Ultrastrutture biologiche
di Angelo Bairati
SOMMARIO: 1. Introduzione: a) definizione; b) cenni storici. □ 2. Le ultrastrutture elementari: a) strutture filamentose; b) strutture laminari; c) strutture isodiametriche (granulari). □ 3. Ultrastrutture della cellula, dei tessuti e degli organi: a) fine struttura della cellula; b) epiteli e ghiandole; c) tessuti connettivi; d) tessuti muscolari; e) tessuti e organi nervosi; f) endoteli e umori circolanti. □ 4. Considerazioni conclusive: a) ultrastrutture e morfologia generale; b) ultrastrutture e biologia generale: limiti dottrinali. □ Bibliografia.
1. Introduzione.
a) Definizione.
Il termine ‛ultrastruttura', introdotto verso il 1950, non corrispondeva inizialmente a una precisa definizione, ma all'intento di riunire sotto un'unica denominazione forme e organizzazioni non analizzabili dai microscopi ottici e di configurare così un campo morfologico intermedio fra quello delle strutture microscopiche e quello, allora in via di sviluppo, della biologia molecolare.
La mancanza di un inquadramento concettuale delle ultrastrutture ha creato all'inizio confusione fra queste e le strutture submicroscopiche, nonostante il nuovo termine si proponesse di ovviare agli inconvenienti causati da una delimitazione del campo morfologico operata in base a un rigido parametro, 0,2 μm, corrispondente al potere risolutivo teorico del microscopio ottico e fissato come limite fra il campo microscopico e quello submicroscopico.
Dal momento che è stato dimostrato che il potere risolutivo dei microscopi ottici previsto dall'ottica geometrica non è un limite per le informazioni ottenibili da tali apparecchi (v. Bairati e Petruccioli, 1970) e che le loro possibilità dipendono principalmente dalle diverse condizioni energetiche nelle quali essi lavorano (v. Ronchi, 1970), risulta necessario abbandonare il concetto di campo submicroscopico e definire che cosa si intenda per campo ultrastrutturale e per ultrastrutture.
La definizione può emergere dall'esame dei materiali considerati ‛ultrastrutture', dalle tecniche di studio usate e dai procedimenti interpretativi. I materiali oggetto degli studi ultrastrutturali sono classificabili in due categorie generali: a) organizzazioni delle macromolecole organiche in costruzioni elementari, dette ultrastrutture elementari, che formano un capitolo di morfologia ultrastrutturale generale; b) organizzazioni delle strutture elementari in costruzioni subcellulari o extracellulari, che formano il capitolo della fine struttura di cellule, tessuti e organi. Nell'una e nell'altra categoria le ultrastrutture comprendono sia formazioni non dimostrate dai microscopi ottici, sia organizzazioni, submicroscopiche o no, individuate ma non analizzate dai microscopi ottici.
Gli studi ultrastrutturali impiegano le diverse tecniche oggi in uso nella biologia generale, cioè morfologiche, biochimiche e biofisiche: essi, quindi, non essendo correlati esclusivamente ai metodi definiti morfologici per la loro caratteristica di fornire immagini, sono chiaramente interdisciplinari. Tale carattere interdisciplinare è anzi una necessità, perché la valutazione degli aspetti formali delle ultrastrutture, forniti tanto dai microscopi ottici quanto dal microscopio elettronico, richiede il possesso di conoscenze biochimiche e biofisiche. Basti ricordare in proposito che la lettura delle immagini elettroniche, dipendenti da differenze di contrasto naturali o create artificialmente dai mezzi tecnici, richiede la traduzione delle differenze di densità elettroniche in termini di forme: questa è resa possibile soltanto da precise cognizioni circa la natura dei componenti in esame, il loro stato fisico, la loro reattività, cognizioni fornite principalmente dalla biochimica e dalla biofisica.
La possibilità di interpretazione delle ultrastrutture è una diretta conseguenza dell'interdisciplinarità tecnica. Nell'indagine ultrastrutturale le forme non hanno un ruolo predominante come base interpretativa: le nostre conoscenze in questo campo derivano da un processo razionale di valutazione delle informazioni di diverso ordine e natura, per cui le immagini delle ultrastrutture sono il frutto di un processo di ricostruzione, sono cioè modelli la cui validità dipende dal numero e dalla bontà delle informazioni concordanti ottenute con le diverse tecniche.
I dati esposti possono quindi costituire la base per la seguente definizione: le ultrastrutture formano un campo di indagine morfologica sottostante quello microscopico e delimitato non in base a un limite rigido dell'ordine di grandezza, ma in base a livelli di informazione; sono quindi ‛ultrastrutture' forme e organizzazioni la cui conoscenza richiede informazioni che stanno al di là dei limiti dei microscopi ottici, sono fornite da diversi metodi di indagine e consentono una razionale ricostruzione di forme e di strutture. Nel termine, il prefisso ‛ultra' vuol dunque significare non ‛al di là di un ordine di grandezza', ma ‛al di là di un livello di informazione'.
Questo criterio viene utilizzato anche per delimitare le ultrastrutture rispetto agli oggetti di studio della biologia molecolare: anche in questo caso non si possono stabilire limiti dell'ordine di grandezza, perché molte macromolecole organiche sono di un ordine di grandezza superiore a quello delle ultrastrutture; per contro, le tecniche in uso negli studi ultrastrutturali sono insufficienti a fornire informazioni sulle forme, le modalità di unione, la dinamica delle macromolecole, tutti aspetti suscettibili di essere indagati mediante altre tecniche e secondo altri indirizzi dottrinali, propri della biologia molecolare.
b) Cenni storici.
La storia delle ‛ultrastrutture' appartiene tutta al nostro secolo, anzi tecniche e indirizzi di base del campo ultrastrutturale si configurano con completezza soltanto dopo il 1940.
Come sempre accade nella storia del pensiero scientifico, tuttavia, anche in questo campo gli indirizzi dottrinali affondano le loro radici in ricerche e idee appartenenti al patrimonio scientifico del secolo scorso. Prime tra esse le indagini polaroscopiche sulle sostanze organizzate, che, dimostrando in molti materiali organici l'esistenza di una birifrangenza intrinseca o della birifrangenza da corpo misto testurale, avevano consentito di formulare l'ipotesi che nei materiali organici birifrangenti esistessero molecole e organizzazioni molecolari che andavano considerate come elementi di struttura: praticamente veniva ammesso il principio che forme e strutture avessero come base organizzazioni di molecole.
All'inizio di questo secolo i risultati delle indagini biochimiche sui componenti molecolari delle sostanze organizzate e sulle soluzioni e dispersioni in acqua delle molecole proteiche avevano portato alla concezione dello stato colloidale della sostanza vivente, che pone nelle molecole o in particelle plurimolecolari e nei loro rapporti con l'acqua la base strutturale della sostanza vivente.
Una seconda e più decisa affermazione dell'esistenza di organizzazioni molecolari nelle sostanze organizzate si trova in Plasma und Zelle di M. Heidenhain (v., 1911): in seguito allo studio di strutture definite elementari, come per esempio i filamenti di natura proteica dei muscoli e dei connettivi irrisolvibili ai microscopi ottici, quest'autore postulò il principio che esse fossero costituite dalla sistemazione compatta di molecole e definì queste organizzazioni molecolari con il termine ‛metastrutture'.
Nel successivo ventennio si verificarono numerosi tentativi di precisazione e di approfondimento delle concezioni sopra riferite, mediante l'applicazione di nuove tecniche. Vanno ricordati: gli studi morfologici istochimici miranti all'identificazione e alla localizzazione nelle strutture microscopiche di molecole specifiche; gli studi biochimici e biofisici su natura, sede e stato fisico dei componenti molecolari, con le conseguenti indagini sulla validità della teoria dello stato colloidale; l'introduzione in biologia dei metodi della diffrattometria a raggi X che, dimostrando regolari microperiodismi in molti materiali delle sostanze organizzate, forniscono prove fondate dell'esistenza di ordinate disposizioni molecolari e sopramolecolari. Si è cosi progressivamente formato un nuovo patrimonio di conoscenze che, associato alle precedenti indagini polaroscopiche e di microscopia a luce diffratta, può essere utilizzato per configurare il campo submicroscopico delle scienze morfologiche.
Un ottimo prospetto delle conoscenze in questo campo si trova nell'opera di W. J. Schmidt (v., 1937) sulla birifrangenza delle strutture delle sostanze organizzate e in quella di A. Frey-Wyssling (v., 1938) sulla struttura submicroscopica del citoplasma e dei suoi derivati. Le due opere hanno caratteristiche differenti per temi e tecniche di indagine: la prima è limitata allo studio delle organizzazioni molecolari e submicroscopiche, ricostruite in base ai dati dell'esplorazione polaroscopica; la seconda, più ampia, è basata sulla valutazione dei diversi dati forniti dalle tecniche morfologiche, biofisiche e biochimiche che cercano di chiarire lo stato fisico e l'organizzazione molecolare del citoplasma.
In entrambe è però facile trovare nuovi indirizzi dottrinali che saranno poi sviluppati dagli studi ultrastrutturali. Per esempio, il Frey-Wyssling nelle sue conclusioni affermò che il fenomeno vitale, essendo un'attività altamente organizzata e regolata, deve avere una base strutturale, e che tale struttura, se non è dimostrabile con i mezzi ottici, deve essere postulata negli ordini di grandezza inferiori e controllata con tutte le tecniche idonee a fornire sufficienti informazioni. Seguendo questo indirizzo egli propose un modello di organizzazione macromolecolare del citoplasma che doveva risultare una delle ipotesi più stimolanti per lo sviluppo della moderna citologia, facendo cadere la concezione dello stato colloidale con particelle disperse casualmente mobili per moto browniano.
A breve distanza dalla pubblicazione delle opere citate si verificò un progresso tecnico essenziale per lo sviluppo degli studi ultrastrutturali: l'introduzione del microscopio elettronico nella ricerca biologica. In poco più di quindici anni, a partire dalla pubblicazione della prima opera compendiosa di M. V. Ardenne (v., 1940), grazie all'elaborazione e alla messa a punto delle nuove tecniche, la microscopia elettronica poté fornire un nuovo e vastissimo patrimonio di dati morfologici di importanza decisiva per la configurazione del campo ultrastrutturale. In una prima fase essa ha percorso tappe simili a quelle della microscopia ottica acquisendo una larga messe di dati descrittivi nel campo della fine struttura di cellule, tessuti e organi; ben presto, sfruttando al massimo le prestazioni degli apparecchi, è stato possibile condurre indagini sulle organizzazioni molecolari. Si sono così acquisiti nuovi reperti che hanno richiesto una più rigorosa valutazione e interpretazione delle immagini alla luce delle altre conoscenze, specialmente di biochimica e di biofisica, imponendo di conseguenza quegli indirizzi interdisciplinari tecnici e interpretativi che rappresentano una caratteristica degli attuali studi ultrastrutturali. Alla base di questa evoluzione v'è stato un complesso raffinamento delle tecniche; in particolare sono state messe a punto quelle per la separazione e la purificazione delle ultrastrutture, che rappresentano una fase necessaria per le ulteriori analisi del livello molecolare.
Questo sviluppo tecnico, raggiunto in massima parte intorno al 1960, ha consentito negli anni successivi di estendere l'applicazione delle metodologie ultrastrutturali a tutte le discipline biologiche che hanno addentellati morfologici: anatomia normale e patologica, biologia generale, fisiologia generale, genetica, zoologia, botanica, microbiologia. In breve il patrimonio così acquisito è diventato vastissimo e i risultati del nuovo tipo di indagini hanno modificato talora radicalmente interi capitoli delle diverse scienze biologiche. Inoltre, l'accostamento dei dati ultrastrutturali ai temi della biologia molecolare, in un armonico accordo di ricerche, ha consentito di delineare un quadro completo di informazioni morfologiche, che oggi si estendono senza lacune dal campo macroscopico a quello della morfologia molecolare.
2. Le ultrastrutture elementari.
Si definiscono ultrastrutture elementari le costruzioni sopramolecolari originate dal più o meno compatto e regolare accostamento di molecole simili o differenti. Per il loro generale aspetto morfologico esse vengono distinte in tre categorie: strutture anisodiametriche filamentose, caratterizzate dall'enorme prevalenza della lunghezza sulla larghezza e sullo spessore; strutture laminari, assai estese in superficie ma sottilissime; strutture granulari isodiametriche, di vario ordine di grandezza ma con parametri dimensionali similari.
