URBANO da Cortona
URBANO da Cortona. – Urbano probabilmente nacque a Cortona verso la metà degli anni Venti del Quattrocento; suo padre si chiamava Pietro, e un fratello di nome Bartolomeo è attestato in società con lui nel 1451 e nel 1453 a Siena (Milanesi, 1854-1856, II, pp. 271-273, n. 191, 460 nota). La sua fama risuonò per voce del Filarete (1461-1464, 1972, p. 171), il quale rammentò che, tra i «buoni maestri di scolpire», a Siena «era uno da Cortona, il quale aveva nome Urbano». Analogamente al Filarete, il nostro adottò un linguaggio che rientra nella categoria del Rinascimento ‘umbratile’, sperimentando il recupero dell’antico e le novità prospettiche senza coglierne a pieno tutte le potenzialità, nonostante un apprendistato con Donatello (come emerse fin dal primo vero studio sul cortonese: Schubring, 1903).
Nel 1447 Urbano fu tra i collaboratori di Donatello nell’altare della basilica di S. Antonio a Padova, insieme con Giovanni da Pisa, Antonio di Chelino, Francesco del Valente e Niccolò Pizzolo, quanto all’esecuzione delle formelle con i simboli degli Evangelisti e di cinque di quelle con gli angeli (pur sotto il rigoroso controllo donatelliano, gli si riferiscono l’Angelo con mandola e il simbolo di S. Matteo; Gentilini, 1999, pp. 201-206). Nei documenti padovani è detto sia «da Fiorenza» che «Urban da Pixa, over da Cortona, disipolo de Donato» (Sartori, 1961, pp. 60, 62). L’equivoco sulla provenienza potrebbe essere conseguenza di uno scambio tra la città di origine di Urbano e una di quelle di alcuni suoi colleghi, ma anche un’allusione a una formazione in Toscana, e in particolare a Firenze (Gentilini, 1989, pp. 59, 64; Id., in Francesco di Giorgio..., 1993, p. 528, con la proposta di assegnargli la Madonna col Bambino e angeli inv. 1810 del Musée Jacquemart-André di Parigi). Da indagare dunque, come possibile lavoro di esordio, l’Angelo con un vaso montato sopra una pila della cattedrale fiorentina, ora nel Museo dell’Opera (Brunetti, 1969).
Passaggi nella Rimini malatestiana durante l’episcopato del cortonese Iacopo Vagnucci (1448-49), o nella Roma di Niccolò V alla metà del secolo (come ha indotto a pensare la presenza di una sua Madonna col Bambino nelle Grotte vaticane; Gentilini, 1989, pp. 64, 62 fig. 42; Id., in Francesco di Giorgio..., 1993, p. 528) sono da dimostrare. Certo è che, dopo l’esperienza padovana, Urbano si affermò a Perugia, lavorando alle tombe di un paio di docenti dello Studio per la perduta chiesa di S. Maria dei Servi: la lastra sepolcrale del medico Luca di Simone, ora in S. Maria Nuova, datata 1448, e il monumento del giureconsulto Angelo Perigli (morto nel 1447), di cui si conservano i rilievi con la Lezione di Angelo Perigli e due Virtù, rispettivamente nel palazzo del Rettorato e in S. Maria Nuova. In questo complesso si tende a vedere all’opera, insieme con Urbano, anche il fratello Bartolomeo, così come nel monumento sepolcrale del vescovo Andrea Giovanni Baglioni (morto nel 1449) nella cattedrale, che appare nelle forme di una ricomposizione, con il gisant sulla cassa pensile, ornata sul fronte da quattro Virtù, e completata in basso da un’iscrizione celebrativa, affiancata da coppie di spiritelli e chiusa dall’anno di esecuzione: 1451 (Pomante, 2014).
