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umori

di Gianfranco Borrelli - Enciclopedia machiavelliana (2014)
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umori

Gianfranco Borrelli

Nell’avvio del cap. ix del Principe M. argomenta le complesse relazioni che legano i «dua umori diversi», presenti in ogni comunità, agli antagonismi permanenti che vedono confliggere il «populo» che «desidera non essere comandato né oppresso da’ grandi», contro i «grandi», che «desiderano comandare e opprimere el populo»; dagli esiti differenti di tali conflitti, indotti da «questi dua appetiti diversi», prende origine la forma di governo specifica di ogni città. L’ulteriore passaggio precisa che le specie dei governi possibili possono essere il «principato», la «libertà» (vale a dire la repubblica) e la «licenza» (che consiste nello stato di dissoluzione degli ordinamenti civili indotti dai processi di corruzione, più che in una determinata modalità di governo). Qui M. esprime per la prima volta in modo compiuto il criterio principale dell’analisi politica: i nessi concreti tra le complessioni fisiche dei soggetti e i contrasti propri della vita civile, e la loro incidenza nella costituzione delle forme di governo.

La categoria umore/i (omore/i) è d’uso costante negli scritti politici machiavelliani (cfr. Principe ix e xix; Discorsi I iv, v, vii, xxxvii, xxxix, II xv, III iii, vi, ix, xxvii; Istorie fiorentine II xii, III i, IV i ), con articolazioni semantiche inedite, comunque legate alla necessità di giustificare i conflitti originari, presenti nella vita civile, e influenti sulle istituzioni fino al punto di condizionare la libertà stessa della comunità (Chabod 1964; Sasso 1987). Peraltro, M. non esplicita le ragioni particolari dell’uso della teoria degli u., né fa cenno agli autori antichi o contemporanei che ne hanno contribuito alla formulazione.

Con il termine umori, M. intende qualificare le inclinazioni che ritornano come invariata tendenza nelle condotte e nei comportamenti degli individui. Nei percorsi di ciascun soggetto, difficilmente tali inclinazioni presentano dinamiche di effettiva trasformazione: tuttavia, il confronto tra caratteri differenti e contrastanti dà origine a composizioni tali – nelle condotte collettive – da incidere nei processi del «vivere civile». Nel Principe (cap. xxv), M. riconduce la pluralità delle inclinazioni umane a due caratteri fondamentali: il «respetto», comportamento prudenziale che con pazienza intende evitare scarti e garantire continuità ai processi del governo politico, e l’«impeto», che forza con violenza la situazione per introdurre le necessarie novità, divenute indispensabili ai bisogni urgenti della comunità. Si delinea chiaramente la distanza tra i significati che M. assegna alla nozione di u. e l’elaborazione che di quella categoria aveva svolto la tradizione classica: da Alc meone di Crotone e da Ippocrate, attraverso Galeno, fino alle interpretazioni dell’aristotelismo di Averroè e di Avicenna (Vegetti 1983; Gaille-Nikodimov 2004, pp. 61-101). Questi autori avevano contribuito a formalizzare un registro articolato degli u. composto dalle mescolanze, dalle opposizioni e dalle possibili proporzionate armonie dei quattro elementi fondamentali (sangue, flegma, bile gialla, bile nera), che veniva pure riferito alle modalità d’impegno dei cittadini nella cura della città. M. fa invece valere l’inscindibilità di teoria e arte pratica, il valore cognitivo delle congetture indiziarie, il reciproco supporto di diagnosi e prognosi nella terapia delle patologie civili; così che il richiamo alla funzione decisiva degli u. viene a costituire ben più che un accostamento analogico, diventando strumento straordinario per porre in evidenza lo stretto legame tra la funzione critica dell’indagine dei fenomeni politici e le pratiche concrete rivolte verso una più libera composizione dei poteri. La funzione essenziale del «vivere politico» viene in questo modo riferita ai fondamenti ontologici dell’esperienza degli esseri umani.

