VERONESI, Umberto
– Nacque il 28 novembre 1925 in una cascina alla periferia di Milano, da Erminia Verganti e da Francesco.
Non fu necessario aspettare la seconda guerra mondiale affinché Veronesi incontrasse il suo più grande nemico, il cancro. Fin dall’infanzia, infatti, aveva vissuto molto vicino all’Istituto dei tumori di via Venezian, che a quei tempi era chiamato con drammatico sconforto ‘il lazzaretto’. Fu durante la guerra, all’età di diciotto anni, che Veronesi venne colpito da una mina. Arruolato con la forza a Milano e destinato a un reparto aggregato a una divisione tedesca, si ritrovò in un campo minato vicino a Pistoia; dopo l’esplosione si risvegliò a Montecatini in ospedale, con duecento ferite da schegge.
Finita la guerra, intrapresi gli studi di medicina e terminata l’università con il massimo dei voti, Veronesi decise di scommettere sulla sfida più difficile: invece della neurologia, scelse oncologia, quella branca della medicina ‘destinata ai rassegnati’. Nel 1951, appena laureato, varcò la soglia dell’Istituto dei tumori. Sotto la guida di Pietro Bucalossi (allora direttore dell’Istituto), Veronesi iniziò a studiare la strategia migliore per ottenere risultati soddisfacenti, approfondendo gli studi di genetica e di biologia cellulare. Ciò gli fu possibile anche grazie a una borsa di studio presso quella ‘officina del DNA’ che era allora il Chester Beatty Research Institute di Londra, lo stesso istituto di ricerca che annoverava tra i suoi scienziati i due premi Nobel James D. Watson e Francis Crick. Nei primi anni Cinquanta, direttore del Chester Beatty era sir Alexander Haddow, figura fondamentale per la formazione di Veronesi.
Nel 1962, grazie a un’altra borsa di studio, Veronesi si recò in Francia, al Centre Léon-Bérard di Lione, per approfondire sotto la direzione di Marcel Dargent nuove terapie chirurgiche nel trattamento dei tumori e perfezionarsi negli interventi al seno e alla tiroide.
Nel caso specifico dei tumori mammari la tecnica più importante era allora la mastectomia, ovvero l’asportazione totale della mammella, dei linfonodi ascellari e del muscolo grande e piccolo pettorale, a cui si aggiungevano intense sedute di radioterapia sul torace, sul collo e sull’ascella. L’azione violenta delle terapie era giustificata dal desiderio di debellare completamente il tumore, agendo in modo massiccio su tutta la zona malata e prevenendo il rischio di nuove neoplasie.
Fu tra il 1968 e il 1973 che Veronesi, interrogandosi sulla possibilità di correggere gli effetti della mastectomia, elaborò una nuova tecnica chirurgica dagli intenti conservativi; ancora una volta, si rivelò utile partire dal microscopio e, di nuovo, risultò indispensabile la presenza di un ottimo maestro, Pietro Redaelli, che lo aveva preparato a perseguire un’intuizione poi rivelatasi estremamente innovativa. Dal 1958 Veronesi aveva conseguito l’abilitazione alla libera docenza in anatomia e istologia patologica e aveva appreso come una fase che consentiva ancora di contrastare l’avanzata del male era quella in cui le cellule si riproducevano in una forma poco aggressiva.
Sostanzialmente, se preso in tempo, il tumore poteva considerarsi non più così temibile e se colto in una fase di limitata estensione (inferiore ai due centimetri) si rendeva credibile la possibilità di operare solo una parte della mammella.
Per otto anni, settecento donne furono curate, secondo un ordine casuale, sia con la mastectomia sia con la quadrantectomia (tale era il nome della tecnica innovativa di Veronesi che asportava appunto solo il quadrante della mammella contenente il tumore) accompagnata da sedute di radioterapia. I risultati, pubblicati nel 1981 sul New England journal of medicine si rivelarono positivi. Il primato della mastectomia, che si poneva come obiettivo quello di salvare la vita, era stato eguagliato dalla nuova quadrantectomia che non solo salvava la vita, ma anche la qualità della stessa.
