NORDIO, Umberto
– Nacque il 7 marzo 1891 a Trieste, allora nell’Impero austro-ungarico, figlio dell’architetto Federico, detto Enrico, e di Luisa Tacchi, nativa di Bolzano. Venne battezzato con i nomi di Umberto Federico Giovanni il 10 maggio, nella chiesa di S. Antonio Taumaturgo. Terzo di cinque figli maschi, ai quali va aggiunta la primogenita Mercedes deceduta in tenera età, avocò a sé il destino di ‘costruttore’, tramandato al padre dal nonno Domenico.
Dal 1901 al 1910 fu allievo del ginnasio comunale di lingua italiana Dante Alighieri, «focolare della spiritualità triestina, da cui uscivano i migliori, gli illustri, coloro che, di generazione in generazione, si passavano di mano i valori e le aspirazioni della città», come ricorda il coetaneo Giani Stuparich (Cuore adolescente, Roma 1984, p. 36). Nel 1910, in accordo con il padre, decise di apprendere quanto di teorico e scientifico non poteva derivargli dalla frequentazione dello studio di Enrico, iscrivendosi ai corsi preparatorio e applicativo (dal 1913) di architettura del Regio Istituto tecnico superiore di Milano (odierno Politecnico). L’iscrizione all’Istituto gli permise di arruolarsi volontario nell’esercito italiano nel maggio 1915, mentre la presenza al fronte lo esonerò dalle lezioni.
Acceso irredentista e disertore per le autorità austriache, dopo l’entrata in guerra dell’Italia, adottò il nome di Umberto Simonini; nel giugno 1915 frequentò il corso per aspiranti allievi ufficiali sul monte Civillina e, nel gennaio 1916, entrò nei ranghi di un reggimento d’artiglieria e successivamente nel corpo dei bombardieri. Partecipò alle campagne in Trentino, fu poi sul Carso, sul monte Grappa e sulla linea del Piave, fino alla battaglia di Vittorio Veneto. Per l’adesione alla causa nazionale gli vennero conferiti il grado di tenente, il distintivo per le ‘fatiche di guerra’ e, nel 1918, la Croce al merito.
Il 22 dicembre 1919 conseguì il titolo di dottore in architettura, al cospetto di Giuseppe Colombo, presidente dell’Istituto, e dei professori Gaetano Moretti, Piero Portaluppi, Giuseppe Fei, Ruggero Cortelletti e Antonio Citterio. A Milano entrò in contatto con Giò Ponti, laureatosi nello stesso 1919, e Giovanni Muzio, che, però, aveva conseguito il titolo già nel 1915. Ultimati gli studi, nel 1920 si dichiarò libero professionista, continuando a collaborare nello studio del padre, dal linguaggio del quale prese presto le distanze, pur raccogliendone concretamente l’eredità lavorativa nel 1923.
La cura nei confronti della fase disegnativa del progetto architettonico si tradusse, infatti, da culto finissimo per il dato ornamentale di matrice accademica ad attenzione artigianale per i dettagli e i materiali. Inoltre, se Enrico lasciò la propria traccia in varie località, Umberto si impose quale interprete della triestinità nei suoi vari risvolti, realizzando poche opere al di fuori della città, dell’immagine moderna della quale fondò e praticò la forma unitaria ed eterogenea, nonostante la presenza di altri nomi di rilievo, tra tutti quello di Arduino Berlam. Dimostrazione di tale orientamento alla continuità nella distinguibilità, sono i progetti ereditati, eseguiti in collaborazione o in paesaggi urbani complessi: in essi il confronto con l’operato altrui non fu mero dovere professionale, bensì aderenza alle ragioni della personalità dell’opera e del suo contesto.
Lo studio dell’atrio del palazzo dell’Istituto nazionale infortuni sul lavoro (1924), primo progetto firmato, rappresentò un farsi carico della conclusione dell’opera paterna, nonché l’introduzione delle sue riflessioni su di essa. Succeduto a Enrico ma nel pieno rispetto delle intenzioni di questi, lavorò poi al compimento del monumentale palazzo di Giustizia, disegnando un portone in ferro battuto (1926), prova della cura per il dettaglio peculiare del suo ‘mestiere’. Impersonò, infatti, la figura dell’architetto integrale, capace di tenere unite le ragioni dello spazio civico, quelle della dimensione abitativa e dei bisogni, pure estetici, degli uomini che la vivono, e quelle dell’architettura e delle sue necessità formali e stilistiche. Tale concezione dell’arte del costruire lo esortò alla dedizione completa nei confronti dell’organismo progettato tanto da idearne ogni particolare, dal lampadario al disegno del pavimento. Ciò accadde, per esempio, nella stazione marittima (1926-30), progettata in collaborazione con l’architetto Giacomo Zammattio, già sodale di Enrico e morto nel 1927.