Le strutture elementari formano il capitolo della morfologia generale delle ultrastrutture, perché sono assolutamente simili nella loro morfologia e costruzione in tutto il regno animale e vegetale. D'altronde, come è facilmente comprensibile, questo principio non è che l'estensione ai livelli sopramolecolari della concezione della similarità di struttura delle cellule animali e vegetali. In taluni campi l'esistenza di questa uniformità è stata confortata da approfonditi esami anatomo-comparativi: per esempio, per quanto riguarda le strutture filamentose questi studi hanno condotto alla teoria (v. Baccetti, 1972) che, quando nella scala filetica compare un certo modello molecolare, esso viene conservato praticamente immodificato in tutta l'evoluzione filetica fino all'uomo.
a) Strutture filamentose.
I più caratteristici esempi di queste strutture sono le fibrille elementari dimostrabili con la microscopia ottica: la fibrina, le fibrille collagene e quelle elastiche, le miofibrille, le neurofibrille, le tonofibrille, le gliofibrille. A queste vanno aggiunti altri filamenti endocellulari, identificati dai microscopi ottici ma non risolti nella loro struttura, oppure rilevati soltanto dal microscopio elettronico.
L'ipotesi prospettata da Heidenhain che le fibrille elementari fossero formate da molecole filamentose unite longitudinalmente e lateralmente era sostenuta dagli studi sulla birifrangenza, presente in queste strutture e più accentuata nell'allungamento, e dalle indagini di diffrattometria a raggi X che, unitamente ai dati biochimici, avevano consentito di identificare le principali caratteristiche delle proteine componenti la maggioranza delle fibrille e di definirle quindi proteine fibrose (W. T. Astbury, fra il 1930 e il 1940). Anche per la cellulosa, costituita da carboidrati, era prospettato un modello filamentoso per allineamento delle molecole.
Dal complesso dei dati disponibili fu tratta la conclusione che le organizzazioni filamentose fossero in uno stato fisico non lontano da quello solido, simile allo stato dei corpi cristallini inorganici, per designare il quale fu introdotto il termine ‛stati paracristallini'. Ne erano ritenute conferme indirette le esperienze eseguite da J. Nageotte e H. Guyon (v., 1930) sul cosiddetto collageno artificiale: solubilizzando la proteina e precipitandola poi per neutralizzazione è possibile ottenere la formazione di fibrille simili a quelle native. Queste esperienze, inoltre, sembravano suggerire l'ipotesi che le fibrille si formassero anche in vivo per semplice aggregazione cristallina delle molecole costitutive.
Le indagini ultrastrutturali su questi materiali, in genere facilmente manipolabili e ben preparabili allo stato puro, sono state esaurienti e hanno condotto ad attendibili ricostruzioni, in virtù delle quali il quadro semplicistico delle organizzazioni paracristalline prima postulate appare sostanzialmente mutato. Devono essere rilevati i seguenti punti: 1) nelle strutture filamentose le molecole sono ordinate in modo simmetrico, ma ben raramente in compatta sistemazione spaziale; 2) non esiste un modello costruttivo generale: pur se si trovano alcune similarità costruttive, si può però dire che ogni filamento ha natura, forma e modalità di sistemazione delle molecole caratteristiche; 3) le strutture filamentose non sono composte esclusivamente da molecole filamentose, ma anche da molecole globulari organizzate in lunghe catenelle; 4) in rapporto con la mancanza di una compatta sistemazione delle molecole si dimostrano, nella maggioranza dei casi, gerarchie intermedie fra molecole e fibrille. La terminologia relativa non è ancora completamente uniformata: si possono considerare di applicazione più generale e meglio rispondenti i termini ‛cordoni molecolari', ‛protofilamenti' e ‛microfilamenti', che definiscono gerarchie successive formate da un numero variabile di elementi della gerarchia precedente, partendo dall'elemento base che è il cordone formato dalle singole molecole allineate. Gli ordini di grandezza più frequenti sono intomo a 1,5 nm per i cordoni, 3-4 nm per i protofilamenti, 8-10 nm per i microfilamenti; 5) le costruzioni filamentose sono in grande prevalenza sistemi complessi, perché alle molecole principali sono associate alcune aliquote di molecole differenti; 6) indagini sperimentali molecolari e associate con controlli ultrastrutturali hanno dimostrato che le strutture filamentose possono essere ottenute in vitro partendo dalle molecole purificate, ma questo processo non può essere considerato un semplice fenomeno di cristallizzazione: per ottenere strutture simili a quelle native sono necessarie condizioni particolari che regolano e guidano il processo delle sistemazioni molecolari, mentre la mancanza di tali condizioni permette di ottenere costruzioni molecolari differenti da quelle native.
I dati generali possono essere esemplificati da alcuni appunti sulle strutture filamentose più significative. Il modello più semplice di struttura filamentosa per allineamento termino-terminale e laterale delle molecole si riscontra nella fibrina, materiale fibroso derivato dall'organizzazione delle molecole del fibrinogeno. Il microscopio elettronico ha dimostrato che il reticolo di fibrina è formato da tralci di diametro variabilissimo uniti da anastomosi: i singoli elementi mostrano un periodismo di circa 23-24 nm e la ricostruzione dei processi di formazione dei filamenti ha dimostrato che questa bandatura è legata a forma e caratteri reattivi delle molecole che si allineano termino-terminalmente e si collocano in regolare registro laterale (v. fig. 1). La fibrina è il modello più semplice di uno stato paracristallino, riconducibile ai modelli di sistemazione molecolare compatta; ma anche questa costruzione non è formata soltanto dal fibrinogeno, perché a questo si aggiunge un'altra aliquota proteica che svolge un'azione stabilizzante sulla fibrina, rendendola insensibile a certe azioni denaturanti, particolarmente dell'urea.
A questo modello di integrazione termino-terminale e laterale di molecole può in parte essere ricondotta la costruzione delle fibrille collagene, ma con importanti differenze nella modalità di unione laterale delle molecole, che non realizzano, come nella fibrina, una compatta sistemazione molecolare, bensì una struttura dotata di grande resistenza meccanica, anche se sensibilmente porosa.
Le fibrille collagene presentano estesissime variazioni del diametro, ancora più di quelle della fibrina: dai circa 15 nm delle più fini sino a 500 nm; la loro lunghezza è il più delle volte indefinibile, ma può certamente superare il valore di diversi mm; hanno tutte la medesima struttura, onde le differenze di diametro sono legate a variazioni del numero delle molecole sistemate nelle fibrille.
L'elemento molecolare costitutivo è la macromolecola di tropocollageno, lunga circa 300 nm e spessa 1,5, formata da tre catene polipeptidiche avvolte a spirale. L'unione di queste molecole per legami terminali, la cui natura non è ancora ben chiarita ma per la cui costituzione è probabilmente importante l'azione di quote proteiche di basso peso molecolare dette telopeptidi, determina la formazione di un filamento che all'indagine elettronica mostra un diametro di 2,5-2,8 nm; non è ancora dimostrato, però, se esso sia formato dall'allineamento delle singole molecole o se sia un protofilamento formato da 2 o 3 molecole affiancate. Il dato più importante è che questi elementi costitutivi non sono affiancati lateralmente in perfetto registro: hanno decorso con ripida spirale e sono sfasati in modo regolare e collegati da ponti trasversali. Posizione e densità dei ponti di unione determinano disomogeneità costruttive espresse da due zone regolarmente alternate, una a densi legami, l'altra a legami diradati, tanto da apparire porosa all'indagine elettronica (v. Cox e altri, 1967; v. Bairati e altri, 1969 e 1972). Le due zone formano il periodo submicroscopico delle fibrille (circa 70 nm) che, ben dimostrabile al microscopio elettronico, presenta aspetti assai diversi a seconda che si esegua un trattamento con marcanti positivi o una colorazione di permeazione negativa (v. fig. 2).
L'interpretazione delle due immagini così differenti è stata fatta in base a dati biochimici e biofisici e si sono così potute ottenere informazioni essenziali per ricostruire sito e sistemazione spaziale delle molecole e dei loro complessi. Il caso delle fibrille collagene può essere veramente considerato un esempio tipico di ricostruzione ultrastrutturale concettuale eseguita tramite la valutazione di dati di diversa natura: le immagini morfologiche elettroniche, anche alle più alte risolvibilità, non forniscono tutti gli elementi necessari per definire la fine struttura delle fibrille.
Un esempio di organizzazione strutturale a gerarchie successive, dalle molecole fino alle strutture macroscopiche, e offerto dalla cellulosa (v. Frey-Wyssling, 1957). L'elemento primario è una lunga catena di molecole glucidiche, del diametro di circa 6 Å, che, in base alla nomenclatura attuale, può essere definito un cordone molecolare. Circa 100 cordoni sistemati in modo compatto formano un complesso di circa 6 nm di diametro, considerabile come un protofilamento; 20 protofilamenti formano il microfilamento, che ha circa 25 nm di diametro. Le fibrille risultano formate da un numero variabile di microfilamenti e di conseguenza presentano diametri diversi, frequentemente oscillanti intorno ai 400 nm.
Un'organizzazione gerarchica limitata al livello submicroscopico si trova nei tonofilamenti (filamenti cheratinici) e nei gliofilamenti.
Nei filamenti cheratinici della forma α, molto studiata fino ai livelli molecolari per le esigenze delle ricerche tecnologiche sulla lana, si dimostra l'esistenza di molecole di forma complessa, costituite da una parte principale organizzata secondo lo schema dell'α-elica alle cui estremità sono aggiunte appendici a struttura non elicoidale (v. fig. 3). Le parti molecolari principali sono allineate in cordoni molecolari tramite il vincolo esercitato dalle appendici: si forma così un cordone molecolare di circa 1,5 nm di diametro. Due o tre di questi cordoni spiralizzati formano un protofilamento di circa 3 nm: dalla sistemazione in simmetria esagonale di 6 protofilamenti periferici, anch'essi a decorso spirale, risulta il microfilamento di 8 nm, ben evidenziato in tutte le forme di cheratina α mediante il microscopio elettronico (v. Bairati e altri, 1972).
Nella forma β della cheratina sono presenti molecole similari sistemate in cordoni molecolari che formano un protofilamento di circa 3 nm, avente disposizione spaziale diversa da quella del protofilamento dell'α-cheratina. Non è presente la gerarchia successiva del microfilamento.
I filamenti cheratinici si presentano isolati o a piccoli gruppi nel citoplasma di cellule di derivazione epidermica e diventano il principale costituente dei materiali cornei durante il processo di cheratinizzazione che trasforma gli elementi cellulari epidermici nelle cheratine α e β (squamette cornee e fusi del pelo; v. fig. 3). I filamenti vengono allora vincolati e cementati da un altro materiale pure proteico, ma di diversa composizione amminoacidica e a struttura globulare, detto matrice della cheratina: i due componenti sono uniti da ponti solfidrilici. Non si può individuare un'organizzazione dei microfilamenti in fibrille.
Un modello filamentoso molto simile ai filamenti a dovrebbe essere riconoscibile, in base ai dati forniti dalla microscopia elettronica, nei filamenti gliali (v. fig. 4), che sono microfilamenti di circa 8 nm con prevalente struttura a 6 protofilamenti (v. Petruccioli, 1970): mancano però sinora i dati per una completa ricostruzione molecolare. I dati chimici noti dimostrano sensibili analogie fra proteina gliale e proteina dei filamenti α-cheratinici (v. Bairati, 1962).
Anche le colossali molecole dell'acido desossiribonucleico sono organizzate in strutture filamentose, le cui modalità costruttive però sono tuttora poco chiare. Abbiamo dati molecolari abbastanza fondati circa l'esistenza di un filamento molecolare formato dalla molecola del DNA con l'organizzazione spirale dei nucleotidi secondo Watson e Crick (v. acidi nucleici), alla quale sono legate molecole di proteine istoniche e non istoniche; si discute se questo filamento, che dovrebbe raggiungere un diametro di circa 3 nm, corrisponda alle strutture filamentose identificate in parte nel nucleo a riposo. Quando ha luogo la condensazione delle molecole nucleiniche per la formazione dei cromosomi, compaiono sicuramente filamenti più grossi, ma i dati in proposito sono discordi: la struttura a filamenti paralleli è abbastanza ben identificabile nei cromosomi politenici (v. cellula: Fisiologia della cellula; v. genetica: Citogenetica), ma non in tutti gli altri casi lo è altrettanto.
Si parla frequentemente di ‛fibrille' di circa 10 nm, ma esistono sicuramente anche filamenti più grossolani, persino di 40 nm: ricerche abbastanza recenti, condotte da Zirkin e Kim (v., 1972), hanno fornito per il medesimo materiale dimensioni variabili fra 100 e 250 nm. Non è stato però chiarito se queste strutture derivino da sommazione dei filamenti elementari o da complessi fenomeni di ripiegamento e arrotolamento delle molecole nucleiniche: la preferenza per l'una o l'altra di queste due possibilità è fortemente influenzata dalle ipotesi sulle modalità con le quali avviene la duplicazione delle molecole del DNA.
