uomo
L’universo maschile
Il termine uomo in italiano e in molte lingue del mondo ha un significato ambivalente. Esso indica sia l’umanità nel suo complesso, sia una sua parte, quella maschile. L’uomo – nel senso di ‘maschio’ – si ritiene spesso il rappresentante dell’umanità e così pone la donna, ‘i suoi ruoli’ e ‘le sue occupazioni’ in secondo piano. I ruoli maschili e femminili, tuttavia, non sono il frutto di predisposizioni naturali ma di processi educativi. Ci sono società in cui la mascolinità si ‘costruisce’ attraverso riti di iniziazione e altre, come la nostra, in cui l’identità di genere si forma mediante gesti e comportamenti quotidiani
In molte società si ritrova l’idea secondo cui la differenza tra il maschile e il femminile è naturale, di ordine biologico. A questo proposito è bene introdurre una prima distinzione. Gli studiosi delle scienze sociali utilizzano il termine sesso per definire le caratteristiche anatomiche e fisiologiche che distinguono i maschi dalle femmine. Essi utilizzano invece il termine genere per definire il modo in cui, nelle singole società e culture, vengono concepiti e ‘costruiti’ gli uomini e le donne.
Quando parliamo di differenze sessuali (sesso) ci riferiamo insomma alle differenze anatomiche, organiche; quando parliamo di differenze di genere ci riferiamo ai diversi ruoli che maschi e femmine svolgono in un gruppo sociale. Qualche generazione fa appariva del tutto naturale che fossero le donne a occuparsi della casa e dei figli; oggi invece, molto spesso, uomini e donne condividono lavori domestici e cura della prole. Il genere maschile e quello femminile variano nel tempo e nelle diverse società. Gran parte delle culture umane utilizza in maniera simbolica la differenza biologica tra maschi e femmine (le differenze sessuali) per costruire immagini, rappresentazioni e ruoli maschili e femminili profondamente diversi tra loro.
Le nuove tecnologie mediche consentono di conoscere il sesso di un feto ben prima del parto. La costruzione sociale del genere maschile o femminile dell’individuo che nascerà comincia fin da questo momento: i genitori scelgono per il nascituro vestiti, coperte, giochi ritenuti adatti a un bambino o a una bambina. Al momento della nascita un fiocco azzurro (per un maschio) o rosa (per una femmina) annuncerà ai vicini di casa l’arrivo di un nuovo essere umano. Tutto il processo di crescita è accompagnato da una costante attenzione (spesso inconsapevole) a ‘fabbricare’ uomini o donne. Nella nostra società si ritiene che i bambini di sesso maschile siano ‘naturalmente’ più vivaci delle femmine, più attratti da certi tipi di giochi (automobili, costruzioni). In realtà non è tanto la natura a creare le differenze bensì la cultura, ossia un lungo processo educativo, al termine del quale uomini e donne si trovano a svolgere ruoli differenti, a essere animati da valori e comportamenti differenti, ad avere sviluppato un certo atteggiamento nei confronti del proprio corpo.
Gli antropologi hanno constatato che in molte società diventare ‘maschi’ è un’impresa lunga e difficile che comporta prove di forza e di coraggio, veri e propri riti di iniziazione (riti di passaggio) e interventi dolorosi sul corpo. In molte di queste società esiste una distinzione netta tra una sfera privata e familiare, tipicamente femminile, e una sfera pubblica dove si esercitano le attività maschili. I giovani devono dimostrare la propria virilità sulla scena pubblica. In effetti molti riti di iniziazione di società africane, americane e oceaniane sono riti di costruzione della mascolinità. I giovani vengono dapprima condotti nella foresta o chiusi in uno spazio riservato agli anziani: essi vengono sottoposti a prove di coraggio, subiscono operazioni come la circoncisione e la produzione di scarificazioni (cicatrici rituali), apprendono saperi più o meno segreti. Al termine del rito vengono riportati al villaggio: essi sono ora veri uomini e possono assumere i compiti tipici dei maschi (sposarsi e avere figli, praticare la caccia e la guerra, divenire capi e così via). L’interesse di questi rituali sta nel fatto che essi si presentano come momenti particolarmente importanti e inevitabili nel processo di costruzione del genere maschile. Soltanto superando il rito di iniziazione si diventa uomini in senso pieno.
I Gisu sono una popolazione africana di lingua bantu che abita le pendici del monte Elgon, tra l’Uganda e il Kenya. I ragazzi gisu diventano uomini attraverso un lungo processo di iniziazione, l’imbalu. Il rito dell’imbalu comporta prove fisiche, come gare di salto e lunghe danze, che culminano nell’operazione della circoncisione. Esso prevede anche cerimonie durante le quali il ragazzo viene imbrattato di fango e miglio, a simboleggiare il fatto che egli è un essere in trasformazione, ‘molle’ e modellabile come il fango, un essere che ‘fermenta’ come il miglio prima di divenire birra. Al momento dell’operazione il ragazzo deve rimanere immobile: il dolore della ferita non deve trasparire dal suo sguardo. Secondo i Gisu lo scopo dell’imbalu è produrre nel ragazzo una qualità che essi chiamano lirima, termine che significa «violenza» ma anche «coraggio» e «determinazione», caratteristiche tipiche di un uomo adulto. L’imbalu è un classico rito di costruzione della mascolinità, attraverso il quale gli adulti modellano il corpo e la psiche del ragazzo. Come ha scritto l’antropologa Suzette Heald, «al termine dell’operazione di circoncisione si consente al ragazzo di sedersi e gli spettatori gli si presentano davanti a uno a uno chiamandolo uomo». Egli non è più un umusinde, un «ragazzo», ma è ora diventato un umusani, un «vero uomo».
