Unioni civili
La l. 20.5.2016, n. 76 ha decretato un intervento di forte impatto, tramite il quale, sulla scorta delle sollecitazioni venute dalla giurisprudenza, anche costituzionale nonché europea, si è inteso riconoscere ed offrire un’adeguata tutela alle coppie omoaffettive. Il contributo, analizzando le norme che la legge dedica all’unione civile tra persone dello stesso sesso, si sofferma sulle modalità di costituzione della stessa, sugli effetti che ne derivano e sullo scioglimento, affrontando anche il tema dell’adozione. L’analisi pone in luce come la disciplina introdotta, costruita sulla falsariga di quella del matrimonio, ancorché con alcune rilevanti differenze, presenti incongruenze e lacune, che sin da subito hanno stimolato la riflessione degli interpreti.
SOMMARIO 1. La ricognizione 2. La focalizzazione 2.1 L’unione civile come specifica formazione sociale 2.2 La costituzione dell’unione civile 2.3 Gli effetti personali e patrimoniali 2.4 Cenni alla cd. stepchild adoption 2.5 Lo scioglimento dell’unione civile 3. I profili problematici
L’istituzione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso si deve alla l. 20.5.2016, n. 761, la quale, nel fissarne la regolamentazione, reca anche la disciplina delle convivenze di fatto, quale ulteriore modello familiare aperto a tutte le coppie, eterosessuali e omosessuali, non coniugate né civilmente unite.
Approvata all’esito di un acceso dibattito parlamentare, in cui si è fatto ricorso a una singolare, quanto criticabile, strutturazione in un unico e lungo articolo suddiviso in 69 commi, la l. n. 76/2016 ha il precipuo obiettivo di riconoscere e di offrire un’adeguata tutela alle coppie omoaffettive, nel solco di quanto già da tempo avviene, sia pur alla stregua di approcci diversificati, nella maggior parte degli Stati europei.
Nel nostro Paese tale esigenza si è progressivamente sedimentata e ha trovato un autorevole supporto in un’importante presa di posizione della Corte costituzionale la quale, seppur in via di obiter, pochi anni or sono ha espressamente sancito la riconduzione delle stabili unioni omosessuali nell’ambito delle formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost., sottolineando come alle stesse spettasse il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendo al contempo – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri. La Corte ha peraltro escluso che l’aspirazione all’anzidetto riconoscimento potesse essere attuata soltanto attraverso l’accesso al matrimonio, rimettendo alla piena discrezionalità del legislatore l’individuazione delle specifiche modalità dirette ad assicurare la tutela in discorso2.
L’esigenza di dotare il nostro ordinamento di una disciplina tesa a tutelare le unioni omosessuali – dopo che la necessità di salvaguardarne gli interessi è stata significativamente riconosciuta anche dalla Suprema Corte3 – è apparsa non ulteriormente differibile una volta che, nel 2015, l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale, ravvisando una violazione dell’art. 8 CEDU, ha affermato il superamento da parte del nostro Paese dei propri margini di apprezzamento, ritenendolo inadempiente rispetto all’obbligo di assicurare la disponibilità di uno specifico quadro legale che prevedesse il riconoscimento e la tutela delle unioni omoaffettive, così come già era stato sollecitato dai nostri giudici4.
A quest’ultimo riguardo occorre dare conto del fatto che l’intervento sanzionatorio della Corte di Strasburgo è giunto in un momento in cui il panorama giurisprudenziale nazionale si era arricchito di un ulteriore importante arresto della Corte costituzionale in tema di “divorzio imposto”: nella sentenza in questione il Giudice delle leggi, richiamandosi alle proprie precedenti argomentazioni, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 2 Cost., degli artt. 2 e 4 l. n. 164/1982, nella parte in cui non prevedevano che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi, causa di divorzio automatico, consentisse, ove entrambi lo avessero richiesto, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato come forma di convivenza registrata; così statuendo, la stessa Corte si era di nuovo rivolta al legislatore, alla cui discrezionalità di scelta aveva rimesso la predisposizione della relativa disciplina, invitandolo a provvedere tempestivamente tramite l’introduzione di una forma alternativa (e diversa dal matrimonio) che permettesse agli ex coniugi, in caso di una manifestazione di volontà in tal senso, di accedere a un rapporto dotato di protezione giuridica5.
