Un popolo di santi
Sommario: Il santo patrono nelle città italiane ▭ I luoghi della santità ▭ La fitta rete delle riforme monastiche ▭ La santità di funzione dei papi ▭ I santi cittadini ▭ Le «religiones novae» e i loro santi ▭ La religione della ‘osservanza’ e i santi di corte ▭ Una santità ‘romana’ ▭ Tra campanile e municipio ▭ Il culto dei santi nell’età dei lumi ▭ Martiri e santi tra Rivoluzione e Restaurazione ▭ Alla metà del secolo
La solenne celebrazione a Napoli della ricorrenza di s. Gennaro, il martire del 305 dell’era cristiana, induce a dimenticare che, a partire dal Seicento, e addirittura sino ai primi decenni del Novecento, la lista dei santi patroni della città partenopea si era allungata, con altri novantacinque nomi: assicurandone in tal modo la protezione soprannaturale per almeno un terzo dei giorni dell’anno1.
Sin dalle origini del cristianesimo l’Italia ha goduto di una situazione di privilegio agiografico2, per essere stata la terra in cui più numerosi sono stati annoverati i martiri delle persecuzioni da parte delle autorità romane nei confronti dei fedeli della nuova religione, almeno sino all’alba del IV secolo. Non era certo accaduto diversamente anche nei territori dell’impero che si disponevano lungo le sponde del Mediterraneo, da Occidente a Oriente: l’espansione arabo-musulmana a partire dal secolo VII e il lungo dominio turco-ottomano collocarono però le chiese cristiane orientali in una posizione di marginalità, e la caduta dell’impero di Bisanzio alla metà del secolo XV comportò anche per la Chiesa greca un sostanziale isolamento. In quei paesi veniva meno la rilevanza sociale e culturale della memoria dei martiri, che il culto liturgico manteneva vivo a partire dal secolo II-III, innanzitutto nei luoghi dove il loro sangue era stato sparso ovvero in cui ne erano conservate le spoglie, disegnando per l’Italia una speciale carta di distribuzione lungo le vie consolari e presso i maggiori centri urbani.
L’Italia era dunque diventata un enorme deposito di reliquie, cui attinse durante il Medioevo l’intera cristianità latino-germanica, in particolare a partire dai secoli centrali: l’imperatore Federico I di Hohenstaufen, detto il Barbarossa, nel 1164 sottrasse al duomo di Milano i resti dei Re Magi e li fece trasportare nella cattedrale di Colonia. In seguito la riscoperta delle catacombe romane nell’età della Controriforma accentuò in maniera peculiare il ruolo della capitale della cattolicità e fece della ‘Roma sotterranea’ un pegno della sua autenticità3. Certamente non erano mancati martiri del cristianesimo anche al di fuori d’Italia dopo i primi secoli, in particolare durante la prima evangelizzazione delle popolazioni germaniche, tra secolo VII e VIII, così come dei popoli slavi e scandinavi, nei secoli X e XI: la loro rilevanza però rimase sostanzialmente limitata alla sfera d’influenza dei loro regni. All’ambasciatore di Polonia, che domandava un pegno da riportare in patria al proprio sovrano, papa Pio V Ghislieri (1566-1572) poteva porgere un pugno di terra preso dal suolo di fronte alla basilica di S. Pietro e commentare, mentre il fazzoletto che lo conteneva si arrossava, che quello era un luogo intriso del sangue dei martiri4.
La memoria dei martiri coincideva con la diffusione delle comunità cristiane e si è protratta nel corso dei secoli nel culto del santo patrono. In un certo senso le loro figure si sostituivano nel ruolo del patronus nella società tardoantica, aggiungendovi peraltro una valenza soprannaturale, nella misura in cui la loro testimonianza prima e il loro corpo poi ne facevano dei potenti intermediari. Essi assumevano inoltre una valenza identitaria, sino ad allora sconosciuta, per una determinata comunità di fedeli che, con il passaggio alla cristianità consentito dal riconoscimento al cristianesimo dell’innovativo carattere di religione ufficiale, coincideva di fatto con la società di un determinato luogo5.
A dire il vero il cristianesimo latino in Italia convisse per un lungo arco di secoli con il cristianesimo greco, insediato nella parte meridionale della penisola e nelle isole, prima che l’invasione araba della Sicilia nel secolo IX ne facesse venir meno le tracce e l’avvento dei Normanni a partire dal secolo XI ne contenesse le forme di presenza: ne è rimasta in ogni caso memoria nei toponimi e nelle intitolazioni di chiese e di santuari.
Nel fitto reticolo urbano della penisola e delle isole, mantenutosi nel corso dei secoli, a ogni centro demico corrispondeva un patronato santorale, per il quale non furono più sufficienti la memoria dei martiri dei primi secoli e le loro reliquie6. Con il venir meno delle persecuzioni anticristiane altre figure assursero a un ruolo eminente all’interno della comunità dei fedeli, anche per il crescente peso dell’istituzione ecclesiastica all’interno della società. La transizione fu spesso assicurata da vescovi, che erano anche martiri, come nel caso di s. Gennaro a Napoli e di molti altri7. Ormai sempre più di frequente era il presule di una chiesa a divenire oggetto di venerazione, e quindi plurisecolare fattore di identità, ad esempio con il tedesco Ambrogio (m. nel 397), vescovo di Milano e importante autore di opere dottrinali e spirituali, alla stregua di Agostino di Tagaste (m. nel 430), vescovo di Ippona, prima della devastante invasione dei Vandali in Africa settentrionale.
Nel contesto di una crisi dei poteri in Italia a partire dall’età tardoantica, durante l’età carolingia e poi ottoniana, per tutto l’Alto Medioevo i vescovi assunsero un ruolo anche sociale, i cui risvolti si protrassero dopo la loro scomparsa, nella misura in cui essi stessi vennero alla fine seppelliti nelle chiese-cattedrali da loro erette e dove essi avevano radunato i corpi santi dal territorio della propria diocesi: venerati come santi, dal momento che tale riconoscimento, espresso nella devozione e nel culto, per alcuni secoli rimase appannaggio delle comunità locali. Si assommarono quindi santi patroni a santi patroni, dando vita a piccoli pantheon di protettori soprannaturali: a Firenze a s. Giovanni Battista si aggiunse il vescovo s. Zanobi (m. nel 417), a Perugia al diacono s. Lorenzo il vescovo martire Costanzo e il vescovo s. Ercolano, martire dei Goti (m. nel 547).
In quei secoli altri personaggi assunsero rilievo, nell’ambito della venerazione e del culto, ricollegandosi a nuove figure influenti all’interno della società cristiana e dell’istituzione ecclesiastica: i monaci, il cui numero e la cui importanza aumentarono in misura crescente nel corso del tempo8. Molti di essi, in particolare gli eremiti che vissero isolati o in piccole comunità, sui monti o nelle isole, come raccontava già Claudio Rutilio Namaziano nel De reditu suo (circa 414-415), ebbero una limitata importanza, meramente locale. Diversamente accadde con i monaci che vivevano in comune (cenobiti), e in particolare con il personaggio tradizionalmente collocato alle origini del monachesimo latino, anche se le sue esperienze religiose furono precedute e accompagnate, in Italia e fuori dai suoi confini, da vicende analoghe alle sue. S. Benedetto da Norcia (ca. 480-ca. 546) aveva fondato tra 525 e 529 il monastero di Montecassino e a lui fu assegnata la redazione di una Regula che dettava le norme della vita cenobitica, attingendo alle Vitae Patrum di origine orientale e a una precedente Regula Magistri. Come fondatore di monasteri, ma soprattutto come santo lo celebrarono i Dialogi di papa Gregorio I Magno (590-604), che sancirono in modo prepotente la fisionomia taumaturgica dei patres italici, alla vigilia di una parziale eclisse del monachesimo greco-orientale9.
Gregorio Magno, vescovo di Roma e santo, assieme al santo vescovo di Milano, Ambrogio, oltre ad Agostino d’Ippona e a Girolamo di Stridone, il traduttore latino della Bibbia, continuarono a essere presenti nel corso dei secoli, tanto nell’onomastica degli individui scelta al momento del battesimo dei bambini quanto nella decorazione delle chiese e nell’arte religiosa, come padri della Chiesa latina. A s. Benedetto, dal canto suo, saranno intitolati numerosi monasteri, in particolare dopo che il monaco visigoto Benedetto d’Aniane agli inizi del secolo IX aveva indotto i legislatori carolingi a rendere la Regula Benedicti, da lui rivista e adattata, il testo normativo della vita monastica. I possedimenti dei monasteri furono sovente indicati nei documenti come terra sancti Benedicti e molti toponimi ne conservano traccia ancor oggi. Le riforme monastiche dei secoli successivi preferirono altre intitolazioni: i monaci di Cluny a s. Pietro, per sottolineare la propria fedeltà alla sede romana, e dai Cistercensi in poi prevalse una dedicazione mariana.
A partire dall’antichità cristiana la ‘terra santa’ per eccellenza si collocava in Palestina, nei luoghi dell’esistenza terrena di Gesù di Nazareth, meta di devoti pellegrinaggi dei fedeli. Lungo l’itinerario che conduceva ai porti di imbarco per l’Oriente cristiano si trovava una grotta sul promontorio del Gargano, dedicata al culto per l’arcangelo Michele, che secondo una tradizione agiografica vi avrebbe fatto la sua apparizione verso la fine del V secolo10. Particolarmente devoti al santo arcangelo furono i Longobardi, che ne agevolarono la diffusione del culto nei propri territori, in particolare laddove si riproduceva la morfologia della grotta. I luoghi intitolati a s. Michele si disposero inoltre lungo il percorso della grande arteria stradale del Medioevo, la Francigena, passando dalla Sacra di San Michele in Piemonte, in Val di Susa, sino ad arrivare al santuario dell’isola di Mont-Saint-Michel, in Normandia, sul canale della Manica11.
