GIOCCHI (Ciocchi), Ulisse
Figlio di Bastiano, di famiglia benestante, nacque a Monte San Savino fra il 1560 e il 1570. La sua intensa attività per chiese e confraternite della città natale e del contado è documentata a partire dal 1591, rivelando un pittore qualitativamente discontinuo, formato nel contesto di una cultura locale di stampo ancora vasariano, ma precocemente attratto dalle novità figurative di Federico Barocci, esito della profonda impressione suscitata in ambiente toscano dall'arrivo ad Arezzo della Madonna del Popolo (1579), oggi agli Uffizi. Una costante ripresa, sia pur semplificata, di invenzioni, motivi e cangiantismi barocceschi si intreccia, già nella produzione giovanile, con un'attenzione paesaggistica di gusto nordico, importante per i futuri sviluppi stilistici del G. che, difficilmente appresa a Roma, nei cantieri sistini di Paul Brill (Centrodi - Romanelli, p. 36), si può meglio imputare ai meccanismi di una cultura figurativa decentrata che si aggiorna attraverso la circolazione di stampe. "Discepolo nell'arte" e aiuto "nelle opere a giornata" di Bernardino Poccetti, il G. venne menzionato da Filippo Baldinucci che, sorvolando su una produzione "di poca considerazione" per indugiare piuttosto sulla natura di "uomo piacevole" ma "mostruosamente gobbo", fido compagno d'osteria del maestro (p. 150), risolve così i termini di una collaborazione che scavalca l'alunnato, consentendo di chiarire la frequente presenza del pittore sui cantieri poccetteschi fra la fine del Cinquecento e il primo decennio del Seicento.
Firmata in basso a sinistra, la tavola dei Ss. Lorenzo e Maddalena, attualmente conservata nella chiesa sansavinese di S. Giovanni, fu commissionata al G. nel 1591 dalla locale Compagnia della Neve, con l'intenzione di celebrare l'impegno caritativo della confraternita nell'affollata scena di elemosina, in secondo piano, benedetta e ratificata dal Cristo in gloria. Con analoga impostazione e datazione, la tela di S. Maria Maddalena, s. Lazzaro vescovo e altri santi, commissionata per S. Stefano a Marciano, ripropone ingenuamente forme e modelli barocceschi, consentendo di attribuire al G. anche l'Adorazione dei magi e s. Giovanni nella stessa chiesa.
Nel 1592 il G. avviò una proficua e duratura relazione con gli agostiniani, essendo impegnato nella locale chiesa dell'Ordine (S. Agostino) "per figure sotto l'organo", due tondi, citati dai documenti ma dispersi, due Annunciazioni frammentarie e un S. Giovanni (Centrodi - Romanelli, p. 35). Allo stesso momento risalgono anche le due lunette ai lati del crocifisso dipinte per un ambiente destinato alla meditazione, sottostante alla canonica, con S. Agostino e S. Monica, inginocchiati in preghiera davanti a un libro aperto, sullo sfondo di un'aperta campagna in cui si riconoscono gli edifici sacri di Monte San Savino. Paesaggismo nordico e nature morte di ascendenza fiamminga, forse mediate dai senesi della cerchia di Francesco Vanni, connotano la pala firmata dei Ss. Fabiano e Sebastiano (oggi nella chiesa di S. Giovanni a Monte San Savino), commissionata nel 1593 per l'omonima Compagnia, con il contributo degli agostiniani, ma terminata soltanto venti anni più tardi.
Fra l'aprile del 1600 e il maggio dell'anno successivo, il G. fu impegnato nel cantiere della chiesa camaldolese di S. Maria in Gradi ad Arezzo in un ciclo ad affresco rappresentante gli Apostoli, alcuni putti reggiattributi e scenette monocrome. Intonacato nel Settecento e ancora non completamente riscoperto, si ispira al modello di Poccetti nella cappella del Giglio a S. Maria Maddalena dei Pazzi (1598-1600), suggerendo, sia pur cautamente, l'ipotesi di una presenza del G. sul cantiere fiorentino. Al G. si attribuisce anche l'Assunta dell'abside che, avvolta in un pesante panneggio, si richiama alla cultura figurativa romana di stampo raffaellesco.
