reazione di cardinali, come Pileo di Tuscolo (Pileo de Prata), che si allontanò convinto che fosse necessario convocare un concilio. U. scomunicò Carlo III e la moglie e lo dichiarò decaduto; il re a questo punto fece assediare il papa a Nocera dalle sue truppe, guidate da Alberigo, e fece mandare in città un bando che offriva una ricompensa di 10.000 fiorini d'oro a chiunque avesse consegnato il papa vivo o morto. Il 5 luglio giungevano in aiuto di U. Raimondello Orsini, conte di Nola, e dieci galee genovesi, inviate dal doge di Genova, Antonio Adorno. Il 7 luglio il papa, scortato dall'Orsini e portando con sé i cardinali prigionieri, si imbarcava per Genova dove il 23 settembre 1386 trovava rifugio. In quella città ben cinque dei suoi cardinali scomparvero misteriosamente. L'uccisione di Carlo III, avvenuta in Ungheria nel febbraio del 1386, fece scatenare ulteriori lotte per la successione al Regno di Napoli. U., che si trovava in quel periodo a Lucca, si recò a Perugia per promuovere un'azione militare contro Napoli caduta nelle mani dei clementini, ma la mancanza di finanziamenti impedì tale impresa. Nel settembre del 1388 tornava a Roma. Plausibilmente per cercare di riguadagnare il favore del popolo romano, U. con la bolla Salvator Noster Unigenitus (8 aprile 1389) stabiliva che da quel momento il giubileo si dovesse celebrare ogni trentatré anni, così che tutti potessero usufruire, almeno una volta nella loro vita, di questa straordinaria indulgenza. Essendo già trascorso il termine fissato U. decideva di proclamare comunque l'Anno santo per il 1390 ma la morte, avvenuta il 15 ottobre del 1389 (venne sepolto nella cripta di S. Pietro), gli impediva di portare a compimento tale decisione. Una decisione conciliante dunque, che era stata preceduta dalla concessione di due mesi di indulgenza dopo la sua elezione al soglio pontificio, secondo quanto riporta Cristoforo da Piacenza. Il suo successore, Bonifacio IX, approfittò di questa eredità, tanto più che Roma era meta privilegiata di pellegrinaggio anche per la presenza dei sepolcri degli apostoli, ma la brevità del tempo a disposizione per organizzare il grande evento e le condizioni assai critiche della città resero particolarmente difficile lo svolgimento di questo Anno santo. Fu plausibilmente per far fronte a tali inconvenienti che venne concessa ampia facoltà di perpetrare indulgenze anche in altri territori, dalla vicina Subiaco fino alla Sicilia e alla Scandinavia. Non sono rimasti i provvedimenti ufficiali presi per questa occasione, ma i contemporanei sottolineano i notevoli profitti finanziari che ne trasse il papa anche per l'istituzione di uno speciale collettore di indulgenze - "commissarius super concessione indulgentie anni iubilei" - il quale stimava, in base alle possibilità economiche di ogni penitente, l'offerta da versare; questa vendita delle indulgenze, iniziata nel 1390, si protrasse per diversi anni fino al supposto, ma mai proclamato, Anno santo del 1400. Fonti e Bibl.: fonti inedite: A.S.V., Arm. LIV, nrr. 14-39, De schismate Urbani VI (si tratta di una collezione di atti sullo scisma del 1378); B.A.V., Vat. lat. 4039, 4153, 4192, 4896, 4924, 4943, 5607, 5608, 7602, dove si trovano atti sullo scisma; Roma, Biblioteca Casanatense, ms. D. I. 20 (v. H. Finke, Forschungen und Quellen zur Geschichte des Konstanzer Konzils, Paderborn 1887, pp. 3, 105); Venezia, Biblioteca