La ‘terra santa’ destinata progressivamente a sostituirsi alla Palestina, resa non agevolmente accessibile dalla dominazione islamica, fu senza dubbio la Roma cristiana, il cui carattere sacro era sancito dalla presenza dei due grandi santuari degli apostoli e martiri, Pietro e Paolo. Le basiliche erette in loro onore, sul luogo della sepoltura, durante il regno dell’imperatore Flavio Valerio Costantino, detto Costantino I il Grande (m. nel 337), furono meta di un numero crescente di pellegrini. L’accento fu posto in maniera significativa sui successori del primo vescovo dell’Urbe. Sin dal secolo II in diverse chiese italiane si procedette alla redazione di cataloghi episcopali, la cui funzione era rivolta a corroborare l’autorità dei vescovi sulla base della validità di una successione ininterrotta12. A partire dal VI secolo i gesta episcoporum dei successori di Pietro furono raccolti in un testo unitario (cui gli editori diedero il nome di Liber Pontificalis), che soprattutto per i vescovi dei primi secoli rimandava alla loro passio liturgica, e di conseguenza ne ricordavano la santità acquisita mediante il martirio. Due secoli dopo, la raccolta assunse un andamento decisamente agiografico, anche in relazione alle esigenze del culto liturgico, e non soltanto per l’Italia. Sul modello romano si esemplarono, nella prima metà del secolo IX, anche i gesta episcoporum delle Chiese di Napoli e di Ravenna, per le quali la tradizione ecclesiastica di matrice bizantina induceva a rivendicare, attraverso la continuità nella successione e la santità dei vescovi, pretese di antichità e autonomia, allo stesso livello di Roma in Occidente e di Costantinopoli in Oriente (pretese frustrate ovviamente dagli sviluppi successivi, che lasciarono peraltro persistere a lungo nel tempo un forte senso di identità, e non soltanto religiosa, legata alla figura di quei santi vescovi).
A partire dal secolo X, e con maggiore intensità nei due secoli successivi, in tutto l’Occidente latino il vasto mondo delle istituzioni monastiche fu ripetutamente scosso da energiche ondate riformatrici, sempre condotte con un richiamo esplicito alla figura di s. Benedetto da Norcia e all’osservanza della sua Regula13. Numerose fondazioni, disseminate lungo la dorsale appenninica in particolare nell’Italia centrale, per effetto dell’incrociarsi di pulsioni eremitiche e di esiti cenobitici, rimandavano a santi fondatori di congregazioni monastiche, i cui orientamenti si intrecciarono in profondità con gli obiettivi dei gruppi che a Roma condussero alla vittoria del movimento ecclesiastico riformatore, in lotta per la libertas ecclesiae contro i poteri degli imperatori germanici e degli altri signori laici. In particolare a Romualdo di Ravenna (m. nel 1027) risaliva la congregazione Camaldolese, che prendeva nome dall’eremo toscano, e a Giovanni Gualberto (m. nel 1073) l’altra congregazione che prendeva nome da un diverso eremo toscano, Vallombrosa14. In Calabria scendeva a fondarvi una certosa il monaco tedesco Bruno di Colonia (m. nel 1101), iniziatore dell’omonima congregazione. In Italia meridionale, prima che lo stanziamento dei Normanni e l’affermazione della loro monarchia ponessero le premesse di una differenziata evoluzione della società e delle istituzioni tra settentrione e meridione, ancora nella prima metà del secolo XII si affermarono riforme monastiche a carattere eremitico, sia di matrice greca, con la fondazione di abbazie tra Calabria e Sicilia da parte di Bartolomeo di Simeri (m. nel 1130), sia di orientamento latino, con Giovanni di Matera (m. nel 1139) e la congregazione di Pulsano (Taranto), entrambi oggetto di una venerazione territorialmente ristretta.
In realtà, la rottura istituzionale con la Chiesa greca, sancita dalla reciproca scomunica nel 1054, avviava un processo d’integrale latinizzazione della cristianità italiana, anche nella parte meridionale e insulare del paese, che arriverà a compimento con i provvedimenti postridentini degli ultimi decenni del XVI secolo.
A partire dal secolo XI si innesca un processo religioso, dottrinale e istituzionale che, nel tempo, condusse all’apogeo del papato romano durante il secolo XIII. Sin dai tempi di Gregorio VII (1073-1089) si volle sottolineare la portata di una sorta di santità di funzione dei papi legittimamente eletti: «Romanus pontifex, si canonice fuerit ordinatus, […] indubitanter efficitur sanctus», si legge nel titolo XXIII del Dictatus papae16. A tali affermazioni non fece peraltro seguito la diffusione di un culto per pontefici ritenuti personalmente santi, reputazione di cui avevano pure goduto due prelati stranieri, l’alsaziano Leone IX (m. nel 1054), e il tedesco Wiberto, vescovo di Ravenna e antipapa (m. nel 1100). Limitato ad Arezzo, luogo della sepoltura, e più tardivamente a Piacenza, città natale, fu anche un culto per il prelato di famiglia milanese Tedaldo Visconti, divenuto papa Gregorio X (1271-1276)17.
L’unico pontefice a essere formalmente canonizzato negli ultimi secoli del Medioevo fu Celestino V (Pietro del Morrone; m. nel 1296), il monaco divenuto papa per alcuni mesi nel corso del 1294 e dimessosi dalla carica18. Il riconoscimento della sua santità fu fortemente voluto dagli Angiò, al fine di sancire la damnatio memoriae del suo successore, Bonifacio VIII Caetani (1294-1303), ma da un papa francese, Clemente V, nel 1313, fu proclamato come s. Pietro del Morrone, obliterandone di conseguenza il ruolo al vertice della Chiesa. In ogni caso, se la sua fama di una santità taumaturgica era stata ampiamente diffusa tra le popolazioni abruzzesi durante la vita, dopo la canonizzazione il culto non andò al di là della sfera d’influenza della congregazione monastica da lui fondata e protetta.
A qualche decennio di distanza un processo di canonizzazione fu intrapreso anche per un papa residente ad Avignone, Urbano V (m. nel 1370), il cui culto fu singolarmente diffuso tra la Toscana e Roma, forse perché a lui si era attribuita la volontà di riportare la curia papale nella città eterna. La documentazione raccolta ne offriva piuttosto un’immagine di vescovo, dotto e pio, che non di pontefice. Lo scoppio dello scisma ecclesiastico nel 1378 condusse la sua fortuna cultuale a una progressiva eclissi19.
All’evidenza il potere dei papi non aveva un particolare bisogno del sigillo di autenticazione della santità personale dei successori di s. Pietro, almeno sino al volgere dell’età moderna. Anche la proclamazione della santità di papa Pio V, l’antico inquisitore domenicano Michele Ghislieri, procedette con difficoltà, intrappolata nelle pastoie delle procedure canoniche, al punto che il riconoscimento della qualifica di beato ebbe luogo soltanto un secolo dopo la morte, nel 1672, e la canonizzazione a quattro decenni di distanza, nel 1712: facendone allora il santo della guerra contro il turco e, in sostanza, un’icona puramente politica20.
Per effetto della vittoriosa lotta per la libertas ecclesiae, sancita dall’accordo stipulato a Worms nel 1122 tra pontefice romano e imperatore germanico, e celebrata nel 1123 con la convocazione del primo concilio ecumenico della Chiesa latina a Roma nel complesso lateranense, si ebbe una diffusa rivalutazione della figura del vescovo. Nelle chiese-cattedrali, tra secolo XI e XII, si andava alla ricerca della memoria di un passato episcopale che supportasse il ruolo dei presuli: si fece ricorso al rinvenimento di reliquie prestigiose, si avallarono tradizioni agiografiche a volte risalenti ai primordi del cristianesimo, si celebrarono i prelati che si erano schierati con gli ecclesiastici riformatori. Nel frattempo le chiese cattedrali furono oggetto di importanti interventi di restauro oppure di trasformazione, che le rese l’emergenza monumentale più cospicua dei centri urbani, enfatizzandone l’intitolazione, assai spesso al santo patrono. In un contesto sociale in corso di trasformazione il suo culto cittadino fuoriusciva gradualmente dall’esclusività di una celebrazione strettamente legata alle istituzioni ecclesiastiche e diveniva progressivamente appannaggio dell’intera comunità locale (peraltro nel contesto di un profondo intreccio di laici e di chierici nell’ambito dei ceti dirigenti). In altri termini, un’identità fondata sul riferimento a un patronato santorale non era più esclusiva del ceto ecclesiastico, ma diveniva patrimonio municipale. Le festività scandite dal calendario liturgico trovavano una pubblica sanzione in seguito ai provvedimenti delle autorità cittadine e una percettibile evidenza nella partecipazione ai riti processionali, che sotto l’egida del santo le vedevano associate alle autorità ecclesiastiche.
Nell’espansione del potere dei ceti urbani al contado immediatamente circostante, anche i culti per i santi svolgevano un ruolo davvero funzionale, nella misura in cui vi si esportavano le forme della devozione per i santi urbani, ma nello stesso tempo si assumevano nel pantheon agiografico cittadino i culti esistenti nelle campagne, con un rimarchevole processo di accumulo. Il paesaggio italiano, a partire dal Medioevo centrale, si andava dunque infittendo di toponimi agiografici: non più semplice frutto della dislocazione territoriale delle proprietà monastiche, ma anche effetto della complementarietà tra popolamento delle campagne e nuove forme di organizzazione del potere.
Nel corso del secolo XIII mutarono gli orientamenti della politica papale, a partire dal pontificato di Innocenzo III (1198-1216), che nel 1215 indisse il quarto concilio del Laterano e impresse una svolta allo stesso tempo disciplinare e pastorale alla Chiesa romana. Sorsero nuovi ordini religiosi, definiti ‘mendicanti’, in quanto ai loro inizi propugnavano un assetto pauperistico, che non faceva aggio sulle grandi proprietà terriere alla stregua delle tradizionali istituzioni monastiche. Fittamente insediati all’interno dei centri urbani, oppure a ridosso delle loro cinta murarie, essi furono i protagonisti di quella svolta pastorale. Alle loro origini si collocava per lo più la figura di un fondatore, a volte proveniente da altri paesi, che l’insediamento del vertice dell’Ordine presso la curia papale, con il relativo riconoscimento, e la successiva canonizzazione del ‘fondatore’ contribuirono in qualche modo a italianizzare. Fu questo il caso del castigliano Domingo di Caleruega (m. nel 1221), il s. Domenico dell’Ordine dei Predicatori (canonizzato nel 1234), e di Pietro Nolasco (m. nel 1249), originario della Linguadoca e alle origini dell’Ordine di S. Maria della Mercede, per il riscatto degli schiavi cristiani, allo stesso modo dei frati dell’Ordine della Santissima Trinità del provenzale Giovanni di Matha (m. nel 1213).