Se la presenza dell'abate Silvano Razzi, conosciuto a Monte San Savino, indica un possibile veicolo per la committenza aretina (Centrodi, 1990, p. 397), l'apprezzamento verso il pittore dimostrato dai monaci camaldolesi potrebbe contribuire a spiegare gli altri impegni del G. in città, quali il Miracolo di s. Giacinto, già nella chiesa di S. Domenico, e la Madonna con Bambino per il convento dei cappuccini.
L'individuazione della firma di Cosimo Lotti sulla pala di attribuzione giocchesca della Madonna del Rosario nella chiesa di S. Michele a Carmignano (1601) e l'affinità stilistica con la Natività di S. Giorgio a Castelnuovo, minano in profondità la tesi di una presenza del G. in area pratese, debolmente ancorata, a questo punto, alla Maddalena penitente del monastero di S. Clemente che, di matrice fiorentina, non sembra essere troppo convincente riferirgli (Cerrettelli, p. 84).
Firma e data (1602) confermano al G. il ductus sciolto della Madonna con Bambino e santi di S. Martino a Foiano della Chiana; mentre intorno al 1603, siglato sulla Lapidazione di s. Stefano per l'altare maggiore dell'omonima chiesa di Chiusi (attualmente in S. Francesco), gravitano l'Assunta di S. Salvatore a Lecceto e l'intervento documentato nel chiostro della chiesa di S. Agnese di Montepulciano, dove il G. affrescò un ciclo (perduto) di diciassette lunette dedicate alla vita della santa.
Le intense relazioni di Poccetti con i certosini di Pontignano (1597) e del Galluzzo (1591-1602) costituirono evidentemente il veicolo delle commissioni al G. che, forse presente sul cantiere senese accanto al maestro, affrescò, in data non precisabile, il Peccato originale e la Resurrezione sulle pareti della scala di accesso alla cripta nella certosa del Galluzzo, oltre alle quattro vele con Storie di s. Giuliano sulla volta dell'omonima cappella.
La collaborazione con Poccetti proseguì, dopo l'immatricolazione del G. all'arte dei pittori (1605), nella chiesa granducale della Madonna della Fontenuova a Monsummano. Qui eseguì, nel 1607, un modesto fregio paesaggistico di gusto nordico con Virtù, Sibille e Profeti, siglando l'intervento con l'emblema sansavinese del monte a tre cime, accostato all'iniziale del nome. Su disegni del maestro, il G. affrescò, fra 1605 e 1608, per il mercante bergamasco Bernardo Corona da Ponte, l'oratorio della villa fiorentina detta "loggia dei bianchi", allestendo in immagine, con vivace taglio narrativo, la leggendaria processione della Compagnia penitenziale, alla presenza dei committenti e dei loro rispettivi patroni.
Il biennio 1608-09 fu caratterizzato dall'intervento a palazzo Pitti del G.: incaricato da Poccetti eseguì una lunetta con la Giustizia e la Prudenza, e gli affreschi con le Virtù in una metà della volta della sala di Bona; collaborò al Ciclo dei mesi in una sala del mezzanino; e, di nuovo autonomamente, realizzò nell'ambiente contiguo un'interessante sequenza paesistica con scene di caccia e pesca, intervallate da figure danzanti, dimostrando ricchezza e inventiva nell'aggiornare la tradizionale impaginatura dei fregi vasariani sul repertorio nordico divulgato dai Brill.
La data del 1609, scoperta accanto alla sigla dopo il restauro del 1991 (Acidini Luchinat, p. 304), colloca la lunetta affrescata dal G. per la chiesa di S. Spirito a Firenze al centro di una preferenziale relazione di committenza con l'Ordine degli agostiniani che, inaugurata dalle giovanili esperienze sansavinesi, approda poi alle numerose commissioni del secondo decennio del Seicento.
