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UNIVERSITÀ AGRARIA

di Giangastone BOLLA - Enciclopedia Italiana (1937)
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UNIVERSITÀ AGRARIA

Giangastone BOLLA

. Le università agrarie sono forme associative, diversamente denominate (università, comunanze, partecipanze, associazioni agrarie), esistenti tuttora in varie regioni d'Italia, che rappresentano vestigia di un'epoca passata, in cui hanno avuto funzioni ben più cospicue: esse si riportano, infatti, alle forme antiche della proprietà collettiva, di cui costituiscono il residuo storico. Si sono sviluppate e perdurano anche in altri paesi (es., gli Allmenden nella Svizzera, il mir russo).

L'ager compascuus e i communia delle colonie romane si riportano a forme affini di godimento delle terre aperto a tutti gli abitanti o limitato ad alcune categorie. Ma le origini più prossime delle università agrarie si ritrovano nell'epoca delle dominazioni barbariche, quando, venuti meno i municipî romani col loro carattere politico, le popolazioni si ridussero a semplici aggruppamenti di fatto, cementati da una comunanza d'interessi economici. A queste universitates hominum vennero ad appartenere le terre non assegnate in proprietà privata e che restarono quindi come dominio collettivo: su di esse gli abitanti esercitavano collettivamente le facoltà di seminare, pascolare, tagliare legna, raccogliere erba, costruire capanne, ecc.; e molto spesso la partecipazione alla comunità col godimento dei diritti relativi era legata al possesso di una sors, cosicché le terre incolte venivano a costituire come un'appendice di quelle coltivate (il sistema sussiste tuttora specialmente nei "masi" del Trentino e dell'Alto Adige).

Contro questa proprietà collettiva si esercitò l'azione dissolvente del feudalesimo, con intensità e risultato ora più ora meno profondi secondo i luoghi: talvolta l'antico dominio della università venne assorbito dal diritto del signore, restando agli abitanti i semplici usi civici; altrove la comunità riuscì a conservare il proprio dominio, trovando anzi nei tentativi d'usurpazione dei feudatarî il motivo per una più forte organizzazione; altrove si costituirono forme intermedie di collaborazione fra il signore e la collettività.

È di questo periodo la formazione in alcune regioni di quelle comunità di originarî del luogo, che si chiamarono vicinie (da vicus). E talora, per le particolari condizioni dei luoghi, altre comunità sorsero per concessione degli stessi feudatarî, con lo scopo precipuo di migliorare le terre: così avvenne, ad es., per le partecipanze emiliane.

Il sorgere dei comuni influì profondamente sullo sviluppo delle università agrarie, alcune delle quali si confusero nel nuovo ente politico, perdendo ogni autonomia, mentre altre si conservarono più o meno indipendenti, coi loro scopi economico-agrarî, accanto al comune. Nel primo caso i beni dell'università costituirono il patrimonio comunale; nel secondo, invece, le università conservarono la proprietà delle terre comuni. Così avvenne che le università agrarie, limitandosi al godimento dei beni comuni nell'interesse dei proprî membri, distinto dall'interesse generale cui provvedeva il comune, assai spesso chiusero i ranghi, comprendendo solo i discendenti di determinate famiglie o i membri di certi gruppi o gli originarî del luogo. Ciò si verificò, ad es., per le partecipanze emiliane e per le società degli antichi originarî della val Camonica. Ma anche dove il comune fece proprie le terre delle università, queste tuttavia conservarono talora una propria fisonomia e una propria funzione, rivolta soprattutto a regolare l'uso ordinato delle terre comunali: e, infatti, la storia di queste associazioni è legata a quella degli usi civici. Numerosi sono gli statuti, che ci rimangono, delle università agrarie; e hanno notevole interesse, poiché offrono un quadro fedele delle condizioni sociali ed economiche del tempo: vi sono regolati i titoli di appartenenza al consorzio, sono disciplinati i poteri e le funzioni, è distribuito ordinatamente l'uso delle terre comuni.

Nel periodo successivo delle riforme, prima e dopo la rivoluzione francese, le nuove concezioni ebbero il loro riflesso anche sulle università agrarie, poiché nel principio collettivistico che le ispirava si vide un impedimento alla libertà delle terre. Quindi, da un lato si cercò di eliminarle, completando il loro assorbimento nei comuni; dall'altro si provvide, per quanto si poté, a estenderle oltre gli ambiti di famiglie o di gruppi ai quali storicamente erano limitate. Cosi è venuta a scemare la loro importanza, poiché le università superstiti, sparse qua e là per l'Italia, sono scarse; e differiscono notevolmente da un luogo all'altro, sia per la composizione talora aperta a tutti i cittadini del comune, talora no; sia per l'organizzazione giuridica. Alcune di esse, infatti, sono enti morali, avendo ottenuto il riconoscimento da parte dello stato o in linea generale (com'è avvenuto per le comunità esistenti nelle ex-provincie pontificie, a norma della legge 3 agosto 1894) o caso per caso; altre, invece, sono semplici figure associative sfornite di personalità. La loro intrinseca struttura varia dalla comunione romana, sia pure con qualche carattere particolare, alla comunione germanica, alla società vera e propria; e hanno natura pubblica e talvolta privata, a seconda dei casi.

La legge vigente 16 giugno 1927, n. 1766, sul riordinamento degli usi civici, ha dettato una nuova disciplina per le università ed altre associazioni agrarie, vietando la costituzione di nuove associazioni per il promiscuo godimento delle terre, pur consentendo il riconoscimento a quelle già esistenti di fatto. È ordinato però lo scioglimento delle associazioni, se il patrimonio sia insufficiente ai bisogni degli utenti o vi siano motivi per ritenere inutile o dannosa l'esistenza di esse. Infine i terreni di uso civico delle associazioni debbono essere aperti agli usi civici di tutti i cittadini del comune o della frazione; salvo che si tratti di diritti spettanti a determinate classi di persone per disposizione speciale di leggi anteriori o per sentenza passata in giudicato, ovvero che si tratti di associazioni composte di determinate famiglie, le quali, possedendo esclusivamente terre atte a coltura agraria, vi abbiano apportato sostanziali e permanenti migliorie. L'ordinamento vigente, pur essendo restrittivo nei riguardi delle università agrarie, salva e valorizza le funzioni vitali che esse possono tuttora svolgere, specie in quei luoghi e per quelle terre che meglio si prestano a forme di godimento collettivo anziché individuale.

Bibl.: Oltre alle opere generali di storia del diritto italiano di A. Pertile, C. Calisse, A. Solmi, G. Salvioli, M. Roberti, v.: A. Cencelli-Perti, La proprietà collettiva in Italia, Roma 1890; A. Rinaldi, Le terre pubbliche, Roma 1896; Danielli, Le proprietà collettive e gli usi civici d'Italia, Pesaro 1898; A. Solmi, Le associazioni in Italia avanti le origini del comune, Modena 1898; id., Sulla natura giuridica delle "Società degli antichi originarii" e delle partecipanze agrarie nel sistema della proprietà fondiaria dell'Italia Superiore, in Studi sulla proprietà fondiaria nel Medioevo, Roma 1937; R. Trifone, Fondi e demani, Milano 1909; F. Ferrara, Persone giuridiche, Torino 1915; Raffaglio, Diritti promiscui, demani comunali ed usi civici, Milano 1915; Curis, Usi civici, proprietà collettive e latifondi, Napoli 1917; E. Besta, I diritti sulle cose, Padova 1933; C. Frassoldati, Le partecipanze agrarie emiliane, ivi 1936.

Vedi anche
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