Trasferitosi a Siena, il 16 luglio 1451 Urbano ottenne la commissione di due statue per la loggia della Mercanzia (Milanesi, 1854-1856, II, p. 309), per rilanciare il progetto di un ciclo scultoreo concepito da Jacopo della Quercia, e poi compiuto nel giro di una decina d’anni da Antonio Federighi e Lorenzo di Pietro, detto il Vecchietta (Hansen, 1992, pp. 46-61). Alla fine Urbano non realizzò nessuna scultura per la loggia (spetta a Federighi il S. Savino riferitogli invece da Richter, 2002, p. 40), ma il 19 ottobre 1451, insieme con il fratello Bartolomeo, ottenne dall’operaio della cattedrale, Mariano Bargagli, l’incarico della cappella della Madonna delle Grazie (Milanesi, 1854-1856, II, pp. 271-274, n. 191 e nota).
Si trattava di ristrutturare in forme ‘rinascimentali’ la terza cappella della navata destra del duomo, che accoglieva la venerata immagine duecentesca della Madonna del voto. Ultimata nel 1459, la cappella fu demolita nel 1659, ma è possibile immaginarla grazie a una proposta di ricomposizione dei marmi superstiti, murati qua e là nel duomo, e solo in parte esposti nel Museo dell’Opera: sedici Storie di Gioacchino e Anna, e della Vergine, otto figure di Profeti a mezzo busto, e il simbolo dell’Evangelista Matteo (Butzek, 2005; Id., in Die Kirchen..., 2006, II, pp. 550-555; Id., 2009). Nelle scenette Urbano propone ripetute modulazioni sul tema del donatelliano Convito di Erode del fonte battesimale di Siena (1427), dimostrando scarsa originalità, e una comprensione esclusivamente di facciata delle novità del grande maestro; un duro riscontro dei suoi difetti si deve ad Adolfo Venturi (1908, pp. 433 s.), che lo giudicò un «povero scalpellino». Fu poi Donatello, durante il soggiorno senese del 1457-61, a scolpire verso il 1458 il tondo destinato a coronare la cappella, ovvero la Madonna del perdono (F. Caglioti, in Da Jacopo della Quercia a Donatello, 2010, pp. 332 s., n. D.13), conservata nel Museo dell’Opera insieme con la Madonna col Bambino che Urbano aveva preparato per quello spazio (Carli, 1984; V. Di Gennaro, in Da Jacopo della Quercia a Donatello, 2010, pp. 330 s., n. D.12). Si tratta di una scultura assai debole, anche rispetto a certe altre del cortonese databili verso la seconda metà degli anni Cinquanta: i marmi esagonali con la Madonna col Bambino e la Pietà (Siena, Collezione Chigi Saracini e Museo diocesano, già nella chiesa di Malamerenda; ibid., pp. 326 s., n. D.10a-b), la Pietà ex Giancarlo Gallino (Gentilini, 1991; Sotheby’s, 2007), un tondo con S. Francesco della chiesa dell’Alberino (Fattorini, in corso di stampa), e la Madonna col Bambino Fornaro Gaggioli in terracotta (Sarchi, 2005).
Quando si stabilì a Siena, Urbano doveva mirare a imporsi come scultore di punta della città, magari grazie a raccomandazioni del maestro Donatello (Fattorini, 2005, p. 56). Oltre a fornire nel 1453 all’ospedale di S. Maria della Scala, insieme con il fratello Bartolomeo, la lapide sepolcrale del rettore Urbano di Pietro del Bello (morto nel 1450) e una pila di marmo per la nuova sagrestia (entrambe perdute; la seconda non è l’acquasantiera della chiesa dell’Annunziata; Gallavotti Cavallero, 1985, pp. 197, 262 nota 287, 428, nn. 332-333), tra il 1453 e il 1459 si hanno pagamenti per una figura di s. Bernardino per la nuova cappella del santo in cattedrale che è andata perduta (così come quella, pure di Urbano, che nel 1456 si dice donata all’Osservanza; M. Butzek, in Die Kirchen..., 2006, pp. 150 s. nota 1938).
Nell’ambito del trasferimento di Donatello a Siena, nel settembre del 1457, Urbano si occupò di alcune questioni pratiche: l’acquisto di metallo per la Giuditta che il fiorentino aveva avviato per i Medici, e il pagamento della gabella per il S. Giovanni Battista bronzeo che il maestro recò con sé in pezzi, e oggi è in cattedrale (Caglioti, 2000, I, pp. 34, 39-44). Con Donatello, il 4 luglio 1458, egli fu inviato in Val d’Orcia dal Comune, alla ricerca di un particolare alabastro da utilizzare per gli ornati del palazzo pubblico (Borghesi - Banchi, 1898). Si ignora come andò la spedizione, ma si sa che entro il 24 luglio 1459 Urbano fornì al Comune «chornici e mantengoli per porre di sopra a le schale del palazo et al parapeto de la logia» (Milanesi, 1854-1856, II, p. 461 nota).
