UNIONE EUROPEA
L'espressione ''Unione Europea'' è consacrata dal trattato firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992 dai dodici paesi membri della CEE (v. in questa Appendice). Nel primo articolo (art. A) si afferma: "Con il presente trattato, le Alte Parti Contraenti istituiscono tra loro un'Unione Europea, in appresso denominata Unione". Più in là, nel terzo paragrafo, l'articolo specifica: "L'Unione è fondata sulle Comunità europee, integrate dalle politiche e forme di cooperazione instaurate dal presente trattato. Essa ha il compito di organizzare in modo coerente e solidale le relazioni tra gli Stati membri e tra i loro popoli".
Le nuove "politiche e forme di cooperazione" che integreranno le vecchie Comunità − la Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (CECA), la Comunità Economica Europea (CEE) e l'Euratom − sono essenzialmente l'istituzione di un'Unione Economica e Monetaria (UEM), dotata di una moneta unica, secondo procedure e tempi dettagliatamente definiti, una Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC), nonché una "stretta cooperazione" nel settore della giustizia e degli affari interni. È istituito il "Comitato delle regioni", con funzioni consultive, e vengono rafforzati i poteri del Parlamento europeo creando, per alcune materie, una complessa procedura di "codecisione" che associa più strettamente il Parlamento all'elaborazione delle decisioni del Consiglio dei ministri.
La costruzione è però piuttosto squilibrata: alla precisione con la quale viene descritta l'UEM non corrisponde analoga chiarezza nel definire la PESC o la cooperazione giudiziaria. Il trattato di Maastricht è nato infatti da un lungo negoziato che ha dovuto lasciare per strada alcune ambizioni e confinarne altre nella vaghezza di formule diplomatiche aperte a più di un'interpretazione. L'art. B del trattato, che definisce gli "obiettivi" dell'U.E., a proposito della PESC dichiara che l'U.E. si prefigge di "affermare la sua identità sulla scena internazionale, segnatamente mediante l'attuazione di una politica estera e di difesa comune... che potrebbe, successivamente, condurre a una difesa comune". Nel "settore della giustizia e degli affari interni", d'altra parte, non vi è alcun trasferimento di competenze all'U.E. ma essa si limita a "sviluppare una stretta cooperazione" fra gli stati nazionali.
Questo squilibrio, fautore di scompensi anche gravi nei primi anni di applicazione del nuovo trattato, è presente ai suoi estensori, tanto che essi prevedono esplicitamente una clausola di revisione generale (art. N, par. 2) e una specifica sulla PESC (art. J 4, par. 6; art. J 10), nonché la convocazione nel 1996 di una "conferenza dei Rappresentanti dei Governi degli Stati membri" per rivedere le disposizioni del trattato e migliorare le procedure di decisione (estensione del voto a maggioranza) anche in vista dell'adesione all'U.E. di nuovi paesi "all'orizzonte Duemila", come affermato nel dicembre 1994 a Essen dal Consiglio europeo. Questi paesi, dopo l'adesione di Austria, Svezia e Finlandia dal 1° gennaio 1995, sono: Ungheria, Polonia, Repubbliche ceca e slovacca, Bulgaria, Romania, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Cipro, nonché gli stati sorti dal disfacimento della Iugoslavia quando la situazione in quell'area si sarà stabilizzata.
Di U.E. si parlò per la prima volta nel "progetto di Trattato istitutivo dell'Unione Europea" adottato, su iniziativa di A. Spinelli, dal Parlamento europeo il 12 febbraio 1984. Ci vollero però i Consigli europei di Roma del 1990 − 27 e 28 ottobre, 14 e 15 dicembre −perché l'idea di Spinelli divenisse un progetto concreto dibattuto da una Conferenza dei Rappresentanti degli stati membri. Le Conferenze, in realtà, furono due e lavorarono parallelamente, l'una dedicata ai temi economico-monetari, l'altra a quelli politici. Avviate in dicembre sotto presidenza italiana, le Conferenze si conclusero un anno dopo a Maastricht sotto presidenza olandese. Il Consiglio europeo, riunito in quella città il 9 e 10 dicembre 1991, superò gli ultimi scogli, in particolare concedendo ai Britannici la facoltà di non partecipare all'ultima fase dell'Unione monetaria e alla politica sociale comune, e concluse il negoziato. I testi furono firmati, sempre a Maastricht, il 7 febbraio 1992. Iniziò allora la stagione dei referendum nazionali, all'esito dei quali alcuni governi subordinavano l'approvazione del trattato. Il 2 giugno 1992 i cittadini danesi si espressero a maggioranza contro il trattato. A questo "no" seguì una serie di trattative che, pur non modificando formalmente il testo del trattato, attraverso vari strumenti collaterali (dichiarazioni d'interpretazione, impegni politici) consentirono d'indire in Danimarca un secondo referendum (18 maggio 1993), nel quale finalmente prevalsero i "sì". Ma se il primo referendum danese era stato un pesante avvertimento, anche peggiore fu l'effetto del "sì" espresso dagli elettori francesi il 20 settembre 1992 con una debolissima maggioranza. All'inizio della campagna referendaria i sondaggi testimoniavano di una larga adesione popolare che si andò erodendo rapidamente lasciando, anche dopo il prevalere dei "sì" sia pure di stretta misura, vaste aree sociali e politiche di ostilità a ogni rafforzamento della cooperazione europea. Dopo un lungo periodo di ottimismo, il referendum francese avviava una fase di "euroscetticismo" che, insieme alla crisi economica europea degli anni 1993-94, frenava gli slanci federali e induceva le classi politiche a un più prudente realismo. In Italia, il trattato fu ratificato dal Parlamento il 29 ottobre 1992; è entrato in vigore il 1° novembre 1993.
