unghia
Primamente attestato in D. già col significato, vivo ancor oggi, che si diffuse a ogni livello coi trecentisti (volgarizzamenti di Girolamo, dell'Esopo e del Crescenzi; Petrarca e Boccaccio); ne varia naturalmente l'applicazione fra uomini e dannati, diavoli e animali, con le connotazioni espressive che rispecchiano (accanto all'eventuale riverbero di un attributo) il diverso tono o sapore dei contesti, quantunque affini e raggruppabili per situazioni. Competono a u. dieci occorrenze (ma una sola concerne il Convivio); le altre, di cui una al grado alterato, sono riservate alla prima cantica per l'esclusivo valore letterale: il termine infatti (forse troppo familiare o triviale) è escluso dall'ultima, ed eccezionalmente viene assunto nella seconda su un piano metaforico.
Riferito a uomo, nel plurale: Democrito, de la propia persona non curando, né barba né capelli né unghie si togliea (Cv III XIV 8); ha già l'unghie smorte, " livide ", chi sente avvicinarsi il brivido della quartana (If XVII 86); Taide si graffia con l'unghie merdose (XVIII 131); il morso / de l'unghie, negli alchimisti che si dismagliano le schianze mentre traevan giù l'unghie la scabbia (XXIX 80 e 82); Con l'unghie si fendea ciascuna [delle Erinni] il petto (IX 49).
Meno frequente il singolare, sia pure collettivo, ora in rapporto a persona, sempre per i falsari (XXIX 89 se l'unghia ti basti / etternalmente a cotesto lavoro), ora a demoni (XXII 69), i Malebranche, nello sgomento di Ciampolo designati attraverso i loro strumenti di tortura (unghia né uncino), già messi in campo nel crudele invito al più dotato degli aguzzini con la furfantesca sottolineatura dell'accrescitivo plurale: O Rubicante, fa che tu li metti / li unghioni a dosso, sì che tu lo scuoi! (XXII 41).
A parte, e notevolissimo, il traslato di Pg XVI 99 'l pastor che procede, / rugumar può, ma non ha l'unghie fesse, con sovrapposizione alla figura del pontefice di quella di un ruminante, secondo l'estensione allegorica che gli esegeti della Scolastica avevano operato su noti precetti del Levitico e del Deuteronomio (s. Tommaso Sum. theol. I II 102 6 " fissio ungulae significat... discretionem boni et mali "). Sembra però più vicina allo spirito del luogo dantesco, nonché alla meno enigmatica formulazione dei vv. 109 ss., la chiosa di Pietro: " duo requiruntur in praelatis et etiam in omnibus aliis regentibus, scilicet ruminare, hoc est sapere, et habere discretionem, quod figuratur in ungulis fissis. Et sic praesentes pastores, licet sint sapientes, et sic ruminant, tamen non habent ungulas fissas in discernendo et dividendo temporalia a spiritualibus ".