Particolare impatto ebbero un personaggio come Francesco d’Assisi (m. nel 1226) e l’Ordine dei frati Minori, riconosciuti in forma definitiva con l’approvazione di una regola nel 1223. La capillare espansione dei loro insediamenti nella penisola e nelle isole, ma anche al di là delle Alpi, favorì la massiccia diffusione del culto per l’Assisiate, dopo la sua precoce canonizzazione da parte di papa Gregorio IX avvenuta nel 1228, a soli due anni di distanza dalla morte22. A prescindere dalle innumerevoli attestazioni offerte dalle intitolazioni delle loro chiese e dall’iconografia devozionale, soprattutto dalla documentazione emerge la rapida e fitta diffusione nell’onomastica di una scelta del tutto innovativa operata al fonte battesimale. La canonizzazione del fondatore apriva la strada al riconoscimento della santità di altri esponenti del suo Ordine e degli altri ordini mendicanti. Non particolarmente popolare fu il domenicano Pietro da Verona (m. nel 1252), canonizzato con grande rapidità a un anno dalla morte come martire degli eretici da lui perseguiti nella propria veste di inquisitore, e in fondo nemmeno la monaca Chiara d’Assisi (m. nel 1253), anch’essa canonizzata a due anni di distanza dal decesso. Assai più popolare, come attestato ancora una volta dall’onomastica, fu il frate minore lusitano Antonio da Lisbona, cioè s. Antonio di Padova (m. nel 1231), canonizzato l’anno seguente alla scomparsa. La sua fama di predicatore e di taumaturgo favorì un fervido culto cittadino, con l’erezione di un santuario per conservarne le spoglie, divenuto precocemente una delle maggiori mete di pellegrinaggio, con un’attrattiva popolare e devozionale che ha attraversato i secoli. Ciò non accadde invece con la basilica eretta ad Assisi per la sepoltura del Poverello, rimasta monumento del suo Ordine minoritico almeno sino a un rilancio romantico ottocentesco (divenne invece meta di pellegrinaggi, però di portata regionale, in occasione dell’indulgenza del Perdono, la chiesa di S. Maria degli Angeli, detta della Porziuncola, nella piana sottostante la città umbra).
Dal canto loro i frati Minori, sin dalla metà del secolo XIII, con il Dialogus de gestis sanctorum legarono strettamente il culto nei loro confronti alle diverse località dove era conservato il corpo dei beati appartenenti al loro Ordine: una tradizione devozionale protrattasi sino agli ultimi decenni del secolo XIV, al tempo della redazione del De conformitate di frate Bartolomeo da Pisa23. Lungo sarebbe l’elenco di personaggi, legati in prevalenza ai diversi ordini mendicanti, e dunque non soltanto i Minori e i Predicatori, ma anche i frati Servi di S. Maria, i frati di S. Maria del Carmelo e i frati Eremiti di s. Agostino (questi peraltro non potevano vantare un santo fondatore nel proprio tempo), i quali godettero di fama di santità e furono oggetto di un culto, in genere di portata meramente locale, spesso rinnovato e rinforzato in età moderna. Essi furono a volte fattore d’identità civica, anche se magari tardivo come la loro canonizzazione: ad esempio, nel caso di Rosa da Viterbo (m. nel 1252) e di Margherita da Cortona (m. nel 1297)24. L’introduzione della riserva papale nelle proclamazioni della santità, sancita dalle Decretales di Gregorio IX nel 123425, aveva creato di fatto una divaricazione tra la santità ufficialmente riconosciuta dall’istituzione ecclesiastica e una memoria agiografica locale, il più delle volte tenacemente perseguita anche nel culto e spesso tramandata nella scelta del nome di un santo protettore al fonte battesimale, come se il suo essere più vicino implicasse essere più efficace di altri. Ciò accadde in particolare nel caso delle donne, dal momento che i riconoscimenti pontifici privilegiarono in larga prevalenza uomini, e non le religiosae mulieres, quindi anche non claustrali, la cui presenza era ampiamente attestata nelle città italiane e nel loro contado.
Il processo di ripristino del potere papale e di reinstaurazione del dominio del papato nei territori dell’Italia centrale, dopo la lunga permanenza della curia pontificia nella contea di Avignone, nella Francia meridionale (1309-1378), e le travagliate vicende dei decenni di un successivo scisma ecclesiastico, conclusosi formalmente nel 1417, ma i cui effetti si protrassero nella prima metà del secolo XV, comportarono per l’Italia una prospettiva di restaurazione nello stesso tempo religiosa e sociale. Fu questa l’epoca delle riforme degli ordini regolari, basate sull’osservanza dei precetti della rispettiva regola26. Attivi sostenitori del papato romano, essi videro sancire dai pontefici la santità dei loro maggiori rappresentanti, con riconoscimenti che, con il trascorrere dei decenni, furono ripartiti in maniera equanime, sulla scia della proclamazione a favore del francescano osservante Bernardino da Siena (m. nel 1444), nel corso del giubileo del 145027. Certo, egli era stato preceduto nel 1446 dal frate agostiniano Nicola da Tolentino (m. nel 1305)28, ma anche seguito nel 1455 dal frate domenicano Vicent Ferrer (m. nel 1419) e nel 1457 dal frate carmelitano Alberto da Trapani (m. nel 1306). Più tardi subentrarono, per soddisfare le divergenti anime del francescanesimo, nel 1481 il riconoscimento per il culto dei primi martiri francescani in Marocco (1210) e nel 1482 la canonizzazione di Bonaventura da Bagnoregio, antico ministro generale dei Frati Minori (m. nel 1274). Agli albori dell’età moderna, e ormai ai prodromi della frattura che divise la cristianità occidentale, furono canonizzati nel 1519 l’eremita calabrese Francesco di Paola (m. nel 1507), fondatore dell’Ordine dei Minimi, e nel 1523 l’arcivescovo fiorentino Antonino Pierozzi, frate dell’Ordine dei Predicatori (m. nel 1459). L’affermazione della Riforma protestante e lo sviluppo della Controriforma cattolica arrestarono per oltre sei decenni qualsiasi proclamazione papale della santità.
Per molti di quei personaggi la fama di santità e il culto non furono soltanto un fenomeno di rilevanza cittadina, come era avvenuto nei secoli immediatamente precedenti, ma si legarono invece all’instaurazione del potere regionale delle signorie, sia repubblicane sia dinastiche29. In tale contesto si inseriva nel 1461 la proclamazione della santità della mantellata domenicana Caterina da Siena (m. nel 1380) da parte di un pontefice conterraneo, Pio II Piccolomini. La sua legenda agiografica, scritta al volgere del secolo XIV dal maestro generale dell’Ordine dei Predicatori, Raimondo da Capua, diffuse il modello di una santità femminile non aristocratica e non claustralizzata, ma anche l’immagine di una donna portatrice del carisma della visione e della profezia. Sulla scia del modello cateriniano comparvero, nell’Italia centro-settentrionale degli ultimi decenni del secolo XV e degli inizi del successivo, numerose donne che, stremate da digiuni e da penitenze, assursero alla fama di «sante vive» e furono in vari modi accaparrate da diversi signori, i quali, per le virtù profetiche loro attribuite, ne fecero delle sante di corte, in particolare presso gli Estensi. Personaggi del genere apparvero anche sulla scena della Serenissima, ma fu soprattutto la vicenda fiorentina del frate ferrarese Girolamo Savonarola, dell’Ordine dei Predicatori (m. nel 1498), a rendere palese il carattere eversivo di una legittimazione sacrale del potere ai fini di una riforma dello Stato, della società e della Chiesa30. La sua esecuzione e il rogo acceso in piazza della Signoria deviarono in seguito la sua eredità nel filone della mistica di monache come Domenica da Paradiso (m. nel 1553) o Caterina de’ Ricci (m. nel 1590). Molto più tardi, nel corso dell’Ottocento, il frate divenne un simbolo della lotta per la libertà contro il potere della Chiesa romana.
Nelle edizioni dei Colloquia familiaria di Erasmo da Rotterdam, stampati a Venezia 1522 e poi tradotti in italiano, si potevano leggere pesanti critiche al culto dei santi, alle loro leggende e ai pellegrinaggi31. Le contestazioni dei riformatori d’Oltralpe furono ancora più drastiche. Nell’ultima sessione del concilio di Trento, il 3-4 dicembre 1563 veniva approvato un decreto De invocatione, veneratione et reliquiis sanctorum, ed de sacris imaginibus32, che non rimuoveva le ragioni del dissenso dottrinale insorto nei decenni precedenti.
Fu soltanto nel 1588 che Sisto V, il frate minore conventuale Felice di Peretto, istituì la Sacra Congregazione dei Riti, cui furono affidate le cause dei santi, con la connessa ripresa delle proclamazioni papali della santità, ormai definita dal suo carattere cattolico e romano33. La normativa dettata in materia alcuni secoli prima però non appariva adeguata al nuovo contesto teologico, dottrinale e spirituale, e si trovava al centro dei conflitti di attribuzione delle congregazioni cardinalizie, in particolare per l’atteggiamento debordante della Congregazione della sacra romana e universale Inquisizione, detta comunemente del Sant’Uffizio34. Si dovette allora a papa Urbano VIII Barberini (1623-1644), con la diffusione a stampa nel 1642 dei Decreta servanda in canonizatione, & beatificatione sanctorum, la promulgazione delle norme che nei secoli a venire avrebbero regolato il riconoscimento ufficiale della santità cattolica, introducendo tra l’altro una formale distinzione tra i santi, destinatari di un culto universale, e i beati, lasciati a una devozione locale35.