La disciplina dell’unione civile tra persone dello stesso sesso è contemplata nei primi 35 commi della l. n. 76/2016, i quali, oltre ad un certo disordine espositivo, evidenziano non poche incongruenze e talune lacune, frutto anche del travagliato e non sempre limpido iter che ha condotto all’approvazione definitiva della stessa legge.
La regolamentazione dianzi indicata è destinata a trovare completa attuazione attraverso disposizioni ulteriori di futura emanazione; il co. 28 attribuisce infatti al Governo la delega ad adottare, entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi in materia nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) adeguamento alle previsioni della l. n. 76/2016 delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni;
b) modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l’applicazione della disciplina dell’unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all’estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo;
c) modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la l. n. 76/2016 delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti.
L’unione civile tra persone dello stesso sesso viene definita, dall’art. 1, co. 1, l. n. 76/2016 quale «specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione».
L’espressa riconduzione dell’unione civile nel novero delle formazioni sociali, senza volerne disconoscere in alcun modo il fondamento, può generare perplessità, in ragione del fatto che l’opera di qualificazione – notoriamente – rientra, più propriamente, nell’ambito dell’ufficio demandato all’interprete6; il legislatore, mosso dall’intento di tratteggiare elementi di differenziazione rispetto all’istituto matrimoniale, ha inteso esplicitare il riferimento all’art. 2 Cost., rifacendosi peraltro a quanto già chiaramente acclarato dalla Corte costituzionale7.
L’ulteriore richiamo all’art. 3 Cost., poi, se da un lato sembrerebbe far emergere l’ingiustizia consumata sino all’approvazione della legge8, dall’altro, introdotto per queste ultime l’istituto dell’unione civile, potrebbe condurre a ravvisare una non piena attuazione dello stesso principio di uguaglianza in ragione dell’impossibilità per quelle stesse coppie di accedere al matrimonio.
L’unione civile, nondimeno, sotto il profilo della tecnica legislativa – pur essendo stata formalmente concepita, anche nei presupposti costituzionali, quale unione distinta dal matrimonio – è stata invero costruita proprio sulla falsariga dell’atto matrimoniale e dei contenuti del relativo rapporto, sia tramite la predisposizione di regole che, di fatto, riproducono – ancorché con qualche variante non priva di significato – il contenuto di disposizioni che il codice civile dedica specificamente al matrimonio (cfr. co. 4, 7, 11, 12), sia mediante l’espresso rinvio ad altre norme che, in vari modi, si riferiscono all’unione coniugale (cfr. co. 5, 13, 19), sia attraverso l’attribuzione alle parti dell’unione civile di talune prerogative accordate anche ai coniugi (cfr. co. 14, 15, 16, 18, rispettivamente in tema di ordini di protezione, preferenza nella nomina ad amministratore di sostegno e legittimazione a promuovere l’interdizione o l’inabilitazione, annullamento del contratto per violenza, sospensione della prescrizione).
A questo riguardo assai significativa è anche la disposizione contenuta nel co. 20, ove si stabilisce che le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e quelle contenenti le parole «coniuge» o «coniugi», o termini equivalenti, ovunque ricorrano nelle leggi, negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. È pur vero che il legislatore ha tentato, anche in relazione a detta norma, di evitare l’accostamento al matrimonio – precisando nell’incipit che la regola ivi stabilita è posta «al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile» – così attenuandone la portata anche attraverso la previsione della non applicabilità rispetto a quelle norme del codice civile non richiamate espressamente e altresì con riguardo alla legge sull’adozione. Nondimeno, si è subito sostenuto che tale inciso contenga un limite solo apparente, potendo quindi le parti dell’unione civile invocare l’applicazione, in virtù della richiamata clausola di salvaguardia, di molteplici norme, tra le quali quelle dettate in materia assistenziale, previdenziale, pensionistica9.
