Ulisse Aldrovandi
La figura di Ulisse Aldrovandi, «il più enciclopedico degli enciclopedici» (C. Singer, A short history of scientific ideas, 1959; trad. it. 1961, p. 195), ha acquistato con il tempo crescente rilievo. A mano a mano che la storiografia recente ne ha precisato la fisionomia, questa, con sempre maggior consistenza, si è rivelata espressione di un’interazione feconda tra le dinamiche proprie della città di Bologna, che ha sempre riconosciuto in Aldrovandi una figura chiave della propria tradizione culturale, e quelle della nascente dimensione europea e transnazionale della ‘res publica literaria’, di cui Aldrovandi è stato un attore e un esponente significativo.
Ulisse Aldrovandi nacque a Bologna l’11 settembre 1522. Il primo episodio saliente della sua vita fu la fuga, appena dodicenne, a Roma. Rientrato a Bologna su preghiera della madre, rimasta vedova, studiò aritmetica, con lusinghieri esiti, con Annibale della Nave, che lo indirizzò verso la professione di contabile, svolta dapprima a Bologna poi presso un mercante a Brescia. Nel 1538 rientrò a Bologna e, desideroso di viaggiare, partì nuovamente per Roma, spingendosi poi in un lungo e avventuroso pellegrinaggio in Spagna, fino a S. Maria presso Santiago de Compostela. Si iscrisse quindi alla facoltà di Umanità e Giurisprudenza nell’ateneo felsineo e nel 1542 divenne notaio. Seguì i corsi per un settennio e quando era ormai in prossimità di laurearsi si volse interamente allo studio della filosofia naturale decidendo di proseguire gli studi a Padova, dove rimase nel biennio 1548-49. Rientrato nuovamente a Bologna fu accusato, assieme ad altri concittadini, di eresia e perciò tradotto a forza a Roma nel settembre del 1549 per comparire davanti al tribunale dell’Inquisizione (documenti da poco pubblicati danno questo trasferimento a Roma per non forzoso, avendo i rei abiurato a Bologna ed essendo stati rilasciati su cauzione; cfr. Catholic church and modern science, ed. U. Baldini, L. Spruit, 1° vol., t. 1, 2009, pp. 727 e segg.). Nel 1550 Aldrovandi fu amnistiato con gli altri rei a seguito della elezione di papa Giulio III.
Il soggiorno romano si rivelò altresì proficuo per il conseguente orientamento impresso da Aldrovandi ai suoi studi, anche grazie alla conoscenza, a scarcerazione avvenuta, di Paolo Giovio e Guillaume Rondelet. Proprio allora iniziò a raccogliere esemplari di animali marini, che andarono a costituire il primo nucleo del suo celebre museo. Rientrato a Bologna organizzò le prime erborizzazioni, nel corso delle quali fece amicizia con Luca Ghini. Nel 1553 conseguì la laurea in filosofia e medicina nell’Università di Bologna. Nel periodo successivo (1554-55) iniziò a insegnare, dapprima logica, poi filosofia, a cui si aggiunse nel 1556 la lettura dei semplici. Nel 1568 su sua istanza a Bologna fu istituito un orto botanico, che egli diresse inizialmente con Cesare Oddoni e, dopo la morte di questi, nel 1571, da solo.
Nel 1560 divenne protomedico, incaricato di sorvegliare la composizione dei medicamenti nelle spezierie. L’esercizio di questa funzione comportò inevitabilmente l’insorgere di contrasti con gli speziali. Emblematico fu l’episodio legato alla teriaca, il famoso farmaco di cui Aldrovandi proibì nel 1575 la vendita. Ne sortì una celebre disputa che travalicò i confini della città di Bologna. Aldrovandi, dapprima sospeso dal Collegio dei medici, uscì dopo due anni dalla disputa riabilitato, grazie all’intervento di papa Gregorio XIII, «ad omnes honores et dignitates».