Mentre fra 1476 e 1482 Jan Gielemans redigeva una raccolta di vite di santi sulla base di un criterio territoriale, l’Hagiologium Brabantinum36, in Italia le raccolte agiografiche nell’età del Rinascimento rielaboravano il modello medievale della Legenda aurea del domenicano Iacopo da Varazze (m. nel 1298), organizzato secondo il ciclo dell’anno liturgico: all’interno degli ordini religiosi si raccoglievano infine le biografie di quanti godevano di fama di santità, sul modello umanistico delle vite degli uomini e delle donne illustri.
La rivisitazione del culto liturgico innescata dai decreti del concilio di Trento ebbe un passaggio decisivo nella revisione del Martyrologium Romanum, a opera di Cesare Baronio (m. nel 1607), storico annalista appartenente alla Congregazione dell’Oratorio recentemente sorta, in seguito nominato cardinale37. La prima edizione da lui curata uscì a Roma nel 1584 e si inserì nell’alveo della storiografia erudita, la cui fervida stagione stava prendendo le mosse. L’arcivescovo di Vico Equense, Paolo Regio (1541-1607), fertile agiografo dei santi del Regno di Napoli, pubblicava già tra 1586 e 1587 due libri di «vite dei santi», in cui si raccoglievano le storie, fatte risalire all’età apostolica, dei santi che nel regno erano nati, che vi esercitavano la loro protezione e di cui soprattutto si conservavano e veneravano le reliquie e si attestavano i miracoli38. A pochi anni di distanza, nel 1593, il monaco camaldolese Silvano Razzi metteva a stampa a Firenze una raccolta agiografica in cui il riferimento a santi e beati era esplicitamente a carattere regionale, per riflesso di un’identità linguistica e culturale storicamente consolidatasi, completandola a otto anni di distanza con un «supplemento»39.
A partire dagli ultimi decenni del secolo XVI l’erudizione ecclesiastica si spingeva a redigere sempre più numerose raccolte agiografiche a carattere territoriale, riflettendo in qualche modo l’articolazione politica del sistema degli stati italiani, il cui assetto persisterà in sostanza per tutta l’età moderna. All’inizio di quelle compilazioni si ripeteva, in genere, che erano state le lacune e le imprecisioni dell’impresa agiografica e liturgica baroniana a indurne gli autori a rivendicare il carattere di santità per personaggi legati a un determinato territorio, cui essi appartenevano. Ispirati da motivazioni senza dubbio fortemente campanilistiche, nel corso dei decenni quei volumi andarono ad allinearsi, uno dopo l’altro, sugli scaffali delle biblioteche (per non parlare delle numerose compilazioni che rimasero allo stato di manoscritto d’autore)40.
Al contesto di una collocazione geopolitica all’interno della dominazione spagnola sul Mediterraneo si può fare riferimento per la Sardegna41, dove il chierico e giurista sassarese Giovanni Francesco Fara nel 1585 annoverava tra i volumi della propria biblioteca un suo scritto De vitis Sardorum omnium sanctorum et eorum qui in Sardinia passi sunt reliquiisve clari sunt, andato perso. Non diversamente accadde per un altro scritto, opera di un giudice cagliaritano, Montserrat Rossellò, Las vidas dels sants de aquest regne [de Sardenya] o dels qui en ell són estats cèlebres a gloria de Deu y dels matexos benaventurats sants, redatta prima del 1613. A stampa nel 1598 giungeva invece la fatica di un ex gesuita, Giovanni Proto Arca: De sanctis Sardiniae libri tres42. La parte in esso riservata alla inventio delle reliquie dei martiri turritani, per i riflessi che poteva avere sulla rivalità tra le sedi episcopali dell’isola, ben illustrava l’ineliminabile sentimento campanilistico che si accompagnava localmente al culto dei santi.
Nel 1609 un frate dell’Ordine dei Servi di Maria, Filippo Ferrari (m. nel 1626) si esercitava in uno scrutinio ‘topografico’ del Martyrologium Romanum, con l’intento di ricollegarne in maniera precisa i santi ai luoghi della loro memoria, non diversamente da quanto avevano fatto nel Medioevo i Frati Minori, allora limitatamente al proprio Ordine regolare43. Nel 1613 appariva a Milano una sua voluminosa compilazione, nella quale, in oltre ottocento pagine, si redigevano più o meno duemila scarni profili di santi e beati, distribuendoli lungo l’arco dell’anno liturgico e selezionandoli su base territoriale, il Catalogus sanctorum Italiae44. Denominatore dei personaggi prescelti erano il tempus, in cui si erano svolte le loro actiones, ma in particolare la patria: una categoria che fu da lui intesa in senso alquanto estensivo, dal momento che, oltre a essere ovviamente il luogo di origine, poteva coincidere con la località dove si erano svolte prevalentemente le loro attività, ma in primo luogo il sito del martirio o almeno della morte e, comunque, il posto dove era conservato il corpo del santo o beato. Con un criterio siffatto era assai facile inserire in un catalogo agiografico italiano anche spagnoli come Domingo di Caleruega e Íñigo de Loyola oppure il pellegrino Rocco, originario della Linguadoca (m. nel 1376-1379). In ogni caso, l’opera agiografica del frate servita nella sua impostazione non era un prodotto isolato nell’Europa cattolica, come si ricordava nella Praefatio del primo volume relativo al mese di gennaio degli Acta sanctorum quotquot toto orbe coluntur, vel a catholicis scriptoribus celebrantur, che i gesuiti Jean Bolland e Godfrey Henschen pubblicarono ad Anversa nel 1643.
Un ulteriore impulso alla raccolta di memorie agiografiche definite sulla base di un ambito territoriale venne in particolare dato dalla pubblicazione di una serie di decreti da parte di papa Urbano VIII, per il loro intento di far individuare in maniera corretta e rigorosa i culti esistenti ab immemorabili, dei quali la Chiesa della Controriforma poteva consentire una celebrazione cattolica. A dire il vero, se molte compilazioni riflettevano in maniera più o meno diretta l’assetto geopolitico della penisola e delle isole e i variabili orientamenti culturali, in particolare nel corso del secolo XVII, molte altre ebbero un carattere spiccatamente cittadino.
Fra identità nazionale e identità municipale si collocavano le compilazioni agiografiche, manoscritte e a stampa, elaborate in un territorio culturalmente e politicamente del tutto peculiare, come la Sicilia del «Magnifico Regno», in una raccolta di memorie che andava a pescare in maniera singolare al di là del vuoto creato dall’occupazione arabo-musulmana, tra 827 e 1091, e in un retroterra dove assai significativa risultava la presenza greca nell’antichità cristiana45. Nel 1657 uscirono postumi i due volumi del gesuita Ottavio Gaetani (m. nel 1620), le Vitae sanctorum Siculorum46. Altri confratelli gesuiti ne seguirono le orme, dapprima Francesco Carrera, nel 1679 con il Pantheon Siculum47, e quella volta in italiano, e dunque accessibile a un pubblico più vasto, nel 1688 lo scritto di Giuseppe Perdicaro, Delle vite de’ santi siciliani48. La progressiva affermazione del culto di s. Rosalia a Palermo costituiva in maniera del tutto peculiare un riflesso privilegiato dell’incrociarsi delle diverse istanze che lo sostenevano, religiose e politiche, municipali e internazionali49.
A compimento dei lunghi decenni della propria fervida attività di agiografo locale, il sacerdote folignate Ludovico Jacobilli poneva tra 1647 e 1661 i tre volumi dedicati a santi e beati, «i corpi de’ quali riposano in essa prouncia», conferendo in tal modo un’identità sacrale all’Umbria, un territorio dai confini storicamente incerti e, in ogni caso, collocato all’interno dello Stato papale50. Non ci si deve stupire se egli tentò persino di ricondurre all’Umbria anche l’unico pontefice la cui santità fu ufficialmente riconosciuta nel corso dell’età moderna, Pio V Ghislieri51.
L’orientamento dei ceti dominanti nella gestione del culto dei santi, e in particolare dei loro resti oggetto di devozione, si disponeva in un ampio ventaglio di posizioni, senza dubbio condizionate alla radice dai rapporti con le istituzioni della Chiesa cattolica e con la loro occhiuta sorveglianza su riti e devozioni, con profonda attenzione nel preservare le proprie prerogative giurisdizionali. Apparentemente più agevole risultava un equilibrio tra le rispettive esigenze laddove il potere fosse gestito da oligarchie cittadine. A Genova l’agostiniano scalzo Mariano Grimaldi nel 1613 pubblicava il Santuario dell’alma citta di Genoua, doue si contengono le vite de’ santi protettori, e cittadini di esse52, cui faceva seguito dopo qualche decennio, nel 1655, la meno ambiziosa, e più scoperta negli intenti, compilazione celebrativa del canonico genovese Agostino Calcagnini: Le sacre palme genouesi53. Ancora nel 1613 padre Cesare Franciotti, della Congregazione lucchese della Beata Vergine, metteva a stampa le Historie delle miracolose imagini, e delle vite de’ Santi, i corpi de’ quali sono nella citta di Lucca54. Peraltro nel 1648 la repubblica di Lucca istituiva una magistratura volta a sovrintendere alle reliquie e ai corpi santi55. Nella Serenissima invece, per tutto il secolo XVII non uscì alcuna raccolta agiografica a stampa relativa alla città dogale, pur non facendovi difetto le historiae ecclesiasticae di diverse città e qualche raccolta agiografica nei domini di terraferma, all’evidente ricerca del mantenimento di una propria identità municipale nei confronti della dominante, come lo scritto di Mario Muzio, Historia de’ santi di Bergomo56, oppure la pubblicazione del sacerdote Ascanio Martinengo, Vite de’ gloriosi santi martiri Faustino, et Giouita, & di Sant’Affra, et d’ Vite de’ gloriosi santi martiri Faustino, et Giouita, & di Sant’Affra, et d’altri santi bresciani57.
