RICCI, Umberto
RICCI, Umberto. – Nacque a Chieti il 20 febbraio 1879 da Cesario, funzionario pubblico, e da Filomena Zulli, proprietaria.
Nel luglio del 1896 conseguì brillantemente e precocemente il diploma all’istituto tecnico-commerciale Ferdinando Galiani di Chieti. Trovò quindi impiego presso il ministero dell’Agricoltura, dove dal 1907 al 1910 lavorò con Ghino Valenti nell’ufficio statistico, e passò poi all’Istituto internazionale di agricoltura, operante a Roma dal 1908. Da autodidatta, ma avendo già pubblicato sin dal 1904 saggi scientifici sul Giornale degli economisti, meritò dalla Scuola superiore di commercio di Venezia (antesignana dell’Università Ca’ Foscari) l’abilitazione all’insegnamento accademico dell’economia politica, della scienza delle finanze e della statistica. Nel 1912-14 tenne così la cattedra di economia politica e l’incarico di statistica nell’Università di Macerata. Vinto poi il concorso per professore straordinario di statistica nell’Università di Cagliari, insegnò questa materia a Parma (1915-18) e a Pisa (1919-21), quindi economia a Bologna (1922-24). Nel 1924 succedette a Maffeo Pantaleoni nella cattedra di economia all’Università di Roma, dove lo vollero Antonio de Viti de Marco e Antonio Salandra, preside di giurisprudenza.
Fu membro attivo del Partito liberale e collaborò a La Voce, L’Unità, La Rivoluzione liberale; personalità di forte temperamento, animò il gruppo «nazionale-liberale», ala di destra del partito. Devoto alla monarchia, interventista, avversario di Piero Gobetti non meno che di socialisti, popolari e massoni, critico del giolittismo, come altri del suo partito credette che quello di Mussolini, voluto dal re nel 1922, fosse un governo «fascista-liberale». Fu stretto collaboratore di Alberto de Stefani, ministro delle Finanze di quel governo fino al luglio 1925. De Stefani lo ebbe come consigliere nell’impegno di risanamento della finanza pubblica, nella lotta all’inflazione, nel rilancio dell’economia. La svolta di Ricci contro il fascismo, divenuto regime palesemente illiberale dopo il discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925, si unì al distacco da de Stefani, che non si era dimesso prima di venire rimosso e non aveva rotto con il fascismo. La scelta dell’opposizione al regime fu netta ed esplicita. La pagò con la perdita della cattedra quando nel marzo del 1928 pubblicò sulla rivista di Ugo Spirito Nuovi studi di diritto, economia e politica il breve articolo La scienza e la vita (pp. 220-225) nel quale, dopo aver difeso dai rilievi di Spirito la teoria economica pura precedente Pareto, rivolse critiche taglienti alla politica economica del fascismo.
I suoi contributi di ricerca hanno principalmente riguardato la teoria della domanda, del capitale, del risparmio; la scienza delle finanze; la statistica applicata; i problemi dell’economia italiana. Si occupò anche di moneta, crisi economiche, sindacalismo, assicurazione e di questioni di metodo con l’amico Giovanni Vailati, matematico e filosofo neopositivista.
Venne «dispensato» dal servizio per essersi posto «nella sua veste di insegnante universitario in condizioni di incompatibilità con le generali direttive politiche del governo», infrangendo così, secondo il ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Belluzzo, l’articolo 5 della legge 9 giugno 1927 n. 1001.
Fu quindi scelto in una selezione internazionale per l’incarico di Science et legislation financières all’Università egiziana. Al Cairo insegnò dal 1929 fino all’entrata in guerra dell’Italia contro l’Inghilterra nel 1940, interessandosi dei problemi dell’economia egiziana; fu anche consigliere del governo dell’Egitto, che lo aveva accolto.
Nell’intero arco dell’attività scientifica i suoi scritti apparvero sulle maggiori riviste: il Giornale degli economisti, la Revue d’économie politique, lo Zeitschrift für Nationalökonomie, il Journal of political economy, The Review of economic studies, Econometrica. Ricevette prestigiosi riconoscimenti internazionali, fra i quali, nel 1933, la fellowship nella Econometric Society, presieduta da Irving Fisher, dopo che con François Jean Marie Divisia, Ragnar Frisch e Charles Frederich aveva condiviso l’intenzione di fondarla. Eletto socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei nel luglio del 1931, si dimise nel marzo del 1935 per non prestare il giuramento accademico imposto dallo Statuto (approvato con r.d. 11 ottobre 1934 n. 2309) e rimase così senza insegnamento. Nel settembre del 1942 ricevette la chiamata alla facoltà di economia dell’Università di Istanbul, dove tenne corsi fino all’ottobre 1945. Dopo l’aprile 1945 fu reintegrato nell’Accademia dei Lincei cosicché il ritorno alla cattedra che gli era stata tolta in Italia si configurò come una certezza, confermata dal ministro della Pubblica Istruzione del governo Bonomi, Vincenzo Arangio Ruiz. Già ammalato, le sue condizioni di salute precipitarono al Cairo durante il viaggio che doveva ricondurlo in patria. Morì nella capitale egiziana il 3 gennaio 1946, alla vigilia del giorno previsto per il ritorno in Italia.