I riti di iniziazione maschile, laddove sono praticati, rappresentano un momento importante nel processo di costruzione della mascolinità, processo che durerà tuttavia per gran parte dell’esistenza. Il modellamento del corpo è un aspetto importante di questo processo. In molte società gli uomini adulti devono esibire un corpo robusto, possente: il coraggio, la forza, la sopportazione del dolore sono valori spesso associati alla mascolinità. Gli abitanti dell’isola di Truk (Micronesia) per esempio sottolineano con insistenza la necessità per l’uomo di dimostrare la propria virilità partecipando a continue scazzottate: lividi e cicatrici vengono esibiti come ‘prove’ di forza e coraggio.
Tra i Mehinaku del Brasile persino l’altezza è un sinonimo di virilità: gli uomini di bassa statura sono considerati brutti e sessualmente poco desiderabili. Per quanto diffuse, queste opinioni su alcune caratteristiche dell’uomo non sono universalmente condivise. Nel mondo giapponese, per esempio, l’eroe è spesso un uomo gracile e piccolo e la sua virilità consiste nel coraggio, nella fedeltà, nell’altruismo, valori che altrove sono associati al mondo femminile.
Infine, come ha messo in luce David D. Gilmore, autore di un saggio che mette a confronto diversi modi di concepire la mascolinità, vi sono società in cui la distinzione tra valori maschili e valori femminili è meno marcata. Presso i Tahitiani e altri popoli polinesiani, soprattutto prima dell’incontro con l’Occidente, esisteva una scarsa divisione dei ruoli: uomini e donne si occupavano della casa e dei figli e condividevano il lavoro nei campi.
I riti di iniziazione e, più in generale, il superamento delle fasi che conducono progressivamente alla vita adulta, danno all’uomo la possibilità di sposarsi e di generare figli. Il fatto di avere molti figli e la capacità di provvedere alle loro necessità sono considerate spesso due qualità importanti della mascolinità.
Il tipo di rapporto che gli uomini intrattengono con i figli è molto variabile. Vi sono società in cui si ritiene che i padri non debbano assolutamente mostrare in pubblico affetto e tenerezza. I primi osservatori occidentali considerarono effeminati i maschi di Tahiti proprio perché, al contrario di quanto avveniva alla fine del Settecento in Europa, essi mostravano atteggiamenti di tenerezza verso la prole. Gli abitanti delle isole Trobriand (Melanesia) studiati da Bronislaw Malinowski, adottano un atteggiamento che ci appare alquanto strano: i padri (biologici) hanno un rapporto di affetto verso i loro figli naturali ma considerano come loro ‘veri’ figli i nipoti (ovvero i figli delle loro sorelle). Essi lavorano per questi ultimi e doneranno loro la propria eredità. Questi esempi mostrano che il senso della paternità e il rapporto padri-figli è culturalmente costruito: esso dipende cioè dal contesto sociale più che dalla natura.
Ugualmente legati al contesto sociale sono i tipi di lavoro considerati opportuni per maschi e femmine, anche se occupazioni come la caccia, la guerra, il diboscamento sono più spesso prerogative maschili.
Gli scienziati sociali hanno individuato nel concetto di ‘onore’ un valore maschile tipico delle culture che si affacciano sul Mediterraneo. Essere ‘uomini di onore’, una qualità che deve essere continuamente conquistata e affermata, significa mostrare coraggio, conseguire successo nella vita pubblica, essere ospitali e soprattutto assumersi la responsabilità del proprio gruppo familiare.
L’onore, per lo meno nelle società tradizionali, è inseparabile dalla tutela e dal controllo maschile delle donne, delle loro attività, dei loro movimenti sulla scena pubblica. Ancora per la generazione dei nostri nonni, la necessità che una donna della famiglia lavorasse fuori casa poteva essere considerata con vergogna, un segno che l’uomo non sapeva provvedere ai bisogni del suo gruppo.
L’onore è legato a quello che si usa definire machismo, l’esibizione di virilità (il mostrarsi ‘veri uomini’): nelle società tradizionali del Mediterraneo, ma anche in Medio Oriente, queste qualità comportano prestanza fisica, resistenza al dolore e, come si è detto, controllo delle donne. I duelli che vediamo rappresentati in numerosi film del passato erano una tipica manifestazione di difesa dell’onore: due uomini si battevano per difendere dignità e orgoglio, messi magari in discussione da un tradimento della propria donna.
