AGNELLI, Umberto
Nacque a Losanna, in Svizzera, il 1° novembre 1934, ultimo dei sette figli di Edoardo e di Virginia Bourbon del Monte di San Faustino (dopo Clara, Giovanni, Susanna, Maria Sole, Cristiana e Giorgio). Non aveva ancora un anno quando rimase orfano del padre, morto in un incidente aereo, e undici quando perse la madre, vittima di un incidente automobilistico.
Dei fratelli Agnelli, fu quello che sentì meno l’autorità e l’influenza del nonno, Giovanni Agnelli (per tutti ‘il Senatore’), scomparso nel dicembre 1945, due settimane dopo la nuora. Compì i suoi studi a Torino, ma si laureò in giurisprudenza all’università di Catania, nel 1959; stesso anno nel quale sposò Antonella Bechi Piaggio – figlia adottiva di Enrico Piaggio, industriale aeronautico e motociclistico – dalla quale ebbe il figlio Giovanni Alberto (1964).
L’esordio nella vita pubblica avvenne per il tramite della squadra di calcio di famiglia, la Juventus, di cui assunse la presidenza giovanissimo, nel 1956, mantenendola sino al 1962. All’impegno nello sport si dedicò moltissimo, rafforzando la struttura direttiva della squadra e reclutando campioni come John Charles e Omar Sivori. Il successo della Juventus fu cospicuo: con la vittoria nei campionati del 1958, 1960 e 1961 poté fregiarsi, prima squadra italiana, della stella al merito sportivo per aver ottenuto 10 titoli nazionali. Fra il 1959 e il 1962 Agnelli fu anche presidente della FIGC (Federazione italiana giuoco calcio).
Nel mondo degli affari entrò invece nel 1960, come presidente e amministratore delegato della SAI (Società assicuratrice industriale), della quale si occupò per 16 anni contribuendo a trasformarla da piccola società di assicurazioni, sorta per le esigenze della FIAT, a gruppo fra i principali del suo settore in Italia.
Nel 1965 assunse la presidenza della Piaggio, che mantenne sino al 1988 passandola poi, quale naturale erede, al primogenito. Nello stesso anno divenne presidente della SIMCA (Société industrielle de mécanique et de carrosserie automobile), consociata francese della FIAT, su cui concentrò il suo impegno nella seconda metà degli anni Sessanta. Avviò infatti una totale riorganizzazione dell’assetto aziendale per divisioni di prodotto autonome (FIAT Automobiles, autocarri Unic, trattori agricoli e macchine movimento terra SOMECA [Société de Mécanique de la Seine], prodotti diversificati), assicurando alla FIAT una presenza di rilievo in Francia, paese che, per il gruppo italiano, rappresentava il secondo mercato.
Il lavoro a Parigi si rivelò propedeutico all’opera di riconfigurazione del sistema aziendale FIAT cui Agnelli si accinse a partire dal 1968, quando divenne il più stretto coadiutore del fratello Gianni, agendo come suo referente operativo in un progetto di radicale svecchiamento della struttura d’impresa. Umberto mirava allo smembramento dell’organizzazione piramidale ereditata dalla gestione di Vittorio Valletta, modellando un profilo di gruppo meno verticale e verticistico, strutturato per società operative dotate di autonomia gestionale e tali da consentire alla FIAT e ai suoi meccanismi decisionali quel margine di flessibilità indispensabile per meglio aderire alla conformazione dei mercati. Lo strumento escogitato per perseguire la modernizzazione aziendale della FIAT (del cui consiglio d’amministrazione faceva parte dal 1964) fu la costituzione del Gruppo affari internazionali che, sotto la sua responsabilità, doveva presiedere allo sviluppo e al coordinamento delle attività industriali e commerciali in tutto il mondo, definendo nuovi organigrammi e linee operative.