Con l’arrivo di Donatello e la maturazione di Federighi e del Vecchietta scultore, il sogno di dominare il mercato artistico senese si infranse per Urbano, ma durante il pontificato di Pio II egli conquistò ancora qualche commissione di rilievo: dal pancale di sinistra della loggia della Mercanzia (figurato con le Virtù cardinali e datato 1462; Schmarsow, 1889, pp. 289-291; Hansen, 1992, pp. 64-68) al monumento sepolcrale dell’operaio della cattedrale Cristoforo Felici (morto nel 1463) per S. Francesco, saldato nel 1487 (insieme con la pietra fornita molto tempo prima a Federighi per scolpire un S. Pietro collocato prima alla Mercanzia e poi sulla facciata del duomo; Milanesi, 1854, II, p. 461 nota; Hansen, 1992, pp. 54-59) e impostato su di una geniale idea prospettica di Donatello (A. Bagnoli, in Francesco di Giorgio, 1993, pp. 166, 169; Angelini, 1994; Colucci, 2003, pp. 355-357, n. 21).
Il confronto con le novità donatelliane, d’altronde, fece sì che Urbano, specializzandosi quale autore di lastre tombali, alternasse una tipologia impostata sul celebre modello della lapide di Giovanni Crivelli (morto nel 1432) in S. Maria in Aracoeli a Roma (Enrico di Nassau, m. 1452, S. Quirico d’Orcia, collegiata; rettore Pietro di Niccolò Bulgarini, m. 1456, Siena, S. Maria della Scala; Girolamo Giusi, m. 1459, e una giovane donna, Siena, S. Francesco; Giacomo Scotti, Asciano, S. Agostino; Michele da Massa, m. 1479, Massa Marittima, S. Agostino; Antonio Bertini, m. 1487, Siena, S. Girolamo), e una seconda suggestionata da quanto, di arditamente illusionistico, Donatello sperimentò nella lastra bronzea del vescovo Giovanni Pecci, collocata nel duomo di Siena nel 1452 (F. Caglioti, in Da Jacopo della Quercia, 2010, pp. 320 s., n. D.7). Da tale esempio dipendono la lastra di Gisberto Tolomei (morto nel 1470) in S. Francesco e quella di un frate nel Museo Bardini di Firenze (A. Bagnoli, in Francesco di Giorgio, 1993, pp. 166-169; Colucci, 2003, pp. 92-98, 303-316 passim; Fattorini, 2005, p. 56; V. Di Gennaro, in Da Jacopo della Quercia, 2010, pp. 322 s., n. D.8).
Urbano si stava ormai dedicando, per necessità, a una produzione più artigianale e seriale, come attestano i ricordi di un acquaio e di un «colonello di marmo» destinati nel 1463 al refettorio e alla scala della foresteria dell’ospedale di S. Maria della Scala (Gallavotti Cavallero, 1985, pp. 262 nota 287, 429, n. 361), che nel 1467, in previsione della ristrutturazione della chiesa dell’Annunziata, gli allogò le «cornici grosse» «da murarsi dentro et fuore» (pp. 263 nota 338, 430, n. 382); e per quella chiesa fu impegnato anche nel 1471 (p. 432, n. 417). Intanto aveva scolpito nel 1468 certe «insignia marmorea sive arma Comunis Senarum» per Massa Marittima (cioè i due rilievi con la lupa senese nel palazzo comunale e nel palazzo pretorio; Munman, 1992, pp. 239 s.), e nel 1469 una perduta lupa senese per Sovana (Milanesi, 1854, II, p. 461 nota). Dalla sua bottega devono essere state prodotte pure la lupa del Ponte di Romana a Siena (1470) e quelle, assai malridotte, dei musei di Asciano e Montalcino (Colucci, 2006-2008, pp. 50-53, 61-65). Tra il 1470 e il 1474 effigiò S. Caterina da Siena e due angeli nella lunetta del portale della chiesa innalzata alla domenicana senese in Fontebranda, cui fornì pure una «pila da acqua benedetta» che non esiste più (Milanesi, 1854, II, p. 340; Hansen - Stein-Kecks, 1992), così come quella fatta nel 1472 alla compagnia di S. Giovanni Battista della Morte per volontà di Savino di Giovanni Savini (Milanesi, 1854, II, p. 461 nota; dalla confraternita aveva preso in affitto una casa almeno dal 1459 al 1464, ed entro il 1460 le aveva fatto una «figura di Cristo»; Fattorini, 2005, p. 79 nota 48). Di questa produzione meno impegnata può dar conto un tabernacolo in S. Petronilla a Siena (Colucci, 2006, pp. 184 s.; altri manufatti del genere gli sono riferiti da G. Gentilini, in Francesco di Giorgio, 1993, p. 529).