La Conferenza intergovernativa per la revisione è stata preparata nel corso del 1995 in un clima di rinnovata fiducia, grazie al superamento della recessione economica, ma di grande prudenza quanto agli obiettivi politici o istituzionali europei per "non ripetere l'esperienza di Maastricht", cioè per non procedere troppo in fretta rispetto al ritmo politicamente accettabile dalle opinioni pubbliche. Tempi e modalità dell'Unione monetaria, comunque già fissati, non sono suscettibili di revisione nella Conferenza intergovernativa del 1996.
I Capi di stato e di governo della CEE, riuniti ad Hannover il 27 e 28 giugno 1988, constatarono che il "mercato unico" in costruzione, che sarebbe stato completato nel 1993, avrebbe potuto funzionare al meglio solo con l'introduzione di una moneta unica. Ad Hannover venne creato un comitato, composto essenzialmente dai governatori delle Banche centrali e presieduto da J. Delors, allora presidente della Commissione europea, con "la missione di studiare e di proporre le tappe concrete che debbono condurre all'Unione economica e monetaria". Il Comitato Delors elaborò un rapporto che proponeva un processo in tre fasi, con inizio il 1° luglio 1990. Il rapporto fu approvato nel Consiglio europeo di Madrid del 26 e 27 giugno 1989. La prima fase, che non richiedeva mutamenti istituzionali, ma si riassumeva nel potenziamento della cooperazione già in essere, fu avviata il 1° luglio 1990, come proponeva Delors: per l'avvio e le modalità delle altre due fasi, fu deciso successivamente a Dublino, il 28 aprile 1990, di convocare una Conferenza intergovernativa che si sarebbe riunita per la prima volta a Roma nel dicembre 1990 e avrebbe negoziato la parte economico-monetaria del futuro trattato di Maastricht. Nei due Consigli europei di Roma (ottobre e dicembre 1990) i Capi di stato e di governo fissarono già alcuni principi e scadenze: le Conferenze avrebbero dovuto concludere i loro lavori entro il 1992 e un organo centrale a struttura federale avrebbe avuto la responsabilità della politica monetaria unica; la seconda fase dell'Unione economica e monetaria sarebbe iniziata il 1° gennaio 1994; nella sua terza e ultima fase l'Unione avrebbe avuto una moneta unica.
Il trattato di Maastricht istituì l'Istituto Monetario Europeo (''nucleo'' della futura Banca centrale) con sede a Francoforte, con il compito di fare da ponte fra una situazione con una pluralità di monete nazionali e la loro sostituzione con la moneta unica; l'IME ha funzioni di coordinamento delle politiche nazionali e di preparazione della terza e definitiva fase dell'Unione economica e monetaria che vedrà la nascita della Banca centrale europea. Entro il 31 dicembre 1998 il Consiglio europeo deciderà "se la maggioranza degli Stati membri soddisfa le condizioni necessarie per l'adozione di una moneta unica". In caso affermativo deciderà "se sia opportuno che la Comunità passi alla terza fase dell'Unione" e ne stabilirà la data d'inizio. Se entro la fine del 1997 la data d'inizio della terza fase non sarà stata fissata, la terza fase inizierà il 1° gennaio 1999.