Se le dinastie al potere nei diversi stati italiani non avevano la stessa rilevanza delle monarchie nazionali di altri paesi, non mancò anche nel loro caso l’intento di ricollegare culto dei santi locali e identità territoriale. Agli Estensi, ad esempio, era dedicata nel 1663 la pubblicazione illustrata del sacerdote modenese Lodovico Vedriani, Memorie di molti santi martiri, confessori, e beati modonesi, e di tutti i corpi santi, che riposano nelle chiesa di Modona58, cui si potrebbe accostare lo scritto di Ranuccio Pico, Teatro de’ santi, e beati della citta di Parma, e suo territorio, apparso nel 164259. Più articolato appariva l’intento della dinastia sabauda, incline a uniformarsi a moduli propagandistici d’Oltralpe anche in ambito agiografico, al punto che Vittorio Amedeo II riuscì a ottenere tra 1676 e 1677 la beatificazione di due antenati, Margherita, fattasi monaca domenicana (1390-1444), e il duca Amedeo IX (1435-1472)60. Un panegirista e agiografo come il frate minore osservante Pasquale Codreto da Sospello non aveva esitato, nei decenni precedenti, a porsi con notevole zelo al servizio della propaganda agiografica sabauda, da Margherita61 ad Amedeo62, e anche per il beato Umberto di Savoia (m. nel 1189)63. In loro lode egli intrecciava una «ghirlanda»64, persino intorno a personaggi per i quali non si dava un immediato riscontro in termini di fama di santità, bensì «segnalati nelle degne attioni temporali, e spirituali»65, almeno all’epoca, come le due figlie di Carlo Emanuele I: Isabella andata in sposa al duca di Modena e morta nel 162666, e Francesca Caterina, entrata in monastero e morta nel 164067.
In un’unica cerimonia nell’anno 1746 papa Benedetto XIV Lambertini proclamava solennemente il riconoscimento della santità da parte della suprema gerarchia per cinque personaggi, tutti appartenenti a ordini regolari. La loro fisionomia religiosa abbracciava l’ampio ventaglio degli orientamenti affermatisi negli ultimi due secoli all’interno della Chiesa cattolica: tra di essi erano il frate cappuccino Giuseppe da Leonessa (m. nel 1612), un missionario che per poco non aveva subito il martirio per mano dei turchi; Camillo de Lellis (m. nel 1614), fondatore della Congregazione dei chierici regolari ministri degli infermi; la monaca domenicana Caterina de’ Ricci (m. nel 1590), mistica e visionaria.
Nel 1747 usciva a stampa a Venezia, con lo pseudonimo di Lamindo Pritanio, il trattato Della regolata devozione dei cristiani, uno scritto dell’erudito sacerdote modenese Ludovico Antonio Muratori, nel quale si proponeva al contrario una radicale riforma della liturgia cattolica, ponendone al centro la celebrazione eucaristica domenicale, e di conseguenza riducendo l’esorbitante numero delle feste dei santi68. Le posizioni dell’influente intellettuale, il maggiore esponente del riformismo illuminato all’interno del cattolicesimo italiano, si scontrarono con un’aspra reazione da parte del cardinal Angelo Maria Querini, monaco benedettino e prefetto della Biblioteca Vaticana. Il 14 novembre 1748 un decreto del papa mise fine al dibattito. D’altronde da cardinale Prospero Lambertini era stato un influente rappresentante della Congregazione per le cause dei santi e autore del De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione, divenuto il più importante testo di riferimento in materia69.
Che al vertice della Chiesa cattolica le illuminate suggestioni muratoriane non trovassero particolare ascolto fu confermato dalle sei beatificazioni che ebbero luogo tra 1741 e 1753, e dalle ventuno conferme di culto promulgate durante quel pontificato (peraltro a favore di otto appartenenti all’Ordine domenicano e di cinque all’Ordine dei Minimi). Inevitabilmente il culto dei santi italiani, in Italia, era una questione che riguardava in primo luogo i diversi ordini regolari. Tra i nuovi beati furono annoverati anche Giuseppe Calasanzio (m. nel 1648), lo spagnolo José de Calasanz, fondatore dell’Ordine dei chierici regolari poveri della Madre di Dio delle scuole pie (detti comunemente Scolopi), e Girolamo Emiliani (m. nel 1537), fondatore dell’Ordine dei chierici regolari di Somasca, a sancire l’intento della Chiesa cattolica di influire in maniera decisiva nell’ambito dell’istruzione.
Negli ultimi decenni del secolo XVIII in Italia potevano convivere, in verità ignorandosi, orientamenti del tutto divaricati in materia di santità. Nel 1773 il senatore veneziano Flaminio Corner pubblicava a Bassano, presso Giovanni Battista Remondini, i due volumi del suo Hagiologium Italicum, in cui, seguendo l’andamento del calendario liturgico, si voleva in sostanza operare una revisione critica del Catalogus sanctorum Italiae del frate servita Camillo Ferrari, dichiarando di voler espungere culti ritenuti infondati e superstiziosi alla luce dei risultati della moderna ricerca erudita70.
Pochi anni dopo arrivava a Roma un pellegrino francese, Benoît-Joseph Labre, che tra 1777 e 1783 vi trascorse una miserabile esistenza, pregando nelle chiese del rione Monti e dormendo sotto un’arcata del Colosseo. «Il santo è morto», gridavano i bambini per le strade dopo il decesso del trentacinquenne francese, e a un culto spontaneo fece seguito il tentativo di accaparrarsene l’immagine, quasi si trattasse di una riproposizione, in funzione antimoderna, della figura dell’antico mendicante dei primi secoli dell’era cristiana, s. Alessio (non a caso egli fu beatificato nel 1860 e proclamato santo nel 1881, con dichiarazioni che ne declinavano la figura in chiave antisocialista)71.
Nel 1789 nella sua patria di origine scoppiava la Rivoluzione che avrebbe modificato radicalmente le coordinate della politica europea e inciso in profondità nella fisionomia della società e sulle forme di presenza della Chiesa cattolica.
A partire dai massacri del 1795 in terra di Francia il vertice della Chiesa cattolica si orientava non solo a ritenere martiri i fedeli cattolici vittima degli eccidi rivoluzionari, ma anche a mettere in evidenza la condizione ecclesiastica della maggior parte di loro. Vittime della rivoluzione apparvero essere anche i papi, con Pio VI Braschi deportato in Francia e morto in esilio a Valence nel 1799, e Pio VII Chiaramonti prigioniero a Savona e poi a Fontainebleau, prima di rientrare a Roma nel 1814 alla caduta di Napoleone Bonaparte72. La restaurazione del potere dei pontefici sullo Stato della Chiesa, in ogni caso, non diede adito a condizioni favorevoli ad avviare nei loro confronti un culto connesso alla fama di santità e ad aprire di conseguenza la procedura per un riconoscimento canonico a loro favore.
La proclamazione di beati e di santi da parte del papa fu vista, nella prima metà del secolo XIX, alla stregua di una manifestazione diretta del suo potere sulla Chiesa e sulla società. La scelta dei personaggi assurti all’onore degli altari, e proposti al culto dei fedeli, rifletteva inoltre la volontà di instradare l’istituzione ecclesiastica cattolica sulla linea di un’attuazione dei dettami del concilio tridentino di tre secoli prima. Di nuovo, dunque, risaltava il ruolo di religiosi e religiose dei diversi ordini regolari. A Pio VII risaliva, il 24 maggio 1807, la canonizzazione di cinque religiosi, esponenti di ordini e congregazioni religiose dei secoli XV-XVI, tra cui Angela Merici (m. nel 1540), fondatrice della Compagnia di S. Orsola; il francescano palermitano Benedetto il Moro (m. nel 1589); Francesco Caracciolo (m. nel 1608), fondatore dei Chierici regolari minori; la terziaria francescana Giacinta Marescotti (m. nel 1640). A sua volta Gregorio XVI Cappellari procedette il 29 maggio 1839 alla canonizzazione di alcuni religiosi italiani vissuti nel secolo precedente, vale a dire di Alfonso Maria de Liguori (m. nel 1787), fondatore della Congregazione del Santissimo Redentore; del gesuita napoletano Francesco De Geronimo (m. nel 1716); del frate minore Pacifico da S. Severino Marche (m. nel 1721); della monaca clarissa Veronica Giuliani (m. nel 1727).
Il confronto della Chiesa con la società, anche in considerazione delle profonde trasformazioni che gli eventi rivoluzionari avevano senza dubbio accentuato, implicò una necessaria apertura al riconoscimento e alla proposizione di nuove figure esemplari, in primo luogo per quanto riguardava le donne73. Sin dalla metà del secolo XVIII diversi governi riformatori, dal Regno di Napoli alla Lombardia asburgica passando per la Toscana leopoldina, avevano proceduto alla soppressione di ordini monastici contemplativi, le cui religiose provenivano in maniera preponderante dall’aristocrazia e dai ceti dirigenti, aprendo la strada al prepotente ingresso delle suore non claustrali nell’ambito dell’educazione e dell’assistenza e a un reclutamento che man mano si fece sempre più borghese, attingendo anzi ampiamente nei ceti inferiori della società del tempo. Nasceva anche in Italia una miriade di congregazioni religiose, le cui fondatrici videro riconosciuta la santità della loro vita sin dalla propria esistenza, almeno nell’ambito delle rispettive congregazioni e nella sfera di azione di queste ultime, ancor prima che un riconoscimento canonico delle virtù individuali da parte dell’autorità ecclesiastica sancisse la validità delle nuove forme di apostolato sociale, cui si dedicarono anche i religiosi74. Tra i personaggi che, in pratica, furono considerati santi in vita, proprio per le loro iniziative caritative, era annoverato don Giuseppe Benedetto Cottolengo (1786-1842); numerosi furono nei decenni successivi gli ecclesiastici che condussero esperienze analoghe alla sua. Inoltre, la presenza a Roma degli organi di governo di ordini e di congregazioni religiose, vecchi e nuovi, rendeva frequente la presenza nell’Urbe di fondatori e di fondatrici e il loro eventuale decesso in città agevolava l’avvio della procedura di riconoscimento della santità nella diocesi papale75.