L’unione civile viene costituita da due persone maggiorenni dello stesso sesso mediante una dichiarazione resa, alla presenza di due testimoni, davanti all’ufficiale di stato civile, il quale provvede alla registrazione degli atti di unione civile nell’archivio dello stato civile (art. 1, co. 23, l. n. 76/2016). Al fine di consentire alle coppie interessate di avvalersi del nuovo istituto già nelle more dell’entrata in vigore dei decreti legislativi da adottarsi ai sensi del citato co. 28, lett. a), tale registrazione, secondo quanto previsto dal d.P.C.m. 23.7.2016, n. 144 (Regolamento recante disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell’archivio dello stato civile, ai sensi dell’art. 1, comma 34, della legge 20 maggio 2016, n. 76), viene eseguita mediante iscrizione nel registro provvisorio delle unioni civili, istituito presso ogni comune (artt.3 e 9 del decreto). È altresì stabilito che gli atti di matrimonio o di unione civile tra persone dello stesso sesso formati all’estero vengano trasmessi dall’autorità consolare ai sensi dell’art. 17 d.P.R. 3.11.2000, n. 396, ai fini della trascrizione nel medesimo registro provvisorio (art. 8, co. 3); previsione, quest’ultima, che, come è stato osservato, soddisfa l’interesse pubblico ad acquisire tali atti nei registri nazionali, anche allo scopo di rendere certo lo stato civile dei soggetti coinvolti, di cui almeno uno sia cittadino italiano o abbia un altro stabile collegamento amministrativo con il nostro Paese10.
Il decreto citato, nel silenzio della l. n. 76/2016, ove non si menzionano le pubblicazioni, ha opportunamente indicato talune formalità preliminari alla costituzione del vincolo, prevedendo che due persone maggiorenni dello stesso sesso, al fine di costituire un’unione civile, debbano presentare all’ufficiale di stato civile del comune di loro scelta un’apposita richiesta congiunta (art. 1, co. 1), alla quale lo straniero – in virtù dell’espresso richiamo all’art. 116, co. 1, c.c. operato dall’art. 1, co. 19, l. n. 76/2016 – dovrà unire anche la dichiarazione della competente autorità del proprio paese, dalla quale risulti che, giusta le leggi cui è sottoposto, nulla osta all’unione medesima (art. 8, co. 2). Accertata la sussistenza dei presupposti richiesti, l’ufficiale dello stato civile invita le parti a comparire di fronte a sé nella data da loro indicata, successiva alla scadenza del termine di quindici giorni, entro il quale egli è tenuto a verificare che non sussistano le cause impeditive previste dalla legge; ove emerga la sussistenza di una causa impeditiva l’ufficiale ne dà immediata comunicazione a ciascuna delle parti (art. 1, co. 23; art. 3).
Lo stesso decreto n. 144/2016, in maniera parimenti opportuna, si sofferma più ampiamente anche sulle formalità che accompagnano la costituzione dell’unione civile, prevedendo che, ricevuta la dichiarazione delle parti (alle quali è consentito rendere anche l’eventuale dichiarazione di scelta del regime patrimoniale della separazione dei beni ex art. 162, co. 2, c.c.), l’ufficiale di stato civile, fatta menzione dei diritti e dei doveri discendenti dall’unione previsti dai co. 11 e 12 della legge, redige apposito processo verbale, che sottoscrive insieme alle parti e ai testimoni (art. 3). Mediante dichiarazione all’ufficiale di stato civile, le parti possono stabilire di assumere, per la durata dell’unione civile, un cognome comune, scegliendolo tra i loro cognomi; al cognome prescelto, la parte può anteporre o posporre il proprio cognome, se diverso, facendone dichiarazione all’ufficiale dello stato civile (art. 1, co. 10, l. n. 76/2016). Il riconoscimento di una siffatta facoltà è perfettamente in linea con il rispetto del principio di uguaglianza e, nel porsi del solco dei numerosi progetti di riforma dell’art. 143 bis c.c., costituisce un ulteriore tassello di quel processo di modernizzazione del diritto di famiglia cui, in modo non poco paradossale, è rimasta ad oggi estranea l’unione (matrimoniale e non) tra persone di sesso diverso.
