UNIVERSO (XXXIV, p. 735)
La voce universo, al momento della sua compilazione (luglio 1936) conteneva un'esposizione praticamente completa delle idee allora più diffuse sull'argomento. I lavori successivamente pubblicati dai varî scienziati, mentre hanno portato a precisare qualche particolare, hanno lasciato quasi invariato il quadro generale ivi tracciato, mostrando così che le nostre conoscenze astronomiche sull'universo hanno raggiunto uno stato molto soddisfacente, almeno per ciò che riguarda il nostro sistema stellare.
Così nulla v'è da aggiungere nei riguardi della teoria della rotazione galattica e delle dimensioni del sistema. L'importanza dell'assorbimento della luce nello spazio interstellare è sempre messa in grande rilievo dalle nuove ricerche e l'ignoranza in cui ci troviamo di fronte a questo fenomeno è forse l'unico ostacolo che ci impedisce di formulare un quadro più particolareggiato del nostro sistema stellare.
Su questo argomento da un lato si è dimostrata l'impossibilità di risalire in modo sicuro dalla misura dell'assorbimento selettivo a quella dell'assorbimento totale; dall'altro si è provato che tale assorbimento deve avere delle irregolarità locali assai grandi che ne fanno sempre più risaltare la stretta relazione con le nebulose oscure. In particolare in questi ultimi anni è stata scoperta l'esistenza di parecchie "finestre galattiche", cioè di aree celesti giacenti nel piano galattico, nelle quali l'opacità del materiale assorbente è tanto piccola da permetterci di scorgere le lontanissime nebulose estragalattiche. Queste finestre galattiche si contrappongono così esattamente alle nebulose oscure, nelle quali l'opacità del materiale raggiunge invece il suo massimo valore e diventa quasi completa.
L'esistenza del sistema locale non può più ormai essere messa in dubbio; esso ci si presenta come un agglomeramento di stelle, di forma alquanto allungata nella direzione delle costellazioni della Carena da una parte e del Cigno dall'altra. Particolarmente suggestivo appare il punto di vista che esso non sia che una parte di uno dei rami della grande nebulosa a spirale formata dal sistema galattico, il cui aspetto generale per un osservatore situato a grande distanza nella direzione di uno dei poli, sarebbe assai simile a quello della ben nota spirale M. 33 della costellazione del Triangolo. Il centro della spirale naturalmente verrebbe a trovarsi, come lo dimostrano tutte le considerazioni di carattere sia dinamico sia statistico, nella direzione del Sagittario.
Un particolare interessante: per un osservatore esterno, la Via Lattea dovrebbe apparire (come la nebulosa di Andromeda) come un sistema triplo; poiché le due nubi di Magellano, molto vicine alla Galassia, nella scala delle distanze metagalattiche, si mostrerebbero come due piccoli satelliti della nebulosa principale.
Dove il progresso degli studî è stato maggiore e ha portato in un certo senso modificazioni più importanti alle idee esposte nella voce citata è stato nei riguardi delle proprietà del sistema metagalattico. Allora, pur con la necessaria prudenza che implicano tali considerazioni, s'era lasciato intendere che l'ipotesi dell'espansione dell'universo poteva essere la vera spiegazione delle velocità radiali delle nebulose estragalattiche. Oggi, benché una spiegazione più soddisfacente non sia ancora conosciuta, si comincia seriamente a dubitare se, di fronte alle nuove osservazioni, si possa ancora mantenere tale ipotesi.
I più importanti lavori sull'argomento sono dovuti ancora a E. Hubble, il quale in vista delle difficoltà sollevate dai suoi studî preferisce parlare di spostamento delle righe spettrali verso il rosso anzichè di velocità radiali. Hubble e R. Toman hanno mostrato che deve essere possibile, almeno teoricamente, distinguere mediante le osservazioni se lo spostamento delle righe spettrali sia dovuto al moto delle nebulose o a qualche altra causa, per ora sconosciuta. Per effetto dell'arrossamento della luce proveniente dalle nebulose distanti, noi dovremmo infatti constatare un affievolimento generale del loro splendore, ma tale indebolimento dovrebbe essere molto maggiore nel caso che le nebulose si muovessero effettivamente allontanandosi da noi. Questo permette a Hubble di concludere che:
1. o le nebulose sono in media immobili e lo spostamento delle righe spettrali (dovuto a qualche causa ignota) è esattamente proporzionale alla distanza;
2. oppure le nebulose si allontanano, ma con velocità che crescono più rapidamente che non in modo proporzionale alla distanza.