Marciana, ms. Marciano latino IV, 96 (=2939). Fonti edite: O. Raynaldus, Annales ecclesiastici ab anno MCXCVIII, ubi desinit cardinalis Baronius, a cura di I.D. Mansi, VII, Lucae 1752-53, pp. 318-27 (testo del Factum inviato da Giacomo Orsini sull'elezione di U.); Epistolario di S. Caterina da Siena, Firenze 1860 (ora riedito da P. Misciattelli, ivi 1970); Theodericus de Nyem, De scismate libri tres, a cura di G. Erler, Leipzig 1890; Coluccio Salutati, Epistolario, a cura di F. Novati, Roma 1891-1905; Acta Urbani VI et Bonifatii IX pontificum Romanorum, in Monumenta Vaticana res gestas Bohemicas illustrantia, R, 1, a cura di C. Krofta, Praga 1903; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, in R.I.S.², XXX, 1, a cura di N. Rodolico, 1903; Acta inedita historiam pontificum Romanorum praesertim saec. XV, XVI, XVII illustrantia. Ungedrückte Akten zur Geschichte der Päpste vornehmlich im 15., 16., und 17. Jahrhundert, I, 1376-1464, a cura di L. von Pastor, Freiburg 1904; Cronica volgare di anonimo Fiorentino dall'anno 1385 al 1409 già attribuita a Piero di Giovanni Minerbetti, in R.I.S.², XXVII, 2, a cura di E. Bellondi, 1915-18; Suppliques et lettres d'Urbain VI (1378-1389) et de Boniface IX (cinq premières années: 1389-1394), a cura di M. Gastout, Bruxelles-Rome 1976. La bolla di indizione del giubileo del 1389 è in parte edita in Theodorus a Spiritu Sancto O. Carm., Tractatus historico-theologicus de Iubilaeo praesertim Anni Sancti, Romae 1750, pp. 32 ss.; la bolla con cui U. istituiva lo Studio Generale ad Orvieto è pubblicata, con alcune notizie generali sullo Studio, da L. Fumi, Per le nozze Fumi Brenciaglia, Firenze 1870. Ph. Soye, Urbanus VI papa neapolitanus, in Onuphrii Panvinii veronensis fratris XXVII pontificum maximorum elogia et imagines [...], Romae 1568; M. Carruba, Serie critica de' sacri pastori baresi, Bari 1844; G. Erler, Dietrich von Nieheim (Theodoricus de Nyem). Sein Leben und seine Schriften, Leipzig 1887; F. De Jorio, Tolomeo Prignano, pontefice massimo col nome di Urbano sesto, Napoli s.d.; Th. Linder, Die Wahl Urbans VI., "Historische Zeitschrift", 28, 1872, pp. 101-27; Id., Papst Urban VI., "Zeitschrift für Kirchengeschichte", 3, 1879, pp. 409-28, 525-46; M. Souchon, Die Papstwahlen von Bonifaz VIII. bis Urban VI. und die Entstehung des Schismas von 1378, Braunschweig 1888; L. Gayet, Le grand Schisme d'Occident d'après les documents contemporains déposés aux Archives secrètes du Vatican. Les origines, I-II, Firenze-Berlino 1889; H. Finke, Eine Papstchronik des 15. Jahrhunderts, "Römische Quartalschrift für Christliche Alterthumskunde und für Kirchengeschichte", 4, 1890, pp. 340-62; H. Moranville, Journal de Jean Le Fèvre, évêque de Chartres, chancelier des rois de Sicile, Louis Ier et Louis II d'Anjou, Paris 1890; N. Valois, L'élection d'Urbain VI et les origines du Grand Schisme d'Occident, "Revue des Questions Historiques", 48, 1890, pp. 353-420; R. Jahr, Die Wahl Urbans VI., Halle 1892; H. von Sauerland, Aktenstücke zur Geschichte des Papstes Urban VI., "Historisches Jahrbuch", 14, 1893, pp. 820-32; K. Eubel, Das Itinerar der Päpste zur Zeit des grossen Schismas, ibid., 16, 1895, pp. 545-64; N. Valois, La France et le Grand Schisme d'Occident, I-IV, Paris 1896-1902; G. Cogo, Delle relazioni tra Urbano VI e la repubblica di Genova, "Giornale Linguistico di Archeologia", 22, 1897, pp. 442-57; G. Romano, Niccolò Spinelli