L’unione civile è certificata dal relativo documento attestante la relativa costituzione, il quale contiene i dati anagrafici delle parti, l’indicazione del loro regime patrimoniale e della loro residenza, oltre ai dati anagrafici e alla residenza dei testimoni (art. 1, co. 9, l. n. 76/2016).
L’art. 1, co. 4, l. n. 76/2016, nell’indicare le cause impeditive alla costituzione, contiene disposizioni che, per lo più, ricalcano quelle dettate dal codice civile in materia di impedimenti matrimoniali. La sussistenza di una causa impeditiva comporta la nullità dell’unione civile, ai sensi del successivo co. 5, che sancisce l’applicabilità degli artt. 119, 120, 123, 125, 126, 127, 128, 129, 129 bis c.c. Il co. 6 legittima all’impugnazione dell’unione civile, invalidamente costituita, ciascuna delle parti, gli ascendenti prossimi, il pubblico ministero e tutti coloro che abbiano un interesse legittimo e attuale ad impugnarla; stabilisce inoltre, in analogia a quanto previsto per il matrimonio dall’art. 117, co. 3, c.c., che l’unione civile costituita da una parte durante l’assenza dell’altra non possa essere impugnata finché dura l’assenza.
L’art. 1, co. 7, l. n. 76/2016, modellato, sia pur con alcune modifiche, sull’art. 122 c.c., è dedicato all’impugnazione dell’unione civile per violenza, timore di eccezionale gravità ed errore: in materia di errore sulle qualità personali, si evidenzia, all’interno della lett. a) – e diversamente da quanto previsto dall’art. 122, co. 3, n. 1, c.c. – il mancato riferimento all’esistenza di un’anomalia o deviazione sessuale tale da impedire lo svolgimento della vita in comune11.
I rapporti personali tra le parti dell’unione civile, cui sono dedicati i co. 11-12, sono disciplinati attraverso l’esplicita enunciazione dei relativi contenuti, che sono stati modellati sulla scorta di quelli degli artt. 143-144 c.c., dettati con riguardo al matrimonio, ma con taluni adattamenti e omissioni, tra le quali spicca, nell’ambito del catalogo degli obblighi reciproci scaturenti dall’unione civile, l’emblematica soppressione del dovere di fedeltà, presente nell’originario testo del disegno di legge e caducato ad opera del “maxiemendamento” approvato dal Senato, cui si aggiunge l’espunzione di quello di collaborazione nell’interesse della famiglia. Si applica l’art. 146 c.c., espressamente richiamato dal co. 19, che richiama anche le norme sugli alimenti.
Nella regolamentazione dei rapporti patrimoniali ancora una volta il riferimento è al modello codicistico del regime patrimoniale della famiglia. Il co. 13, pur omettendo di riferirsi alla comunione quale regime patrimoniale “legale”, contiene infatti una norma che ricalca l’art. 159 c.c. e, subito dopo, richiama gli artt. 162, 163, 164 e 166 c.c. (ma non anche, inspiegabilmente, gli artt. 161 e 166 bis c.c.); segue, con un certo disordine espositivo, una disposizione analoga a quella di cui all’art. 160 c.c.; ed, infine, in chiusura, un generale rinvio alle norme su fondo patrimoniale, comunione legale e convenzionale, separazione dei beni, impresa familiare. Il co. 19 sancisce l’applicabilità degli artt. 2647, 2653, co. 1, n. 4, e 2659 c.c.