Un’altra importante lezione che Veronesi assimilò dai suoi maestri fu la strategia multidisciplinare, che consisteva nella costante collaborazione tra chirurghi, oncologi, medici ed esperti di radioterapia. L’evoluzione di questo nuovo modo di fare oncologia portò Veronesi a entrare nel Consiglio direttivo della sezione milanese della Lega italiana per la lotta contro i tumori (LILT) nel 1957, diventandone poi presidente nel 1968 e fino al 1977, periodo durante il quale la LILT ricevette il riconoscimento come ente pubblico, sotto la vigilanza del ministero della Sanità e in collaborazione con le regioni, le province e i comuni. Per sostenere gli sforzi della Lega, nel 1965 insieme al collega Giuseppe Della Porta (anch’egli ricercatore presso l’Istituto dei tumori), riuscì a coinvolgere alcuni esponenti dell’imprenditoria milanese nella costituzione dell’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (AIRC), che aveva per missione il finanziamento dei progetti di ricerca, l’alta formazione e la diffusione al pubblico di una corretta informazione in materia.
Sotto la guida di Veronesi, che lo diresse dal 1976 al 1994, l’Istituto tumori di Milano divenne un centro pubblico riconosciuto a livello europeo, sviluppato in venti divisioni e promosso come luogo di ricerca d’eccellenza.
Il primo obiettivo di Veronesi fu quello di creare una nuova generazione di clinici e ricercatori, uomini e donne determinati nella ricerca e nella cura del cancro, capaci di sollevarsi dal senso di ineluttabilità che opprimeva la generazione precedente.
L’edificio si estese e i letti passarono da duecento a cinquecento. Nel 1964 l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) annoverò tra i membri del Comitato mondiale di esperti sulla terapia dei tumori proprio Veronesi, che inoltre, dal 1966, a quarantuno anni, divenne presidente del Comitato per l’istruzione professionale della Union internationale contre le cancer (UICC), l’unica organizzazione non governativa (con base a Ginevra) dedicata esclusivamente a connettere, in collaborazione con ONU e OMS, gruppi di ricerca per un globale controllo del fenomeno cancro. La consacrazione della figura di Veronesi sul piano internazionale avvenne però in modo definitivo nel 1974, quando fu nominato segretario generale dell’International cancer congress per la UICC, che si tenne a Firenze. Sempre nel 1974 venne chiamato alla presidenza dell’UICC per il quadriennio 1978-82 e infine alla presidenza del programma Detection and diagnosis fino al 1986.
Veronesi volle dare all’Istituto dei tumori una sua forte autonomia rispetto all’università. Inoltre, decise di tenere aperto il ‘reparto solventi’, dedicato a quei pazienti che disponendo di un’assicurazione o di mezzi propri preferivano una sistemazione in camera singola e soprattutto desideravano poter scegliere il proprio medico, il che permetteva di trattenere in Istituto medici con clientela privata e procacciare fondi per l’Istituto stesso. La scelta non fu affatto condivisa, bensì giudicata classista; non veniva recepito il fatto che una differenza nei comfort non escludesse affatto la possibilità di una uguaglianza nella cura.
Nella primavera del 1986, insieme a cinque colleghi, Veronesi mise a punto il documento Manifesto bianco della sanità, nel quale si disegnava innanzitutto un’organizzazione del lavoro meno burocratica e meno statalista. Al tempo stesso prese parte attiva a istanze europee di ricerca, prima fra tutte la European organization for research and treatment of cancer (EORTC), un’organizzazione no-profit volta a coordinare le attività di laboratorio e di ricerca clinica sul cancro in tutta Europa. Veronesi, che vedeva in essa la base ideale per poter lavorare a un progetto comunitario, entrò nel consiglio scientifico nel 1972 per poi diventare vicepresidente dal 1978 e mantenere la presidenza dal 1985 al 1988.
Questo risultato fu possibile perché nel frattempo Veronesi e Della Porta erano riusciti nell’impresa di ottenere dal CNR di Roma quindici anni di finanziamenti statali per progetti oncologici, i ‘progetti finalizzati’. I loro piani quinquennali furono approvati per tre volte consecutive contribuendo a trasformare radicalmente il panorama oncologico italiano. Con l’ammodernamento dei laboratori, si verificò anche un ‘ritorno di cervelli’ formati dalle università americane e aumentò il prestigio dell’Italia a livello internazionale, al punto che fu possibile fondare a New York, nel 1981, l’American Italian cancer foundation (AICF), con lo scopo di sviluppare la cooperazione Italia-USA. Veronesi misurò in questo caso il prestigio raggiunto trovando al suo fianco persone del calibro di Alessandro Cordero di Montezemolo e Anna Bulgari.