Situata sopra la porta di comunicazione tra la sagrestia e il vestibolo della chiesa, La miracolosa apparizione del bambino a s. Agostino si distingue per una gradevole ariosità che intreccia, in felice combinazione, suggestioni fiamminghe a un andamento narrativo di mite e pacata devozione. Conchiglie sull'arenile, uccelli che si cibano di crostacei, la vita eremitica del convento incorniciano in uno spazioso fondale marino, la scena del santo, identificato dalle insegne ben in vista sul terreno, che osserva l'angelo in forma di fanciullo intento a travasare l'acqua del mare in una buca sulla sabbia. Metafora dell'inanità delle speculazioni teologiche agostiniane, il gesto del florido putto rimanda al simbolo trinitario tricipite, che, raffigurato in cielo, e iconograficamente eccentrico rispetto agli orientamenti postconciliari, funziona da emblema delle sue indagini razionali. Resa della muscolatura e trattamento del panneggio consentirebbero di attribuire al G., dopo il restauro degli anni Ottanta, anche la lunetta su tela del vestibolo con La rivelazione di Gesù pellegrino a s. Agostino, testimonianza di un "percorso figurativo composito ed eclettico" attento, in questo caso, alla cultura figurativa fiorentina di Francesco Curradi (Francolini, p. 307). I frammenti di un fregio di illustri religiosi, nell'infermeria vecchia del convento, tradizionalmente riferito a Poccetti ma caratterizzato dalle cifre stilistiche tipiche del G., confermano ancora una volta il rapporto di collaborazione tradotto nel ruolo di mediatore del maestro a vantaggio dell'allievo.
Unica opera citata da Baldinucci insieme con la lunetta di S. Agostino, il perduto tabernacolo fiorentino nei pressi del ponte di S. Trinita, coevo ai lavori di Poccetti nell'adiacente palazzo Spini (1609-10), prelude all'intervento in S. Bartolomeo a Monteoliveto: ancora una volta con il maestro, il G. eseguì gli affreschi di una cappella con una Gloria e angeli sulla volta e una sottostante Deposizione che rivelano una singolare tendenza alla deformazione delle figure, cifra costante e ben riconoscibile all'interno di una produzione qualitativamente diseguale (Vasetti, pp. 72 s.). Un bozzetto firmato della prima lunetta del chiostro di S. Lorenzo a Pistoia consente di attribuire al G. gli affreschi, ormai allo stato sinopiale, con le Storie di s. Agostino, e di datarli al 1610 in concomitanza con la quarta pala a destra nella chiesa (S. Paolo, s. Michele Arcangelo e altri santi), ideata a contorno di un'immagine sacra più antica con la Madonna della Cintola. Concluso, secondo la tradizione locale (Tolomei, pp. 78, 80; Tigri, p. 244), nel 1617, il ciclo ripropone la frontalità rigorosa degli interventi di Poccetti al Galluzzo; mentre l'insolita tecnica a olio del foglio monocromo (Parigi, collezione privata) asseconda un progressivo arricchimento stilistico in direzione fiorentina, verso il pittoricismo neoveneto di Ludovico Cardi, detto il Cigoli, e di Domenico Cresti, detto il Passignano.
Databile al 1614, integrando l'iscrizione lacunosa in numeri romani sul dipinto, il Cristo benedicente tra Carlo Borromeo, Giovanni Evangelista e altri santi per l'altare della Compagnia del Ss. Sacramento (oggi della Misericordia) di Montelupo, ripropone il consueto binomio stilistico del baroccismo impiantato sulle soluzioni figurative fiamminghe di Cornelis Cort e Jan Sadeler. Sull'aggiornamento nei confronti della cultura figurativa fiorentina, percepibile nella caratterizzazione fisionomica di s. Carlo e di s. Antonino e nei volti femminili, imputabili a stilemi curradeschi, il G. insistette in un contesto geografico immediatamente contiguo alla città medicea, sentendo la necessità, d'altra parte, di rimarcare esplicitamente, nella firma apposta sulla tela in basso a sinistra, la sua provenienza sansavinese.
