HUTTEN, Ulrich von
Nacque il 21 aprile 1488 nel castello avito di Steckelberg, presso il monastero di Fulda. E nel monastero entrò, nel 1499, per volere del padre; ma ne uscì nel 1505, per dedicarsi completamente humanis lìtteris. Per molti anni, sino al 1517, andò vagando da un luogo all'altro: Colonia, Erfurt, Francoforte sull'Oder, Lipsia, Greifswald, Rostock, Vienna, Pavia, Bologna, la corte di Alberto di Brandeburgo, nuovamente Bologna, Roma, Venezia; occupando queste sue peregrinazioni in studî - ma, com'è ovvio, non molto regolari -, contraendo amicizie con umanisti, fra gli altri con Erasmo, scrivendo le sue prime opere (Quaerelae in Lossios, Nemo, ecc.). Ma già i suoi interessi andavano oltre le questioni puramente erudite: alla corte di Massimiliano imperatore nel 1511, in un carme, cominciava a trattare della grandezza germanica, collegando i suoi tempi e quelli di Arminio; mentre fra il 1515 e il 1517 scendeva anch'egli in campo, con gli altri membri della famiglia H., contro il duca Ulrico di Württemberg, che aveva ucciso un cugino di H. per goderne la moglie, e scriveva a tale scopo quattro orazioni, un carme e il dialogo Phalarismus. Nell'un caso e nell'altro, v'erano già in nuce le linee direttive della futura attività di Ulrico: da una parte, un innegabile sentimento nazionale, nutrito dei ricordi del passato, alimentato dall'odio contro Roma; dall'altra, l'astio contro i principi territoriali, dove appariva pienamente il cavaliere H., legato profondamente alla sua classe e avversissimo per ciò ai principi, che sempre più diminuivano l'importanza, le risorse e le speranze dei cavalieri germanici. I due elementi apparivano intrecciati nel discorso tenuto alla dieta di Augusta Ad principes Germaniae (1518), in cui la causa dell'indebolimento della Germania veniva attribuita ai principi, i "tiranni".
Ma ora i suoi ideali politici trovavano finalmente il terreno più favorevole nella contesa fra Lutero e la curia romana,. che stava sempre più allargandosi e divenendo fatto di un'intera nazione. Anche H. era ostile al papato: la sua avversione era cresciuta nella stessa sua permanenza a Roma, e, colpito dalla lettura del famoso scritto di Lorenzo Valla sulla donazione di Costantino, egli lo aveva tradotto in tedesco sin dal 1517. Ma occorre precisare che l'avversione di H. era, assai più che religiosa, politica; e non derivava da una profonda preoccupazione per la salvezza dell'anima, quanto dal desiderio di spezzare quei gravamina deutscher Nation, contro cui era d'altronde così viva l'avversione proprio nella classe dei cavalieri, a cui H. si gloriava di appartenere. Il problema veramente religioso della protesta luterana non lo interessava; ed egli rimase sempre indifferente alle dispute dei teologi, di cui si occupò solo in quanto credette che potessero servire alla sua causa politica. Solo per questo egli s'intromise nella questione reuchliniana, quando v'intervenne pure, con la forza, Franz von Sickingen; per questo cominciò a interessarsi di Lutero, quando gli parve che da quelle dispute sulla fede potesse uscire un movimento che assicurasse la libertà della Germania da Roma, la nuova grandezza tedesca e, anche, una nuova era prospera per i cavalieri e per sé stesso. Infatti i suoi primi approcci con Lutero sono per offrirgli aiuto a nome del Sickingen; cioè per trasformare la contesa religiosa in contesa politica, per liberare oppressam diu patriam. Nel 1520 H. dichiara pubblicamente guerra ai "romanisti": guerra s'intende a base di libelli, di esortazioni al popolo tedesco e allo stesso imperatore Carlo V, per invogliarlo ad assumere la direzione della lotta. Intanto va alla corte di Ferdinando d'Asburgo, a Bruxelles. Ma, quando apprende che la corte papale sta predisponendo un giudizio anche contro di lui, abbandona la corte e si rifugia presso il fido amico, il Sickingen. E lì, al sicuro nella forte rocca, scrive, soprattutto in tedesco, contro Roma (Clag und vormanung gegen dem uebermassigen unchristliches gewalt des Papst zu Rom; Arminius; Monitor primus e Monitor secundus, ecc.), aprendo nel 1521, dopo la dieta di Worms, la guerra cavalleresca, la Fehde contro romanisti e cortigiani, guerra combattuta non più solo con la penna, ma con vere e proprie azioni, tra belliche e brigantesche, contro i certosini di Strasburgo, ecc. Ormai è ripreso totalmente dalle consuetudini della classe cavalleresca; è degno compagno di Sickingen. Ma quando quest'ultimo è sconfitto davanti a Treviri, e contro di lui si prepara la grande lega dei principi (v. sickingen), H., da tempo malato di sifilide, deve abbandonare il castello dell'amico: e nel novembre 1522 va a Basilea, poi nell'agosto 1523 a Zurigo, accolto da Zwingli. E nell'isoletta di Ufnau muore la notte del 31 agosto 1523.