Il 20 settembre 1471, grazie a un lodo di Filippo Francesconi e del Vecchietta, Urbano risolse una controversia con lo scalpellino Bastiano di Francesco, ottenendo pure la restituzione di uno «spiritello di bronzo» (Milanesi, 1854, II, p. 347). Altra controversia, con lodo di Bertino di Gherardo, fu appianata il 27 gennaio 1472 con Caterina Piccolomini, sorella del defunto Pio II, quanto ad alcuni lavori per il palazzo delle Papesse in via di Città, tra i quali sono menzionate «certe finestre non fornite di marmo» e «due Madonne» (pp. 348 s., n. 246). Di queste si ignora il destino, ma una graziosa Madonna della maturità di Urbano era un tempo nella collezione Dazi di Parigi (Tamassia, 1995). A confermare le relazioni con il giro dei Piccolomini rimangono diversi stemmi di Pio II usciti dalla sua bottega (Siena, Banchi di Sopra n. 52: Gentilini, 1989, pp. 61, 62 fig. 40; via del Porrione n. 55 e via Franciosa n. 33: Fattorini, in corso di stampa; Firenze, galleria Frascione); più antico è lo stemma Del Cotone nel Bode-Museum di Berlino (Fattorini, 2018, pp. 136 s. e nota 46, 202 fig. 9).
Urbano fu quindi tra i maestri della pietra senesi che, tra il 5 settembre 1473 e il 17 luglio 1474, stipularono un accordo con i loro colleghi lombardi (Milanesi, 1854, I, pp. 126-129), e nell’ambito del cantiere della SS. Annunziata fece da tramite tra il giovane cortonese Luca Signorelli e il rettore Niccolò Ricoveri, per la pittura di una ‘tavola’ compiuta nel 1475, che a Ricoveri non piacque, e Luca vendette autonomamente (Fattorini, in corso di stampa). Frattanto stava crescendo una figlia di nome Lucrezia, nata dalle nozze con Caterina Scotti e maritata nel 1480 a ser Pasquale Griffi da Montalcino; un altro figlio di nome Tommaso era allora già morto (Milanesi, 1854, II, p. 460 nota).
Coinvolto dall’operaio della cattedrale Alberto Aringhieri nel ciclo delle Sibille del pavimento, Urbano eseguì tra il 1481 e il 1483 il quinto riquadro della navata destra con la Persica (avendo alle spalle, nel 1473, l’esecuzione, insieme ad altri, della cornice della Storia di Giuditta nel medesimo pavimento; Hobart Cust, 1901; M. Butzek, in Die Kirchen, 2006, pp. 162-164). Data la dimestichezza con le questioni del mestiere di lapicida, il 6 marzo 1498 egli comparve, per parte di Giovanni di Stefano, a comporre una lite tra costui e i suoi ‘compagni’ Ambrogio di Giovanni Lippi, Bernardino di Francesco e Santi di Biagio (Milanesi, 1854, II, pp. 459 s., n. 336). Degli ultimi anni di vita altro non si sa, se non che Urbano morì a Siena l’8 maggio del 1504 (p. 460 nota).
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