da Giovinazzo diplomatico del sec. XIV, "Archivio Storico per le Province Napoletane", 26, 1901, pp. 33-80, 223-81, 401-62; F. Bliemetzrieder, Die Kardinäle Peter Corsini, Simon de Borsano, Jakob Orsini und der Konzilsgedanke, "Studien und Mitteilungen aus dem Benediktiner- und Zistercienserorden", 24, 1903, pp. 360-77, 625-52; Id., Das Generalkonzil im grossen abendländischen Schisma, Paderborn 1904; A. Segre, I dispacci di Cristoforo da Piacenza, procuratore mantovano alla Corte pontificia (1371-1383), "Archivio Storico Italiano", ser. V, 43, 1909, pp. 27-95; 44, 1909, pp. 253-326; M. Rothbarth, Urban VI. und Neapel, Berlin-Leipzig 1913; Th. Graf, Papst Urban VI. Untersuchungen über die römische Kurie während seines Pontifikates, Berlin 1913 (capp. 1-3 con l'elenco dei nomi degli ufficiali di Curia nominati da U.); V. Pacifici, Tivoli e Corrado di Antiochia, "Archivio della Società Romana di Storia Patria", 42, 1919, pp. 269-93; M. de Boüard, Les origines des guerres d'Italie. La France et l'Italie au temps du Grand Schisme d'Occident, Paris 1936; N. Forenza, Giuliano l'apostata, il pastorale e Urbano VI nella cattedrale di Acerenza, Molfetta 1937; L. Ermini, Onorato I Caetani, conte di Fondi e lo scisma d'Occidente, Roma 1938; E.-R. Labande, Rinaldo Orsini, comte de Tagliacozzo († 1394) et les premières guerres suscitées en Italie centrale par le Grand Schisme, Monaco-Paris 1939; H. Seidlmayer, Die Anfänge des grossen abendländischen Schismas, Münster 1940; P. Brezzi, Lo scisma d'Occidente come problema italiano. La funzione italiana del papato nel periodo del grande scisma, "Archivio della Società Romana di Storia Patria", 67, 1944, pp. 391-450; W. Ullmann, The Origins of the Great Schism. A Study in Fourteenth Century Ecclesiastical History, London 1948; L. MacFarlane, An English Account of the Election of Urban VI, 1378, "Bulletin of the Institute of Historical Research", 26, 1953, pp. 75-83; A. Boscolo, Isole mediterranee, Chiesa e Aragona durante lo Scisma d'Occidente, 1378-1429, in Atti del V Convegno internazionale di studi sardi, I, Cagliari 1954, pp. 25-55; F.X. Seppelt, Geschichte der Päpste, München 1954, pp. 188-206; P. Stacul, Il cardinale Pileo da Prata, Roma 1957; L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medioevo, I, ivi 1958, ad indicem; O. PŠrerovsk´y, L'elezione di Urbano VI e l'insorgere dello scisma d'Occidente, ivi 1960; P. Brezzi, Il regno di Napoli e il grande Scisma d'Occidente (1378-1419), "Annali del Pontificio Istituto Superiore di Scienze e Lettere 'Santa Chiara'", 12, 1962, pp. 9-32; N. Del Re, Il "Consilium pro Urbano VI" di Bartolomeo da Saliceto, in Collectanea Vaticana in honorem Anselmi M. Card. Albareda, I, Città del Vaticano 1962, pp. 213-63; P. Brezzi, Studi di storia cristiana ed ecclesiastica, II, Napoli 1966; A. Esch, Bankiers der Kirche im Grossen Schisma, "Quellen und Forschungen aus Italienischen Archiven und Bibliotheken", 46, 1966, pp. 277-398; J. Favier, Les finances pontificales à l'époque du grand schisme d'occident (1378-1409), Paris 1966; C. Mari, Rivendicati ad Acquarola i natali di Urbano VI. Ricerca storica sull'origine di Acquarola e della sua baronia, Torre Annunziata 1967; A. Esch, Bonifaz IX. und der Kirchenstaat, Tübingen 1969; Id., Das Papsttum unter der Herrschaft der Neapolitaner. Die führende Gruppe Neapolitaner Familien an der Kurie während des Schismas 1378-1415, in