L’unione civile determina gli stessi effetti derivanti dal rapporto di coniugio anche sotto il profilo successorio; al riguardo il co. 21 dichiara infatti applicabili le norme del codice in materia di indegnità, legittimari, successione legittima, collazione e patto di famiglia. Il precedente co. 17, per il caso di morte di una delle parti dell’unione civile, estende alla parte superstite le indennità previste dagli artt. 2118 c.c. (per l’ipotesi di recesso dal contratto di lavoro a tempo indeterminato) e 2120 c.c. (con riguardo al trattamento di fine rapporto), che l’art. 2122 c.c., in caso di morte del prestatore di lavoro, stabilisce vengano corrisposte anche al coniuge; e tuttavia il predetto co. 17 appare lacunoso laddove non richiama i criteri volti a governare le modalità di distribuzione delle indicate indennità contemplati proprio dall’art. 2122 c.c. e che sarebbe stato opportuno specificare attraverso un esplicito rinvio anche a quest’ultima norma12.
Nell’originario testo del disegno di legge figurava una norma che si proponeva di modificare l’art. 44, co. 2, lett. b), l. n. 184/1983, rendendo possibile l’adozione non legittimante del figlio di una delle parti dell’unione civile ad opera dell’altra (cd. stepchild adoption). Dati i forti contrasti suscitati dalla stessa, tale disposizione è stata soppressa ad opera del “maxiemendamento” per lasciare il posto, nell’ambito del co. 20, alla previsione secondo cui la già richiamata norma di chiusura ivi contenuta non si applica, oltre che alle norme del codice civile non espressamente richiamate dalla stessa l. n. 76/2016, neppure alle disposizioni di cui alla l. 4.5.1983, n. 184. Subito dopo tale previsione figura tuttavia l’ulteriore statuizione secondo cui «resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti»; norma dai contenuti assai ambigui, che si spiega alla luce dell’intento di salvaguardare quel diritto vivente che il legislatore non ha potuto o voluto trasfondere in diritto vigente13. Lo specifico riferimento è a quell’indirizzo giurisprudenziale di merito14, recentemente avallato anche dalla Cassazione15, che ha ammesso l’adozione non legittimante di un minore a favore del partner omosessuale del genitore ai sensi dell’art. 44, co. 1, lett. d), l. n. 184/1983, sulla base di un’interpretazione estensiva della norma in discorso, tesa a ricondurre nell’ambito della constatata impossibilità di affidamento preadottivo cui essa si riferisce, non solo l’impossibilità di fatto, ma anche quella di diritto, in tal modo consentendo l’adozione, ai sensi della norma indicata, anche di un minore non abbandonato, ogni qualvolta in cui si accerti che essa realizza l’interesse dello stesso a vedere riconosciuti i legami affettivi sviluppatisi con determinati soggetti che ne hanno assunto la cura.
Per ulteriori approfondimenti, si rinvia al contributo in questo volume, Diritto civile, 1.2.1 Adozione coparentale (stepchild adoption).
Causa fisiologica di scioglimento dell’unione civile, prevista dal co. 22, è la morte di una delle parti, cui è equiparata la dichiarazione di morte presunta; con riguardo a quest’ultima si applicano gli artt. 65 e 68 c.c., richiamati dal co. 5.