Sulla figura del H. si sono accese discussioni assai vive. Al quadro tradizionale, dovuto allo Strauss, dell'eroe nazionale è stata contrapposta dal Kalkoff (a sua volta, vivamente discusso) la figura di un egoista, preoccupato solo del proprio interesse, senza idealità religiose e morali e nemmeno politiche. E certo, come si è già accennato, in H. il motivo religioso ha scarsa o nulla importanza; certo nella sua stessa concezione politica si avverte chiaramente l'eco delle rivendicazioni di una classe, quella dei cavalieri, del cui spirito H. era profondamente imbevuto; certo, anche, più che vero e proprio uomo politico, H. fu, e volle d'altronde essere, un agitatore, un combattente. Non l'uomo di stato, ma il rivoluzionario, a cui la parola sola "rivoluzione" basta per accendere la fantasia. E occorre di più precisare che se H. cercò, per primo, di dare un carattere politico alla protesta di Lutero, la Riforma politica fu tuttavia assai diversa da quella che egli aveva vagheggiata: essendo infatti divenuta tale per opera e a vantaggio dei principi territoriali, con tutt'altra direzione cioè da quella voluta dal cavaliere H. Sì che l'azione politica di questi fu un episodio degli albori della Riforma, non diverso, per il suo acceso contenuto rivoluzionario e per la scarsa influenza sul prossimo futuro, da quella che fu l'azione dei contadini ribelli della Germania meridionale e centrale. Tuttavia non è possibile disconoscere ch'egli lottò per un'idea: l'idea cioè della patria germanica, amata e vagheggiata con un ardore sincero, e in cui si frammischiano sentimenti e idee medievali con sentimenti e idee che già sono del mondo moderno. Ed è innegabile che con le sue polemiche, con il continuo insistere sulla nazione e sulla grandezza germanica, con il riproporre, come eroe nazionale, Arminio, il H. ha avuto un forte influsso specialmente in età assai più tarda (nel periodo del risorgimento tedesco) sul formarsi della coscienza nazionale germanica.
Ediz.: Opera, quae reperiri potuerunt omnia, edite a cura di E. Böcking, voll. 7, Lipsia 1859-1870.
Bibl.: Le opere principali sono quelle di D. F. Strauss, U. v. H., nell'ed. di O. Clemen, Lipsia 1927 (l'opera classica); di P. Kalkoff, U. v. H. u. die Reformation, Lipsia 1920, e Huttens Vagantenzeit u. Untergang, Weimar 1925; F. Walser, Die politische Entwicklung U. v. H. während d. Entscheidungsjahre d. Reformation, Monaco e Berlino 1928; H. Holborn, U. v. H., Lipsia 1929; D. Cantimori, U. v. H. e i rapporti tra Rinascimento e Riforma, Pisa 1930.