Può essere considerato in questa sede il materiale elastico dei connettivi, perché esso è sovente organizzato in filamenti e fibre ma può anche formare lamine estese e placchette. Fu sostenuta in passato la possibilità di un'organizzazione complessa, in parte filamentosa, in parte microgranulare, ma tale tesi si è dimostrata inesatta. L'interpretazione più probabile sulla base dei molti dati acquisiti è che il materiale elastico sia formato da molecole glicoproteiche disposte accidentalmente in modo variabile, intrecciate o arrotolate, tale da permettere una deformabilità reversibile. È da ricordare che la deformabilità è di scarso rilievo (circa 3-4%), assai inferiore a quella della gomma. Il materiale elastico disteso manifesta forte resistenza meccanica.
Esempi di filamenti formati da proteine globulari sono i microtubuli e i neurofilamenti. I microtubuli sono gli ultimi elementi filamentosi individuati con lo studio del citoplasma al microscopio elettronico, che ne ha dimostrato la presenza quasi costante nei diversi tipi di cellule (v. figg. 4, 10, 19, 23); sono sempre presenti nella fase cinetica della divisione mitotica, perché formano il fuso mitotico. La proteina globulare componente è detta ‛tubulina' ed è presente in quattro sottotipi per piccole variazioni molecolari (v. Witman e altri, 1972). I globuli sono le subunità strutturali: si comportano come dipoli e sono allineati in lunghe catenelle, formando cordoni paragonabili ai cordoni molecolari. Le catenelle sono disposte a spirale lungo l'asse longitudinale di ogni microtubulo e sono situate in una corona periferica di 12 o 13 elementi che talora contiene al centro un'altra coppia di catenelle.
I microtubuli possono essere isolati o riuniti a piccoli gruppi orientati lungo l'asse maggiore della cellula. Possono inoltre essere organizzati in strutture più complesse, di cui sono esempi significativi le ciglia vibratili e i flagelli (v. fig. 5): questi sono formati da nove coppie di microtubuli (i due elementi di ogni coppia presentano una parziale fusione) disposte a corona e da altri due microtubuli appaiati situati al centro. Nella coda degli spermi di molti animali i microtubuli sono associati ad altri componenti in una complessa struttura filamentosa (v. fig. 6).
I microtubuli hanno diverse funzioni: trasporto endocellulare, attività contrattile, azione generale di stabilizzazione della forma delle cellule. I microtubuli citoplasmati ci, e specie quelli del fuso mitotico, sono strutture abbastanza labili che vengono rapidamente decomposte e ricostruite durante la dinamica cellulare. Alcuni agenti, come la colchicina e la vinblastina, fissandosi alle molecole possono decomporre i microtubuli; è stata così spiegata l'azione antimitotica della colchicina.
I neurofilamenti sono costituiti da una proteina globulare denominata ‛filarina' organizzata in catenelle globulari: le indagini non hanno ancora chiarito quante catenelle prendano parte alla costituzione del neurofilamento (che è un protofilamento di circa 10 nm di diametro). La fig. 7D mostra un modello che è stato suggerito da F. O. Schmitt (v. Bairati e altri, 1972). Poiché la filarina è chimicamente simile alla tubulina, è stata prospettata una parentela fra neurofilamenti e microtubuli, tenendo anche presente che nei neuroni i due tipi di filamenti sono quasi costantemente associati e sono ambedue in rapporto con meccanismi di trasporto dei materiali prodotti nel pirenoforo lungo i prolungamenti nervosi.
Per spiegare l'immagine microscopica delle miofibrille, caratterizzata da un periodismo strutturale trasversale a dischi scuri anisotropi e dischi chiari isotropi, era stata formulata l'ipotesi che le molecole filamentose presentassero una disposizione differente: in file parallele nel disco birifrangente scuro, in linee ondulate o irregolari in quello chiaro. Gli studi ultrastrutturali hanno fornito un quadro ben più complesso, dimostrando che le miofibrille sono composte da due tipi di filamenti, diversi per natura e organizzazione (v. fig. 8). I filamenti più fini (circa 6 nm) sono costituiti da una proteina globulare, l'actina, i cui monomeri formano due catenelle di globuli disposte a spirale, cui sono associate due altre proteine: la tropomiosina e la troponina. I filamenti più grossi (circa 15 nm) possono essere considerati come microfilamenti e all'osservazione al microscopio elettronico rivelano una substruttura a elementi del diametro di circa 3 nm disposti compattamente in simmetria trigonale; tuttavia non è stato possibile dimostrare se questa substruttura sia legata alle molecole costitutive o a loro complessi (v. Pepe e Drucker, 1972). Le molecole sono quelle stesse della miosina, lunghe circa 160 nm e con un'estremità più grossa, simmetrica, provvista di una proiezione laterale; i filamenti grossi, quindi, possiedono numerose espansioni contenenti ATP che in certe zone del disco sono in connessione con i filamenti fini. Questi ultimi sono disposti a corona in modo abbastanza regolare intorno al filamento principale, così che ne deriva un aspetto molto caratteristico e simmetrico delle sezioni trasversali delle miofibrille.
L'analisi al microscopio elettronico della posizione nel macroperiodo dei due tipi di filamenti e dei loro reciproci rapporti ha fornito la completa delucidazione dell'immagine ottica del disco scuro e del disco chiaro e della struttura delle due strie Z ed M.
Le conoscenze ultrastrutturali, associate a indagini biochimiche e biofisiche, hanno consentito a H. E. Huxley (v., 1969) di prospettare una geniale ipotesi interpretativa del meccanismo della contrazione muscolare, che avrebbe luogo non per contrazione delle molecole, ma per slittamento reciproco dei filamenti grossi e fini dai punti attivi di attacco rappresentati dalle espansioni laterali delle molecole (v. tessuto muscolare).
I dati esposti permettono di affermare che in tutte le strutture filamentose elementari visibili al microscopio ottico esiste una substruttura. Solo nel caso della fibrilla questa substruttura è determinata da una disposizione in registro abbastanza compatta delle molecole. In tutti gli altri casi le molecole sono organizzate in substrutture gerarchiche di vario ordine di grandezza, disposte sovente in modo simmetrico, ma non seguendo una sistemazione compatta delle molecole. E anche importante rilevare che a partire dalle molecole nei cordoni molecolari sino ai vari altri costituenti, si osserva frequentemente un decorso a spirale delle subunità filamentose. Si ripete così nei livelli sopramolecolari il tipo di simmetria spirale presente nelle molecole proteiche filamentose per la disposizione secondo la spirale dell'α-elica degli elementi amminoacidici.
b) Strutture laminari.
Le osservazioni al microscopio elettronico hanno dimostrato che pellicole talora di estensione assai notevole ma di spessore oscillante fra 7 e 10 nm, paragonabili al plasmalemma o membrana cellulare limite, visibili al microscopio ottico, sono largamente rappresentate nel citoplasma come costituenti dei diversi organelli: zona di Golgi, mitocondri, reticolo endoplasmatico, ergastoplasma, pareti di vacuoli e vescicole. Oltre a queste strutture laminari, che sono un attributo praticamente costante delle cellule, ne esistono altre specializzate in rapporto alla differenziazione citologica, come ad esempio le strutture laminari dei fotorecettori e dei cloroplasti.
In considerazione della loro notevole diffusione nel citoplasma, è stata formulata l'ipotesi che le strutture laminari rappresentino il substrato organizzato di diverse funzioni, la cui comune caratteristica sarebbe la capacità di costituire una barriera limite, fra cellula e ambiente o fra i vari compartimenti endocellulari, a livello della quale avrebbe luogo la regolazione di scambi e di rapporti.
Le indagini di carattere morfologico e biochimico, condotte fra il 1930 e il 1940 principalmente sulla membrana cellulare limite, avevano suggerito l'ipotesi che le membrane cellulari fossero una costruzione complessa con una prevalente aliquota di materiali lipidici e una minore quota proteica: tali formazioni furono quindi definite ‛strutture lipoproteiche' e subito si pensò che la loro analisi strutturale fosse essenzialmente un problema di montaggio molecolare. Sulla base di tali informazioni indirette, nel 1935 J. Danielli e H. Davson proposero un primo modello teorico di struttura molecolare della membrana cellulare, secondo il quale questa sarebbe costituita da un doppio strato centrale continuo di molecole lipidiche rivestito da due strati di proteine legate ai lipidi per i loro gruppi idrofili (v. fig. 9). A tale modello sono state ricondotte le immagini delle membrane cellulari al microscopio elettronico, ottenute con esami ad alta risolvibilità dopo diverse fissazioni e trattamento con mezzi di contrasto: esse sono definite ‛trilaminari', perché risultano composte da due strati periferici di maggior arresto elettronico circoscriventi uno strato centrale quasi elettrontrasparente. I tre strati raggiungono uno spessore di 7-8 nm nelle membrane limite; le membrane endocellulari, invece, sono sovente più sottili (v. fig. 10). In base alla dimostrazione di tali immagini in molte membrane cellulari J. D. Robertson (v., 1959) formulò l'ipotesi - poi denominata ‛teoria della unit membrane' - che tutte le membrane cellulari avessero un'identica organizzazione molecolare, definita ‛struttura trilaminare simmetrica'.
La teoria ha suscitato un vivacissimo dibattito e stimolato altre complesse indagini ultrastrutturali, morfologiche, biofisiche e biochimiche, che in pochi anni hanno consentito di accumulare un volume notevole di dati diversi e per taluni aspetti contrastanti, ma da cui ha certamente avuto origine un sostanziale progresso delle conoscenze. Si può dire oggi che i dati ottenuti si sono sufficientemente accordati in una concezione strutturale elastica, che non fissa cioè un modello rigido, e contempla inoltre un dinamismo della struttura delle membrane. I capisaldi di questa concezione, che fornisce basi convincenti per le interpretazioni funzionali, possono essere riepilogati nel modo seguente.
I costituenti lipidici, pur nella loro sensibile variazione quantitativa, possono essere considerati la parte principale di molte membrane: ne formano la struttura portante scheletrica e partecipano anche ai meccanismi di trasporto. Nella maggioranza dei casi le molecole lipidiche non formano uno strato continuo di molecole parallele, ma sono organizzate in subunità globulari a forma di sferiti di circa 3 nm di diametro. La struttura sferitica può essere dimostrata nelle sezioni ultrasottili di talune membrane dopo le usuali colorazioni di contrasto (v. fig. 10), ma è meglio evidenziata dalle tecniche di esame delle membrane in superficie a mezzo del criodecapaggio. Gli sferiti possono essere affiancati e ravvicinati in posizione nettamente simmetrica esagonale: formano allora uno strato sferitico rivestito dalle quote proteiche (v. fig. 11). Esistono però dati che suffragano la tesi che lo strato lipidico può non essere totalmente rivestito dalle proteine e quindi arrivare in superficie: sono persino stati proposti modelli con gli sferiti lipidici in superficie, stratificati su una quota proteica centrale (v. Branton e Deamer, 1972).
L'organizzazione sferitica dei lipidi non rappresenta probabilmente la regola assoluta, ma e la più frequente nelle membrane cellulari limite e specie in quelle endocellulari: dati fondati fanno ritenere che essa sia presente anche nella mielina - costruzione formata da molti strati della membrana cellulare limite - com'è dimostrato dalle indagini istogenetiche e dalle immagini elettroniche ad alta risolvibilità (v. fig. 10E). In questo materiale H. Fernandez-Moran e G. B. Finean (v., 1957) hanno messo in evidenza una compatta sistemazione spaziale delle molecole e delle subunità con vincolo dell'acqua di idratazione negli spazi intersferitici, tale da conferire alla mielina, struttura stabile e poco permeabile, le caratteristiche di un cristallo liquido.
La quota proteica, che evidentemente varia in rapporto inverso alla quota lipidica, può essere stratificata in lamina continua alle due superfici dello strato lipidico, ma di frequente le molecole possono insinuarsi fra gli sferiti occupandone gli intervalli e spingendosi nella parte centrale della membrana. Le molecole possono essere isolate oppure unite in complessi, formando subunità di forma più o meno regolare: in queste subunità possono anche essere associati lipidi, e si formano allora subunità proteolipidiche. Se le molecole proteiche e i loro complessi sono prevalenti, le quote lipidiche, disposte in sferiti o limitate a piccole zone, non rappresentano più la parte prevalente della membrana: questa mostra allora al microscopio elettronico un netto aspetto globulare, che è però conferito non già dai lipidi bensì dalle proteine (v. figg. 9C e 10C; v. Sjöstrand e Barajas, 1970).