Ricci fu convinto assertore della teoria neoclassica del valore, fondata su utilità e rarità quali determinanti dei prezzi dei beni. È da considerarsi come il più degno continuatore della scuola neoclassica italiana, illustrata da Pantaleoni, de Viti de Marco, Barone, Pareto. Le sue preferenze andarono a quest’ultimo e a Léon Walras per il livello della massima astrazione, ad Alfred Marshall per i livelli applicato e didattico. Nei lavori teorici preferì l’ipotesi dell’utilità cardinale a quella dell’utilità ordinale. Buon matematico, facendo ampio ricorso alle «trasformate» di Walras (che per ciascun bene indicano l’utilità marginale del numerario speso per quel bene), sin dal 1904 si dedicò a sottili questioni come le curve crescenti di utilità marginale e di domanda, l’utilità marginale della moneta-reddito, i beni sostituti o rivali, la rendita («monetaria, reale, utilitaria») del consumatore, l’elasticità della domanda e dell’utilità, la stima delle funzioni di domanda. Le indagini in questo campo sono poi andate oltre, avvalendosi di matematiche più potenti applicate all’ipotesi dell’utilità ordinale, ma quando Ricci effettuò i suoi studi erano all’avanguardia. Ancor oggi «sembrano condurre alla saggezza più che le asettiche verità formali dell’analisi moderna», merito di una personalità «che sapeva coniugare lo spirito della ricerca astratta con l’attenzione ai fatti concreti» (Montesano, 2004, p. 113).
Particolarmente importanti, e tuttora attuali, furono i suoi studi sulla teoria dell’interesse, del capitale e del risparmio, temi centrali, fra i più complessi e controversi dell’analisi economica. Il fine ultimo di Ricci era di contribuire alla spiegazione del tasso d’interesse secondo l’impostazione di Irving Fisher (1907), che lo legava a risparmio-investimento, alla «impatience to spend income» e alla «opportunity to invest it» (The theory of interest, New York 1930). Ricci nel 1926 mosse da un’approfondita disamina e da una sua precisa definizione dei concetti di capitale (fisico), reddito (prodotto), astinenza dal consumare e concentrò il suo più originale impegno analitico sulle determinanti del risparmio: «Un uomo ha bisogno nel presente di un solo bene economico […] e prevede che il bisogno ritornerà in futuro con i medesimi gradi di utilità […]; qualora la quantità del bene presente superi la quantità del bene futuro, conviene all’individuo di trasformare una parte del bene presente in bene futuro» fino a «quando l’utilità finale del bene presente e quella del bene futuro saranno uguali» (Saggi sul risparmio, 1999, p. 43). Formalizzò rigorosamente il suo «fino a quando» in un modello matematico di allocazione del consumo su due periodi – l’oggi e il domani – che vede l’individuo equilibrare la spesa nel tempo. La teoria di Ricci anticipò sia la sistemazione da parte di Fisher – nel 1930 – della sua originaria idea del 1907, sia le moderne versioni del ciclo di vita di Franco Modigliani (1954) – consapevole che in Ricci c’era tutta l’ossatura logica della teoria da lui arricchita ed econometricamente verificata – e del reddito permanente di Milton Friedman (1957), che per questi contributi meritarono il premio Nobel.
Nella scienza delle finanze, in un’ininterrotta polemica con Luigi Einaudi, Ricci collegò alle sue tesi sul reddito e sul risparmio la critica all’imposta unica einaudiana sul reddito consumato e la convinzione che il risparmio vada tassato, perché parte del reddito, secondo il principio ricchezza nuova, nuova imposta. La proposta di Einaudi aveva inoltre, secondo Ricci, due fondamentali controindicazioni pratiche: «1°. L’umanità sarebbe trasformata in un alveare di accumulatori, ciò che è discutibile come ideale», «2°. Ucciderebbe la finanza dello Stato: se nessuno consuma, l’imposta sui consumi non dà entrate» (Reddito e imposta, 1914, pp. 53 e 77).
