GOBBI, Ulisse
Nacque a Milano, il 10 genn. 1859, da Ambrogio e da Giuseppina Vitali. Si laureò in giurisprudenza a Pavia nel 1880 e nel 1881 cominciò a insegnare materie giuridico-economiche nell'istituto tecnico C. Cattaneo della sua città; sin dagli anni giovanili prese parte all'intensa vita politica e culturale milanese.
Esponente dell'area liberaldemocratica (tra il 1888 e il 1920 fu varie volte consigliere comunale), fondò tra l'altro un giornale di cultura popolare, La Fratellanza, vicino agli interessi delle classi lavoratrici; nel 1881, divenne membro dell'Istituto lombardo di scienze e lettere, di cui poi, dal 1928 al 1930, fu presidente.
Fece parte del comitato promotore del I congresso dei cooperatori italiani, tenutosi a Milano dal 10 al 13 ott. 1886, e, in seguito, entrò nel comitato centrale della Federazione nazionale delle cooperative italiane. Nel 1888 ottenne la libera docenza in economia politica presso l'Università di Pavia e, dallo stesso anno, diresse una società di mutua assicurazione sulla vita, La Popolare, nonché il patronato di assicurazione e soccorso per gli infortuni sul lavoro. Nel 1892, in seguito all'acuirsi di un contrasto all'interno della Camera di commercio di Milano, il G., con altri economisti contrari alla politica doganale protezionistica perseguita dalla Camera, fondò l'Associazione per la libertà economica, entrando nel consiglio direttivo. Dal 1896 sostituì il suo maestro, L. Cossa, nell'insegnamento di economia politica e industriale presso il R. Istituto tecnico superiore di Milano (che poi sarebbe divenuto il Politecnico); dal 1902 tenne l'insegnamento di economia politica presso l'Università commerciale L. Bocconi e, nel 1913, divenne professore straordinario.
Nel 1903 era entrato nel comitato di direzione della nuova Rivista mensile di amministrazione e ragioneria pubblica e, nel 1917, divenne membro della commissione ministeriale per l'assicurazione obbligatoria; ricoprì anche la carica di membro del Consiglio superiore della previdenza.
Nel 1920 una commissione di concorso, composta da L. Einaudi, M. Pantaleoni, A. Loria, R. Cattaneo e L. Bodio, lo nominò professore ordinario di materie giuridiche e di economia politica e industriale. Nel 1925 si iscrisse al partito fascista; dal 1929 si trasferì dal Politecnico all'Università Bocconi, della quale fu rettore tra il 1930 e il 1934, quando lasciò l'insegnamento per raggiunti limiti d'età; in quell'occasione il Sindacato interprovinciale fascista dei dottori in economia e commercio gli offrì la raccolta dei suoi Scritti vari di economia (Milano 1934). Dal 1939 fu condirettore della nuova serie del Giornale degli economisti e Annali di economia (già Giornale degli economisti e Rivista di statistica). Ricoprì, inoltre, la carica di presidente dell'Unione interprovinciale del credito e delle assicurazioni e fu membro del Consiglio delle corporazioni.
Ebbe numerosi incarichi di rappresentanza dal governo italiano e fu insignito di varie onorificenze: nel 1918 venne nominato commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia (di cui divenne grande ufficiale nel 1934) e fu cavaliere dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro.
Il G. diede alle stampe oltre cento lavori.
La sua formazione aveva avuto luogo in un periodo di forti mutamenti nella cultura economica italiana. La diffusione in Italia della "nuova scienza", che ricercava una propria dimensione autonoma dal diritto e ambiva a entrare nell'alveo delle scienze esatte - e che, non a caso, cominciava a essere indicata con il termine di "economica" -, avvenne soprattutto intorno al 1890, attraverso le pagine del Giornale degli economisti. L'economia da un lato si proponeva come scienza pura, fondata sull'uso sempre più consistente di strumenti matematico-quantitativi; dall'altro rifondava la teoria classica del valore di A. Smith e D. Ricardo - centrata sulla nozione di prezzo necessario a ripagare il costo di produzione e a garantire la distribuzione del reddito dipendente da elementi storico-sociali - e vi sostituiva una concezione in cui gli elementi soggettivi, ricondotti al calcolo esatto della massima soddisfazione da parte di ciascun individuo sulla base di date preferenze, costituivano una determinante essenziale dei valori di equilibrio in ogni mercato.
Il G., noto come appartenente alla "scuola di Pavia", insieme con C. Supino, A. Graziani, C. Conigliani, U. Rabbeno e il suo maestro L. Cossa, non si lasciò, comunque, dominare dalle nuove correnti e, con spirito eclettico, se guardò con interesse alla teoria soggettiva del valore rimase, però, per molti versi ancorato a una concezione "oggettiva" del mondo economico, e ancora collegata al diritto. Il suo pensiero - come quello di altri economisti contemporanei quali L. Luzzatti, cui il G. fu pure strettamente legato, G. Montemartini, F. Turati e A. Mauri - si caratterizzò, quindi, per la rilevanza attribuita ai fatti e per la conseguente distinzione fra "leggi universali" e "leggi storiche", queste ultime più adatte a spiegare la realtà economica.