Tutti i dati confermano la tesi che nella maggioranza dei casi le membrane, particolarmente quelle endocellulari, hanno una substruttura non a strati ma a subunità globulari. Questa interpretazione si presta meglio a spiegare molti dei caratteri delle membrane e anche le frequenti differenze di aspetto ultrastrutturale. Si deve aggiungere che nei fini particolari le differenze possono anche essere imputabili a una dinamica continua delle subunità legate alle loro prestazioni funzionali: sono state fatte eleganti ipotesi di meccanismi di trasporto tramite movimenti e spostamenti delle subunità. Si può quindi dire che le immagini di più fine struttura mostrate dal microscopio elettronico possono anche essere soltanto aspetti delle diverse fasi di una dinamica molecolare continua.
Altro dato importante da rilevare è che nei diversi tipi di membrane le quote proteiche presentano variazioni qualitative per la presenza di molecole specifiche, e queste differenze spiegano molte specializzazioni funzionali sia della membrana cellulare limite sia di membrane endocellulari specializzate. Riportiamo gli esempi più importanti.
Nella membrana cellulare limite esiste sovente una netta asimmetria fra lo strato proteico esterno e quello interno, per la presenza nel primo di un'aliquota di glicoproteine, in massima parte sporgenti in superficie, dove formano uno strato denominato ‛glicocalice': questo, che può presentare variazioni a seconda dei tipi cellulari, ha importanza nei meccanismi di adesione fra le cellule, e quindi nei rapporti cellulari reciproci e in certi meccanismi di fissazione di molecole.
In molte membrane endocellulari sono localizzati gruppi di enzimi che svolgono la loro attività sulle superfici e nelle cavità delimitate dalle membrane stesse: il caso più noto è quello della membrana interna dei mitocondri, dove sono localizzati gli enzimi della catena respiratoria. Un'interessante ricostruzione della raccolta delle molecole enzimatiche in complessi plurimolecolari è stata prospettata da Sjöstrand e Barajas (v., 1970).
In altre membrane esistono molecole che sono connesse con meccanismi di facilitazione o di blocco degli scambi a livello ionico; per esempio nelle membrane delle cellule nervose si attuano di continuo fenomeni di polarizzazione e depolarizzazione che sono connessi con il passaggio selettivo di ioni, e quindi con la creazione di differenze di potenziale che sono la base della propagazione dell'impulso nervoso (v. elettrofisiologia e neurone e impulso nervoso).
Esistono membrane nelle quali sono localizzate molecole che adempiono specifiche funzioni delle cellule: così nelle membrane dell'articolo esterno dei fotorecettori sono sistemati i pigmenti fotosensibili, mentre nelle membrane dei cloroplasti è sistemata la clorofilla. Infine nello strato proteico esterno possono essere sistemate molecole speciali, dette recettrici, perché esercitano la specifica attività di bloccare e fissare molecole dell'ambiente esterno: si parla così correntemente di recettori di membrana. Uno dei casi più interessanti è quello dei recettori di membrana delle cellule linfocitarie immunocompetenti.
In conclusione: le membrane sono la struttura impiegata dalla natura per regolare i rapporti fra le cellule, gli scambi tra cellule e ambiente e, nell'ambito della cellula, i fenomeni endocellulari metabolici ordinati in compartimenti. Le conoscenze ultrastrutturali hanno condotto a una più corretta configurazione dei meccanismi di trasporto attivo e passivo attuati dalle cellule. Le membrane sono certamente strutture dinamiche e questo dinamismo è compatibile con una struttura a subunità disposte, in molti casi, in modo compatto e simmetrico. Nel caso della mielina - come già detto - si raggiunge uno stato fisico strettamente paragonabile a quello di un cristallo liquido (v. Fernandez-Moran e Finean, 1957).
Le acquisizioni ultrastrutturali sulle membrane cellulari hanno avuto larga applicazione in fisiologia generale, farmacologia, immunologia e terapia medica.
c) Strutture isodiametriche (granulari).
Sono strutture isodiametriche le particelle minime viventi, rappresentate dai Virus, e una vasta gamma di strutture endocellulari di forma granulare e di dimensioni variabili: le più voluminose, in parte note dalla microscopia ottica, sono state studiate nella loro intima organizzazione, altre sono state individuate e analizzate solo dall'indagine ultrastrutturale.
Per quanto riguarda i Virus, che sono trattati in un apposito articolo al quale si rimanda (v. virus), si può rilevare che l'organizzazione è prevalentemente un problema di biologia macromolecolare, sebbene le organizzazioni macromolecolari che in essi si riscontrano abbiano quasi il carattere di piccoli organelli. Infine va ricordata la possibilità che i Virus si assestino in organizzazioni compatte che hanno i caratteri di veri cristalli: l'esempio più noto è quello del virus del mosaico del tabacco.
Le strutture citoplasmatiche granulari già esaminate al microscopio ottico comprendono paraplasmi, inclusi granulari di vario genere, granuli di secreto e strutture granulari specifiche di certe cellule, della cui differenziazione sono l'espressione: in proposito sono di particolare importanza le strutture granulari delle cellule vegetali, che in certi casi, come quello dei cloroplasti, assumono il carattere di veri organelli.
Nella maggioranza dei casi le strutture granulari sono delimitate da una membrana limite: taluni paraplasmi, invece, come i granuli di glicogeno e quelli di amido, non sono provvisti di membrana.
In molti casi le strutture granulari non manifestano una substruttura rilevabile al microscopio elettronico: appaiono cioè omogenee o confusamente e irregolarmente granulari per il deposito dei materiali di contrasto. In genere in questi casi le analisi chimiche hanno dimostrato che si tratta di una miscela di materiali differenti. In altri casi invece si dimostra una compatta sistemazione di subunità o molecole organizzate in modo simmetrico a reticolo cristallino: i casi più tipici sono i globuli vitellini della cellula uovo (v. fig. 12), certi granuli di secreto come quelli dell'insulina (v. fig. 13C), i granuli eosinofili dei granulociti del sangue. In questi casi l'analisi chimica ha dimostrato sufficiente omogeneità chimica del materiale presente.
Anche i granuli di glicogeno hanno una substruttura (v. fig. 13A). I granuli generalmente presenti nelle cellule normali, detti particelle a e con diametro di circa 20 nm, sono formati da un raggruppamento di particelle ancora rotondeggianti, dette particelle β, di circa 3 nm: queste ultime sono a loro volta formate dalle particelle γ, che hanno la forma di sottili bastoncini della lunghezza di circa 2 nm. Una costruzione molecolare complessa hanno i granuli di amido, che sono assai voluminosi e presentano una substruttura a strati, con una compatta sistemazione molecolare orientata nei singoli strati (v. Frey-Wyssling, 1957).
Strutture granulari ignote alla microscopia ottica e ben individuate dalle ricerche ultrastrutturali come attributo praticamente costante delle cellule sono i ribosomi e i lisosomi (v. cellula: Fisiologia della cellula).
I ribosomi sono particelle costituite in massima parte da acido ribonucleico al quale sono associate frazioni di proteine. Al microscopio elettronico rivelano forma quasi sferoidale, con diametro massimo di circa 25 nm, e appaiono costituiti da due subunità disuguali accostate: una più grossa pressoché sferica, l'altra più piccola e più allungata. I dati sull'ordine di grandezza corrispondono ai dati ottenuti dall'ultracentrifugazione: i ribosomi interi degli eucanoti hanno indice di sedimentazione 80 S, le due parti isolate rispettivamente 40 e 60 S. Le due subunità risultano poco incastrate fra di loro, essendo separate da un'incisura di circa 3 nm: l'unità più grossa è attraversata da un canale centrale di circa 2 nm. Si ritiene che l'incisura rappresenti il sito dove si fissa l'RNA messaggero trasmettitore delle informazioni per l'allineamento degli amminoacidi, fenomeno che si verificherebbe all'interno del canale dell'unità più grossa, dove si attuerebbe quindi l'organizzazione della molecola proteica.
I ribosomi possono essere isolati e sparsi nella cellula, ma il più delle volte sono riuniti in gruppetti detti poliribosomi (v. fig. 14). Sono state riconosciute due forme di poliribosomi: una più semplice, detta a rosetta, nella quale i ribosomi giacciono su uno stesso piano; l'altra, più complessa, consistente in una lunga spirale dove si riconosce un asse intorno al quale sono allineati i ribosomi, orientati in modo da avere l'unità più piccola verso l'asse centrale. Anche i ribosomi associati alle membrane del reticolo endoplasmatico sono orientati: la subunità più grossa è quella fissata alla membrana.
L'aggregazione dei ribosomi in strutture simmetriche può attuarsi nel citoplasma, dove appaiono allora ammassi di ribosomi definiti cristalli ribosomiali (v. fig. 14G). Essi possono essere ottenuti artificialmente per azione sulle cellule di agenti chimici, di virus o semplicemente mediante l'abbassamento della temperatura ambiente (v. Byers, 1967; v. Barbieri e altri, 1970). Nei cristalli ribosomiali si riconosce una cella elementare formata da quartetti di ribosomi disposti secondo il tipo di simmetria piana p4: le celle possono essere isolate, ma frequentemente sono sovrapposte in modo ordinato, dando origine a gruppi paracristallini che possono raggiungere l'ordine di grandezza di alcuni μm. Va quindi sottolineata la possibilità di una compatta disposizione simmetrica di particelle endocellulari assai dinamiche, depositarie di una fondamentale funzione vitale qual è la sintesi delle proteine.
I lisosomi sono corpuscoli di grandezza molto variabile, i quali devono il loro nome alla dimostrazione, fornita con mezzi biochimici, del loro alto contenuto di enzimi litici. Essi presentano una fine struttura molto varia: tutti i differenti aspetti sono tuttavia legati a successive fasi della loro attività funzionale. All'inizio di questa attività il lisosoma, detto vergine o primitivo, è formato da un corpuscolo denso dell'ordine di grandezza di 10-20 nm, racchiuso da una membrana limite: il corpuscolo appare astrutturato o finemente granulare (v. fig. 15B).
Il lisosoma primitivo si forma con il materiale destinato alla lisi che viene poi racchiuso entro la membrana lisosomiale. Tale materiale può avere duplice origine, cioè origine esterna per fagocitosi di materiale estraneo alla cellula, o interna quando parti endocellulari vengono inglobate dal lisosoma per essere eliminate: in questo caso si parla di autolisosomi. Si forma così una vescicola unica contenente il materiale lisosomico e il materiale in lisi: nell'interno della vescicola si attuano i processi di decomposizione enzimatica, che si svolgono quindi isolati dal citoplasma. Ciò spiega perché i lisosomi non sono attivi sulle strutture citoplasmatiche.
Durante il processo di scomposizione compaiono i diversi aspetti del contenuto lisosomiale, dipendenti in massima parte dal materiale in lisi (v. fig. 15A). Nei casi più tipici, come i processi di eritrolisi, di lisi batterica, di lisi di parti del citoplasma, che sono seguiti come test per queste ricerche, sono riconoscibili nelle prime fasi i residui delle strutture primitive, che poi vengono erosi e scomposti finché ne risultano ammassi irregolari e, per le quote lipidiche, figure lamellari mieliniche. Il processo si può spingere fino alla completa distruzione dei materiali, formando una vescicola a contenuto elettrontrasparente, perché i materiali scomposti sono passati nel citoplasma e da questo eventualmente utilizzati. In certi casi persistono parti non digeribili, dette corpi residui, che possono essere conservate a lungo nel citoplasma oppure essere eliminate tramite i processi di esocitosi.
L'attività lisosomica è stata generalizzata e considerata come un attributo costante delle cellule, tanto che si è introdotto il termine di ‛apparato digerente della cellula' (v. de Duve, 1967), con una concezione forse troppo estensiva. I lisosomi formano un organello sviluppato, base essenziale di attività specifiche nelle cellule fagocitanti, come i macrofagi e i granulociti neutrofili: in molte altre cellule dei Metazoi, però, essi non sono sempre dimostrabili, o sono presenti solo in certe fasi dell'attività cellulare, o compaiono in evenienze straordinarie che richiedono l'eliminazione di parti cellulari.
Lo sviluppo delle conoscenze sui lisosomi ha avuto applicazioni nella patologia cellulare: è stata rilevata la possibilità che l'attivazione degli enzimi dei lisosomi, per lesione della loro membrana, possa attuare la rapida lisi del citoplasma, spiegando così gli aspetti della cosiddetta autolisi cellulare (v. cellula: Patologia della cellula, e infiammazione).
3. Ultrastrutture della cellula, dei tessuti e degli organi.
I principi generali costruttivi dei tessuti e degli organi, evidenziati dalla microscopia ottica, sono stati confermati dalle indagini ultrastrutturali, salvo nel caso degli organi nervosi.