Nel gennaio 1970 fu nominato amministratore delegato della FIAT, affiancando, analogamente a quanto aveva fatto Gianni nel 1963, un dirigente di lungo corso quale Gaudenzio Bono, già principale collaboratore di Valletta e, in un certo senso, suo erede designato. Contestualmente fu varato il progetto di un nuovo assetto di vertice, con la divisione in quattro raggruppamenti principali (produzioni automobilistiche, produzione di veicoli industriali e di trattori, ricerca e progettazione, tecnologia e sviluppi), successivamente ridotte a tre – automobili, veicoli industriali e prodotti diversificati – con autonoma fisionomia societaria. Il cambiamento voluto da Gianni e Umberto Agnelli si scontrò presto con la resistenza ostinata di una parte consistente del management di estrazione vallettiana, avverso alle innovazioni e risoluto a contrastare la loro applicazione. Capofila di questa agguerrita opposizione interna fu l’ingegnere direttore generale della FIAT Niccolò Gioia determinato a succedere, per linea gerarchica diretta, a Bono. Umberto si trovò così a dover fronteggiare un’opposizione «palese ed autorevole […], tesa a difendere la propria supremazia e per nulla rassicurata dalla garanzia della prevista creazione di un organo centrale altamente qualificato chiamato ad assolvere la funzione fondamentale di coordinamento tecnologico e tecnico per le diverse aree operative» (Revelli-Beaumont, 1996, p. 162).
Il tentativo riformatore di Agnelli si scontrò altresì con la situazione delle relazioni industriali alla FIAT che, dopo l’autunno 1969, visse una situazione di continua tensione e di mobilitazione collettiva dei lavoratori. Nel ruolo di amministratore delegato non rinunciò a confrontarsi con i problemi della contrattazione collettiva e dell’alta conflittualità in fabbrica, ponendosi come punto di riferimento nel processo di cambiamento del management del personale, che cercò di rinnovare profondamente, e favorendo il dialogo con le rappresentanze dei lavoratori. Era convinto, del resto, che per rilanciare la FIAT fosse indispensabile ricreare un clima di collaborazione sociale.
Per questa ragione prese a interessarsi oltre che della sfera diretta delle relazioni industriali, delle politiche sociali dell’azienda, appoggiandosi a collaboratori quali Marcello Pacini e Paolo Volponi (proveniente dalla Olivetti). Sotto quest’impulso, la Fondazione Giovanni Agnelli, costituita nel 1966, in origine sulla falsariga delle grandi fondazioni americane come la Ford Foundation, si caratterizzò come un laboratorio di idee sullo specifico versante delle relazioni sindacali.
Nel 1974, intanto, finito il primo matrimonio, sposò in seconde nozze Allegra Caracciolo di Castagneto – cugina di Marella Caracciolo, moglie di Gianni Agnelli – che gli diede altri due figli, Andrea (1975) e Anna (1978).
In tale contesto nel 1976 maturò la decisione di partecipare in prima persona alla vita politica. In quell’anno alla FIAT era approdato come amministratore delegato Carlo De Benedetti e sembrava che le questioni di riassetto e di rilancio stessero per trovare una soluzione. Per di più, la crisi politica ed economica italiana sollecitava le élites imprenditoriali a un’assunzione pubblica di responsabilità. Mentre Gianni fu a lungo incerto circa la possibilità di candidarsi alle elezioni politiche di quell’anno nelle file del Partito repubblicano italiano, Umberto sciolse ogni riserva annunciando la candidatura nelle liste della Democrazia cristiana, lasciando perciò la carica di amministratore delegato.
La sua apparve subito come una scelta controversa, non soltanto perché sembrava in contrasto con l’inclinazione dei gruppi dirigenti dell’industria verso i partiti della democrazia laica, ma anche perché la DC torinese – di cui era leader influente l’ex sindacalista CISL e ministro del Lavoro dell’Autunno caldo Carlo Donat Cattin – non fu affatto propensa a lasciare ad Agnelli il collegio senatoriale di Pinerolo, in cui avrebbe desiderato essere eletto. Alla fine dovette ripiegare sull’ottavo collegio senatoriale di Roma dove, con quasi 50.000 suffragi, registrò una discreta affermazione, priva però di quella risonanza che il suo ruolo gli avrebbe assicurato a Torino.