Festschrift für Hermann Heimpel zum 70. Geburtstag, II, Göttingen 1972, pp. 713-800; Id., Florentiner in Rom um 1400. Namensverzeichnis der ersten Quattrocento-Generation, "Quellen und Forschungen aus Italienischen Archiven und Bibliotheken", 52, 1972, pp. 476-525; S. Fodale, La politica napoletana di Urbano VI, Caltanissetta-Roma 1973; A. Quintana Prieto, La diócesis de Astorga durante el gran Cisma, "Anthologica Annua", 20, 1973, pp. 11-202; P. Brezzi, Storia degli Anni Santi, Milano 1975; L. Tacchella, Il pontificato di Urbano VI a Genova (1385-1386) e l'eccidio dei cardinali, Genova 1976; G. Penco, Storia della Chiesa in Italia, I, Dalle origini al concilio di Trento, Milano 1977, in partic. pp. 427-44; M. Dykmans, La troisième élection du pape Urbain VI, "Archivum Historiae Pontificiae", 15, 1977, pp. 217-64; Genèse et débuts du Grand Schisme d'Occident. Avignon, 25-28 septembre 1978, Paris 1980 (in partic. si vedano i seguenti contributi: H. Bresc, Les partis cardinalices et leurs ambitions dynastiques, pp. 45-57; A. Esch, Le clan des familles napolitaines au sein du Sacré Collège d'Urbain VI et de ses successeurs, et les Brancacci de Rome et d'Avignon, pp. 493-506; S. Fodale, Il regno di Trinacria e lo Scisma, pp. 507-19; B. Guillemain, Cardinaux et société curiale aux origines de la double élection de 1378, pp. 19-30; M. Harvey, The Case for Urban VI in England to 1390, pp. 541-60; E.-R. Labande, L'attitude de Florence dans la première phase du scisme, pp. 483-92; D. Ols, Sainte Catherine de Sienne et les débuts du grand Schisme, pp. 337-47; E. Pásztor, La Curia romana all'inizio dello Scisma d'Occidente, pp. 31-43; D. Williman, The Camerary and the Schism, pp. 65-71); M. Fois, La critica dell'arcivescovo di Toledo, Pedro Tenorio, al trattato del cardinal Pierre Flandrin sull'inizio dello Scisma d'occidente, "Hispania Sacra", 33, 1981, pp. 563-92; S. Carocci, Tivoli nel Basso Medioevo. Società cittadina ed economia agraria, Roma 1988; G.G. Merlo, Dal papato avignonese ai grandi scismi: crisi delle istituzioni ecclesiastiche?, in Il Medioevo, a cura di N. Tranfaglia-M. Firpo, I, I quadri generali, Torino 1988, pp. 453-57; W. Brandmüller, Papst und Konzil im Grossen Schisma (1378-1431). Studien und Quellen, Paderborn 1990, in partic. pp. 3-41; P. Ourliac, Le schisme et les conciles (1378-1449), in Histoire du christianisme des origines à nos jours, a cura di J.M. Mayeur et al., VI, Paris 1990; J. Köhler, I papi del grande Scisma d'occidente. Da Urbano VI a Gregorio XII, in Storia dei papi, a cura di M. Greschat-E. Guerriero, Cinisello Balsamo 1994; A. Esch, I giubilei del 1390 e del 1400, in La storia dei Giubilei, I, Firenze 1997, pp. 279-93; G.G. Merlo, Il cristianesimo latino bassomedievale, in Storia del Cristianesimo, IV, Il Medioevo, a cura di G. Filoramo-D. Menozzi, Bari 1997, pp. 277-86; B. Galland, Les papes d'Avignon et la maison de Savoie (1309-1409), Rome 1998. Dictionnaire de théologie catholique, XV, 2, Paris 1950, s.v., coll. 2302-05; New Catholic Encyclopaedia, XIV, Washington 1967, s.v., p. 480; G. Barone, Caracciolo, Nicola Moschino, in D.B.I., XIX, pp. 435-37; J.N.D. Kelly, The Oxford Dictionary of Popes, Oxford-New York 1986, s.v., pp. 227-28; A.M. Bozzone, Urbano VI, in I papi con una sezione dedicata agli antipapi, Milano 1993, p. 95; Dizionario storico del Papato, a cura di Ph. Levillain, II, Milano 1996, s.v., pp. 1493-94.