Vastissimo è invece il patrimonio dei nuovi dati acquisiti sulla fine struttura della cellula e dei componenti tessutali differenziati, in condizioni normali e patologiche. Questo patrimonio è inserito nei capitoli di citologia, istologia e anatomia microscopica delle diverse discipline morfologiche, perché le conoscenze ultrastrutturali hanno condotto a sicure interpretazioni funzionali delle strutture endo- ed esocellulari. Si è quindi verificata una generale applicazione di tutte le tecniche ultrastrutturali nelle diverse discipline biologiche e, nel campo medico, anche nella patologia clinica, dove l'indagine ultrastrutturale si è rivelata un validissimo e precoce mezzo diagnostico (v. Haust, 1972).
Sono state inoltre svolte indagini ultrastrutturali citogenetiche, ma in questo campo gli studi ultrastrutturali non sono andati oltre la descrizione di aspetti successivi della citogenesi e non hanno quindi portato contributi decisivi ai problemi di morfologia causale, che sono stati invece efficacemente affrontati dalla biologia molecolare.
a) Fine struttura della cellula.
La distinzione della citologia classica fra organelli (parti formate del citoplasma) e ialoplasma (materiale astrutturato di sospensione) ha trovato nell'analisi ultrastrutturale più sicure precisazioni e giustificazioni funzionali. Si può enunciare il principio generale che le funzioni cellulari sono discretamente localizzate nei componenti degli organelli collegati e correlati da un materiale astrutturato di sospensione denominato matrice del citoplasma. Il termine ialoplasma è stato abbandonato, perché gli studi con le tecniche di separazione frazionata hanno dimostrato che esso comprendeva alcuni organelli: la matrice è quindi soltanto una parte del cosiddetto ialoplasma.
La compartimentazione organellare è un segno di specializzazione, e quindi di perfezionamento strutturale, che presenta sensibili variazioni quantitative fra le cellule poco differenziate e quelle invece differenziate dei tessuti adulti: in queste ultime la differenziazione specifica conduce in parte all'aumento del patrimonio organellare, in parte alla comparsa delle strutture specifiche che saranno analizzate in seguito.
Nelle cellule vegetali si trovano organelli particolari, in rapporto alle loro peculiari attività metaboliche: è il caso tipico dei cloroplasti. La più semplice organizzazione cellulare si trova nei Batteri, dove talune strutture rappresentate da piccoli granuli di specifica natura chimica svolgono funzioni che nelle cellule animali sono svolte dagli organelli: il caso più tipico è quello degli equivalenti nucleari, preposti alle principali funzioni del nucleo delle cellule animali e vegetali. Questa differenza ultrastrutturale è la base dell'importante distinzione fra procarioti ed eucarioti.
La matrice delle cellule animali è presente in genere in piccola quantità e può essere recuperata in forma pura dopo separazione degli organelli: è presente in maggiore quantità in cellule poco differenziate. All'esame al microscopio elettronico appare quasi sempre non strutturata, ma può in certi casi assumere aspetti finemente cotonosi o presentare delicate formazioni a reticolo di filamenti. Si è sospettato che alcune di queste immagini fossero artefatti tecnici, ma è stata dimostrata la possibilità del passaggio, in zone limitate del citoplasma, da esse ad aspetti sicuramente filamentosi: questi filamenti devono essere considerati come una differenziazione organellare che, per gradi, può giungere a filamenti dotati di substruttura o ai microtubuli.
Le fini immagini cotonose o a reticolo hanno consentito di prospettare l'ipotesi che la matrice possa essere un modello di gel reticolare disperso, secondo la concezione del reticolo molecolare proposta da Frey-Wyssling (v., 1938) per lo ialoplasma. Va però rilevato che le indagini chimiche sulla matrice pura hanno in prevalenza dimostrato la presenza solo di composti a basso peso molecolare, onde l'ipotesi di un gel reticolare disperso formato da lunghe catene polipeptidiche appare nella maggioranza dei casi poco probabile. La matrice è l'ambiente generale che ospita gli organelli e ne regola quindi gli scambi, attuando l'importante funzione di armonizzare le singole attività organellari nella generale attività dinamica della cellula.
I mitocondri, organelli particolati di forma e grandezza variabili, ben identificati dalla microscopia ottica, sono costruzioni principalmente membranose, perché la membrana limite dà origine a introflessioni interne, le creste mitocondriali: queste lasciano spazi di ampiezza variabile per la matrice del mitocondrio, che è in prevalenza non strutturata e in cui sono sparsi piccoli granuli densi (v. fig. 16).
Le membrane dei mitocondri hanno ultrastruttura globulare e un alto contenuto di proteine, in particolare di molecole enzimatiche per funzioni che sono diverse nei mitocondri delle diverse cellule. Tutti i mitocondri possiedono nelle membrane enzimi del metabolismo cellulare, specialmente quelli della catena respiratoria, e perciò sono i principali fornitori dell'energia necessaria per le attività dinamiche del citoplasma; essi intervengono anche nell'equilibrio degli ioni del citoplasma. A seconda del tipo cellulare possono essere presenti altri enzimi legati alla sintesi di materiali citoplasmatici specifici. Queste diversità funzionali si esprimono sovente con una particolare organizzazione morfologica delle creste mitocondriali: le immagini della fig. 16 mostrano alcuni esempi caratteristici. Poiché la matrice contiene sicuramente frazioni di acidi nucleici, sia di DNA sia di RNA, è certo che nei mitocondri si svolgono sintesi proteiche.
È stata osservata una netta similitudine tra la struttura dei mitocondri e quella dei cloroplasti, organelli specifici della cellula vegetale, portatori della clorofilla e dei sistemi enzimatici responsabili della fotosintesi. I cloroplasti hanno struttura complessa, ma il loro costituente principale è certamente membranoso. Nelle membrane, per la maggior parte impilate in masserelle collegate da tratti tubulari (v. fig. 17) e definite grani, sono localizzate le molecole della clorofilla e talora altre sostanze; nei cloroplasti sono inoltre presenti acidi nucleici, che attuano peculiari sintesi proteiche.
Mitocondri e cloroplasti rivelano una certa autonomia funzionale e sono stati persino considerati quasi come simbionti cellulari, principalmente per il fatto che i loro acidi nucleici hanno peculiarità distintive rispetto al nucleo: non si tratta tuttavia di una vera e completa indipendenza, perché studi di biologia molecolare hanno dimostrato la dipendenza di altre attività mitocondriali e dei cloroplasti dagli acidi nucleici del nucleo.
Reticolo endoplasmatico ribosomico (reticolo endoplasmatico ruvido), ribosomi e poliribosomi, ergastoplasma sono le basi ultrastrutturali della proteinosintesi citoplasmatica. La dimostrazione di questa attività è basata su dati rigorosi di biologia molecolare, tanto che oggi è sufficiente constatare all'esame elettronico le caratteristiche di queste strutture per formulare una sicura diagnosi delle attività proteinosintetiche della cellula.
Reticolo endoplasmatico e ribosomi sono stati individuati solo dall'indagine ultrastrutturale: la loro presenza è costante in tutte le cellule, ma con grandi variazioni quantitative, e la loro principale attività è la sintesi delle proteine cellulari per il ricambio, l'accrescimento e la differenziazione strutturale. Tale attività può essere svolta dai ribosomi e dai poliribosomi o dalla integrazione di questi con le strutture membranose presenti nel reticolo endoplasmatico. Quest'ultimo infatti non è un reticolato filamentoso, ma un insieme di strutture membranose tubulari o a sacche appiattite comunicanti fra di loro; sulle membrane sono incrostati i ribosomi.
Quando la struttura membranosa ribosomica del reticolo è molto sviluppata, appare costituita da ampie sacche appiattite, sovente impilate in numero notevole così da dare origine a un organello definito ergastoplasma (v. fig. 18): l'indagine elettronica ha infatti dimostrato che l'ergastoplasma descritto da Ranvier nelle cellule pancreatiche è appunto una costituzione particolare del reticolo endoplasmatico. L'ergastoplasma è la sede preferenziale per la sintesi dei corpi proteici destinati alla secrezione. Va però precisato che le differenze funzionali fra questo organello e il reticolo endoplasmatico sono soltanto di grado: anche quest'ultimo può partecipare alla produzione di secreti, mentre taluni ergastoplasmi sintetizzano materiali non secretivi per attività specializzate delle cellule.
La zona di Golgi è una struttura membranosa formata da sacche appiattite, vescicole, tubuli, talora riuniti in ammassi oppure frazionati in piccoli gruppi sparsi nel citoplasma (v. fig. 19). Le sue membrane svolgono attività di separazione e concentrazione di materiali sovente prodotti in altra sede, onde la zona di Golgi è particolarmente attiva nella formazione dei granuli di secreto. Inoltre partecipa anche all'organizzazione dei lisosomi e di altri granuli specifici, interviene nei meccanismi di veicolazione intracitoplasmatica, disperdendo piccole vescicole che liberano poi il contenuto nel citoplasma, e in talune cellule partecipa alla sintesi e all'accoppiamento di molecole polisaccaridiche con frazioni proteiche, dando origine alle molecole complesse delle glicoproteine.
Vescicole, vacuoli, strutture membranose tubulari o a sacche, prive di ribosomi (reticolo endoplasmatico liscio), sono strutture membranose a contenuto in genere elettrontrasparente. Svolgono attività diverse in base alle caratteristiche delle loro membrane. Vescicole e vacuoli possono funzionare per la raccolta e l'isolamento dal citoplasma di acqua e soluti, materiali che possono essere riassorbiti e riutilizzati oppure eliminati verso l'ambiente esterno. Le strutture vescicolari provvedono anche al passaggio di materiale corpuscolato dall'interno all'esterno della cellula o, al contrario, all'introduzione nella cellula dall'esterno: i due processi, definiti rispettivamente ‛esocitosi' ed ‛endocitosi', si attuano in varie fasi. Nell'endocitosi le vescicole hanno origine dalla membrana cellulare limite come piccole introflessioni, che poi si isolano dal punto di origine entrando così nel citoplasma: ricopiano cioè, a livello submicroscopico, i fenomeni della pinocitosi microscopica. Possono allora dissolversi e disperdere il contenuto nel citoplasma, oppure attraversare tutta la cellula e fondersi con la membrana limite al lato opposto aprendosi all'esterno: questa fase è l'esocitosi. I due processi rappresentano il mezzo più frequente del trasporto cellulare e dell'eliminazione dei secreti.
Due categorie particolari di vacuoli sono quella dei vacuoli vegetali, che svolgono complesse funzioni di scambio e di regolazione del contenuto idrico della cellula, e quella dei vacuoli contrattili dei Protozoi, che con la contrazione espellono dalla cellula l'acqua contenutavi.
I centrioli, che sono legati o alle strutture cigliari o alla formazione del fuso mitotico, sono brevi cilindretti formati da una corona di triplette di microtubuli. (Per altri organelli a struttura granulare, v. cap. 2).
Le acquisizioni ultrastrutturali sul nucleo sono relativamente modeste, perché l'analisi della fine struttura e delle funzioni del nucleo è soprattutto un tema della biologia molecolare degli acidi nucleici. Poiché validissime ragioni teoriche e sperimentali della genetica molecolare fanno ritenere che nel nucleo a riposo debbano persistere gli elementi base dell'organizzazione degli acidi nucleici, l'indagine elettronica è stata indirizzata a individuarli. Le tecniche usuali delle sezioni ultrasottili hanno però dato risultati piuttosto incerti: in generale le immagini elettroniche del nucleo sono granulari per la forte fissazione dei coloranti di contrasto sugli acidi nucleici (v. fig. 20): tuttavia nelle immagini ad alta risolvibilità si possono individuare brevi e sottili segmenti, che vengono interpretati come frammenti dei filamenti nucleinici che appaiono nelle sezioni ultrasottili solo per brevi tratti.
Con l'applicazione di altri artifici tecnici si sono ottenute notevoli conferme della tesi generale che il nucleo sia l'esempio di un gel reticolare disperso, dove la parte dispersa filamentosa è formata dai filamenti cromatinici e può essere o meno associata a granuli di RNA. É però ancora difficile dire se queste strutture filamentose siano filamenti nucleinici o loro complessi o eventualmente stadi iniziali della condensazione degli acidi nucleici, destinata a completarsi poi nel momento della formazione dei cromosomi.
Il nucleolo presenta un aspetto microgranulare: i granuli sono formati principalmente da particelle ribosomiali incrostate su una matrice di aspetto spugnoso o reticolato (v. fig. 20). Alla periferia del nucleo arrivano e si fondono parzialmente i filamenti nucleinici del DNA. Il nucleolo è la sede di formazione delle particelle ribosomiali che, come tali o addirittura organizzate in ribosomi, trapassano nel citoplasma attraverso la membrana nucleare.