Il valore maschile dell’onore ha subito molte trasformazioni nel corso dell’ultimo secolo. L’onore maschile si afferma oggi, più che con la prestanza fisica, grazie al successo conquistato nella propria attività lavorativa. Il guadagno, l’ostentazione di ricchezze (automobili, case), le capacità manageriali sono doti che emergono come caratteristiche di un ‘vero’ uomo. Come hanno osservato alcuni sociologi, il modello maschile incarnato da Rambo (l’eroe violento, invincibile, dal fisico possente di molti film americani interpretati da Sylvester Stallone) sembra oggi superato da quello del manager di successo!
Il controllo sulla donna, anche se esercitato in forme diverse e a volte meno esplicite che in passato, mantiene anche nel mondo attuale una decisa importanza: si pensi ai modelli di corpo femminile che i media trasmettono e che le donne sono chiamate a incarnare.
Nelle moderne società industriali non esistono veri e propri riti di iniziazione maschile: rimane però vero il fatto che la mascolinità si presenta come un valore che va conquistato e difeso. L’uomo viene ‘costruito’ nel corso di un lungo processo educativo fatto di gesti e di specifici comportamenti nella vita quotidiana.
Nel mondo industriale la costruzione dell’identità maschile passa anche attraverso comportamenti banali relativi alla vita quotidiana, come fare la spesa. Daniel Miller, un antropologo inglese, ha mostrato che fare la spesa è anche oggi un compito più da donne che da uomini. Gli uomini incontrati da questo ricercatore al supermercato sostenevano di fare solo occasionalmente la spesa o di essere lì per accompagnare la propria moglie; molti sottolineavano la loro incapacità a scegliere i prodotti migliori. Fare la spesa per un uomo sembrerebbe insomma quasi una perdita di mascolinità, una pericolosa confusione di genere!
Le cosiddette ‘case degli uomini’ si ritrovano in molte culture ma sono tipiche in particolare delle società della Nuova Guinea (Oceania). Si tratta di case cerimoniali il cui accesso è riservato agli uomini iniziati e agli ‘spiriti’ a cui sono dedicati i culti, di spazi sacri dove vengono custoditi oggetti di particolare importanza rituale (flauti e tamburi, immagini delle divinità e degli spiriti, le reliquie degli antenati). L’accesso alla casa e i compiti rituali sono riservati ai maschi. Anche nelle nostre società però esistono ‘case’ in cui si fanno ‘cose’ da uomini. Per lungo tempo il mondo militare è stato una prerogativa maschile e le caserme sono state luoghi da uomini. Le associazioni sportive (club di calcio o di ciclismo) sono tradizionalmente ambiti e spazi maschili. Su un piano rituale e religioso, i cardinali riuniti in conclave per eleggere il nuovo papa formano un luogo degli uomini il cui accesso è severamente proibito alle donne oltre che ai non iniziati.
Gli studiosi sono attualmente concordi nell’affermare che, in gran parte delle società umane, la costruzione dell’identità maschile ha a che fare con il tentativo da parte degli uomini di controllare e di dominare il mondo delle donne. Le questioni di genere si intrecciano, quindi, con le logiche del potere.
In molte culture i ruoli di comando nella politica, nella religione, nelle istituzioni economiche sono prevalentemente maschili. Questo vale sia per le società più tradizionali sia per le società moderne. Si potrebbe anzi osservare che esempi di culture egualitarie, in cui non esiste una forte differenza tra ruoli maschili e ruoli femminili, ci vengono più da mondi tradizionali (si pensi ai Tahitiani) che dalle cosiddette società avanzate. Anche in Italia le donne che siedono in Parlamento sono una esigua minoranza rispetto agli uomini; esse non possono aspirare a ruoli di potere all’interno della Chiesa cattolica; il mondo della finanza e dell’economia è in gran parte un mondo maschile. La mascolinizzazione dei ruoli di potere si è a lungo accompagnata a una concezione svalutativa dei compiti legati alla sfera domestica. Tuttavia, le cose stanno lentamente cambiando. Oggi, accanto ad associazioni che rivendicano una maggiore facilità di accesso a ruoli di potere da parte delle donne (femminismo), esistono associazioni che rivendicano maggiori diritti per i padri nella cura e nella crescita dei figli.
L’antropologa americana Margaret Mead dedicò alcuni celebri studi all’influenza dell’educazione e dell’ambiente sociale nella definizione del maschile e del femminile. In Sesso e temperamento in tre società selvagge (1935)
e in Maschio e femmina (1949) l’antropologa mise a confronto diverse società della Nuova Guinea, come quella dei fieri (e violenti) Mundugumor, dei più miti Arapesh e dei Ciambuli, in cui gli uomini apparivano sottomessi alle donne. Secondo la Mead l’influenza dell’ambiente culturale è molto più importante delle predisposizioni naturali nella formazione del carattere maschile e femminile. Nelle società da lei studiate i ruoli degli uomini e delle donne erano molto diversi: ogni società, secondo la Mead, plasma a modo suo il maschile e il femminile creando modelli, ‘tipi’ ideali a cui uomini e donne di quella società cercano di conformarsi.