Allo stesso momento risale la tela della Madonna del Soccorso con i ss. Carlo, Lucia, Agata e Damiano (o Rocco) per l'altare del padre Mario Giovannelli in S. Agostino a Volterra, a conferma di un fertile filone di committenza legato agli ordini religiosi che evidentemente si intensificò dopo la morte di Poccetti nel 1612.
Per i domenicani di S. Maria Novella a Firenze il G. eseguì, fra 1616 e 1618, le lunette dei portali esterni: al centro, Tommaso d'Aquino, nel momento dell'arrivo della processione del Corpus Domini, prega davanti al crocifisso sullo sfondo della piazza antistante alla chiesa; mentre, negli affreschi laterali, sono rappresentati i profeti Aronne e Melchisedec.
Domenicane erano anche le suore del monastero di S. Jacopo a Ripoli per le quali il G. dipinse, nel coro interno, un affresco del Buon Pastore, attualmente frammentario, e la monumentale pala del Martirio di s. Jacopo per l'altare maggiore della chiesa, documentata nei libri di ricordi, sostituita nel Settecento, e attualmente conservata nell'ex convento delle "montalve" nella villa alla Quiete. Sullo sfondo di una complessa quinta architettonica, l'aspetto solenne del santo, identificato dai consueti attributi del bastone e della conchiglia, ordinatamente distribuiti ai suoi piedi, i simboli del martirio esibiti dagli angioletti e l'iscrizione devota, assecondano le istanze del disciplinamento, raggiungendo contemporaneamente, nel colore intenso e luminoso, un risultato stilistico che configura il dipinto come uno dei capolavori del Giocchi.
Infine, in S. Domenico a Pistoia il G. affrescò due lunette nel portico della Maddalena, commissionate da Girolamo e Tommaso Rospigliosi. Databili al 1617, la Maddalena visitata dal romito e la Morte della santa ripropongono le figure muscolose, dalle gambe tornite, caratteristiche della sua produzione, e confermano d'altra parte gli intensi contatti del G. con gli ordini mendicanti.
Unica commissione francescana, l'intervento del G. nell'androne della chiesa fiorentina di Ognissanti, databile fra il 1616 e il 1619, rappresenta uno degli esiti più felici del suo iter artistico.
Fortemente danneggiati durante l'alluvione del 1966, staccati e solo di recente ricollocati, gli affreschi con le Storie della Vergine decorano un ampio andito quadrangolare con funzione di cappella, incastrato fra l'ingresso al convento dall'omonimo borgo e il primo chiostro. La fantasiosa e ardita organizzazione spaziale delle pareti e la complessa intelaiatura prospettica della volta, ideate dal G. per fronteggiare con eleganza le difficoltà di un ambiente fortemente irregolare, ospitano figure di nuovo ispirate a Poccetti, dalla Trinità che incorona la Vergine, mutuata dagli affreschi di S. Maria Maddalena de' Pazzi, all'Immacolata, memore della Fortezza della loggia degli Innocenti. Se la Natività della Vergine occupa una porzione di parete a fianco di un'apertura ad arco, dilatandosi in alto a riconquistare l'intero spazio lunettato, la Gloria di Maria, di fronte all'Assunzione, nasce dal peduccio al centro della parete lunga, si sviluppa in basso fra le due scene di Presentazione per poi concludersi in alto in uno spazio pentagonale in cui David e un profeta con turbante "dipinto con i raggi di beato" (Richa, IV, p. 288) fiancheggiano la Trinità.
Privi di notizie sono gli ultimi due decenni dell'attività del G., forse rientrato nella città natale dove realizzò, nel 1621, il gonfalone (perduto) per la Compagnia di S. Monica.
Il G. morì il 29 apr. 1631, e fu sepolto nell'arca di famiglia nella pieve di Monte San Savino.