I primi lavori del G., La concorrenza estera e gli antichi economisti italiani (Milano 1884) e L'economia politica negli scrittori italiani del secolo XVI e XVII (ibid. 1889), sono in linea con gli interessi del suo maestro Cossa, costantemente impegnato nella ricostruzione storica delle dottrine economiche. Nel successivo Trattato di economia, la cui stesura iniziò nel 1915 e concluse nel 1919 (1ª ed., ibid. 1919; 2ª ed., in due voll., ibid. 1923-24), il G. rinunciava, invece, ad affrontare temi propri della storia del pensiero economico, ma non per questo si concedeva alla concezione "pura" della scienza economica; scriveva infatti il G.: "Non si può, facendo astrazione da molte circostanze di fatto, costruire una teoria da applicarsi poi alla vita reale: la teoria va ricavata da un esame più completo che sia possibile dei fatti: è solo per facilità di studio che bisogna incominciare con quesiti resi semplici mediante l'astrazione" (I, 1923, p. 256). Nei primi quattro libri del Trattato, che coprono meno di metà dell'opera, egli esponeva i fondamenti della teoria dell'equilibrio economico, ma nel quinto libro, anziché "volare alto", aumentando il grado di astrazione, il G. si immergeva nella realtà istituzionale affrontando i temi dell'impresa privata e pubblica, della posizione dello Stato di fronte ai consumatori, delle banche, delle organizzazioni dei lavoratori e, infine, della legislazione sociale, restando, perciò, ancorato a una concezione classica della scienza economica, intesa piuttosto come economia politica.
Del resto, la produzione scientifica del G., compenetrata da un peculiare senso economico-giuridico, mostra una considerevole ampiezza di interessi teorici e applicati, specie nei campi delle cooperative, delle assicurazioni e della banca.
Sostenitore, fin dai suoi primi scritti, della cooperazione, il G. aveva esposto un suo progetto cooperativistico in occasione del già ricordato I congresso tenutosi a Milano nel 1886. Pur diffidente nei confronti delle interpretazioni "socialiste" del cooperativismo, egli riteneva tuttavia che la compresenza di imprese cooperative e speculative potesse correggere alcuni fenomeni distorsivi presenti nel sistema capitalistico: in particolare la sua ipotesi - chiarita in vari discorsi, la maggior parte dei quali pronunciati presso il R. Istituto lombardo di scienze e lettere - era che una consistente diffusione di aziende cooperative nel mercato dei prodotti e del credito rappresentasse la più sicura forma di difesa per consumatori e produttori contro i rischi, sempre presenti, del consolidarsi di monopoli economici e finanziari. Dai successivi scritti del G. sul tema, emergeva anche la preoccupazione di definire un ambito all'intervento regolatore dello Stato in termini che non ledessero, tuttavia, i meccanismi di sviluppo di un'economia di mercato. Queste preoccupazioni di stampo liberista erano comunque attenuate - con l'evolversi del pensiero politico-economico del G. nella direzione di teorie economiche orientate verso l'ideologia fascista - dalla convinzione che la corporazione fosse lo sviluppo ineluttabile del rapporto di cooperazione, non più limitato alla difesa dell'interesse di un gruppo in lotta con altri gruppi, ma permeato profondamente da una più ampia visione sociale: "La novità della economia corporativa sta nell'avere posto direttamente e non più indirettamente il fine nazionale come il criterio della convenienza di ordine superiore a cui l'attività economica va indirizzata" (Il procedimento sperimentale dell'economia corporativa, in Atti della Società italiana per il progresso delle scienze, XIX riunione, Bolzano-Trento, … 1930, I, p. 658; e in Giornale degli economisti e Rivista di statistica, XLV (1930), 10, p. 872). Gli scritti del G. sulla cooperazione furono poi raccolti nel volume La cooperazione dall'economia capitalistica all'economia corporativa (Milano 1932).
