URBANIZZAZIONE
L’intensità e la rapidità della crescita demografica mondiale, avviatasi nel 19° sec. con lo sviluppo dell’industria e dei servizi e ancora ampiamente in corso, è stata accompagnata a un processo di progressiva concentrazione della popolazione mondiale nelle città. Secondo le stime della Divisione popolazione delle Nazioni Unite (World urbanization prospects: the 2014 revision, 2014), la quota di popolazione urbana nel 1950 ammontava, a livello planetario, al 29%; nel 1990 tale quota era salita al 45%. Nel 2014 si è calcolato in 3,9 miliardi l’ammontare complessivo della popolazione mondiale nelle città, pari al 54% della popolazione totale del pianeta. In sostanza, nell’arco di poco più di un sessantennio la popolazione urbana si è quintuplicata (da 745 milioni di abitanti a 3,9 miliardi), e nel primo decennio del 21° sec. ha superato, per la prima volta, quella rurale.
In una prima scomposizione per grandi aree geografiche si nota la forte concentrazione nel continente asiatico, il quale da solo raccoglie oltre la metà della popolazione urbana mondiale, seguita dall’Europa (545 milioni di abitanti; 14% del totale), dall’aggregato America Latina e Caraibi (500 milioni di abitanti urbani; 12,8% del totale) e dall’Africa (455 milioni; 11,7% del totale). A una scala di maggior dettaglio nel continente africano sono particolarmente intensi i livelli di urbanizzazione nell’Africa occidentale e in quella orientale, che da sole raccolgono oltre la metà della popolazione delle città del continente. In Asia, Cina, Giappone, India, Indonesia e Turchia si concentrano quasi 1,5 miliardi di persone (il 38% della popolazione urbana mondiale).
Essendo dunque l’u. molto intensa e irrefrenabile e, almeno in parte, portatrice di potenziale benessere e promozione sociale e professionale, il difficile e complesso problema tecnico-politico che si pone riguarda le modalità di accesso e di fruizione degli elementi positivi generati dal vivere nelle città a tutta la popolazione urbana. Si tratta di un problema di dimensioni enormi, se si considera che nel 1990 le megacittà con oltre dieci milioni di abitanti erano solamente dieci e raccoglievano 153 milioni di persone (il 7% della popolazione urbana globale), mentre nel 2014 esse sono cresciute a 29, concentrando circa il 12% della popolazione urbana del pianeta (circa 471 milioni di perso ne). Di queste città, 16 si localizzano in Asia, 4 in America Latina, 3 in Africa e in Europa, 2 in Nord America. Tōkyō rimane la città più grande del mondo, con 38 milioni di abitanti, seguita da Nuova Delhi (circa 25 milioni), Shanghai (circa 23 milioni), Città di Messico, Bombay e San Paolo del Brasile con circa 21 milioni di abitanti ciascuno, Pechino e Ōsaka (poco più di 20 milioni). Le aree urbane di New York-Newark e Il Cairo completano la graduatoria, con circa 18,5 milioni di abitanti ciascuna (v. tabella). Complessivamente, la metà circa dei 3,9 miliardi di popolazione urbana vive in contesti con meno di 500.000 abitanti e in molti casi le crescite urbane più consistenti sono state registrate negli ultimi vent’anni proprio nei centri urbani di più contenute dimensioni e in quelli dei Paesi in via di sviluppo (PVS). L’ingente sviluppo di queste città minori, verificatosi nei PVS, è da mettere in relazione con gli elevati flussi migratori indotti dalla crescita cumulativa e polarizzata dell’industria manifatturiera a basso contenuto tecnologico e ad alta intensità di lavoro despecializzato, e dalla parallela disgregazione dei sistemi di produzione agricola locale. Altre cause sono da ricondurre a processi di desertificazione delle aree agricole (soprattutto nel continente africano), a carestie, a conflitti locali o al ripetersi di eventi calamitosi. In tutti questi casi si tratta di spostamenti di popolazione verso aree urbane altamente sovrabbondanti rispetto alla domanda effettiva di lavoro locale e che sono in grado di produrre fenomeni di u. e di ‘sviluppo senza crescita’, con drammatiche conseguenze sulle strutture economiche, sociali e ambientali delle stesse città. Si verifica in questo senso un netto squilibrio dell’economia urbana tra un settore formale, integrato nei circuiti degli scambi nazionali e internazionali, e un settore informale, quantitativamente dominante, caratterizzato da una miriade di attività che operano al limite della sussistenza. Questi squilibri si riflettono sulla morfologia e sull’impianto urbano, anch’esso costituito da una città ufficiale e una città marginale.