Alcuni "criteri", definiti dal Trattato, guideranno le deliberazioni del Consiglio europeo. I "criteri di Maastricht" sono i seguenti: il disavanzo pubblico annuale di ogni paese partecipante alla terza fase non deve superare il 3% del prodotto interno lordo ai prezzi di mercato; il debito pubblico cumulato non deve superare il 60% del PIL ai prezzi di mercato; il tasso medio d'inflazione non deve superare "di oltre 1,5 punti percentuali quello dei tre Stati membri, al massimo, che hanno conseguito i migliori risultati in termini di stabilità dei prezzi"; negli ultimi due anni la moneta nazionale deve aver partecipato al meccanismo di cambio del Sistema monetario europeo senza subire svalutazioni; il tasso d'interesse nominale a lungo termine non deve aver ecceduto nell'ultimo anno "di oltre 2 punti percentuali quello dei tre Stati membri che hanno conseguito i migliori risultati in termini di stabilità dei prezzi". Nel giugno 1995, i ministri delle Finanze dell'Unione hanno constatato a Lussemburgo l'impossibilità che esista alla data convenuta una "maggioranza di Stati membri" in grado di rispettare i "criteri" per passare alla terza fase già nel 1997. Al Consiglio europeo di Cannes, il 26 e 27 giugno 1995, i Capi di stato e di governo hanno rinnovato "la ferma determinazione di preparare il passaggio alla moneta unica al più tardi il primo gennaio 1999".
Bibl.: Y. Doutriaux, Le traité sur l'Union Européenne, Parigi 1992; C. Curti Gialdino, Il trattato di Maastricht sull'Unione Europea, Roma 1993; T. Padoa-Schioppa, The road to monetary union in Europe, Oxford-New York 1994; Traité sur l'union Européenne, a cura di V. Constantinesco, R. Kovar, D. Simon, ivi 1995.
Fondi strutturali. - I fondi strutturali costituiscono il principale strumento di coesione economico-sociale disposto dall'U.E. per ridurre gli squilibri esistenti tra le diverse regioni dei paesi membri. La loro gestione ha subito nel tempo vari cambiamenti, i più radicali dei quali sono stati introdotti nel 1988 con validità per il periodo programmato 1987-93, al fine di rendere più coordinato ed efficace l'intervento, focalizzandolo su obiettivi ben definiti e stabilendo regole più precise nella cooperazione fra paesi membri e Comunità. Per il periodo 1994-98 sono stati introdotti altri aggiustamenti, consigliati dall'esperienza precedente (per es. procedure di programmazione) oppure resi necessari dalla mutata situazione socio-economica generale (per es. nuove regioni e azioni eleggibili per il finanziamento).
I fondi strutturali sono attualmente quattro, ognuno disciplinato da un suo regolamento, che stabilisce le rispettive missioni e modalità degli interventi. Il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) è destinato a ridurre le disparità di sviluppo tra le diverse aree mediante investimenti produttivi in infrastrutture, in ricerca e sviluppo, in strutture scolastiche e sanitarie, in reti transeuropee. Il Fondo Sociale Europeo (FSE) è destinato al miglioramento della situazione occupazionale mediante il finanziamento di sistemi di formazione e di adeguamento dei lavoratori nelle trasformazioni industriali. Il Fondo Europeo di Orientamento e Garanzia Agricoli (FEOGA), sezione orientamento, ha per funzioni principali quella di contribuire al cofinanziamento dei regimi di aiuti nazionali all'agricoltura e di azioni sulle strutture agricole, e quella di promuovere lo sviluppo in armonia con l'ambiente delle zone rurali, anche mediante la diversificazione delle attività agricole. Lo Strumento Finanziario di Orientamento per la Pesca (SFOP), di recente istituzione, è destinato al sostegno delle ristrutturazioni del settore della pesca, compresa la trasformazione in prodotti finali e l'acquicoltura. Un regolamento quadro e un regolamento di coordinamento assicurano l'armonizzazione e il coordinamento generale delle azioni svolte dalla Comunità per tramite di questi fondi e di altri strumenti quali i prestiti, gli aiuti e le garanzie forniti dalla CECA (Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio), dalla BEI (Banca Europea degli Investimenti), dal NSC (Nuovo Strumento Comunitario) e dall'Euratom.
Il regolamento quadro stabilisce che i fondi strutturali devono contribuire (v. tab. 1) al conseguimento di cinque obiettivi prioritari:
1) Promuovere l'adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo, cioè quelle in cui il reddito pro capite risulta, in base ai dati degli ultimi tre anni, inferiore al 75% della media comunitaria (Mezzogiorno d'Italia, Grecia, Portogallo, parte della Spagna, Irlanda del Nord, Corsica, dipartimenti francesi d'oltremare, Berlino est e Länder dell'ex Germania orientale).
2) Riconvertire le regioni gravemente colpite dal declino industriale, cioè le zone in cui si verificano queste tre condizioni: a) il tasso medio di disoccupazione è superiore alla media comunitaria registrata negli ultimi anni; b) il tasso di occupazione industriale in qualsiasi anno di riferimento a partire dal 1975 risulta uguale o superiore alla media comunitaria; c) il livello di occupazione è in continuo regresso. Le aree interessate non devono superare complessivamente il 15% di un singolo paese.
3) Lottare contro la disoccupazione di lunga durata e facilitare l'inserimento professionale dei giovani e l'integrazione delle persone minacciate di esclusione dal mercato del lavoro.