Veronesi decise di contattare gli scienziati che avevano collaborato alla stesura del Cancer act americano e, grazie alle preziose informazioni ottenute, stilò un documento di programmazione europea. L’incontro con il professore Maurice Tubiana, allora direttore dell’Istituto oncologico Gustave Roussy di Villejuif, si rivelò fondamentale; insieme concepirono il progetto Europa contro il cancro sostenuto dal presidente francese François Mitterrand e dal primo ministro italiano Bettino Craxi. Perfetta a questo scopo si rivelò la European school of oncology (ESO), fondata insieme al dottor Alberto Costa nel 1982 grazie al sostegno economico della famiglia Necchi Campiglio, tutt’oggi considerata un punto di riferimento indiscusso sul piano della didattica oncologica, non solo in Europa.
Veronesi, nominato presidente di Europa contro il cancro, lanciò un decalogo per la prevenzione del tumore, il Codice europeo contro il cancro, risultato di un’analisi dei diversi fattori di rischio, primo tra tutti il fumo. Il passo successivo si articolò nell’educazione e nell’informazione capillare contro il tabagismo, con il fine ambizioso di far smettere di fumare il cinque per cento degli europei. Le multinazionali del tabacco ostacolarono sempre l’azione della coalizione europea, arrivando al punto di denunciare lo stesso Veronesi. La battaglia, vinta nel 1991 grazie all’accortezza di alcuni parlamentari, proseguì con importantissime conquiste: si ottenne la scritta sul pacchetto che indicava la quantità di condensato e nel 1992 fu la volta della scritta «nuoce gravemente alla salute», che aumentò di dimensioni nel 2000. Veronesi si impegnò anche a sottolineare i tremendi rischi del fumo passivo, soprattutto durante la gravidanza. I lunghi anni di studi dedicati a questo tema ebbero come risultato un divieto in molti Stati europei di fumare negli spazi chiusi, nei luoghi pubblici e privati aperti al pubblico, e una legge antifumo redatta da Veronesi nel 2000, che l’Italia adottò subito, grazie all’impegno del suo successore al ministero, Gerolamo Sirchia.
Veronesi coltivava da molto tempo il sogno di un ospedale che si allineasse perfettamente con i valori e le convinzioni maturate in anni di attività e che rappresentasse un nuovo passo della ricerca italiana nel mondo. L’identità dell’Istituto europeo di oncologia (IEO), dunque, si può riconoscere in primis nel suo affiancare l’attività terapeutica alla ricerca scientifica, secondo l’assunto che recita «si cura meglio dove si fa ricerca» coniato dalla squadra dei suoi due più stretti collaboratori all’interno della Direzione scientifica, Alberto Costa e Stefano Zurrida. La collaborazione decisiva per la nascita del progetto fu quella del fondatore di Mediobanca, Enrico Cuccia, il quale ne affidò lo sviluppo a Renato Pagliaro (in seguito divenuto presidente della banca d’affari). Questi elaborò uno speciale statuto volto a mantenere il carattere privato dell’Istituto e al tempo stesso a garantire che tutto l’eventuale profitto venisse investito in ricerca.
Sulla scelta del luogo, Veronesi puntò nuovamente su Milano, optando per un terreno circondato da vecchie cascine, tra via Ripamonti e il paesino di Macconago. Il nuovo ospedale fu inaugurato nel maggio del 1994. Quando fu il momento di reclutare nuovi clinici e ricercatori, l’idea fu quella di andare in controtendenza rispetto alla ‘fuga di cervelli’, riportando a casa i giovani desiderosi di poter finalmente svolgere il loro lavoro con serietà nel proprio Paese.
Fu un’ulteriore sfida per Veronesi, accompagnata dal peggiore nemico che un ospedale possa avere: l’indifferenza. Le cose cambiarono solo quando ci fu un vero tramite tra il mondo della politica e quello della scienza: Fabio Sereni, scienziato di livello internazionale, divenne assessore alla Sanità della Regione Lombardia e, grazie alla sua esperienza nel campo della ricerca, nonché alla sensibilità politica nei confronti di un sistema sanitario equo, seppe giudicare l’importanza e il valore del neonato IEO. La Regione Lombardia si interessò alla causa, proprio nel momento in cui aveva deciso di concedere un’apertura sostanziale al convenzionamento con nuovi centri d’eccellenza. Il 18 gennaio 1996 l’Istituto europeo di oncologia nacque di nuovo, questa volta come IRCCS (Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico).