Questa necessità del passaggio corpuscolare comporta peculiarità strutturali della membrana nucleare, che è meglio definita con il termine di involucro nucleare, perché formata da un'appiattita sacca del reticolo endoplasmatico. La membrana nucleare presenta due strati, uno interno aderente al materiale nucleare, e uno più eccentrico, fra i quali è compreso uno spazio, detto ‛cisterna perinucleare', che è in continuità con le cavità del reticolo endoplasmatico. L'involucro presenta numerosi intervalli rotondeggianti denominati pori della membrana: numero e ordine di grandezza dei pori (fra 80 e 100 nm) variano sensibilmente nelle diverse cellule, mentre la loro disposizione è sovente regolare e simmetrica. In molte cellule animali il loro bordo è rilevato da un anello cilindrico e lo spazio interno è chiuso da un sottile setto. I pori facilitano sicuramente il passaggio di materiale corpuscolato, che del resto è stato dimostrato da numerose indagini. Le strutture che circondano il poro hanno attività di controllo sul passaggio dei materiali. Va anche aggiunto che i materiali che superano lo strato interno dell'involucro entrano nella cisterna perinucleare e vengono cosi diffusi a tutto il citoplasma tramite le cavità del reticolo endoplasmatico.
b) Epiteli e ghiandole.
La concezione secondo la quale gli epiteli, sia di rivestimento sia ghiandolari, costituiti da un'assisa compatta di cellule a mutuo contatto, sono una barriera cellulare limite fra compartimenti diversi, che attua funzioni meccaniche protettive e funzioni di regolazione di scambi chimici, ha avuto dall'indagine ultrastrutturale importanti contributi: sono state infatti individuate le basi strutturali delle diverse funzioni citate, con particolare riguardo a quelle della regolazione chimica.
Sulla superficie libera degli epiteli specializzati nelle funzioni protettive (nei quali è sempre possibile anche l'attività di trasporto) ha luogo la formazione e la stratificazione di materiali resistenti di copertura, da cui può conseguire l'accumulo anche di materiali molto duri, talora calcificati. Viene confermata la regola generale che la protezione esterna del corpo dei Vertebrati è fornita dai materiali cheratinici, mentre negli Invertebrati il materiale di copertura è la chitina compatta, una struttura paracristallina di natura polisaccaridica.
Nel caso delle strutture cheratiniche, le indagini ultrastrutturali hanno illustrato le successive fasi del processo di citomorfosi cornea delle cellule epidermiche: la fase iniziale, di sintesi della parte filamentosa, cioè dei filamenti cheratinici; la fase di deposizione della matrice; infine la fase di citomorfosi, contrassegnata dalla scomparsa di tutti gli organelli cellulari. I dati ultrastrutturali sono la base per l'interpretazione dell'intima natura dei processi, già studiata con i metodi dell'istochimica e della biologia molecolare.
Le cuticole di copertura di altre forme di epiteli sono sovente strati omogenei non strutturati che si formano per un processo di secrezione e condensazione alla superficie di materiali prodotti dalle cellule. Alcune cuticole hanno però struttura filamentosa, come per esempio quelle di alcune cellule recettrici, che hanno importanza per la recezione degli impulsi. Il caso più tipico è quello della membrana tectoria dell'organo del Corti, nella quale esiste una testura di filamenti che per morfologia e natura si avvicinano ai tonofilamenti cheratinici (v. Iurato, 1960).
Alle richieste meccaniche di stabilità provvedono poi alcune differenziazioni strutturali delle membrane cellulari a contatto, dette strutture giunzionali, che tendono a vincolare strettamente le cellule contigue. La più tipica è la giunzione desmosomica, così denominata perché presente nei corpuscoli o desmosomi di Bizzozero, costituita da membrane limite ispessite e rinforzate da tonofilamenti, fra le quali è compreso un intervallo più ampio ove sono sistemati materiali densi cementati.
Gli epiteli differenziati per le attività di scambio e trasporto presentano una polarità funzionale determinata dalla corrente di transito, che li attraversa dall'esterno verso l'interno o viceversa.
Poiché il passaggio intercellulare, bloccato da strutture giunzionali particolari denominate zonule occludenti, è praticamente escluso, la corrente passa nelle cellule, le cui membrane sono strettamente unite con fusione dello strato esterno, così che ne risulta una struttura definita pentalaminare (v. fig. 21). Opportune esperienze hanno dimostrato che le strutture pentalaminari non possono essere percorse longitudinalmente da molecole, anche se di piccole dimensioni, mentre per contro riducono la resistenza al passaggio trasversale fra due cellule a contatto: pertanto tali strutture, la cui presenza è stata dimostrata anche fra cellule non epiteliali, sono state interpretate come facilitanti gli scambi intercellulari.
Negli epiteli le zonule occludenti si trovano presso la superficie libera e fanno parte di una complessa struttura giunzionale tra le cellule che forma il quadro di chiusura descritto dalla microscopia ottica (v. fig. 21). Le diversità strutturali riscontrabili nei vari tipi di epiteli sono in rapporto alle peculiari attività biochimiche cellulari nei confronti del materiale in transito, secondo una graduatoria di varie complessità strutturali e funzionali, come è possibile rilevare dai seguenti esempi.
Nei casi più semplici gli epiteli sono poco differenziati e monostratificati (per esempio quelli delle sierose); le loro cellule mostrano scarsa specializzazione organellare e il passaggio di acqua e ioni può avvenire in funzione della pressione osmotica, cioè con il cosiddetto trasporto passivo. Più frequentemente il trasporto avviene invece a mezzo di vescicole submicroscopiche, con i già prospettati meccanismi di esocitosi ed endocitosi.
A un livello organizzativo più complesso stanno epiteli - definiti epiteli filtranti con controllo ionico - nei quali il trasporto di acqua si attua con il controllo degli ioni soluti (v. secrezione e assorbimento). Molti di questi epiteli operano una forte concentrazione degli ioni e quindi lavorano contro la pressione osmotica: le basi strutturali per tali funzioni sono costituite da un grande sviluppo di membrane che, staccandosi dalla membrana cellulare, formano complesse digitazioni o lamine che penetrano profondamente nel citoplasma e a cui sono associati numerosi mitocondri che forniscono l'energia necessaria per le operazioni del controllo ionico (v. fig. 22). Il caso più tipico è quello dell'epitelio dei settori del tubulo renale, dove si attua la trasformazione del filtrato glomerulare nell'orina definitiva (v. fig. 22B). L'anatomia comparata ha dimostrato in moltissimi casi l'esistenza di questi epiteli filtranti, molte volte in rapporto alle condizioni di vita degli animali: non ve ne è esempio forse più evidente di quello delle ghiandole del sale degli uccelli marini.
Un terzo livello di questa graduatoria può essere considerato quello degli epiteli monostratificati, definiti assorbenti perché hanno un'ampia gamma di assorbimento di acqua, sali, lipidi, proteine, anche di elevato peso molecolare: un esempio tipico è quello dell'epitelio intestinale di tutti gli animali. In questo caso le differenziazioni strutturali sono molteplici. In primo luogo, in corrispondenza del versante libero di contatto esterno si attua un ampio sviluppo della superficie per la presenza di fitte estroflessioni digitiformi di dimensioni submicroscopiche, compattamente sistemate e dette microvilli, cui è dovuta l'immagine dell'orletto a spazzola messa in evidenza dalla microscopia ottica. Lungo la superficie dei microvilli avviene principalmente assorbimento molecolare di acqua e ioni; nei punti terminali intervillari, cioè a livello della base dei microvilli, si attua invece il trasporto vescicolare per endocitosi, che dà luogo alla formazione di numerose vescicole o gocciole, nelle quali può essere dimostrabile un particolare contenuto, per esempio di lipidi. Le vescicole, durante il passaggio nel citoplasma, possono interferire con la zona del Golgi o con lisosomi: in tal caso ne consegue una più profonda attività biochimica sul materiale introdotto, che può quindi subire profonde modificazioni prima di essere ulteriormente veicolato alle superfici interne cellulari ed eliminato mediante il processo di esocitosi.
Infine, il grado più complesso di organizzazione si trova in quegli epiteli le cui cellule producono materiali specifici, cioè negli epiteli secernenti. Complete indagini ultrastrutturali, morfologiche e biochimiche hanno chiarito la dinamica dell'intero processo secretivo, che può essere schematizzato in tre fasi: sintesi dei materiali specifici, loro organizzazione in granuli ed eliminazione.
La prima fase ha luogo negli organelli specifici, a seconda della natura dei secreti per la sintesi di materiali proteici, glicoproteici o lipidici: in essa le cellule rivelano quindi aspetti peculiari della loro organizzazione e dei loro organelli. Nella seconda fase le molecole prodotte vengono raccolte e condensate in granuli per attività della zona del Golgi; può verificarsi un assestamento cristallino delle molecole. Nella terza fase si svolge un processo di secrezione esterna, con eliminazione per esocitosi dei granuli interi, e un processo di secrezione interna, nel quale i granuli di secreto vengono scomposti prima di attraversare la membrana cellulare o essere eliminati per esocitosi allo stato di molecole disperse.
Si può dire che i dati morfologici ultrastrutturali costituiscono sicuri riferimenti per l'identificazione delle specifiche attività secretive di cellule e ghiandole.
c) Tessuti connettivi.
Le indagini ultrastrutturali non hanno recato nuovi contributi alla conoscenza dell'organizzazione generale della sostanza fondamentale di ciascun connettivo, la cui descrizione era già stata fornita dalla microscopia ottica soprattutto con l'osservazione a luce polarizzata. Il tema principale attualmente in dibattito sta al confine con gli studi macromolecolari e verte sui rapporti delle strutture fibrose del collageno con la quota anista mucoprotidica detta appunto sostanza fondamentale. Indagini elettroniche ad alta risolvibilità (v. Smith e Frame, 1969) hanno fornito immagini che depongono per l'esistenza di stretti rapporti fra le molecole mucoprotidiche e la struttura periodica del collageno. In base ai risultati di controlli chimici si ritiene che tali rapporti siano diversi a seconda dei tessuti e vadano dalla semplice penetrazione delle molecole nelle zone porose fino ai legami chimici con stabile connessione dei mucoprotidi con le molecole del collageno. Si può così prospettare la tesi che la parte acellulare dei connettivi sia un sistema complesso costituito da un traliccio portante a densa costituzione, formato dalle parti filamentose, al quale sono ancorate le molecole mucoprotidiche che formano un reticolo molecolare negli spazi interfibrillari. Le varianti quantitative dei due componenti e le varianti dei legami più o meno stabili tra fibrille e mucoprotidi determinano le diversità strutturali e funzionali dei vari tipi di connettivi, dalle forme fibrose compatte a quelle lasse. In queste ultime la sostanza anista costituisce il mezzo in cui passa il liquido interstiziale e svolge quindi un importante ruolo di filtro nella regolazione degli scambi fra i vasi e gli elementi parenchimali.
Quote specifiche di glicoproteine sono responsabili delle fasi iniziali del processo di calcificazione: la loro presenza nella compagine delle fibrille può spiegare il reperto, dimostrato da Ascenzi e altri (v., 1967), della nucleazione e calcificazione nell'interno delle fibrille collagene.
d) Tessuti muscolari.
La costituzione delle fibre muscolari scheletriche è caratterizzata dalla rigorosa organizzazione dei filamenti miosinici e actinici delle miofibrille, dalla cui disposizione parallela residuano sottili spazi interfibrillari a forma di esili fessure e uno spazio superficiale, subito al di sotto del sarcolemma. In questo spazio, com'è noto dalla microscopia ottica, sono sistemati i nuclei e contingenti di sarcoplasma e infine la giunzione nervosa o placca motrice. Nelle sottili fessure interfibrillari sono sistemati principalmente gli organelli e il materiale correlato ai fenomeni metabolici della contrazione delle miofibrille (v. fig. 23), cioè lunghi mitocondri e abbondanti ammassi di glicogeno, che è il materiale energetico consumato nella contrazione. Sono poi presenti strutture membranose tubulari o a sacche appiattite, collegate tra loro a rete (reticolo sarcoplasmatico). In taluni punti il reticolo è collegato tramite strutture giunzionali membranose con introfiessioni del sarcolemma: si tratta di giunzioni facilitanti che permettono la rapida propagazione dal sarcolemma al reticolo di quelle modificazioni ioniche indotte dalla stimolazione nervosa, che sono in rapporto al meccanismo della contrazione (v. tessuto muscolare).