L’utilizzo della categoria di u. (sulla quale → parte) si lega, in M., alla configurazione di una nuova antropologia. Il mondo viene riconosciuto abitato da uomini che hanno avuto sempre «le medesime passioni» (Modo di trattare i popoli della Valdichiana ribellati); ne consegue che la materia umana è sempre la stessa, costituita da nodi di u. e di forze in continuo incessante movimento (Discorsi I xi, III ix e xliii). Tuttavia, l’effettualità di questo complesso equilibrio ha manifestazioni che evolvono nel tempo e che possiamo osservare – grazie alle costanti iterazioni dei caratteri – nella serie inarrestabile dei conflitti, delle tensioni, delle mutazioni (Zanzi 1981, pp. 9-35). La storia segna un limite alla costanza invariante della natura, aprendo la possibilità del libero arbitrio. In quanto organismi naturali, segnati da sviluppo e corruzione, i corpi politici risentono inevitabilmente degli scorrimenti umorali presenti nella comunità; la sofferenza e il corrompimento delle istituzioni civili costituiscono un processo in permanenza bisognoso delle capacità diagnostiche e di cura preventiva proprie di individui particolarmente esercitati nell’arte politica; per questa via, la difettività della natura umana si confronta in permanenza con la breve durata delle istituzioni del governo umano. Il rapporto tra fortuna e virtù, tra caso e agire umano, resta sempre segnato dalle relazioni tra natura e storia e apre comunque a un nuovo inizio nelle vicende della comunità: in tali mobili contesti, i soggetti politici intervengono con il carico specifico della propria complessione umorale, e le loro differenti attitudini comportano una tendenza al mantenimento o all’innovazione; l’efficacia dell’azione politica resta allora condizionata essenzialmente dagli esiti del confronto, dal «riscontro», tra i tempi dell’agire individuale – segnato da caratteristiche umorali idonee o non idonee rispetto alle contingenze del presente – e i tempi in perenne mutamento dei contesti storici, che richiedono appunto conservazione o novità per l’affermazione del bene comune (Ghiribizzi a Giovan Battista Soderini del 13-21 settembre 1506, Principe xxv e Discorsi III ix).

Poiché l’ambizione degli esseri umani pretende di oltrepassare il condizionamento delle necessità imposte dalla natura, sorge da qui quella volontà di dominazione che assume le vesti distruttive del furore dei «grandi», che vogliono a ogni costo comandare (v. il capitolo “Dell’Ambizione”). Nel momento culminante della storia di Roma, la stessa plebe pensò di poter eguagliare la potenza dei patrizi; e queste ambizioni aprirono alle guerre civili, segnando la fine della Roma repubblicana (Discorsi I xxxvii). Qui come altrove, M. chiama «contentezza» (dal verbo latino continere) la condizione dei soggetti che sono soddisfatti nel presente, poiché vivono grazie agli elementi materiali che assicurano loro la sopravvivenza (Principe xix); invece, coloro che non riescono a contenere i propri desideri, realizzabili solo in minima misura, cadono nella «mala contentezza». Questa condizione di sofferenza mentale, che prende ogni specie d’individuo, favorisce l’insorgere delle «contenzioni» (dal verbo latino contendere), vale a dire dei conflitti che, nella forma di radicali antagonismi, contribuiscono ad accelerare i processi di corrompimento delle istituzioni. Il complesso dei nessi semantici di «contentezza/mala contentezza» e «contenzioni» agisce nell’opera di M. fino a diventare uno dei principali criteri interpretativi della crisi politica di Firenze nelle Istorie fiorentine (Borrelli 2009, pp. 27-64).

Poiché nella prassi civile, gli u. discordanti risultano normali e non componibili, la produzione degli ordinamenti deve rispondere, per M., alla necessità del contenimento e della rappresentazione pubblica proporzionata degli u. degli attori sociali; perciò la migliore forma di governo, quella repubblicana, è tale in quanto ordinamento dinamico, aperto e contrastivo (Raimondi 2013, pp. 151-57). L’esempio positivo di questa situazione di possibile convivenza degli u. e delle forze in campo viene indicato, con il sostegno di Polibio, nell’antica Roma, che fu capace di realizzare la virtuosa miktè in cui trovarono produttiva composizione le tre classiche forme di governo («Principato, Ottimati e Popolare», Discorsi I ii 9). In Discorsi I v, M. argomenta la positività del governo misto anche nel riferimento alla teoria politica di Aristotele – del quale peraltro respinge ogni figura di medietà, di bilanciamento istituzionale tra le parti della città –, laddove il richiamo alla costituzione mista significa essenzialmente la capacità del «vivere politico» di dare voce ai soggetti collettivi che secondo modalità antagonistiche gestiscono poteri nella società (Pasquino 2007; Pedullà 2011, pp. 319-39). La costituzione mista, con la «guardia della libertà» assegnata al popolo, è in grado di imporre un equilibrio, per quanto temporaneo, a quelle attitudini conflittuali e a quei soggetti (oligarchici o anche plebei) le cui ambizioni rischiano di compromettere il vivere libero e civile (Discorsi I v e I viii; si veda anche la parte finale del Discursus florentinarum rerum).