Quanto invece alle cause patologiche, la l. n. 76/2016 si pone in un’ottica di massima semplificazione. Giusta quanto stabilito dal co. 23, l’unione civile si scioglie nei casi previsti dall’art. 3, n. 1 e n. 2, lett. a), c), d), ed e), l. 1.12.1970, n. 898. Resta quindi escluso il caso previsto dall’art. 3, n. 2, lett. b), contemplante la causa di divorzio più comune, ovvero quella che si collega ad un pregresso periodo di separazione personale; se ne desume che tale istituto non si applichi all’unione civile, in relazione alla quale si fa luogo allo scioglimento diretto del vincolo16. Nell’indicata prospettiva costituisce una novità di assoluto rilievo il meccanismo contemplato dal co. 24, che ricollega lo scioglimento dell’unione civile alla volontà in tal senso manifestata dalle parti, anche disgiuntamente, dinanzi all’ufficiale di stato civile17. In tal modo il legislatore ha inteso aprire la strada ad uno scioglimento sostanzialmente “potestativo” dell’unione civile, come tale fondato sulla volontà manifestata anche da una sola delle parti18. Si tratta di un’enfatizzazione di non poco momento dell’individualismo che ormai connota in modo sempre più pregnante le relazioni affettive, in relazione alle quali vi è una sostanziale presa d’atto che il rapporto, nella sua materiale concretezza, può venir meno in qualsiasi momento per effetto del disimpegno di uno soltanto dei partner.
La mera manifestazione della volontà non è peraltro sufficiente, precisando il co. 24 che, nel caso ivi previsto, la domanda di scioglimento dell’unione civile è proposta decorsi tre mesi dalla data della manifestazione di volontà. Il co. 25 prevede l’applicabilità, in quanto compatibili, degli artt. 4, 5, co. 1 e co. 511, 8, 9, 9 bis, 10, 12 bis, 12 ter, 12 quater, 12 quinquies, 12 sexies, l. n. 898/1970, delle disposizioni di cui al titolo II del libro IV del c.p.c. e degli artt. 6 e 12 del d.l. 12.9.2014, n. 132: le conseguenze patrimoniali dello scioglimento dell’unione civile sono quindi le stesse che derivano dal divorzio.
Il co. 26 ricollega lo scioglimento dell’unione civile alla sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso. Il successivo co. 27, invece, rispondendo alle sollecitazioni della Corte costituzionale19, stabilisce che alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso: l’art. 5, co. 1, d.P.C.m. n. 144/2016 fa riferimento, al riguardo, ad una dichiarazione congiunta resa personalmente all’ufficiale dello stato civile del comune nel quale fu iscritto o trascritto l’atto di matrimonio.
In conclusione, è opportuno focalizzare l’attenzione su talune specifiche questioni che, già nell’immediato, hanno stimolato le riflessioni degli interpreti.
Si è accennato alla vicenda che, con un certo grado di opacità, ha portato a sopprimere la fedeltà dal catalogo degli obblighi reciproci scaturenti in capo alle parti dell’unione civile, dando così luogo a quella che ad alcuni è parsa una scelta ingiustificata, scaturente da un pregiudizio sulla qualità del vincolo che unisce le coppie dello stesso sesso20. Emerge tuttavia, nelle analisi condotte da altri autori, l’idea secondo cui tale formale omissione è in realtà inidonea a determinare sostanziali ricadute negative, in ragione del fatto che la fedeltà – intesa dalla giurisprudenza più recente non più solo come astensione da relazioni sessuali extraconiugali, ma come impegno a non tradire la fiducia reciproca ovvero il rapporto di dedizione fisica e spirituale21 – è imprescindibilmente connaturata all’essenza stessa di un rapporto affettivo di coppia e comunque riconducibile nell’ambito dell’obbligo di assistenza morale, che il co. 11 fa gravare anche sulle parti dell’unione civile; di qui l’ulteriore rilievo secondo cui, pur non potendosi invocare la violazione dell’obbligo di fedeltà al fine di ottenere una pronuncia di addebito della separazione, in quanto, come si è visto, la separazione personale non trova applicazione con riguardo all’unione civile, resterebbe comunque possibile sanzionare eventuali offese alla dignità e al decoro che una parte arrecasse all’altra, a tal fine invocando la responsabilità scaturente dalla commissione dell’illecito endofamiliare22.