Il G. si pronunciò anche a favore delle banche popolari, percependone l'importanza per la sopravvivenza delle piccole imprese, altrimenti soffocate da un mercato del credito funzionale agli interessi della grande industria. Egli, comunque, rimane soprattutto il fondatore della teoria economica dell'assicurazione sociale in Italia; il suo libro L'assicurazione in generale (Milano 1898; nuova ed. ibid. 1938) è un esempio di come, con onestà intellettuale, l'economista possa separare le considerazioni di equità da quelle di efficienza, il problema della scelta dei fini da quello dell'individuazione dei mezzi. Il G. chiariva, infatti, come il problema dell'assicurazione sollevasse una questione etica, da sciogliere preliminarmente, in relazione alla volontà del corpo sociale di destinare una parte delle proprie risorse all'eliminazione obbligatoria dei rischi soggettivi, e ciò in alternativa alla realizzazione di obiettivi che avrebbero potuto essere giudicati preferibili, quale, per esempio, il valore stesso della libera e indipendente scelta di ciascun individuo. L'opinione del G. è che a tale domanda si debba rispondere affermativamente; senza lo strumento assicurativo, egli sostiene, "si è in uno stato di incertezza che tende a paralizzare ogni attività. Ne viene infatti una prostrazione morale […] Diminuisce la fiducia nelle proprie forze, che è la condizione affinché queste vengano efficacemente usate […] diminuisce anche la fiducia degli altri (onde maggior difficoltà di ottener credito); [l'assicurazione è] una condizione di lealtà nella lotta economica" (L'assicurazione in generale, p. 277). Egli sosteneva, inoltre, l'obbligatorietà delle assicurazioni sociali sulla base delle stesse motivazioni valide per l'istruzione; tale obbligatorietà era, poi, destinata ad ampliarsi: dall'assicurazione per gli infortuni sul lavoro a quelle per la maternità, per le malattie professionali, per le malattie in genere e, infine, per la disoccupazione involontaria. In questa specifica circostanza, per il G. l'eventualità che il lavoratore venisse a trovarsi in una situazione di disoccupazione involontaria non era legata a un cattivo funzionamento del mercato del lavoro, o alla stagionalità propria dell'industria, bensì alle oscillazioni della domanda. È certamente eccessivo attribuire al G. un'anticipazione della teoria dell'occupazione di J.M. Keynes, ma sarebbe d'altronde riduttivo sostenere che egli sia stato solo un economista applicato, incapace di elaborazioni teoriche autonome sui fondamenti della disciplina.
Se è vero, infatti, che il G. fu in primo luogo un economista "attento ai problemi legislativi, all'amministrazione, alle municipalizzazioni e coltivò una cultura economica orientata verso le cose concrete, la scienza utile, applicata" (Cardini, p. 24), tuttavia egli non mancò di contribuire allo sviluppo della scienza economica astratta, anche su terreni impervi quali quelli della natura dell'interesse (Contribuzione allo studio dell'interesse, in Rendiconti del R. Ist. lombardo di scienze e lettere, s. 2, XXXI [1898], 4, pp. 236-251) e della rendita del consumatore (Sulla misura del vantaggio che il consumatore ritrae da uno scambio, in Giornale degli economisti, 1916, n. 2, pp. 101-112, e Ancora due parole sulla rendita del consumatore, ibid., 1929, n. 4, pp. 153-159).
Il G. morì a Genova il 21 marzo 1940.
Fonti e Bibl.: Milano, Arch. generale del Politecnico, f. pers.; Ibid., Indice generale degli Atti del Comune di Milano; Roma, Arch. centr. dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, fascicoli pers. proff. univ.; necrologi in: Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, LXXIII (1939-40), 2, pp. 1-3; Giorn. degli economisti e Annali di economia, XVIII (1940), pp. 125-134; R. Benini, U. G. Commemorazione, in Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, LXXIV (1940-41), 1, pp. 1-15; Scritti in onore di U. G., in Giorn. degli economisti e Rivista di statistica, XLIX (1934), 10-11, pp. 645-899 (con bibliografia); T. Bagiotti, Storia della Università Bocconi 1902-1952, Milano 1952, pp. 35, 37 ss., 175, 229; V. Pareto, Lettere a Maffeo Pantaleoni 1890-1923, II, 1897-1906, a cura di G. De Rosa, Roma 1960, p. 365; R. Zangheri - G. Galasso - V. Castronovo, Storia del movimento cooperativo in Italia, Torino 1987, ad ind.; A. Cardini, L'economia e gli economisti a Milano: i rapporti con le discipline giuridiche e amministrative, in Milano nel primo Novecento. Protagonisti e problemi della cultura economica, a cura di P.L. Porta, suppl. a Economia pubblica, marzo-aprile 1996, n. 2, pp. 24 s.; C.G. Lacaita, Ingegneri, Politecnico e cultura economica a Milano, ibid., pp. 40, 47 s.; Storia di una libera università, I, L'Università commerciale Luigi Bocconi dalle origini al 1914, Milano 1992, p. 32; II, L'Università commerciale Luigi Bocconi dal 1915 al 1945, ibid. 1997, pp. 180-183, 399 s.; M. Cavazza Rossi, La cultura economica milanese e l'insegnamento universitario: le dispense dell'Università Bocconi, in Milano e la cultura economica nel XX secolo, I, Gli anni 1890-1920, a cura di P.L. Porta, Milano 1998, pp. 239 s., 264-283, 288, 290-294, 297 s.; A. Moioli, La cultura economica della borghesia produttiva milanese attraverso i periodici specializzati (1890-1914), ibid., pp. 26, 93; D. Parisi, L'economia come scienza "utile" e "interessata". Sapere tecnico e cultura economica a Milano tra Ottocento e Novecento, ibid., pp. 115, 124 n., 126 e n., 128, 136 s., 139-142, 148 s.; P.L. Porta, Istituzioni e centri di elaborazione della cultura economica, ibid., pp. 167, 173; C. Pavese, Il contributo del Municipio all'elaborazione della cultura economica milanese (1880-1914), ibid., p. 409.