Coinvolto, dalla fine degli anni Venti, insieme al romano Mario De Renzi e al concittadino Raffaello Battigelli nelle decisioni per la sistemazione del foro Ulpiano (quartiere Oberdan), sostenne la causa di una progettazione unitaria benché eterogenea nei singoli apporti, elaborando un piano basato sulla continuità del porticato che avrebbe dovuto unire, pure simbolicamente, il blocco della casa del Combattente e del sacrario di Oberdan (1929-34) con la casa del Balilla, di cui iniziò la progettazione nel 1932. Lo sfondo del palazzo di Giustizia gli suggerì di far risaltare la prospettiva viaria attraverso la costruzione di un porticato architravato su entrambi i lati (realizzato solo sul lato del liceo Alighieri di Vittorio Privileggi). La messa a punto di una visione urbanistica non priva di accenti metafisici non trovò però la realizzazione sperata, a causa del problematico incarico della casa del Balilla, la cui destinazione mutò presto in casa della GIL (Gioventù italiana del littorio; 1938-43), quindi in palazzo del Lavoro (1946-48); il parziale compimento di questo isolato lo sollecitò a proporre, ancora nel 1950, il progetto di un auditorium e di una casa a torre, non realizzati, per completare l’insieme. Alla casa RAS (Riunione adriatica di sicurtà; 1934-36) spettava di completare il prospetto scenografico di piazza Oberdan (in questi anni sottoposta a spogli e modifiche che ne deturpano l’eleganza del dettato e ne alterano la funzione urbana).
La poetica del funzionalismo borghese di Nordio non si manifestò soltanto nella scelta dei materiali – utilizzati anche per rivestimenti decorativi, al contempo modesti e raffinati, ed esplicitazione se non di un ‘ritorno’, di una continuità del ‘mestiere’ – ma anche negli inviti a collaborare estesi ad artisti, tra gli altri Achille Funi e Felicita Frai per le pitture murali e i mosaici dell’atrio di casa RAS, per la cui sommità Ugo Carà scolpì il Leone di S. Marco. Il coinvolgimento di artisti non triestini suscitò scontento e polemiche che provocarono gli interventi dei sindacati locali e nazionali, nelle persone rispettivamente del pittore Eligio Finazzer Flori e dell’architetto Enrico Del Debbio, tesi a stigmatizzare l’atteggiamento del progettista, accusato di affidare lavori di decorazione a pittori e scultori non iscritti al sindacato e talvolta privi della tessera del partito fascista. Tra i pittori che Nordio preferiva era il triestino Carlo Sbisà, autore di due suoi notevoli ritratti (L’architetto, 1930, e Il palombaro, 1931, conservati in collezioni private), a cui affidò le decorazioni parietali di edifici realizzati negli anni Trenta: dal salone d’onore del Museo del Risorgimento all’atrio di casa Zelco (1934), a quello della casa alta di Fiume (1939). Nordio, inoltre, in qualità di membro della commissione edilizia comunale (1928-50), procurò a Sbisà la riesecuzione delle pitture del frenocomio, così come gli fece ottenere la realizzazione degli affreschi della galleria Protti, nel complesso progettato da Marcello Piacentini.
Collezionista d’arte, dal 1929 fino al 1962 fu membro del Curatorio del Museo Revoltella, per il quale, nel 1936, studiò insieme a Berlam l’allestimento di nuove sale espositive, poi sostituito alla fine degli anni Sessanta dall’intervento scarpiano.
Negli anni Trenta ottenne i primi riconoscimenti ufficiali: cavaliere della Corona d’Italia (1933), cavaliere dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro (1935), ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia (1936).
In quel periodo si occupava dell’aspetto urbanistico della Trieste fascista grazie a incarichi simbolicamente e geograficamente centrali e nel 1934 partecipò anche al concorso per il romano palazzo Littorio, in gruppo con l’architetto Aldo Cervi, lo scultore Marcello Mascherini e il pittore Augusto Cernigoi, i quali tuttavia furono obbligati a dichiarare la loro estraneità al progetto, perché non regolarmente iscritti al sindacato.
Anche questo elaborato (appoggiato da Filippo Tommaso Marinetti, segnalato da Edoardo Persico ma escluso dalla gara di secondo grado) dimostrava la sensibilità per il contesto percettivo dell’insieme, pur a scapito dell’imponenza magniloquente, attraverso la proposta di un complesso asimmetrico e funzionale che si svelava gradualmente.