4) Agevolare l'adattamento dei lavoratori ai mutamenti industriali e all'evoluzione dei sistemi di produzione.
5a) Promuovere l'adeguamento delle strutture agrarie, l'ammodernamento e la ristrutturazione della pesca.
5b) Agevolare lo sviluppo delle zone rurali; le aree interessate devono soddisfare almeno due dei tre criteri seguenti: tasso elevato di occupazione agricola, basso livello di reddito agricolo, bassa densità di occupazione e/o tendenza evidente allo spopolamento.
Oltre alle azioni rispondenti ai citati obiettivi, il cui finanziamento avviene su proposta degli stati membri, i regolamenti che disciplinano i fondi prevedono che la Commissione possa proporre agli stati programmi specifici di attività in settori ritenuti di particolare interesse comunitario. Si tratta dei cosiddetti Programmi d'Iniziativa Comunitaria (PIC; v. tab. 2).
La somma totale messa a disposizione per il sessennio 1994-99 per il conseguimento degli obiettivi indicati è di oltre 141.000 milioni di ECU 1992. Il 68% di essa (96.346 milioni) è destinato al primo obiettivo. All'Italia è stata allocata la somma complessiva di 21.790 milioni di ECU, pari al 15,4% del totale. Per le iniziative comunitarie elencate in tab. 2 la somma stanziata è di 12.730 milioni di ECU.
Riguardo ai criteri generali dei metodi d'intervento si deve sottolineare innanzitutto che l'azione comunitaria dev'essere intesa come complemento e non come sostituzione delle azioni nazionali. La complementarità si basa sui due seguenti principi fondamentali.
Partnership e cofinanziamento: l'azione comunitaria è il risultato di una stretta concertazione tra la Commissione, lo stato membro interessato e gli organismi competenti designati dallo stesso stato a livello nazionale, regionale, locale o altro, che agiscono in qualità di partners. La Comunità copre solo una parte dei costi, dovendo lo stato membro interessato impegnarsi a completare il finanziamento fino a coprire il costo totale preventivato.
Addizionalità: le risorse dei fondi strutturali per ciascuno degli obiettivi citati non possono sostituire le spese pubbliche che devono essere realizzate da uno stato nell'insieme dei territori interessati da un obiettivo, ma si devono aggiungere a esse.
Le forme d'intervento sono diverse. Possono essere cofinanziati programmi operativi, cioè insiemi organici di azioni pluriennali, facendo ricorso anche a più fondi strutturali o ad altri strumenti finanziari (POP, Programmi Operativi Plurifondo), oppure progetti appropriati proposti dagli stati e approvati caso per caso. Può essere cofinanziato un regime nazionale di aiuti, nel rispetto delle regole della concorrenza, o può essere concessa una sovvenzione globale, gestita da un soggetto intermediario indicato dallo stato, che deve poi procedere alla suddivisione in singole sovvenzioni da erogarsi ai beneficiari finali. Possono essere erogati infine sussidi all'assistenza tecnica per la preparazione e la valutazione delle diverse fasi di svolgimento delle attività finanziate.
Per qualsiasi forma d'intervento la procedura è complessa e coinvolge diversi soggetti sia a livello comunitario sia a livello degli stati. La procedura non prevede formalmente in alcun caso l'interazione tra la Commissione e i singoli soggetti attuatori, se non tramite le amministrazioni o altri soggetti specificatamente designati dallo stato membro interessato. La gestione di ognuno dei fondi è concentrata a livello comunitario in una direzione generale diversa e a livello dei paesi membri in diversi ministeri. Nella tab. 3 sono indicati per ogni fondo la direzione generale dell'U.E. e le amministrazioni italiane primariamente competenti. In realtà le amministrazioni coinvolte sono più numerose: infatti per ogni settore d'intervento, oltre all'amministrazione nazionale competente, sono sempre coinvolti le amministrazioni regionali, il ministero del Bilancio quale responsabile della programmazione economica nazionale, e il ministero del Tesoro quale erogatore dei fondi. Anche a livello comunitario, oltre alla direzione generale che gestisce il particolare fondo, sono coinvolte le direzioni generali competenti nella materia specifica di ogni intervento e la direzione generale iv (concorrenza), che ha un ruolo di sorveglianza su tutti gli interventi non agricoli.
Bibl.: Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee, N.L. 193 (31 luglio 1993); Commissione delle Comunità Europee, I Fondi Strutturali 1994/1999. Testi normativi e commenti, agosto 1993; Commissione Europea, Quadro comunitario di sostegno 1994-1999 per lo sviluppo e l'adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo, Obiettivo 1 - Italia, 29 giugno 1994; Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee, N.C. 180 (1° luglio 1994); A. Bonfiglioli, I fondi strutturali della Unione Europea, in Università Ricerca, 5, 7/8 (1994).