Fonti e Bibl.: F. Baldinucci, Notizie dei professori del disegno da Cimabue in qua (1681-1728), a cura di P. Barocchi, III, Firenze 1974, pp. 150 s.; G. Richa, Notizie istoriche delle chiese fiorentine… (1754-62), Roma 1972, III, p. 25; IV, pp. 288, 306; IX, pp. 32 s.; X, p. 57; D. Moreni, Notizie istoriche dei contorni di Firenze, II, Firenze 1792, p. 131; F. Tolomei, Guida di Pistoia, Pistoia 1820, pp. 78, 80; V. Fineschi, Il forestiere istruito di S. Maria Novella, Firenze 1836, pp. 11 s.; G. Tigri, Pistoia e il suo territorio, Pistoia 1854, pp. 243 s.; G. Centrodi - G. Romanelli, U. G. (o Ciocchi), pittore di Monte San Savino, in Bollettino d'informazione Brigata aretina degli amici dei monumenti, XIX (1982), 34, pp. 32-42 (con bibl.); G. Leoncini - C. Chiarelli, La certosa del Galluzzo, Milano 1982, pp. 265, 274; M.P. Mannini, in Il Seicento fiorentino. Arte a Firenze da Ferdinando I a Cosimo III (catal.), Firenze 1986, II, p. 92; III, p. 58 (con bibl.); G. Centrodi, Pittura a Monte San Savino, Firenze 1988, pp. 20, 29, 31-34, 36 s.; R. Contini, La pittura del Seicento ad Arezzo e nel territorio aretino, in La pittura in Italia. Il Seicento, II, Milano 1989, p. 351; M.P. Mannini, ibid., pp. 694 s.; L. Zangheri, Ville della provincia di Firenze, Milano 1989, pp. 229 s.; L. Martini, Il rinnovamento decorativo del convento nel Seicento e Settecento, in Lecceto e gli eremi agostiniani in terra di Siena, Milano 1990, p. 266; G. Centrodi, U. G. a S. Maria in Gradi di Arezzo, in Atti e memorie dell'Accademia Petrarca di lettere arti e scienze, LII (1990), pp. 393-407; S. Meloni Trkulja, in Il chiostro di Ognissanti a Firenze. Gli affreschi del ciclo francescano, Firenze 1990, pp. 95 s., 100 s.; E. Capretti, Il complesso di S. Spirito, Firenze 1991, p. 51; F. Battazzi - A. Giusti, Ognissanti, Roma 1992, p. 87; F. Nannelli, La decorazione pittorica di S. Lorenzo a Pistoia: un restauro urgente, in Notizie di cantiere, IV (1992), pp. 128, 131; R. Caterina Proto Pisani, Appunti su alcuni pittori poco conosciuti nel Seicento: Francesco Ligozzi, Giovan Battista Ghidoni e altri, in Arte cristiana, LXXXIII (1993), 759, pp. 428-430, 436 s.; C. Cerretelli - M. Ciatti - M.G. Trenti Antonelli, Le chiese di Carmignano e Poggio a Caiano, Prato 1994, pp. 139, 166 s. (con bibl.); C. Acidini Luchinat, La lunetta della sagrestia, in La chiesa e il convento di S. Spirito a Firenze, a cura di C. Acidini Luchinat, Firenze 1996, pp. 303-307; S. Francolini, La lunetta del vestibolo, ibid., pp. 307-309; S. Vasetti, Alcune puntualizzazioni sugli allievi di Bernardino Poccetti…, in Annali della Fondazione di studi di storia dell'arte R. Longhi, III (1996), pp. 70, 72 s.; A. Padoa Rizzo, Il monastero di S. Jacopo a Ripoli e il suo patrimonio artistico, in La villa della Quiete. Il patrimonio artistico delle montalve, a cura di C. De Benedictis, Firenze 1997, pp. 166 s., 169; C. Cerretelli, Presenze significative nei primi decenni del Seicento, in Il Seicento a Prato, a cura di C. Cerretelli - R. Fantappié, Prato 1998, pp. 84 s. (con bibl.); C. D'Afflitto, Da Firenze a Pistoia…, ibid., pp. 68 s.; A. Furiesi - C. Guelfi, La città e il territorio…, in Dizionario di Volterra: storia e descrizione della città, personaggi e bibliografia, a cura di L. Lagorio, Pisa 1998, p. 556; Allgemeines Künstlerlexikon (Saur), XIX, pp. 251 s. (s.v. Ciocchi).