Nel 1938 fu incaricato di progettare con Raffaello Fagnoni, allievo fiorentino di Piacentini, il monumento architettonico che avrebbe dovuto rappresentare l’affermazione della cultura italiana al confine orientale: la nuova sede dell’Università di Trieste. Il progetto, come altri, si sarebbe protratto a lungo per cause politiche e belliche: l’immagine dell’‘altare della civiltà’ era pressoché conclusa nel 1943, con i mosaici pavimentali di Carà e il rilievo della testata dell’avancorpo di destra di Mario Moschi; alla ripresa dei lavori nel 1947 per volontà del Governo militare angloamericano del Territorio libero di Trieste, Nordio si concentrò sugli interni, ordinando la sistemazione nell’aula magna (1950) di un calco del rosone ideato da Mascherini per la motonave Conte Biancamano e di un drappo disegnato nel 1940 da Anita Pittoni.
Altra opera che lo impegnò sia durante il Ventennio sia nel dopoguerra fu la chiesa dell’Immacolato Cuore di Maria, cui si applicò dal gennaio 1939 e per la quale disegnò una serie di varianti accomunate dal perdurante slancio verticale della torre campanaria, compiuta soltanto dopo il 1968, e dal tradizionalismo formale nel rispetto della struttura della basilica delle origini, quasi un voler estraniarsi dal coevo dibattito sull’arte sacra.
Il mantenimento nel dopoguerra di commissioni nate durante il fascismo non derivò tanto dal primato acquisito a Trieste, quanto dal rapporto con le istituzioni: un rapporto onesto di zelo professionale, non cinico, né ipocrita, volto unicamente alla buona riuscita dell’opera architettonica. Ciò trova conferma in una lettera a Silvio Benco scritta pochi giorni dopo la caduta del regime, nella quale emerge lo sconcerto di un uomo disgustato dai voltafaccia e dalla negazione di responsabilità. Il suo fu un «orientamento solido e cauto, deciso e prudente ad un tempo: effetto di un procedere per convinzioni e non per paura di essere superato da altri più azzardati» (Pagano, 1935, p. 16).
Sportivo, amante della musica e della vita di società, civile e non mondana, prese parte a numerose associazioni. Dai gruppi escursionistici al Rotary Club, dalla Società dei concerti a quella filarmonico-drammatica, dal Circolo fotografico triestino a quello della cultura e delle arti, coltivò i suoi molti interessi con la stessa serietà con la quale quotidianamente si dedicava alla professione. Testimonianza di ciò fu la competenza acquisita su argomenti musicali, che lo accomunò, insieme alla passione per i viaggi, alla moglie Lidia Piani, figlia dell’ingegnere Isidoro, diplomata in pianofortee sposata nel 1933. Nel loro appartamento di via Cicerone ebbero luogo per anni le prove musicali del Trio di Trieste.
Dalla fine degli anni Quaranta contribuì, con il gruppo costituito da Aldo Cervi, Vittorio Frandoli e Romano Boico, alla fortuna dell’attività progettuale tradizionale della Trieste novecentesca, l’arredamento navale. La fiducia in questa produzione lo indusse a far parte della delegazione che nel 1953 sollecitò al governo alleato la fondazione di una scuola per la formazione di maestranze specializzate. Due anni dopo si aprì l’Istituto statale d’arte per l’arredamento e la decorazione della nave e degli interni, del cui consiglio d’amministrazione fu presidente fino alla morte quando, al nome del padre Enrico, l’intitolazione della scuola aggiunse il suo (1973). Professore incaricato di architettura tecnica e di architettura e composizione architettonica presso la facoltà di ingegneria dell’Università di Trieste dal 1947 al 1961, fu presidente del consiglio dell’Ordine degli architetti di Trieste dal 1950 al 1955.
Insignito di altri titoli – cavaliere ufficiale (1955) e commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica (1962), cavaliere dell’Ordine di Vittorio Veneto (1969) – ricevette altresì la medaglia d’oro di prima classe dei benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte (1964). Fu membro del Consiglio nazionale degli architetti (1956-67), dell’Istituto nazionale di urbanistica, della Commissione diocesana d’arte sacra di Trieste e del Cenacolo triestino. Nel 1947 divenne accademico nazionale di S. Luca, nel 1966 dell’Ateneo veneto.
Morì il 28 ottobre 1971 a Trieste, dove fu sepolto nel cimitero Maggiore di S. Anna.