La struttura della placca motrice è quella di un bottone sinaptico, le cui vescicole contengono acetilcolina: questa parte della terminazione nervosa è strettamente unita, con un complesso dispositivo, al sarcolemma e al sarcoplasma, così che possono aver luogo i fenomeni di depolarizzazione di membrana che vengono poi trasmessi alle miofibrille dal reticolo sarcoplasmatico (v. sinapsi: Fisiologia della sinapsi periferica e Farmacologia della sinapsi neuromuscolare). L'indagine ultrastrutturale ha quindi identificato le basi strutturali non soltanto dei meccanismi di contrazione delle miofibrille, ma anche dei fenomeni metabolici che regolano tutta la dinamica della contrazione muscolare.
Gli elementi miocardici hanno fine struttura, strettamente avvicinabile a quella delle fibre muscolari striate; la dimostrazione della loro organizzazione in fibre tramite collegamenti stabili giunzionali, le cosiddette strie intercalari, ha fatto cadere la concezione dello stato sinciziale del miocardio.
I risultati delle indagini di microscopia elettronica depongono per la presenza di filamenti actinici nel tessuto muscolare liscio; ma le più recenti ricerche hanno consentito di dimostrare anche la presenza della miosina, e correlate osservazioni al microscopio elettronico tendono oggi a identificarvi grossi filamenti corrispondenti ai filamenti miosinici delle fibre muscolari striate (v. Lowy e Small, 1970; v. Garamvölgyi e altri, 1971).
Queste ricerche sono ancora in corso, ma appare già chiara la possibilità che anche nelle cellule muscolari lisce i dati ultrastrutturali consentano di interpretare i meccanismi della contrazione secondo il modello prospettato per le fibre muscolari striate.
Gli elementi muscolari lisci sono frequentemente a stretto contatto tra loro e uniti da giunzioni facilitanti che permettono la propagazione dello stato di contrazione senza l'intervento di giunzioni nervose singole. Queste ultime, presenti in quantità variabile nei diversi tipi di tonache muscolari lisce, sono piccole espansioni terminali simili alla placca motrice dei muscoli striati, ma più semplici.
Ma nella maggioranza dei casi, e in modo costante per esempio nelle tonache intestinali, non esistono vere giunzioni e le terminazioni nervose sono disperse nell'interstizio dove viene diffuso il mediatore. La fissazione dei diversi mediatori è ottenuta da specifiche molecole recettrici sistemate nella membrana cellulare limite delle cellule muscolari: le molecole per la contrazione e l'inibizione sono definite rispettivamente α e β. Appare probabile (ma tuttora non si hanno dati) che le molecole recettrici siano sistemate in modo ordinato nella membrana limite così da essere esposte le une o le altre, a seconda dello stato di contrazione o di rilasciamento delle cellule muscolari lisce.
Si può aggiungere che tali ricerche hanno notevolmente ampliato le conoscenze sulla distribuzione e sulla natura delle fini fibre amieliniche della muscolatura liscia, sfruttando le tecniche di rilevamento delle fibre adrenergiche mediante fluorescenza a luce ultravioletta.
e) Tessuti e organi nervosi.
I risultati degli studi ultrastrutturali sono stati di grande rilievo non solo per quanto riguarda la fine struttura dei neuroni e delle cellule gliali, ma anche in relazione alle informazioni risolutive che ne sono derivate sull'intima organizzazione e sulla costituzione degli organi nervosi, problema per il quale le tecniche dell'anatomia microscopica si erano rivelate in gran parte inadeguate.
Il microscopio elettronico, mettendo in evidenza che tutte le cellule nervose sono delimitate dalla loro membrana cellulare, ha fornito la sicura dimostrazione della validità della teoria del neurone. Tuttavia, la possibilità dell'esistenza fra i neuroni di strutture giunzionali delle membrane, che in certi casi possono svolgere la funzione di completamento delle condizioni elettriche degli elementi a contatto, ha in parte limitato la concezione dell'indipendenza completa, anche funzionale, dei neuroni.
La trasmissione degli impulsi fra neuroni è anzitutto in rapporto a strutture specifiche, i cosiddetti ‛bottoni sinaptici': questi sono espansioni terminali o collaterali delle fibre nervose, che si trovano a contatto con la membrana del neurone ricevente ma ne rimangono separate dall'intervallo sinaptico dell'ampiezza di circa 30 nm (v. fig. 24A). Il bottone sinaptico, analizzato con metodiche morfologiche e biochimiche, presenta peculiarità strutturali nelle due membrane presinaptica e postsinaptica e un contenuto organellare di mitocondri e di specifiche vescicole, nelle quali è sistemato il mediatore chimico che attua il passaggio sinaptico (v. fig. 24B).
Indagini parallele morfologiche e biochimiche hanno dimostrato l'esistenza di diversi tipi di vescicole per il contenuto dei mediatori. La distinzione principale sta fra le vescicole dette chiare, che contengono acetilcolina, e le vescicole dette scure, perché presentano un granulo denso marcato dai reagenti fissatori, che contengono catecolammine. Ma sono stati dimostrati casi di bottoni sinaptici contenenti ambedue le vescicole, quindi i due mediatori antagonisti, la cui fissazione è legata alle molecole recettrici α e β sistemate nelle membrane degli elementi contrattili, come è stato esposto nelle pagine antecedenti.
I risultati di queste indagini, unitamente a quelli delle ricerche di elettrofisiologia, hanno consentito di prospettare la serie degli eventi che si attuano a livello delle giunzioni sinaptiche per il passaggio degli impulsi nervosi: essi comprendono la liberazione del mediatore nell'intervallo sinaptico, il suo controllo da parte di enzimi, la sua fissazione su molecole recettrici della membrana subsinaptica sino alla depolarizzazione di quest'ultima con i conseguenti passaggi ionici che inducono l'eccitazione del neurone (v. Eccles, 1965; v. neurone e impulso nervoso e sinapsi: Fisiologia della sinapsi centrale e Fisiologia della sinapsi periferica). È certo merito principale degli studi ultrastrutturali aver posto su basi fondate la concezione del meccanismo chimico della trasmissione nervosa; tali indagini hanno anche dimostrato l'esistenza di giunzioni che funzionano con meccanismo elettrico e sono dette perciò elettrotoniche, nonché di giunzioni non unidirezionali definite ‛giunzioni efaptiche'.
I neuroni hanno un complesso patrimonio organellare ammassato soprattutto nel pirenoforo, centrale direttiva di tutti i processi biochimici cellulari che da qui si propagano poi lungo i prolungamenti. Gli organelli non hanno i caratteri di specifici alloplasmi: vi sono rappresentati l'ergastoplasma, che corrisponde alla sostanza di Nissl o sostanza tigroide, messa in evidenza dalla microscopia ottica, sviluppate zone di Golgi, strutture filamentose dei neurofilamenti e microtubuli, numerose strutture vescicolari, eventuali materiali pigmentari (v. fig. 25). Gli organelli sono in rapporto con la complessa attività metabolica del neurone, che comprende un'importante attività di sintesi proteica: i materiali cosi prodotti sono veicolati lungo i prolungamenti, spesso notevolmente lunghi, per l'intervento delle strutture filamentose, il cui ruolo nel trasporto cellulare risulta quindi fondamentale.
È stata prospettata l'ipotesi che le attività proteino-sintetiche delle cellule nervose siano in rapporto non solo con il metabolismo cellulare e con la produzione delle sostanze necessarie per la conduzione nervosa e per l'attività sinaptica, ma anche con processi più strettamente correlati a funzioni nervose integrative: di particolare interesse e attualità è la concezione dell'interferenza della sintesi proteica nei meccanismi della memoria (teoria delle basi molecolari della memoria).
I prolungamenti nervosi sono espansioni citoplasmatiche a struttura semplificata per mancanza degli organi della sintesi proteica: contengono sempre mitocondri. Nell'assone i neurofilamenti prevalgono in genere sui microtubuli, che sono invece assai più abbondanti nei dendriti (v. fig. 25B), ma la distinzione morfologica ultrastrutturale fra neuriti e dendriti a livello delle ramificazioni più fini è sovente difficile anche al microscopio elettronico.
Le indagini ultrastrutturali in microscopia elettronica sugli organi nervosi hanno fornito dati importanti sull'organizzazione e sulla struttura delle cellule gliali, sui loro contatti con i vasi (base anatomica della barriera ematoencefalica) e soprattutto hanno dimostrato che negli spazi fra i neuroni, cioè nella sostanza interneuronale o neuropilo, esiste un colossale intreccio di prolungamenti diversi e di espansioni sinaptiche, che supera largamente quanto era stato supposto in base ai dati di microscopia ottica (v. fig. 26). Il tema di studio, oggi in pieno sviluppo, è quello dell'identificazione dei caratteri, delle origini e delle connessioni di tutti questi prolungamenti ed espansioni nervose, per riuscire a ricostruire i circuiti interni dei diversi organi nervosi. La complessità del problema ha richiesto un particolare sviluppo interdisciplinare della neurologia che associa le indagini in microscopia elettronica con quelle sperimentali, sempre controllate dal microscopio elettronico, e la fine esplorazione elettrofisiologica con la tecnica dei microaghi.
Questa tecnica ha già dato risultati molto brillanti, e persino in una struttura complessa come quella della corteccia cerebellare ha condotto a interpretazioni risolutive delle modalità di collegamento dei diversi elementi e del significato fisiologico dei diversi circuiti intracorticali (v. Eccles e altri, 1967).
Le indagini ultrastrutturali sui recettori sono state associate ad analisi biochimiche e a esplorazioni elettrofisiologiche, e hanno avuto come tema principale l'identificazione delle basi strutturali dei fenomeni della transduzione. E stato così possibile, ad esempio, risolvere tale problema nel caso dei fotorecettori: questi elementi mostrano nell'articolo esterno una complessa struttura laminare, nelle cui membrane sono sistemati i pigmenti fotosensibili, e subito al di sotto un addensamento dei mitocondri che provvedono alle operazioni energetiche necessarie per tutti i processi biochimici della transduzione dell'energia luminosa nell'impulso nervoso. Nel complesso si può dire che il processo transduttivo è stato chiarito fino alle sue basi molecolari.
Molti dati di fine citologia sono stati acquisiti dagli studi ultrastrutturali degli epiteli sensoriali del labirinto membranoso (v. Iurato, 1967). Una delle acquisizioni più importanti è stata la dimostrazione che la giunzione nervosa delle cellule sensoriali del labirinto è molto complessa per la presenza di terminazioni sensoriali riceventi e di bottoni terminali di fibre efferenti di origine centrale che modulano il passaggio degli impulsi dalla cellula recettrice alla fibra sensoriale. Questa dimostrazione, corredata da dati elettrofisiologici, ha aperto il campo allo studio dei dispositivi nervosi centrali e periferici che controllano la trasmissione delle informazioni sensoriali.
Oggi sono noti molti altri dati ultrastrutturali sulla fine struttura di altri recettori corpuscolati, come quelli di Pacini e Meissner, e sui fusi neuromuscolari: generalmente, tuttavia, le basi strutturali della transduzione meccanoelettrica non sono state individuate, probabilmente perché di livello molecolare.
f) Endoteli e umori circolanti.
Le cellule endoteliali hanno fine struttura piuttosto semplice per quanto riguarda il corredo di organelli: il dato più caratteristico è il grande sviluppo delle strutture vescicolari che attuano il trasporto nelle due direzioni, con i processi già descritti di esocitosi ed endocitosi. Le cellule endoteliali sono a mutuo contatto, unite da dispositivi giunzionali tra i quali figurano zonule occludenti di blocco: non è totalmente esclusa la possibilità di trasporto intercellulare.
Nella grande maggioranza dei casi il microscopio elettronico ha confermato l'ipotesi secondo la quale gli endoteli formano strati continui, che segnano il limite tra torrente circolatorio e parenchimi, ma ha anche dimostrato l'esistenza di peculiari dispositivi facilitanti il passaggio, e quindi il trasporto: questi sono identificabili in piccole aree notevolmente assottigliate, rotondeggianti e di grandezza submicroscopica, sovente numerose e avvicinate, formanti zone poriformi dell'endotelio con pori chiusi da sottolissimi setti (v. fig. 27). È stata sostenuta anche l'ipotesi dell'esistenza di veri intervalli fra le cellule endoteliali (finestre degli endoteli), ma il reperto delle immagini al microscopio elettronico è stato criticato in considerazione di possibili artefatti tecnici: il caso più discusso è quello degli endoteli del fegato.
Le indagini sulla fine struttura degli elementi del sangue hanno rivelato che gli organelli, in rapporto alle loro diverse funzioni, presentano aspetti differenziativi specifici. Così è stato dimostrato che i granuli degli elementi neutrofili sono lisosomi correlati alle attività fagocitiche; che un significato simile deve essere attribuito ai granuli eosinofili, caratterizzati da una struttura cristallina; che i monociti presentano le caratteristiche di elementi macrofagici, in accordo, del resto, col loro comportamento funzionale.