L’incertezza del debutto politico fece intuire la precarietà che avrebbe caratterizzato la sua esperienza nelle istituzioni. Nei tre anni di una delle più brevi legislature della storia repubblicana (1976-79), fu membro della commissione Bilancio e Programmazione, ma senza potervi esercitare l’azione di orientamento che si era ripromesso. Con altre personalità di spicco dell’intelligencija di area cattolica fondò l’AREL (Agenzia di ricerche e legislazione), animata dall’economista Beniamino Andreatta, che si prefiggeva di introdurre un più elevato grado di competenza tecnica nel processo politico. Gli sforzi per concorrere alla formazione di una nuova classe dirigente, più versata nei problemi economici, non ebbero successo e così Agnelli decise di tornare alla FIAT per riprendervi le funzioni di amministratore delegato. Ma la drammaticità della crisi aziendale del 1980 e la durezza dello scontro con i sindacati, passaggio obbligato per arrivare a una sostanziale riduzione dei costi e dell’occupazione, convinsero tutta la famiglia Agnelli a ritirarsi dalle responsabilità operative e a delegare per intero la gestione della ristrutturazione al management guidato da Cesare Romiti. Umberto abbandonò definitivamente la sua carica, limitandosi a mantenere, fino al 1990, la posizione di presidente della FIAT Auto, la divisione automobilistica del Gruppo costituita nel 1979.
Riversò le sue energie nell’IFIL (Istituto finanziario italiano laniero), trasformando la più recente finanziaria di famiglia in una holding di partecipazioni, caratterizzata da attività con un ciclo economico diverso da quello del settore automobilistico e ampliando il suo portafoglio mediante una strategia di alleanze internazionali, potendo contare sulla capacità gestionale di Gianluigi Gabetti, proveniente dalla Olivetti Corporation of America, e voluto dal fratello Gianni al suo fianco agli inizi degli anni Settanta. Fra le prime e più rilevanti acquisizioni dell’IFIL figurarono la Toro assicurazioni, La Rinascente e la società di servizi finanziari MiTo. L’IFIL divenne il secondo azionista della BSN (Boussois-Souchon-Neuvesel)-Danone (1987), aggregando in un grande polo alimentare italiano aziende come la Agnesi, la Star, la Galbani e la Ferrarelle; nel contempo si alleò con gruppi come Worms e Saint Louis, entrando, inoltre, con Alpitour, nel comparto turistico e alberghiero.
Gianni Agnelli aveva stabilito che, al compimento del suo settantacinquesimo anno d’età (1996), Umberto gli sarebbe succeduto alla presidenza FIAT. Tuttavia, nel corso della grave crisi aziendale del 1993, il direttoredi Mediobanca Enrico Cuccia, dopo aver definito un piano di ricapitalizzazione e posto alcuni vincoli alla libertà d’azione della famiglia Agnelli, manifestò la sua contrarietà ad affidargli la massima carica della FIAT, rinnovando invece la propria fiducia a Romiti. Ciò costrinse Umberto a dismettere ogni responsabilità nel gruppo FIAT e a concentrare nelle sue mani i compiti operativi sia all’IFI (Istituto finanziario italiano), la più antica ‘cassaforte’ degli Agnelli fondata nel 1927, sia all’IFIL. Proseguì poi nella sua strategia di alleanze finanziarie tramite accordi con il gruppo Auchan per La Rinascente e con il gruppo Buzzi per la cessione dell’UNICEM (Unione cementerie Marchino ed Emiliane e di Augusta). Nel 1997 l’IFIL partecipò, sotto la sua guida, alle privatizzazioni dell’Istituto bancario San Paolo di Torino e della Telecom Italia, con l’acquisto di quote azionarie tali da consentirgli di indicare il nome del nuovo presidente di Telecom Italia in Gian Mario Rossignolo, un tempo suo stretto collaboratore. Le resistenze incontrate dallo stile di gestione molto personale e accentratore di Rossignolo condussero poi, rapidamente, all’uscita dell’IFIL dal capitale di Telecom, con la realizzazione però di una cospicua plusvalenza.
