URANO (Οὐρανός, Urānus, Caelus)
Figura mitologica dell'antica Grecia, personificazione della forza fecondatrice della natura, identificata nel cielo che feconda la terra per mezzo della pioggia e attenua l'eccessivo calore dei raggi del sole. Il suo nome corrisponde indubbiamente a quello dell'indiano Varuna, "colui che ravvolge, che circonda", un dio delle acque. L'importanza di U. nella mitologia greca risiede specialmente nella parte eminente toccatagli nella genealogia degli dei e che si trova quasi completamente sviluppata già nella Teogonia di Esiodo (126 segg.).
Dal tenebroso grembo del Caos uscì fuori Gea, la terra; la quale, a sua volta, generò da sé U., cioè il cielo, i monti e il mare. Appena creato U. da Gea, si produce tosto il connubio del figlio con la madre; a significare appunto il fenomeno della terra fecondata dalle acque del cielo. Del resto, in altre versioni mitologiche (per es. nella Titanomachia), U. è fatto soltanto sposo di Gea, e figlio, invece, dell'Etere (Aither, masch.). di cui non si nomina la consorte. Dal connubio di Gea e di U. nacquero: i Titani, i Ciclopi, gli Ecatonchiri o Centimani, cioè i giganti dalle Cento braccia. Si enumeravano per lo più dodici Titani, sei maschi e sei femmine (per lo più, accoppiati), tre Ciclopi, tre Ecatonchiri. S'intende facilmente come questa genealogia presenti variazioni e amplificazioni infinite nei mitografi, nei poeti, nelle saghe locali, in molte delle quali si tende a far risalire a U. e a Gea l'uno o l'altro eroe: così si narrava, per esempio, dell'eroe attico Trittolemo di Eleusi (in Ferecide, framm. 12). La Teogonia (154 segg.) seguita a narrare che U., odiando i suoi figli e sospettando di dover perdere, per opera di essi, la signoria dell'universo, li nascondeva, appena nati, nelle viscere della terra; allora Gea, sdegnata col consorte, sollecitò i figli maggiori, i Titani, ad evirare il padre. Compì il misfatto il più giovane dei Titani, Crono; egli domò il padre, lo mutilò, l'obbligò a rinunziare al dominio del mondo. Il sangue caduto dalla ferita di U. fu raccolto da Gea, che ne generò le Erinni, i Giganti e le ninfe Meliadi. Il membro troncato ad U. venne da Crono gettato in mare e dalla bianca spuma da esso sollevata nacque Afrodite. U. si vendicò, predicendo al figlio la stessa sorte; onde Crono, dominato da questo terrore, divorava tutti i suoi figli, appena nati.
Delle figurazioni di U. che ci sono conservate, la più nota è data dal gruppo frammentario del fregio dell'altare di Pergamo, dove il dio primigenio è rappresentato, barbato ed alato, in lotta con un gigante. Dell'arte romana, ci giungono due rappresentazioni, assai simili, di U.-Cielo: l'una, sulla corazza della statua di Augusto da Prima Porta; l'altra, su un sarcofago di Villa Medici, con la scena del giudizio di Paride.
Bibl.: L. Preller-C. Robert, Griechische Mythologie, I, 4ª ed., Berlino 1894; p. 44 segg.; O. Gruppe, Griech. Mythologie und Religionsgeschichte, Monaco 1906, passim; A. Dieterich, Mutter Erde, Lipsia e Berlino 1905, p. 45 segg.; J. Schmidt, in Roscher, Lexikon, VI, col. 106 segg.