Pochi anni dopo, nel 2000, in seguito alla caduta del governo D’Alema, ci fu la promozione di Veronesi stesso, ormai riconosciuto come autorevole ‘istituzione’. Gli venne affidato l’incarico di ministro della Sanità nel governo guidato da Giuliano Amato. Seppur per un solo anno, il ministero diede a Veronesi la possibilità di dedicarsi maggiormente alle proprie battaglie etiche; fu il banco di prova per applicare il pragmatismo scientifico al mondo sociale, nel tentativo di risolvere subito i problemi che da anni limitavano il Sistema sanitario nazionale. Veronesi amava sottolineare, del suo operato di ministro, soprattutto sei punti di forza: la battaglia contro il dolore, quella contro il fumo, quella per la libertà decisionale delle donne in materia di interruzione di gravidanza, quella per l’aggiornamento continuo dei medici e quella per la liberalizzazione delle droghe leggere. Il sesto tema fu la ricerca dell’ospedale ideale.
I primi tre temi appartenevano da anni al pensiero di Veronesi, gli altri furono figli delle sue esperienze più recenti. Sulle droghe, leggere e pesanti, Veronesi tenne un atteggiamento coerente; contrario a tutti gli stupefacenti sostenne tuttavia che con il proibizionismo non si poteva risolvere il problema: «La lotta alla droga, che va tenacemente condotta, non si deve quindi basare su divieti e proibizioni, ma su programmi educativi, nella scuola e in famiglia, e su progetti per ridurre al minimo l’isolamento e il disagio esistenziale dei giovani» (L’uomo con il camice bianco, 2009, p. 204).
L’impegno per l’aggiornamento continuo dei medici nacque dall’ammirazione di Veronesi per il sistema inglese, il CME (Continuing Medical Education), basato sul principio tipicamente anglosassone del controllo di qualità e del diritto di ogni utente a ricevere il miglior prodotto possibile. Grazie all’impegno straordinario e alla dedizione di Riccardo Vigneri, professore dell’Università di Catania, Veronesi riuscì a introdurre anche in Italia l’Educazione continua medica (ECM) con un sistema di aggiornamento a punti obbligatorio che fu imitato da altri ministri della Salute della UE.
Al progetto dell’ospedale ideale fu dedicato il suo decreto ministeriale del 12 dicembre 2000, frutto dell’intensa collaborazione con Renzo Piano. Intitolato Nuovo modello di ospedale, il progetto descrive un prototipo da approfondire e da applicare a contesti specifici. Si fissavano i requisiti minimi di uno standard molto elevato, usando il paziente e (per la prima volta) non più il medico e l’amministratore come perno attorno cui far ruotare tutta l’attività.
Dal 1° luglio 2001, conclusa l’esperienza di ministro, Veronesi riprese il suo incarico di direttore scientifico all’IEO di Milano. L’anima politica di Veronesi rimase impegnata nell’attività del Senato e le sue battaglie sociali furono sempre in primo piano. Fondamentale quella sul diritto all’autodeterminazione spinto fino alle estreme conseguenze. Ben conoscendo le sofferenze indicibili alle quali certe malattie possono portare un individuo, si fece promotore attivissimo del testamento biologico, una dichiarazione di volontà stilata in condizioni di benessere contro l’accanimento terapeutico. Cercò in tutti i modi di sensibilizzare il Parlamento al tema del ‘fine vita’ e alle tematiche etiche che lo caratterizzano. Contrario all’eutanasia scelta dai Paesi Bassi, guardava con interesse all’opzione svizzera del suicidio assistito, massima espressione dell’autodeterminazione.