Il processo di industrializzazione e di urbanizzazione accelerava inoltre una diversa configurazione del ruolo dei giovani, e delle giovani, alla stregua di una porzione della società caratterizzata da una propria fisionomia, e per questo destinataria di un’attenzione particolare da parte della Chiesa. Ciò avvenne attraverso la loro alfabetizzazione e scolarizzazione a opera delle nuove congregazioni caritative, che tentarono anche di attenuare le modalità di sfruttamento della manodopera giovanile, frutto dei nuovi metodi di produzione. Ai giovani e alle giovani furono dapprima riproposti i lontani modelli dei primordi del cristianesimo, in genere martiri della fede, come Agnese, Cecilia e Tarcisio. La loro vicenda fu resa popolare dal romanzo dell’arcivescovo cattolico di Westminster, poi cardinale, Nicholas Wiseman: Fabiola o la Chiesa delle catacombe, che nel 1854, anno della pubblicazione in lingua inglese, apparve in italiano presso tre editori diversi. A rinverdire il mito della cristianità delle origini e dei suoi martiri contribuirono ampiamente gli scavi e gli studi di Giovanni Battista de Rossi che a Roma, sotto gli auspici di Pio IX, diedero avvio all’archeologia cristiana76.
Era però necessario proporre ai giovani anche modelli a loro maggiormente vicini, ed ecco allora emergere il ruolo della Società di s. Francesco di Sales, dei loro oratori e soprattutto di don Giovanni Bosco. Egli, a due anni dalla morte di un giovane, ne pubblicava una biografia agiografica palesemente modellata, peraltro, sulla figura di s. Luigi Gonzaga (m. nel 1591, canonizzato nel 1726 e proclamato patrono della gioventù nel 1926)77: la Vita del giovanetto Savio Domenico allievo dell’Oratorio di San Francesco di Sales78. Lo stesso sacerdote torinese, e molti confratelli dopo di lui, proseguirono nei decenni successivi in questa linea di proposizione di modelli agiografici giovanili desunti dall’attualità.
Anche la figura di s. Giuseppe, padre di Gesù e sposo di Maria, fu sottoposta all’ennesima revisione. Divenuto nella tarda età moderna il santo protettore degli agonizzanti, nel corso del secolo XIX fu in parte assorbito all’interno del culto per la Sacra Famiglia, essendo l’istituzione familiare indicata nella pastorale ecclesiastica come un baluardo contro la dissoluzione sociale, e in parte fu riproposto alla devozione dei fedeli come il santo patrono dei lavoratori79. Non a caso nell’onomastica battesimale la frequenza del suo nome accrebbe indubbiamente la propria rilevanza.
Con l’elezione nel 1846 di Giovanni Maria Mastai Ferretti, che prese il nome di Pio IX ricollegandosi ai papi che avevano retto la Chiesa cattolica a cavallo del volgere del secolo, iniziava il pontificato più lungo della storia, nel corso del quale si sarebbe verificato l’evento epocale della dissoluzione del millenario potere temporale dei papi, dell’unificazione dell’Italia nel Regno sabaudo e della proclamazione di Roma a capitale. Inserendosi nel filone impostato dagli immediati predecessori, in quei decenni Pio IX perseguì una precisa politica nelle canonizzazioni, intese come attestazione di un potere che incideva sulla terra e andava oltre il tempo80. La solennità delle loro celebrazioni pubbliche, accostata alla ripetuta indizione di giubilei che attiravano nella città papale le folle dei pellegrini, ne accentuava in maniera notevole la rilevanza, che faceva da contrappunto alle travagliate vicende politico-militari dello Stato papale.
A partire dagli inizi dell’Ottocento il modello di santità, maschile e femminile, proposto alla venerazione dei fedeli, in Italia e nel resto del mondo, presentava un carattere sostanzialmente ‘romano’, anche per effetto dell’applicazione delle procedure canoniche per il riconoscimento della santità. Le nuove proposte agiografiche e devozionali della santità non parevano comunque incidere in profondità su un quadro ampiamente consolidato e variamente declinato, soprattutto in una chiave municipale più o meno ampia al cui interno anche esse sarebbero state alla fine ricondotte. Dagli esiti culturali, ideologici e religiosi dell’unificazione nazionale dipendeva la possibile configurazione di una santità ‘italiana’.
Note
1 Sulla crescita del pantheon agiografico napoletano, in particolare a partire dal secolo XVII, si veda J.-M. Sallmann, Naples et ses saints à l’âge baroque 1540-1740), Paris 1994 (trad. it. Santi barocchi. Modelli di santità, pratiche devozionali e comportamenti religiosi nel Regno di Napoli dal 1540 al 1750, Lecce 1996).
2 Un’analitica trattazione degli argomenti affrontati, con ampia bibliografia ragionata, si può trovare nel volume Storia della santità nel cristianesimo occidentale, Roma 2005 (in partic. F. Scorza Barcellona, Le origini, pp. 19-89; S. Boesch Gajano, La strutturazione della cristianità occidentale, pp. 91-156; A. Benvenuti, La civiltà urbana, pp. 157-221; G. Zarri, L’età rinascimentale, pp. 223-260; S. Ditchfield, Il mondo della Riforma e della Controriforma, pp. 261-329; R. Rusconi, Una Chiesa a confronto con la società, pp. 331-386).
3 Cfr. M. Ghilardi, «Sanguine tumulus madet». Devozione al sangue dei martiri delle catacombe nella prima età moderna, Roma 2006; Id., «Subterranea civitas». Quattro studi sulle catacombe romane dal Medioevo all’età moderna, Roma 2003, in partic. il primo capitolo.
4 Episodio citato e commentato in S. Ditchfield, Leggere e vedere Roma come icona culturale (1500-1800), in Roma, la città del Papa. Vita civile e religiosa dal giubileo di Bonifacio VIII al giubileo di Papa Wojtyła, a cura di L. Fiorani, A. Prosperi, Torino 2000, p. 50.
5 Molto innovativo è stato il volume di P. Brown, The cult of the saints. Its rise and function in Latin Christianity, Chicago 1981 (trad. it. Il culto dei santi. L’origine e la diffusione di una nuova religiosità, Torino 1983).
6 Si vedano almeno P. Golinelli, Città e culto dei santi nel Medioevo italiano, Bologna 1991; A. Benvenuti, introduzione a H.C. Peyer, Città e santi patroni nell’Italia medievale, Firenze 1998 (ed. orig. Zürich 1955); I santi patroni. Modelli di santità, culti e patronati in Occidente, a cura di C. Leonardi, A. Degl’innocenti, Roma 1999.
7 Cfr. San Gennaro nel XVII centenario del martirio (305-2005), a cura di G. Luongo, Napoli 2007.
8 Si veda la sintetica esposizione di V. Polonio, Il monachesimo nel Medioevo italico, in G.M. Cantarella, V. Polonio, R. Rusconi, Chiesa, chiese, movimenti religiosi, Roma-Bari 2001, pp. 81-197.
9 Cfr. S. Boesch Gajano, Gregorio Magno. Alle origini del Medioevo, Roma 2004. Per il testo si veda Gregorio Magno, Storie di santi e di diavoli, a cura di S. Pricoco, M. Simonetti, Milano 2005-2006.
10 Cfr. Culto e insediamenti micaelici nell’Italia meridionale fra tarda antichità e Medioevo, a cura di C. Carletti, G. Otranto, Bari 1994.
11 Si vedano Culte et pèlerinages à saint Michel en Occident. Les trois monts dédiés à l’archange, sous la direction de P. Bouet, G. Otranto, A. Vauchez, Roma 2003; Culto e santuari di san Michele nell’Europa medievale, a cura di P. Bouet, G. Otranto, A. Vauchez, Bari 2007.
12 Cfr. «Liber», «Gesta», histoire. Écrire l’histoire des évêques et des papes de l’Antiquité au XXIe siècle, éd. par F. Bougard, M. Sot, Turnhout 2009.
13 Importante rimane la raccolta dei saggi di G. Tabacco, Spiritualità e cultura nel Medioevo. Dodici percorsi nei territori del potere e della fede, Napoli 1993. Dello stesso studioso si veda l’edizione di Petri Damiani Vita Beati Romualdi, Roma 1957.
14 Cfr. S. Boesch Gajano, Storia e tradizione vallombrosane, «Bullettino dell’istituto storico italiano per il Medio Evo e archivio muratoriano», 76, 1964, pp. 100-215. Si veda anche F. Salvestrini, «Disciplina caritatis». Il monachesimo vallombrosano tra medioevo e prima età moderna, Roma 2008.
15 Per quanto segue si veda R. Rusconi, Santo Padre. La santità del papa da san Pietro a Giovanni Paolo II, Roma 2010, pp. 33-50, 123-168.
16 Das Register Gregors VII, hrsg. von E. Caspar, München 1995, p. 207.
17 Si vedano gli sviluppi del suo culto in S. Ditchfield, How not to be a Counter-Reformation Saint. The Attempted Canonization of Pope Gregory X, «Papers of the British School at Rome», 60, 1992, pp. 379-422.
18 Si veda almeno la recente traduzione, con aggiornamenti, di P. Herde, Celestino V. (1294). Pietro del Morrone, Il papa angelico, L’Aquila 2004 (ed. orig. Stuttgart 1981).
19 Si veda da ultimo L. Andergassen, «Santo subito»: spätmittelalterliche Kanonisationspropaganda am Beispiel des Papstes Urbans V. (1362-1370) in Italien, in «Iconographia christiana». Festschrift für Pater Gregor Martin Lechner OSB zum 65. Geburts-tag, a cura di W. Telesko, L. Andergassen, Regensburg 2005, pp. 101-123.
20 Si vedano M. Gotor, Le vite di san Pio V dal 1572 al 1712 tra censura, agiografia e storia, in Pio V nella società e nella politica del suo tempo, a cura di M. Guasco, A. Torre, Bologna 2005, pp. 207-249; M. Caffiero, «La profezia di Lepanto». Storia e uso politico della santità di Pio V, in I turchi, il Mediterraneo e l’Europa, a cura di G. Motta, Milano 1998, pp. 103-121 [ora anche in Id., Religione e modernità in Italia (secoli XVII-XIX), Pisa 2000, pp. 27-43].