In merito all’articolata previsione del co. 20, si è visto che, alla stregua di quanto previsto dalla medesima disposizione, essa non si applica alle norme del codice civile non espressamente richiamate dalla l. n. 76/2016. La prefigurata estraneità alla disciplina delle unioni civili delle norme codicistiche non formanti oggetto di espresso richiamo ad opera della legge, ha condotto taluno a dubitare in merito alla possibilità di colmare eventuali lacune della stessa l. n. 76/2016 ricorrendo all’applicazione estensiva o analogica di disposizioni del codice diverse ed ulteriori rispetto a quelle espressamente richiamate23; altri autori, in una prospettiva opposta, ritengono invece possibile il ricorso all’analogia24. Un’ulteriore dottrina, ponendo l’accento sul fatto che la norma di chiusura contenuta nell’art. 20, della quale quello stesso articolo sancisce la non applicabilità alle disposizioni del codice civile non espressamente richiamate dalla legge, riguarda le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, prospetta la possibilità di applicare alle unioni civili le norme codicistiche che non si riferiscono al matrimonio e non contengono quelle parole25. Al di là del dibattito generatosi, quel che vi è di certo è che la norma in questione riporta in luce uno di quei tanti momenti, che hanno contraddistinto il varo della legge, in cui il legislatore – pur mosso dalla volontà di concepire una pregnante forma di tutela – si mostra preoccupato rispetto alla possibilità che si potesse pervenire a una totale assimilazione all’unione matrimoniale.
Con riguardo allo scioglimento dell’unione civile, si è posto il problema del senso da attribuirsi al richiamo agli artt. 6 e 12 d.l. n. 132/2014 contenuto nel co. 25, in ragione del fatto che, per espressa previsione di quelle stesse norme, è possibile addivenire al divorzio per mezzo degli strumenti stragiudiziali ivi disciplinati nei soli casi previsti dall’art. 3, n. 2, lett. b), l. n. 898/1970; ma data l’inapplicabilità all’unione civile della separazione personale, si è sostenuto, al fine di giustificare il richiamo in questione, che il ricorso ai predetti strumenti divenga ammissibile solo quando, ai sensi del co. 24, le parti abbiano dichiarato la volontà di sciogliere l’unione innanzi all’ufficiale di stato civile e siano trascorsi tre mesi26.
Note
1 Pubblicata in G.U. 21.5.2016, n. 118 e in vigore dal 5 maggio 2016.
2 C. cost., 15.4.2010, n. 138.
3 Cass., 15.3.2012, n. 4184, che si è rifatta sia a C. cost. n. 138/2010, sia a C. eur. dir. uomo, 24.6.2010, Schalk and Kopf c. Austria, la quale, da un lato, ha affermato che il diritto al matrimonio contemplato dall’art. 12 CEDU non può più considerarsi limitato alle persone di sesso opposto, e tuttavia, preso atto dell’assenza in ambito europeo di un consenso generale sul matrimonio omosessuale, ha accordato ai legislatori dei singoli Stati contraenti la libertà di decidere se ammettere o meno, nei rispettivi ordinamenti, anche questo tipo di matrimonio; dall’altro, ha ricondotto la relazione tra conviventi, anche omosessuali, in stabile relazione di fatto, nella nozione di vita familiare di cui all’art. 8 CEDU, che assicura ad ogni persona il diritto al rispetto della propria vita familiare; successivamente Cass., 9.2.2015, n. 2400.
4 C. eur. dir. uomo, 29.7.2015, Oliari e altri c. Italia.
5 C. cost., 11.6.2014, n. 170, cui ha fatto seguito Cass., 21.4.2015, n. 8097.
6 Cfr. Balestra, L., Unioni civili, convivenze di fatto e “modello” matrimoniale: prime riflessioni, in Giur. it., 2016, 1781.
7 Il riferimento è a C. cost. n. 138/2010, che, nell’affrontare l’ulteriore questione della riconducibilità delle unioni omosessuali all’ambito applicativo dell’art. 29 Cost., si è espressa in senso negativo.