Bibliografia: F. Chabod, Scritti su Machiavelli, Torino 1964; G. Sasso, Studi su Machiavelli, Napoli 1967; F. Chiappelli, Nuovi studi sul linguaggio del Machiavelli, Firenze 1969; G. Sasso, Niccolò Machiavelli. Storia del suo pensiero politico, Bologna 1980; Q. Skinner, Machiavelli, Oxford 1981 (trad. it. Milano 1982); L. Zanzi, I “segni” della natura e i “paradigmi” della storia: il metodo del Machiavelli, Manduria 1981; M. Vegetti, Metafora politica e immagine del corpo negli scritti ippocratici, in Formes de pensée dans la collection hippocratique, Actes du IVème colloque international hippocratique, Lausanne 21-26 septembre 1981, Genève 1983; G. Sasso, Machiavelli e gli antichi e altri saggi, Milano 1987; A.J. Parel, The Machiavellian cosmos, New Haven-London 1992; M. Gaille-Nikodimov, Conflit civil et liberté. La politique machiavélienne entre histoire et médicine, Paris 2004; P. Pasquino, Machiavelli e Aristotele: le anatomie della città, «Filosofia politica», 2007, 2, pp. 199-212; G. Borrelli, Il lato oscuro del Leviathan. Hobbes contro Machiavelli, Napoli 2009; G. Pedullà, Machiavelli in tumulto. Conquista, cittadinanza e conflitto nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Roma 2011; F. Raimondi, L’ordinamento della libertà. Machiavelli e Firenze, Verona 2013.

Vedi anche
Ippòcrate (poet. ant. Ippocràte; gr. ʽΙπποκράτης, lat. Hippocrătes). - Medico (n. Isola di Coo, 460 a. C. circa - m. 370 a. C. circa). Praticante e maestro di medicina in Atene e in Tessaglia, Ippocrate fu, secondo la testimonianza di quasi contemporanei come Platone e Aristotele, il medico più famoso della sua ... Galèno (gr. Γαληνός). - Medico e filosofo (Pergamo 130 circa - ivi, probabilmente, 200 circa). Avviato agli studî di medicina dal padre Nikon, architetto, Galeno ricevette una completa preparazione culturale, in primo luogo basata sullo studio della tradizione filosofica e di quelle discipline matematiche più ... Paracèlso Forma italiana del nome latino (Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus Paracelsus) del medico naturalista e filosofo Philipp Theophrast Bombast von Hohenheim (Einsiedeln 1493 - Salisburgo 1541). Paracelso è il rappresentante maggiore e più caratteristico del naturalismo tedesco del Rinascimento. Medico, ... Domenico Cotugno Anatomista (Ruvo di Puglia 1736 - Napoli 1822); iniziatore della profilassi antitubercolare; descrisse per primo il nervo naso-palatino e gli acquedotti del vestibolo e della chiocciola nell'orecchio interno; scoprì l'esistenza del liquido cefalorachidiano e constatò sperimentalmente la presenza dell'albumina ...
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    Enciclopedia Italiana (1937)
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Vocabolario
umoróso
umoroso umoróso agg. [dal lat. tardo humorosus, der. di humor «umore»], ant. – 1. Pieno di umore, umido. 2. Di persona nel cui organismo abbondano gli umori (catarro, ecc.): un uomo, un vecchio umoroso.
umóre
umore umóre (ant. omóre) s. m. [dal lat. humor o umor -oris, der. di (h)umere «essere umido»]. – 1. a. Sostanza liquida, acqua: il calor del sol che si fa vino, Giunto a l’omor che de la vite cola (Dante); Dalle cui labra [del fonte] un...
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