Ricci guidò l’ufficio statistica generale dell’Istituto nazionale di agricoltura dal 1910 al 1914 e poi dal 1919 al 1922. La missione dell’Istituto era di contrastare le pratiche non concorrenziali e di sconfiggere la speculazione attraverso un’informazione statistica veritiera su quei mercati. Merito di Ricci nella statistica, sia metodologica sia applicata su scala mondiale, fu di unire all’affinamento delle tradizionali rilevazioni delle superfici coltivabili valori e indici delle produzioni e dei rendimenti, delle scorte, delle importazioni ed esportazioni, segnatamente dei cereali, i cui prezzi erano specialmente esposti a fluttuazioni di origine speculativa basata sulla manipolazione delle informazioni.
Per Ricci il prevalere della concorrenza era condizione non solo di efficienza ma di equità, contro profitti monopolistici e privilegi. Le posizioni di rendita trovavano spesso sostegno nella burocrazia e nei governi miopi o collusi con interessi di parte. Tra il 1919 e il 1921, in articoli e monografie documentati e polemicamente sferzanti, attaccò il ministero Nitti, le protezioni tariffarie e non tariffarie dei siderurgici, la politica annonaria, il mito dell’indipendenza economica della nazione. La sua critica del 1928 alle politiche del fascismo-regime ha avuto ampie conferme nella più avvertita storiografia economica.
La dimensione strettamente analitica della riflessione di Ricci appare arricchita da vasta cultura storica e da eccezionali capacità espositive. Formatosi su Galiani e sui classici, criticamente attento agli sviluppi più recenti della disciplina (Joseph Schumpeter, Frisch, il Keynes del Treatise on money, sino alla giovane Joan Robinson), i suoi approfondimenti teorici mossero sempre dai contributi degli economisti che in tempi anche lontani si erano occupati del medesimo problema. La sua teoria del risparmio richiama quella dell’astinenza di Nassau Senior e gli apporti di vario segno di Emilio Nazzani, John Elliot Cairnes, William Stanley Jevons, Alfred Marshall, Eugen von Böhm-Bawerk e naturalmente Fisher. Nell’intento di contribuire alla sistematica ricostruzione – che tanto auspicò – della storia del pensiero economico italiano dedicò studi specifici a Camillo Benso di Cavour, Pantaleoni e Vilfredo Pareto.
Ogni sua pagina brilla per la qualità della scrittura, nella ricca varietà dei toni: da quello alto ma teso a persuadere dei saggi accademici, a quello divulgativo dei discorsi e dei brani giornalistici, a quello caustico, al vetriolo, degli interventi contro gli avversari. Nella valutazione dei critici della lingua le sue sono anche «opere letterarie» (Giuseppe Prezzolini), o di «alta letteratura» (Tullio De Mauro), o di pungente «polemica ironica» (Cesare Cases).
Opere. Il capitale, Milano 1910; Reddito e imposta, Roma 1914; Il fallimento della politica annonaria, Firenze 1921; Protezionisti e liberalisti italiani, Bari 1921; Eléments d’économie politique pure. Théorie de la valeur, Milano 1951 (contiene una bibliografia completa dei suoi scritti e le biografie di Ricci redatte da Luigi Einaudi e Costantino Bresciani Turroni); Saggi sul risparmio, Lanciano 1999.
Fonti e Bibl.: V. Dominedò, U. R., economista, in Economia internazionale, 1961, pp. 1-20; Scrittori italiani di economia, a cura di R. Bocciarelli - P. Ciocca, Roma-Bari 1994 (contiene anche i saggi di C. Cases e T. De Mauro sulla scrittura di Ricci), passim; G. Busino - P. Ciocca, Mercato contro fascismo, in il Sole 24 Ore, 28 luglio 1996; L. Guiso, Prefazione a U. Ricci, Saggi sul risparmio, Lanciano 1999, pp. 9-21; O. Nuccio, U. R.: ricordo di un grande economista liberale, in Rivista italiana di demografia e statistica, 1999, vol. 53, pp. 47-62; A. Montesano, U. R., l’utilità marginale e la teoria della domanda, in U. R. (1879-1946). Economista militante e uomo combattivo, a cura di P. Bini - A.M. Fusco, Firenze 2004 (che raccoglie anche scritti di P. Bini, L. Bruni, D. da Empoli, D. Fausto, G. Forges Davanzati, A.M. Fusco, R. Realfonzo, G. Tusset), ad indicem.