L'organizzazione dei globuli rossi è sostenuta dalle molecole della stromatina, nelle cui maglie si trova allo stato disciolto l'emoglobina: essi sono privi di organelli e hanno la membrana limite a struttura trilaminare.
Le indagini ultrastrutturali sono state estese anche all'analisi dei processi citogenetici dei diversi elementi del sangue. In questi, come in quasi tutte le cellule in differenziazione, nelle fasi iniziali si formano organelli deputati alla sintesi e all'organizzazione delle future strutture specifiche che sono sovente transitorie, vale a dire scompaiono dopo aver esaurito la loro funzione. Nella serie rossa, durante la fase eritroblastica si forma un vastissimo corredo di poliribosomi a rosetta, che sono la sede di formazione dell'emoglobina; questi vengono successivamente eliminati insieme a tutti gli altri organelli e al nucleo. Nella serie bianca, durante la fase di evoluzione mieloblastica si forma un reticolo endoplasmatico ribosomico che, associato alla zona del Golgi, provvede alla sintesi e poi all'organizzazione dei granuli specifici; molte strutture organellari vengono ridotte nella fase maturativa. Tutte queste indagini hanno fornito una spiegazione scientifica delle variazioni morfologiche e tintoriali rilevate dagli studi di ematologia con le tecniche della microscopia ottica.
Le cellule linfatiche, invece, prospettano maggiori difficoltà interpretative, perché all'esame al microscopio elettronico rivelano fine struttura di estrema semplicità che non consente di ottenere informazioni sufficienti a individuarne le precise caratteristiche biologiche e in particolare le proprietà funzionali. Tuttavia, la fondamentale osservazione di Miller (v., 1962) delle conseguenze della timectomia neonatale sulla risposta immunitaria del topo ha aperto un nuovo campo di studi, nel quale si è registrata una vera esplosione di ricerche morfologiche, chimiche, genetiche e, sia pure con carattere non primario e determinante, ultrastrutturali: tutte queste indagini hanno consentito da un lato lo sviluppo dell'immunologia fino agli attuali livelli delle fondamentali discipline biologiche, dall'altro l'acquisizione di dati di notevole rilievo sulle cellule linfatiche. È stato così possibile ricostruire l'evoluzione delle cellule linfatiche primitive nei linfociti attivi e nelle plasmacellule, ben identificate come cellule di produzione e secrezione degli anticorpi solubili immessi nel sangue; procedere all'analisi della fine struttura degli organi linfatici, da cui sono derivate ulteriori precisazioni funzionali e l'identificazione della sede dei due stipiti, timodipendenti e non timodipendenti, delle cellule linfatiche; condurre lo studio ultrastrutturale del timo - organo direttivo dell'immunocompetenza, almeno nella fase iniziale di tale processo - che è oggi considerato appartenente non all'apparato endocrino ma al sistema linfatico.
I limiti delle possibilità dell'indagine ultrastrutturale in campo immunologico si rilevano da quanto è emerso sul valore, l'origine e il destino delle cellule chiamate comunemente linfociti: le ricerche di genetica, di biochimica e di biologia generale dimostrano infatti che questi elementi, i quali hanno anche struttura fine affatto simile, sono in realtà vari tipi - timociti, linfociti vergini, linfociti portatori di anticorpi - costituenti un gruppo cellulare disomogeneo per origine, capacità evolutive e valore funzionale. Per quanto riguarda i linfociti portatori di anticorpi, appare molto probabile che il loro carattere differenziale sia di livello molecolare, per la sistemazione nella membrana cellulare delle specifiche molecole recettrici anticorpali.
4. Considerazioni conclusive.
Le indagini ultrastrutturali hanno consentito di acquisire tutta una serie di nuove conoscenze morfologiche, che rappresentano il collegamento tra il patrimonio culturale della microscopia ottica e quello della biologia molecolare e colmano una lacuna denominata un tempo ‛intervallo delle dimensioni dimenticate'. Il metodo morfologico è quindi oggi applicato a tutti i campi, quale che sia il loro ordine di grandezza, dalla morfologia macroscopica alla morfologia molecolare: la biomorfologia presenta un quadro sistemico che può essere considerato definitivo.
Tuttavia, poiché l'importanza di ogni nuovo sviluppo scientifico non può essere valutata solo dai risultati raggiunti, ma principalmente dall'influenza esercitata sullo sviluppo del pensiero scientifico, è necessario esaminare le conseguenze dottrinali delle conoscenze ultrastrutturali nel campo della morfologia e della biologia generale.
a) Ultrastrutture e morfologia generale.
Le influenze esercitate dalle conoscenze ultrastrutturali sui principi dottrinali della morfologia generale possono essere rilevate esaminando il significato assunto dal termine ‛struttura' negli studi ultrastrutturali.
Poiché le ultrastrutture sono modelli ricostruiti, è evidente che i rilievi empirici, morfologici o no, che sono la base della ricostruzione modellistica, rappresentano elementi di informazione in grado di condurre a una concezione interpretativa globale, il cui scopo è individuare il valore funzionale delle ultrastrutture. Ne consegue che il termine ‛struttura' è riferito non più, come nella tradizione classica morfologica, al rilievo empirico di elementi costruttivi, ma a una concezione globale razionale.
Questo radicale spostamento del significato di struttura ha basi ben fondate nelle attuali conoscenze sui meccanismi neurofisiologici dell'apprendimento tramite le informazioni visive, conoscenze che sono la base scientifica della psicologia della forma. E poiché queste basi neurofisiologiche sono evidentemente valide per la conoscenza delle forme di tutti gli ordini di grandezza, si può concludere che gli studi ultrastrutturali hanno imposto al biomorfologo una funzione interpretativa dei reperti empirici delle forme caratterizzata da una più elevata razionalità: essa è ben definita dall'espressione visual thinking, usata da Arnheim per definire il complesso delle operazioni recettoriali e mentali che conducono alla definizione di una forma (v. Bairati, 1971).
Da questa posizione razionale è derivata una diversa linea di condotta del morfologo sia nell'impostazione delle tecniche di allestimento delle preparazioni sia nella logica dell'interpretazione conoscitiva. Il biomorfologo ha abbandonato l'indirizzo morfologico classico che mirava, con il perfezionamento tecnico, a ottenere immagini perfettamente equivalenti alla realtà, capaci da sole di fornire tutti i dati utili per l'interpretazione: egli considera oggi le immagini delle forme come un tipo di informazione che deve confortare e completare con altre informazioni prima di riuscire a compiere una operazione mentale interpretativa delle caratteristiche costruttive della sostanza vivente, del loro valore funzionale, delle loro modalità di origine. Di conseguenza egli è sempre pronto ad abbandonare o modificare le concezioni interpretative a seconda dello sviluppo delle nuove indagini, rivedendo e reinterpretando le immagini alla luce dei nuovi dati acquisiti.
Gli studi ultrastrutturali hanno quindi esercitato un'influenza importante sulla morfologia generale, determinando una più razionale impostazione tanto delle tecniche di ricerca, quanto delle linee interpretative.
Nel più ampio contesto della filosofia delle scienze, sarebbe interessante rilevare in quale misura la definizione di struttura adottata in biologia possa contribuire ai tentativi di trovare un denominatore comune per la definizione più generale di struttura, termine usato in architettura, nelle arti figurative, in economia, psicologia, linguistica, con significati apparentemente diversi.
Si può facilmente constatare che l'evoluzione del significato di struttura in biologia presenta strette affinità con quella verificatasi in architettura, dove il termine ‛struttura' è passato dalla definizione empirica degli elementi costruttivi alle concezioni globali dello strutturalismo.
Più difficile appare l'accostamento con i significati attribuiti al termine in economia, psicologia, linguistica, dove con ‛struttura' si definisce una serie di passaggi fenomenologici strettamente interdipendenti, frequentemente non delimitati: ne consegue pertanto la difficoltà di accostare le entità statiche empiriche degli elementi costruttivi architettonici e anatomici alle fasi fenomenologiche delle strutture economiche, linguistiche e psicologiche. Nelle varie accezioni, sebbene in tutte si rinvenga la tendenza comune a usare il termine ‛struttura' per definire ricostruzioni razionali mentali, permangono ancora aspetti contrastanti che richiederanno una più approfondita analisi semantica e una migliore sintesi.
b) Ultrastrutture e biologia generale: limiti dottrinali.
I risultati più persuasivi e sovente definitivi ottenuti dall'indagine ultrastrutturale concernono il campo delle interpretazioni funzionali. Si può dire che gli studi ultrastrutturali hanno soddisfacentemente risolto la maggioranza dei problemi prospettati dalla microscopia ottica circa il significato funzionale e l'attività delle organizzazioni endocellulari ed extracellulari. Collegandosi armonicamente con le conoscenze della biologia molecolare, i dati ultrastrutturali hanno fornito un valido contributo alla soluzione del problema dell'identificazione del substrato strutturale dei fenomeni vitali.
Ma poiché è noto che nelle scienze biologiche il livello più elevato non è rappresentato dalla ricerca interpretativa funzionale bensì dall'identificazione delle cause determinanti forme e strutture, ci si pone la domanda se esista o meno un valido indirizzo causale negli studi ultrastrutturali. I dati attuali dimostrano che tali ricerche hanno effettivamente prospettato problemi di morfogenesi, ma, dopo aver rivelato alcuni aspetti dell'evoluzione temporale delle ultrastrutture, nei tentativi di interpretazione causale sono generalmente sconfinati in settori di stretta competenza della biologia molecolare. Lo studio ultrastrutturale è riuscito solo a porre il problema se le sistemazioni molecolari delle strutture elementari siano determinate dalle caratteristiche intrinseche delle molecole o se invece esistano fattori morfogenetici estrinseci alle molecole stesse; ma sono le esperienze di biologia molecolare che hanno consentito di dimostrare che la seconda tesi è quella più valida, anche se non si esclude naturalmente l'importanza della reattività molecolare nella sistemazione delle molecole. Si deve dunque ammettere che nell'elaborazione di questi temi le indagini ultrastrutturali hanno avuto un ruolo secondario e, pur rappresentando un aspetto molto significativo dello sviluppo del pensiero biologico di questo secolo, non costituiscono la punta più avanzata della speculazione biologica, che va invece identificata nelle ricerche di biologia molecolare.
Un altro limite dottrinale dell'indirizzo ultrastrutturale, che in parte deriva da quanto già esposto, emerge dall'esame dell'influenza esercitata dalle conoscenze ultrastrutturali sulle correnti di idee ereditate dal secolo scorso ed espresse dai termini ‛vitalismo', ‛meccanicismo', ‛determinismo', ‛epigenismo'.
Si pensa generalmente che gli studi ultrastrutturali, rilevando con grande frequenza esempi di disposizioni simmetriche di molecole e complessi molecolari, abbiano contribuito a rafforzare le tendenze meccanicistiche allargando fino al livello molecolare i tentativi sviluppati nel secolo scorso per individuare nelle strutture viventi stati fisici identici a quelli del mondo inanimato. In realtà l'esame obiettivo dei dati forniti dalle ultrastrutture permette solo di affermare che nelle strutture elementari si verificano assai di frequente disposizioni molecolari simmetriche cristalline e organizzazioni sopramolecolari con sistemazione delle subunità in simmetrie cubiche, esagonali e trigonali, e che queste sistemazioni sono compatibili con lo svolgimento di attività considerate tipiche dello stato vivente. Ma, salvo il caso di veri corpi cristallini, in genere isolati temporaneamente dalle attività vitali, non si riscontra nelle organizzazioni simmetriche ultrastrutturali quella compatta sistemazione spaziale delle molecole, con totale utilizzazione dello spazio, che si verifica nei sistemi cristallini di alta entropia. L'indirizzo ultrastrutturale può tuttavia essere considerato tendenzialmente antivitalistico, perché i risultati acquisiti dimostrano che nei livelli ultrastrutturali non si trovano organizzazioni che non siano spiegabili con le leggi fisiche del mondo inanimato.
Detto ciò, bisogna però riconoscere che, non essendosi verificato un soddisfacente e chiaro sviluppo causale degli studi ultrastrutturali, questi non hanno avuto riflessi importanti nel confermare o escludere concezioni meccanicistiche o vitalistiche, deterministiche o epigenistiche. E tuttavia, associati alle conoscenze derivate dalla biologia molecolare e da queste completati, gli studi ultrastrutturali hanno certo contribuito a quel rinnovamento del pensiero biologico nel quale meccanicismo e vitalismo, determinismo ed epigenismo appaiono come impostazioni troppo schematiche, incapaci di suggerire alla filosofia delle scienze una sintesi generale delle nuove e originali acquisizioni della biologia moderna.
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