Opere (ove non specificato, il luogo è Trieste): palazzo per uffici, via dei Gelsi-via della Ginnastica, 1925-26 (non realizzato); complesso a corte di case popolari, piazza dei Foraggi, 1926; restauro della sala del Ridotto, teatro Verdi (con G. Zammattio), 1926; complesso immobili d’abitazione INCIS, viale Miramare, 1926-29; garage SEA, 1927; cinema Garibaldi, 1929; case d’abitazione, via Fabio Severo, 1930; mobili per lo studio-salotto del dott. Prister, 1930; stadio comunale, 1932-34 (non finito); fabbrica di vernici navali Costantino Damiani, 1933; cippo commemorativo, monte S. Michele, 1934; oggetti in lacca, XIX Biennale di Venezia, sezione arte decorativa, 1934; cinema Impero, 1934-35; stazione autocorriere, 1934-35; casa materna Maria Cristina di Savoia-Aosta, 1935; villa Metzger, 1936; casa alta Opiglia-Cernitz (con O. Sturli), 1936; concorso nazionale del Regio istituto tecnico commerciale mercantile e per geometri, Gorizia, 1936-37; teatro Nuovo (con R. Battigelli), 1936-46; casa d’abitazione, via Beccaria, 1937; restauro del politeama Rossetti, 1937; concorso per il palazzo per la Mostra della civiltà italiana, Roma, 1937; concorso per il palazzo delle Acque e della luce, Roma, 1938; atrio e scalone del Banco di Napoli, 1938; concorso per l’ospedale della Marina, 1938; albergo Carmen, Brioni, 1938-40; due case d’abitazione e un immobile per uffici, Zara, 1938-40; monumento commemorativo, Mai-Ceu (Etiopia), 1939; villa Kozmann, 1939-42; edificio amministrazione SAIVO, Firenze, 1939; edifici amministrativi e dei servizi degli ospedali Riuniti (con V. Frandoli e S. Cisilin), 1947-48; scuola Morpurgo, 1947-62; consulenza con R. Meng e M. Zocconi per il progetto dell’albergo di Barcola, 1949; arredamento dell’agenzia del Banco di Napoli, piazza Unità, 1949; progetto del quartiere Ente Fiera (1949), realizzata solo la palazzina dell’amministrazione con pensilina d’ingresso, 1950; cinema Ritz, 1950; arredamento negozio Galtrucco (con A. Cervi e G. Ulrich), 1953; casa di cura in via Guattani, Roma, 1954; casa dei professori, Università, 1955; chiesa dei Ss. Pietro e Paolo, 1955-71; ricostruzione e arredamento dell’aula della corte d’assise, palazzo di Giustizia, 1960; centro IRI per la formazione e l’addestramento professionale, 1961-63; liceo Petrarca (con A. Guacci), 1962-63; riforma e arredamento delle sale di rappresentanza e della foresteria del palazzo del Governo, 1962-63; coordinamento del quartiere INA-Casa a Chiadino in Monte, 1959-68; sede del Consiglio regionale (con A. Cervi), 1966; casa alta, via Gallina, 1967; scuola convitto per vigilatrici d’infanzia, ospedale infantile (con V. Frandoli), 1968-69; restauro politeama Rossetti, 1968-69. Monumenti funerari: cimitero israelitico: cappella Morpurgo de Nilma; cimitero comunale: tombe Sansone Venezian; Vittorio Venezian; famiglia Polli; famiglia Zephirlo-Morassi, famiglia Pollitzer. Arredamenti navali per moto e turbonavi (prevalentemente con A. Cervi, V. Frandoli, R. Boico): per la Società Italia: Conte Biancamano II (1949); Augustus (1950-51); Giulio Cesare; Leonardo da Vinci; Raffaello; per il Lloyd triestino: Australia; Neptunia; Africa; Asia; Galileo Galilei; Guglielmo Marconi; per la Home Line: Homeric; Oceanic; per la Arosa Line: Arosa Sun; per la Holland Amerika Lijn: Rotterdam.
Fonti e Bibl.: Trieste, Istituto statale d’arte, Fondo Enrico e Umberto Nordio; Ibid., complesso documentario tutelato Nordio - de Farolfi, Fondo Umberto Nordio; Venezia, IUAV, Archivio progetti, Fondo Enrico e Umberto Nordio; Milano, Politecnico, Archivi storici, fascicolo personale Umberto Nordio (sezione Segreteria, Titolo XIII Studenti, Laureati 1919); M. Malabotta, L’architettura a Trieste, in La casa bella, 1932, n. 60, pp. 22-25; G. Pagano, Architetti a Trieste, in Casabella, 1935, n. 88, pp. 16-23; Mostra celebrativa dell’architetto U. N. (catal.), Trieste 1972; Gli affreschi di Carlo Sbisà e la Trieste degli anni Trenta (catal.), a cura di C. Milic, Trieste 1980; G. Contessi, U. N. Architettura a Trieste 1926-1943, Milano 1981; M. Pozzetto, Annotazioni per una storia dell’architettura moderna a Trieste, in Parametro, 1984, n. 132, pp. 14-49; G. Contessi, U. N., in Friuli Venezia Giulia. Guida critica all’architettura contemporanea, a cura di S. Polano - L. Semerani, Venezia 1992, pp. 114-123; La città delle forme. Architettura e arti applicate a Trieste 1945-1957 (catal.), a cura di F. Caputo - M. Masau Dan, Trieste 2004; Trieste 1918-1954. Guida all’architettura, a cura di P. Nicoloso - F. Rovello, Trieste 2005.