I partigiani dell'espansione dell'universo, che dovrebbero accettare la seconda conclusione, si vedono così forzati ad ammettere che nel passato (quando è partita dalle lontanissime nebulose la luce che ora ci perviene) l'universo si espandeva più rapidamente di oggi; una conclusione che costringe ad accorciare ancora la scala dei tempi dell'evoluzione stellare, che già risultava troppo breve secondo la teoria dell'espansione e i dati osservativi di qualche anno fa.
Un altro ordine di difficoltà proviene dai conti delle nebulose estragalattiche, che il lavoro degli osservatorî del Monte Wilson e del Monte Hamilton (Lick) ha permesso di estendere, con notevole precisione fino alla 21ª grandezza. Anche in questi conti occorre tener presente l'affievolimento dello splendore delle lontane nebulose causato dall'arrossamento nello spazio intergalattico; e anche qui si possono raggiungere secondo Hubble due conclusioni:
1. o le nebulose sono immobili e la loro distribuzione spaziale è uniforme;
2. oppure le nebulose si allontanano da noi, ma il numero di nebulose per unità di volume diminuisce con la distanza dalla Galassia.
La seconda conclusione, che è forzata per chi ammette la teoria dell'espansione, appare assai poco soddisfacente, per la situazione di privilegio che essa porta ad attribuire al nostro posto nell'universo. La teoria della relatività stessa offre però un modo di sfuggire a tale difficoltà, nel fatto che essa attribuisce all'universo una certa curvatura. Disgraziatamente la curvatura richiesta dalle osservazioni per ristabilire una distribuzione uniforme è così forte che l'universo risulterebbe inaspettatamente piccolo; tanto piccolo infatti che una grandissima parte di esso (più di un quarto) sarebbe già stata esplorata dai nostri telescopî. Il raggio di curvatura dello spazio sarebbe infatti di appena 4,7 × 108 anni-luce, con una densità media della materia di 6 × 10-27 gr/cmc.; il numero totale delle nebulose non dovrebbe superare i 400 milioni.
Di fronte a un quadro così poco soddisfacente, gli astronomi più ponderati e prudenti preferiscono assumere un atteggiamento di attesa; tutto quello che si può dire per ora è che la soluzione del problema va cercata tra i corni del seguente dilemma:
1. o la parte dell'universo che noi possiamo osservare è sensibilmente uniforme, le nebulose sono in quiete e lo spostamento delle righe spettrali verso il rosso è dovuto a qualche causa ancora sconosciuta. Le conseguenze cosmologiche della teoria della relatività (curvatura ed espansione), della cui esattezza nessuno dubita, dovrebbero allora applicarsi all'universo nel suo complesso e non potrebbero essere osservate nella piccola parte da noi esplorata;
2. oppure lo spostamento delle righe spettrali verso il rosso è da attribuirsi ad un vero moto di allontanamento. In questo caso noi abbiamo già esplorato circa un quarto di tutto l'universo, il quale risulta così inaspettatamente poco esteso sia nello spazio sia nel tempo; le conseguenze piuttosto rivoluzionarie di tale conclusione dovrebbero naturalmente portarci a modificare non pochi risultati, apparentemente pur molto ben fondati, acquisiti anche in campi diversi da quello propriamente astronomico.
Bibl.: B. J. Bok, The distribution of the stars in space, Chicago, Ill., 1937; E. Hubble, The realm of the nebulae, Oxford 1936; id., The observational approach to cosmology, ivi 1937.