Negli anni successivi Aldrovandi si sforzò di contrastare la routine accademica e di compiere quelle osservazioni di prima mano di cui avvertiva profondamente l’esigenza; intraprese così alcuni viaggi, il più noto dei quali fu quello compiuto nel 1554 sul Monte Baldo in compagnia di Luigi Anguillara e Francesco Calzolari. Decise di dar corso alla pubblicazione dell’ingente mole di materiali raccolti e nel dicembre del 1594 firmò all’uopo un contratto con Francesco de Franceschi, editore veneziano. I termini del contratto prevedevano l’allestimento di un’officina a Bologna, al fine di preservare lo stato delle tavole xilografiche. Per rallentamenti legati alle inadempienze del tipografo, Aldrovandi riuscì a vedere stampata solo una minima parte del progetto. Morì il 4 maggio del 1605 e in mancanza di eredi, giacché i figli nati in seconde nozze erano tutti prematuramente morti, lasciò il museo, i libri stampati e i manoscritti al Senato bolognese. Il museo fu collocato nel 1617 nelle sale del Palazzo pubblico; vi rimase, dopo che era avvenuta la fusione con la collezione adunata da Ferdinando Cospi, fino al 1742, quando, acquisito dall’Istituto delle scienze, fu trasferito a Palazzo Poggi.
Per una complessa serie di motivi, in parte legata alla particolare cura con cui la città di Bologna ha amministrato, salvandone una cospicua parte, il lascito cartaceo museale e iconografico, l’esplorazione dell’universo aldrovandiano è divenuta strategica per illustrare, con quella concretezza che la dimensione biografica può raggiungere, una serie articolata e interconnessa di fenomeni culturali che la ricerca storica ha evidenziato sia come tratti della morfologia storica e culturale del secondo Cinquecento, sia come elementi di più lunga durata. Si tratta del ruolo ambivalente giocato dalla riscoperta degli antichi nelle diverse fasi della cosiddetta rinascita della storia naturale; dell’intreccio complesso fra lectio e inspectio, non sempre né utilmente riconducibile a una secca opposizione fra una scienza di carta e una scienza di cose; dell’impatto lento, eppur dirompente, esercitato dalle scoperte geografiche; della funzione svolta dall’iconografia e dal fenomeno del collezionismo; degli spazi e forme di comunicazione della nascente res publica litterarum.
Il tratto caratterizzante la figura del bolognese risiede senza dubbio nell’essere stato, assieme a Konrad von Gesner, espressione fra le più compiute dell’enciclopedismo tardorinascimentale. Da un certo punto di vista tale caratteristica può essere interpretata come segno di una straordinaria ‘modernità’ intendendo gli studi compiuti da Aldrovandi, così come da Gesner, quali esempi di un rifiuto «anche se non coscientemente voluto, di ogni rigida delimitazione di campi di ricerca» (Olmi 1976, p. 35). Questa connotazione non deve però generare equivoci: ad Aldrovandi infatti non sfugge mai la consapevolezza della labilità e incompletezza delle conoscenze acquisite, come ebbe cura di esprimere proprio nelle pagine prefatorie dell’Ornithologiae hoc est de avibus historiae libri XII (1599), in cui condensava decenni di sforzi:
Sono consapevole infatti che molte altre cose sopraggiungeranno dopo le nostre osservazione, che, o da me tralasciate del tutto o parzialmente trascurate, esigeranno ingegni più acuti, dai quali, non spinti dall’odio né dall’invidia facilmente otterrò, credo, che mi perdonino o confutino pacatamente (p. non numerata).