Nel 2003, convinto della sempre maggiore necessità di diffondere la cultura scientifica, creò la Fondazione Umberto Veronesi per il progresso della scienza. La Fondazione, sotto la sua guida e successivamente presieduta dal figlio Paolo, anche lui chirurgo senologo, crebbe in pochi anni grazie al sostegno della società civile, divenendo un punto di riferimento nel panorama scientifico italiano, finanziando ogni anno centinaia di borse di studio per giovani ricercatori, non solo in campo oncologico ma anche cardiologico e delle neuroscienze, organizzando importanti convegni sul futuro della scienza. Stimolata dal fondatore, caratteristica peculiare della Fondazione è però quella di affrontare grandi temi etici, dal testamento biologico, rimasto obiettivo costante della sua azione, a un movimento che metta la scienza al servizio della pace nel mondo. La conferenza Science for peace organizzata dalla sua Fondazione insieme a venti premi Nobel rappresentò, ancora una volta, una lotta contro il più grande dei dolori, la guerra. Veronesi si impegnò in un’azione molto efficace di comunicazione contro le spese militari, sostenuto fortemente dalla parlamentare radicale Emma Bonino.
La volontà di conservare, proteggere, salvaguardare e prendersi cura è stata sempre presente in ogni progetto. Il nemico principale, il cancro, era diventato sempre più un ‘male curabile’ e questa constatazione ha permesso la nascita di nuove speranze intorno a problemi non solo scientifici, ma anche civili.
Il King Faisal international prize award, ricevuto nel 2003 in Arabia Saudita, dimostrò che il mondo di Veronesi non era divisibile in occidentale e orientale e fino all’ultimo lo portò a lavorare per il dialogo Est-Ovest, fino al punto di fondare un’ennesima organizzazione che chiamò Eurama, volta a promuovere lo scambio di conoscenze sul tumore al seno fra Europa e Asia.
Meno fortunata fu la sua battaglia in difesa dell’energia nucleare. Fin dagli anni Novanta si era posto il problema del costo sanitario della produzione di energia ed era giunto alla conclusione, assieme ai principali esperti del momento, che le centrali nucleari fossero di gran lunga meno inquinanti e meno dannose per l’ambiente di quelle a carbone o a petrolio. La sua quindi non fu mai una presa di posizione a favore del nucleare tout court, ma una difesa del suo minor impatto ambientale. Il tragico incidente di Černobyl′ (1986) fece crescere in tutto il mondo una forte ostilità verso le centrali nucleari e quello di Fukushima (2011) diede a questa opzione energetica il colpo di grazia.
Morì l’8 novembre 2016, alla soglia dei novantuno anni, nella sua casa di Milano, circondato dalla moglie Sultana e dai suoi sette figli: Pietro, Paolo, Giulia, Alberto, Marco, Silvia e Francesco.
Opere. Molti i saggi scientifici scritti da Veronesi con altri studiosi, come Inefficacy of immediate node dissection in stage I melanoma of the limbs, in New England Journal of medicine, 1977, vol. 297, pp. 627-630; Comparing radical mastectomy with quadrantectomy, axillary dissection, and radiotherapy in patients with small cancers of the breast, ibid., 1981, vol. 305, pp. 6-11; Radiotherapy after breast-preserving surgery in women with localized cancer of the breast, ibid., 1993, vol. 328, pp. 1587-1591; Sentinel-node biopsy to avoid axillary dissection in breast cancer with clinically negative lymph-nodes, in Lancet, 1997, vol. 349, pp. 1864-1867; Twenty-year follow up of a randomized study comparing breast-conserving surgery with radical mastectomy for early breast cancer, in New England Journal of medicine, 2002, vol. 347, pp. 1227-1271; Italian randomized trial among women with hysterectomy: tamoxifen and hormone-dependent breast cancer in high-risk women, in Journal of National Cancer Institute, 2003, vol. 95, pp. 160-165. Si vedano inoltre: Un male curabile, Milano 1986; Colloqui con un medico. Giovanni Maria Pace parla con U. V, Milano 1991; Da bambino avevo un sogno. Tra ricerca e cura, la mia lotta al tumore, Milano 2002; Il diritto di morire, Milano 2005; Le donne vogliono sapere, Milano 2006 (con M. Pappagallo); L’uomo con il camice bianco, Milano 2009 (con A. Costa); Fede, scienza e futuro dell’uomo, Firenze 2010; Il diritto di non soffrire, Milano 2011; Il primo giorno senza cancro, Milano 2012; Il mestiere di uomo, Torino 2014; Confessioni di un anticonformista, Milano 2015; L’eredità di Eva, Milano 2015 (con M. Pappagallo); Senza paura, Milano 2015 (con G. Gravettoni); Il diritto di essere umani, Milano 2018.
Fonti e Bibl.: Informazioni dell’autore e fornite da Jacopo Costa Buranelli e Paolo Veronesi.