Nello stesso 1997 morì per una malattia incurabile il primogenito Giovanni Alberto, designato alla successione dello zio Gianni.
Dall’opinione pubblica Agnelli era visto come l’esponente della famiglia che avrebbe voluto distaccarla dal settore automobilistico per indirizzarla verso più profittevoli rami d’attività. Invece, paradossalmente toccò proprio a lui, scomparso Gianni, difenderne il lascito industriale, salvaguardando la continuità della FIAT Auto e facendosi carico del risanamento del gruppo. Subentrando a Paolo Fresco alla presidenza della FIAT il 28 febbraio 2003 – un mese dopo la morte del fratello – designò immediatamente come amministratore delegato Giuseppe Morchio, manager di provenienza Pirelli, affidandogli il compito di redigere un incisivo piano di risanamento dei conti aziendali. Per far fronte al gravissimo indebitamento, dovette sottoscrivere la dismissione di attività importanti come la FIAT Avio, la Toro assicurazioni e la Fidis.
La morte, che lo colse il 27 maggio 2004 nella sua abitazione del parco della Mandria, alle porte di Torino, gli impedì di seguire le tappe ulteriori del programma avviato.
Dopo la sua scomparsa, la famiglia Agnelli chiamò alla presidenza del gruppo FIAT Luca Cordero di Montezemolo, da anni presidente della Ferrari, e sostituì Morchio, che avrebbe voluto accentrare su di sé anche i compiti della presidenza, con il manager italo-canadese Sergio Marchionne nella carica di amministratore delegato. Le attività finanziarie facenti capo agli Agnelli furono affidate a Gabetti.
I documenti fondamentali per la ricostruzione della storia dell’azienda e del ruolo imprenditoriale della famiglia Agnelli possono essere rintracciati presso i fondi dell’Archivio Storico Fiat a Torino. In generale, si vedano A. Friedman, Tutto in famiglia, Milano 1988; A.S. Ori, Storia di una dinastia. Gli Agnelli e la FIAT, Roma 1996; V. Castronovo, FIAT 1899-1999, Un secolo di storia italiana, Milano 1999; G. Galli, Gli Agnelli. Il tramonto di una dinastia, Milano 1999; G. Turani, L’Avvocato 1966-2002. Dal potere alla crisi, Milano 2002; M. Ferrante, Casa Agnelli. Storie e personaggi dell’ultima dinastia italiana, Milano 2007. Per l’opera di riassetto organizzativo e strategico della FIAT è fondamentale la testimonianza di L. Revelli-Beaumont, Forse da raccontare, Genova 1996. Sulla divisionalizzazione della società e la nascita di FIAT Auto, G. Volpato, Il caso FIAT. Una strategia di riorganizzazione e di rilancio, Torino 1998. Sul lungo periodo della gestione di Romiti, C. Romiti, Questi anni alla FIAT, intervista di G. Pansa, Milano 1988. Sulla dinamica della conflittualità e sulla politica della direzione aziendale, G. Berta, Struttura d’impresa e conflitto industriale alla FIAT 1919-1979, Bologna 1998, pp. 139-205. Sull’IFIL e la privatizzazione della Telecom, E. Cisnetto, Il gioco dell’Opa, Milano 2000. Un’analisi della crisi aziendale FIAT del 2002-03 è in G. Berta, La Fiat dopo la Fiat. Storia di una crisi. 2000-2005, Milano 2006, mentre sui risvolti dinastici della crisi Fiat si veda J. Clark, Mondo Agnelli. Fiat, Chrysler, and the power of a dynasty, New York 2012.