8 Ingiustizia invero negata, con riguardo al matrimonio, da C. cost. n. 138/2010.
9 Cfr., tra gli altri, Quadri, E., Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze: spunti di riflessione, in Giust. civ., 2016, 261, nt. 20; Casaburi, G., Convivenze e unioni civili: una prima lettura della nuova legge, in Questione giust. (questionegiustizia.it), (17 maggio) 2016.
10 Così la Sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato nel parere 21.7.2016, n. 1695.
11 Sul punto cfr. Guardigli, E., L’omosessualità e l’eterosessualità nel matrimonio e nelle unioni civili, in Fam. dir., 2016, 782 ss., la quale pone in luce come tale omissione impedisca alla parte che, all’atto della costituzione dell’unione civile, abbia ignorato la preesistente eterosessualità dell’altra, di invocare l’invalidità del vincolo.
12 Balestra, L., op. cit., 1783 s.
13 Campione, R., L’unione civile tra disciplina dell’atto e regolamentazione dei rapporti di carattere personale, in AA.VV., La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze, Torino, 2016, 26 s.
14 Cfr., tra le altre, Trib. min. Roma, 30.7.2014, in Foro it., 2014, I, 2743, successivamente confermata da App. Roma, 23.12.2015, ivi, 2016, I, 699; Trib. min. Roma, 22.10.2015, in Foro it., 2016, I, 339; Trib. min. Roma, 30.12.2015, in Fam. dir., 2016, 584.
15 Cass., 22.6.2016, n. 12962.
16 Cfr., tra gli altri, Figone, A., Lo scioglimento delle unioni civili e la risoluzione dei contratti di convivenza, in AA.VV., La nuova regolamentazione, cit., 262; contra, ma in posizione isolata, Oberto, G., I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, ivi, 54 ss., che, sulla base di taluni richiami presenti nel co. 19 e nel co. 25, conclude per l’applicabilità della separazione personale in alternativa al divorzio diretto.
17 Competente è l’ufficiale di stato civile del comune di residenza di una delle parti o del comune presso cui è iscritta o trascritta la dichiarazione costitutiva dell’unione (art. 6, co. 4, d.P.C.m. n. 144/2016).
18 Quadri, E., op. cit., 268.
19 C. cost. n. 170/2014.
20 Logroscino, P., Il diritto fondamentale delle coppie same sex all’unione civile tra costituzione e integrazione europea, in Unioni civili e convivenze di fatto, a cura di M. Gorgoni, Santarcangelo di Romagna, 2016, 67; Dell’Anna Misurale, F., Unioni civili tra diritto e pregiudizio. Prima lettura del nuovo testo di legge, in giustiziacivile.com, 12; Oberto, G., op. cit., 31.
21 Cass., 18.9.1997, n. 9287; Cass., 11.6.2008, n. 15557.
22 Cfr. Quadri, E., op. cit., 264 s.; Casaburi, G., op. cit., 13 s.; Campione, R., op. cit., 15 s.; Olivero, L., Unioni civili e presunta licenza di infedeltà, in corso di pubblicazione in Riv. trim. dir. proc. civ.
23 Campione, R., op. cit., 6.
24 Iorio, G., Costituzione dell’unione civile, impedimenti e altre cause di nullità. Gli obblighi dei contraenti. Il regime patrimoniale. Lo scioglimento dell’unione civile, in Unioni civili e convivenze di fatto, cit., 70 ss.; Casaburi, G., op. cit., 10 s.
25 Oberto, G., op. cit., 38 s. e 46 s.
26 Così Figone, A., op. cit., 268 s.; cfr. anche Quadri, E., op. cit., 268; Iorio, G., op. cit., 98; secondo Pacia, R., Unioni civili e convivenze, in Jus civile, 2016, 202, il ricorso agli strumenti giudiziali si giustifica invece, in relazione all’unione civile, solo ai fini di un’eventuale modifica delle condizioni precedentemente stabilite, anch’essa possibile ai sensi dei richiamati artt. 6 e 12.