21 Aggiornamenti al classico lavoro di H. Grundmann, Movimenti religiosi nel Medioevo. Ricerche sui nessi storici tra l’eresia, gli Ordini mendicanti e il movimento religioso femminile nel XII e XIII secolo e sulle origini storiche della mistica tedesca, Bologna 1974 (ed. orig. Berlin 1935), si possono ricavare da Religiones novae, Verona 1995 (Quaderni di storia religiosa, II), e da L. Pellegrini, Che sono queste novita? Le «religiones novae» in Italia meridionale (secoli XIII e XIV), Napoli 2000.
22 Sul santo di Assisi e sulla sua immagine si veda il recente volume di A. Vauchez, Francesco d’Assisi. Tra storia e memoria, Torino 2010 (ed. orig. Paris 2009), ma anche San Francesco d’Italia. Santità e identità nazionale nel primo Novecento, a cura di T. Caliò, R. Rusconi (in corso di stampa).
23 Cfr. R. Paciocco, «Sublimia negotia». Le canonizzazioni dei santi nella curia papale e il nuovo Ordine dei frati Minori, Padova 1996, e in precedenza Id., Da Francesco ai «Catalogi sanctorum». Livelli istituzionali e immagini agiografiche nell’ordine francescano (secoli XIII-XIV), S. Maria degli Angeli (Assisi) 1990.
24 Cfr. J. Cannon, A. Vauchez, Margherita of Cortona and the Lorenzetti. Sienese art and the cult of a holy woman in medieval Tuscany, Philadelphia 1999 (trad. it. Margherita di Cortona e i Lorenzetti, Roma 2000).
25 Si veda il basilare studio di A. Vauchez, La sainteté en Occident aux derniers siècles du Moyen Age d’après les procès de canonisation et les documents hagiographiques, Roma 1981 (trad. it. ridotta La santità nel Medioevo, Bologna 1989).
26 Cfr. G. Zarri, Aspetti dello sviluppo degli Ordini religiosi in Italia tra Quattro e Cinquecento. Studi e problemi, in Strutture ecclesiastiche in Italia e in Germania prima della Riforma, a cura di P. Prodi, P. Johanek, Bologna 1984, pp. 207-257; R. Rusconi, Da Costanza al Laterano: la «calcolata devozione» del ceto mercantile-borghese nell’Italia del Quattrocento, in Storia dell’Italia religiosa, a cura di A. Vauchez, T. Gregory, G. De Rosa, I: L’antichità e il Medioevo, Bari-Roma 1993, pp. 505-536.
27 Si veda l’introduzione a Il processo di canonizzazione di Bernardino da Siena (1445-1450), a cura di L. Pellegrini, Grottaferrata 2009.
28 Cfr. Il processo per la canonizzazione di s. Nicola da Tolentino, a cura di N. Occhioni, Tolentino-Roma 1984.
29 Per questa problematica si vedano gli studi innovativi di G. Zarri, Le sante vive. Profezie di corte e devozione femminile tra ’400 e ’500, Torino 1990.
30 Dopo il classico volume di D. Weinstein, Savonarola and Florence. Prophecy and patriotism in the Renaissance, Princeton (N.J.) 1970 (trad. it. Savonarola a Firenze. Profezia e patriottismo nel Rinascimento, Bologna 1976), si vedano ora Savonarola e la politica, a cura di G.C. Garfagnini, Firenze 1997; Una città e il suo profeta. Firenze di fronte al Savonarola, a cura di G.C. Garfagnini, Firenze 2001; Girolamo Savonarola da Ferrara all’Europa, a cura di G. Fragnito, M. Miegge, Firenze 2001.
31 Erasmo Da Rotterdam, Colloquia, Torino 2002 (introduzione di A. Prosperi, edizione con testo a fronte a cura di C. Asso).
32 COGD, 2010, pp. 149-151.
33 Cfr. G. Papa, Le cause di canonizzazione nel primo periodo della Congregazione dei Riti (1588-1634), Città del Vaticano 2001.
34 Cfr. M. Gotor, I beati del papa. Santità, Inquisizione e obbedienza in età moderna, Firenze 2002, e in precedenza Id., La fabbrica dei santi: la riforma urbaniana e il modello tridentino, in Roma, la città del Papa. Vita civile e religiosa dal giubileo di Bonifacio VIII al giubileo di Papa Wojtyła, a cura di L. Fiorani, A. Prosperi, cit., pp. 679-729.
35 Vrbani VIII pontifici optimi maximi Decreta seruanda in canonizatione, & beatificatione sanctorum. Accedunt instructiones, & declarationes quas em.mi et reu.mi S.R.E. cardinales praesulesque Romanae Curiae ad id muneris congregati ex eiusdem summi pontificis mandato condiderunt. Romae, Roma 1642.
36 Cfr. V. Hazebrouck-Souche, Spiritualité, sainteté et patriotisme. Glorification du Brabant dans l’oeuvre hagiographique de Jean Gielemans (1427-1487), Turnhout 2007.
37 Si vedano G. A. Guazzelli, Cesare Baronio e il «Martyrologium Romanum»: problemi interpretativi e linee evolutive di un rapporto diacronico, in «Nunc alia tempora, alii mores». Storici e storia in età postridentina, a cura di M. Firpo, Firenze 2005, pp. 47-89, e i recenti volumi Baronio e le sue fonti, a cura di L. Gulia, Sora 2009; Cesare Baronio tra santità e scrittura storica, a cura di F. Scorza Barcellona, R. Michetti, G. A. Guazzelli (in corso di stampa).
38 Libro primo delle vite de i santi. Descritte da monsig. Paolo Regio, vescouo di Vico Equense. Che o’ son conseruate le lor reliquie, o’ son protettori, o’ son nati a diverse citta, terre, et luoghi del Regno di Napoli. Oue come in vna continuata historia dal tempo de’ beati apostoli, insino a nostri tempi, con i sacri gesti di quelli si narrano altri memorandi fatti, auuenuti in diuerse parti del mondo [...], Vico Equense 1586; Libro secondo delle vite de i santi. Descritte da monsig. Paolo Regio, vescouo di Vico Equense. Nel quale si contengono i gloriosi gesti de i beati apostoli, S. Andrea, S. Matteo, S. Bartolomeo, et S. Tommaso. Con le inuentioni, et traslationi delle loro sacre reliquie, fatte in diuersi tempi et luoghi. Et co’ i loro miracoli continuamente operati [...], Vico Equense 1587.
39 Vite de’ santi, e beati toscani, de’ quali insino a hoggi comunemente si ha cognizione. Raccolte, e parte ancora, o scritte, o volgarizzate dal padre abate don Silvano Razzi Camald. [...], Firenze 1593; Delle vite de santi, e beati toscani parte seconda. O vero supplemento di quelle che mancano nel primo libro. Raccolte dall’istesso padre abate don Siluano Razzi Camaldolese, Firenze 1601.
40 In maniera specifica su caratteri ‘nazionali’ e ‘regionali’ della santità, tra fine del Medioevo e prima età moderna, si vedano R. Michetti, Le raccolte di vite di santi tra universalismo e regionalismo, in Vita religiosa e identità politiche. Universalità e particolarismi nell’Europa del tardo Medioevo, a cura di S. Gensini, Pisa 1998, pp. 215-230; Europa sacra. Raccolte agiografiche e identità politiche in Europa fra Medioevo ed età moderna, a cura di S. Boesch Gajano, R. Michetti, Roma 2002 (in partic. T. Caliò, R. Michetti, Un’agiografia per l’Italia. Santi e identità territoriali, pp. 147-180, cui si è fatto principalmente riferimento).
41 Cfr. R. Turtas, M.T. Laneri, A.M. Piredda, et al., Il «De Sanctis Sardiniae» di Giovanni Arca, in Europa sacra. Raccolte agiografiche e identità politiche in Europa fra Medioevo ed età moderna, a cura di S. Boesch Gajano, R. Michetti, cit., pp. 181-226.
42 G.P. Arca, De sanctis Sardiniae libri tres, Cagliari 1598.
43 Noua topographia in Martyrologium Romanum. In qua loca omnia in Martyrologio memorata accurate describuntur, & sancti, qui in ijs floruerunt, subijciuntur; [...] Auctore f. Philippo Ferrario Alexand. totius ordinis Seruorum B.M.V. priore generali, [...], Venezia 1609.
44 Catalogus sanctorum Italiae in menses duodecim distributus. In quo vitae illorum ex particularium ecclesiarum monumentis compendio describuntur, adiectis vbique scholijs, [...] Authore F. Philippo Ferrario Alexandrino ord. Seruorum B. Mariae, [...] Accessit index geminus alphabeticus, vnus nominum sanctorum, in quo, vbi corpora ipsorum condita sint, indicatur: alter locorum, in quo sanctorum qui in illis sunt, adnotantur, Milano 1613. Cfr. S. Spanò Martinelli, Il «Catalogus Sanctorum Italiae» di Filippo Ferrari, in Europa sacra. Raccolte agiografiche e identità politiche in Europa fra Medioevo ed età moderna, a cura di S. Boesch Gajano, R. Michetti, cit., pp. 135-145.
45 Cfr. S. Cabibbo, Il Paradiso del Magnifico Regno. Agiografi, santi e culti nella Sicilia spagnola, Roma 1996.
46 Vitae Sanctorum Siculorum ex antiquis Graecis Latinisque monumentis, & vt plurimum ex m.s.s. codicibus nondum editis collectae, aut scriptae, digestae iuxta seriem annorum Christianae epochae, & animaduersionibus illustratae. A r.p. Octavio Caietano Syracusano societatis Iesu. [...] Opus posthumum, & diu expetitum, cui perficiendo operam contulit r.p. Petrus Salernus [...], Palermo 1657.
47 F. Carrera, Pantheon Siculum. Siue, Sanctorum Siculorum elogia, Genova 1679.
48 G. Perdicaro, Delle vite de’ santi siciliani parte prima, Palermo 1688.
49 Si veda S. Cabibbo, Santa Rosalia tra terra e cielo. Storia, rituali, linguaggi di un culto barocco, Palermo 2004.
50 Vite de’ santi, e beati dell’Vmbria, e di quelli, i corpi de’ quali riposano in essa prouincia, [...] Descritte dal sig. Lodouico Iacobilli da Foligno [...] Tomo primo [-terzo]. Foligno-Todi, 1647-1661. Cfr. R. Michetti, «Ventimila corpi di santi»: la storia agiografica di Ludovico Jacobilli, in Erudizione e devozione. Le Raccolte di Vite di santi in età moderna e contemporanea, a cura di G. Luongo, Roma 2000, pp. 73-158.
51 Vite del santiss. sommo pontefice Pio 5. del b. Bonaparte della b. Filippa, e delli serui di Dio p. Paolo, vno de’ quattro institutori de’ Teatini, e del p.d. Francesco riformatore, & ampliatore della Congregatione di s. Saluatore di Bologna, tutti cinque della fameglia Ghisiliera; [...] Descritte dal sig. Lodouico Iacobilli da Foligno, protonotario apostolico, con vn elogio genealogico sopra 112. huomini illustri de’ Ghisilieri, del dottor Panfilio Cesio da Cassia, Todi 1661.
52 Santuario dell’alma citta di Genoua, doue si contengono le vite de’ santi protettori, e cittadini di esse; descritte dal r.p.f. Mariano de’ Grimaldi genovese descalzo di S. Agostino. Insieme coi nomi de’ sommi pontefici, e cardinali della Liguria, e de’ vescoui di Genoua, Genova 1613.
53 Le sacre palme genouesi cioe vite de’ santi martiri genouesi Desiderio vescouo di Langres et Uriscino Medico protomartire della citta di Rauenna con vna breue relazione di XVIII. fanciulli giustiniani de’ signori di Scio [amplius][...] descritte da Agostino Calcagnino [...], Genova 1655.
54 Historie delle miracolose imagini, e delle vite de’ Santi, i corpi de’ quali sono nella citta di Lucca. All’illustriss.ma et eccelentiss. Repub. di essa. Cesare Franciotti sacerdote della Cong. lucchese della B. Vergine. D.D.D., Lucca 1613.
55 C. Sodini, «[…] in quel strano e fondo verno». Stato, Chiesa e cultura nella seconda metà del Seicento lucchese, Lucca 1992, p. 77; riportato in T. Caliò, R. Michetti, Un’agiografia per l’Italia, cit., p. 164.
56 Historia de’santi di Bergomo di Mario Mutio assai piu copiosa di qualunque altra fin qui scritta di loro. Alli molto illustri signori consiglieri di Bergomo [...], Bergamo 1610.
57 Vite de’ gloriosi santi martiri Faustino, et Giouita, & di Sant’Affra, et d’altri santi bresciani, gli cui sacri corpi, & reliquie si conferuano in diuerse chiese di Brescia [...] scritte per [...] Ascanio Martinengo [...], Brescia 1602.
58 Memorie di molti santi martiri, confessori, e beati modonesi, e di tutti i corpi santi, che riposano nelle chiesa di Modona [...] Raccolte da D. Lodouico Vedriani modonese, e dedicate all’altezza sereniss.ma della signora duchessa di Modana, Modena 1663.
59 Teatro de’ santi, e beati della citta di Parma, e suo territorio rappresentato con la narratione della vita di ciascuno di essi. Dal dottore Ranuccio Pico segretario dell’altezza sereniss. di Parma, Parma 1642.
60 Si vedano S. Cabibbo, «Dal nido savoiardo al trono d’Italia»: i santi di casa Savoia, in Santi, culti e simboli nell’età della secolarizzazione (1815-1915), a cura di E. Fattorini, Torino 1997, pp. 331-360; S. Mostaccio, Le sante di corte. La riscoperta sabauda di Margherita di Savoia-Acaia, in Politica e cultura nell’età di Carlo Emanuele I. Torino, Parigi, Madrid, a cura di M. Masoero, S. Mamino, C. Rosso, Firenze 1999, pp. 461-473.
61 La Margarita della citta beata: vita, e miracolosi portenti della B. Margarita di Sauoia, il cui corpo incorrotto si riuerisce nella Chiesa di S. Maria Maddalena [...] Dal R.P. Pasquale Codreto da Sospello, lettore, predicatore generale, Torino 1653.
62 Il politico celeste, vita, e marauigliosi successi del B. Amadeo di Sauoia. Dal R.P. Pasquale Codreto da Sospello, lettore, predicatore generale, Torino 1653.
63 Succinte dimonstranze della vita del b. Vmberto di Sauoia consecrate all’altezza reale del secondo Carlo Emanuel [...] Dal r.p.f. Pasquale Codreto da Sospello lettore, predicatore generale [...], Torino 1655.
64 Ghirlanda di alcuni Principi Beati di Casa Savoia, Torino 1655.
65 Abbreuiata serie d’alcuni heroi della real casa di Sauoia segnalati nelle degne attioni temporali, e spirituali raccolta dal r.p. Pasquale Codreto da Sospello [...], Mondovì 1655.
66 Annotationi della vita, e morte della serenissima infanta donna Isabella duchessa di Modana e Reggio, &c. figlia dell’inuittissimo gran Carlo Emanuelle duca di Sauoia. Descritte dal r.p. Pasquale Codretto da Sospello de Minori Osservanti, [...], Mondovì 1654.
67 Spreggio del mondo, vita, e morte della serenissima infanta d. Francesca Caterina figlia del gran Carlo Emanuelle duca di Sauoia. Descritta dal r.p. Pasquale Codretto da Sospello, lettore, predicatore generale [...] Indirizzato alla tutella del serenissimo prencipe Tomaso di Sauoia, Mondovì 1654.
68 Si veda P. Stella, introduzione a L.A. Muratori, Della regolata devozione dei cristiani, Cinisello Balsamo 1990.
69 Si veda l’ampia disamina di P. Giovannucci, Canonizzazione e infallibilità tra Seicento e Settecento. Le nuove problematiche e la sintesi lambertiniana, «Studia Patavina», 54, 2007, pp. 305-345 (ora rivista in Id., Canonizzazioni e infallibilità pontificia in età moderna, Brescia 2008). Per quanto riguarda la sua opera si veda almeno P.A. Frutaz, Le principali edizioni e sinossi del «De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione» di Benedetto XIV. Saggio per una bio-bibliografia critica, in Benedetto XIV (Prospero Lambertini), a cura di M. Cecchelli, I, Cento 1982, pp. 27-90. Dopo la prima edizione, pubblicata a Bologna negli anni 1734-1738, ne fu curata una «editio typica», uscita a stampa a Roma fra 1747 e 1751.
70 Hagiologium italicum in quo compendiosae notitiae exhibentur sanctorum beatorumque ad Italiam seu ex nativitate, seu ex obitu, seu ex corporis possessione spectantium ex probatioribus monumentis & scriptoris collectae atque diligenti censura ad eruendam, firmandamque historiae veritatem expensae, et per singulos mensium dies distributae. Addito in fine indice alphabetico ad faciliorem operis usum, Bassano 1773.
71 Su tutta la vicenda si veda M. Caffiero, La politica della santità. Nascita di un culto nell’età dei lumi, Roma-Bari 1996, pp. 324-336.
72 Cfr. R. Rusconi, Santo Padre, cit., cap. IV, 2 (con bibliografia alle pp. 659-661). Per la rilevanza assunta dalla tematica del martirio si vedano in particolare L. Fiorani, D. Rocciolo, Chiesa romana e Rivoluzione francese, 1789-1799, Roma 2004 (in partic. Dall’ecclesiologia dell’autorità all’ecclesiologia del martirio, pp. 393-430; Note supplementari, III, Il papa martire, pp. 442-446).
73 Si veda M. Caffiero, Dall’esplosione mistica tardo-barocca all’apostolato sociale, in Donne e fede. Santità e vita religiosa in Italia, a cura di L. Scaraffia, G. Zarri, Roma-Bari 1994, pp. 327-373.
74 Cfr. G. Rumi, Santità sociale in Italia tra Otto e Novecento, Torino 1995.
75 Si vedano i dati esaminati in F. De Palma, Le cause di beatificazione in Italia. Un approccio socio-statistico, «Cristianesimo nella storia», 17, 1997, pp. 525-555, e Id., Modelli di santità a Roma e nel Lazio. Un approccio statistico-tipologico a quattro secoli di cause di beatificazione, in Santi e culti del Lazio. Istituzioni, società, devozioni, a cura di S. Boesch Gajano, E. Petrucci, Roma 2000, pp. 177-191.
76 Per la scoperta delle catacombe romane e la nascita dell’archeologia cristiana si vedano Ph. Boutry, Les saints des catacombes. Itinéraires français d’une piété ultramontaine, «Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Âge-Temps modernes», 91, 1979, pp. 875-930 e, per alcuni aspetti particolari, anche M. Ghilardi, «Un Bosio à la main». Viaggiatori francesi nelle catacombe romane in età napoleonica, e «Si un schertro nun è ttutto, s’aripezza». Giuseppe Gioacchino Belli e le catacombe romane [per due sonetti del 1833], in Id., «Subterranea civitas», cit., pp. 77-101, 103-128.
77 Si vedano i contributi di P. Stella, Santi per giovani e santi giovani, in Santi, culti e simboli nell’età della secolarizzazione (1815-1915), a cura di E. Fattorini, cit., pp. 563-586; Per una storia dell’agiografia in età contemporanea. Il «giovanetto Savio Domenico» (1859) di san Giovanni Bosco, in Vita religiosa, problemi sociali e impegno civile dei cattolici. Studi storici in onore di Alberto Monticone, a cura di A. Sindoni, M. Tosti, Roma 2009, pp. 143-167.
78 Vita del giovanetto Savio Domenico allievo dell’Oratorio di San Francesco di Sales per cura del Sacerdote Bosco Giovanni, Torino 1859.
79 Si veda A. Dordoni, San Giuseppe modello dei lavoratori, «Annali di scienze religiose», 7, 2002, pp. 257-298.
80 Cfr. R. Rusconi, «Perché fare tanti santi?». Le canonizzazioni di Pio IX tra “intercessori in cielo” e “modelli in terra” nelle pagine di «La Civiltà Cattolica», in Monaci, ebrei, santi. Studi per Sofia Boesch Gajano, a cura di A. Volpato, Roma 2008, pp. 511-523.