Nel tracciare una volta per tutte i confini entro cui mantenere il discorso sulla natura, Aldrovandi dovette senza alcun dubbio tener conto della vicenda inquisitoriale romana. In quel frangente l’incontro con Giovio e Rondelet poté almeno indirettamente rivelarsi utile alla esemplificazione di un modello a un tempo virtuoso ed esente da rischi, in cui le istanze critico-metodologiche della stagione umanistica si combinavano a un aristotelismo eclettico, capace di confrontarsi con l’emergere di nuove indagini mediche e naturalistiche condotte in luoghi non tradizionali, quali spezierie, stanze della meraviglia, accademie. In questi luoghi si veniva elaborando un variegato corpo di conoscenze che mettevano alla prova le teorie biologiche aristoteliche, chiamate a interpretare e classificare un’ampia e spesso inusitata gamma di fenomeni naturali.
Il compito di saggiare la tenuta teorica del testo aristotelico, a prescindere dalla cardinalità che tale confronto assumeva, appartiene d’altro canto a un frangente preciso, ovvero a quella transizione in cui i cultori della naturalis historia furono, costitutivamente e quasi paradossalmente, divisi fra la volontà di acquisire i dati tramandati dai veteres auctores, le cui opere erano state in larga parte riscoperte o riguadagnate dall’Umanesimo, e il desiderio di far avanzare le conoscenze botaniche, zoologiche e mineralogiche mediante l’avvio di un nuovo protocollo di osservazioni sul campo. Le diverse spinte trovarono un punto di equilibrio metodologico nella categoria dello schedario, giacché, come è stato opportunamente rilevato, «altro non si poteva fare se non descrivere, inventariare, ordinare, classificare» (G. Olmi, ‘Figurare e descrivere’. Note sull’illustrazione naturalistica cinquecentesca, «Acta medicae historiae patavina», 1980-1981, 27, p. 100). L’inventario è l’espressione che sintetizza meglio la duplicità aldrovandiana: vi è una faccia potentemente rivolta a un riassorbimento della catena plurisecolare di dati consegnati dalla tradizione antica medievale, e tuttavia tra le coltri fumose della pura erudizione, come in un continuo e rapido giuoco delle parti, la figura dell’Aldrovandi enciclopedico cede spesso a quella dell’Aldrovandi vero scienziato (Olmi 1976, p. 37).
Forse tale connotazione riesce più evidenziabile se si osserva l’atteggiamento che Aldrovandi ha assunto verso alcuni settori che si potrebbero definire di frontiera, come le ricerche in campo teratologico ed embriologico. Nelle prime, che affondano le radici in una vera e propria orgia del mostruoso che si impossessa dell’Europa intera, si può quanto meno accertare il tentativo da parte del bolognese di definire «una soglia di discriminazione tra il probabile e la manifesta esagerazione, i parti della fantasia» (Olmi 1992, p. 47). Nelle seconde emerge una costellazione nella quale l’osservazione autoptica occupa un vertice strategico in un dialogo serrato con le risultanze del textus receptus: esemplificative, tratte dal resoconto delle osservazioni condotte nei mesi di maggio e giugno del 1564 e registrate nel De observatione foetus in ovis, sono le considerazioni svolte nel corso del secondo e terzo giorno:
Il 3° giorno, dunque, come disse Aristotele, compare indizio della fecondità dell’uovo e della presenza in esso del pulcino, mentre lo stesso mutamento appare più tardi del terzo giorno nelle oche, nei cigni e negli uccelli più grandi e, di conseguenza, prima del terzo giorno negli uccelli più piccoli della gallina. Noi, invero, vedemmo il 3° giorno una traccia evidente della generazione. Si comprende chiaramente, allora, che la natura tiene conto della dimensione degli uccelli e, in relazione ad essa, forma il feto più tardi o più presto. Il 3° giorno, dunque vedemmo il tuorlo dirigersi verso l’estremità ottusa dell’uovo. A tale spostamento allude il Filosofo nel cap. 3, lib. 6 dell’Historia animalium allorché scrive: a questo punto l’umore giallo si sposta verso l’estremità dove è collocato il principio dell’uovo. Qui, infatti sono maggiori il calore e la forza del seme che assorbe l’alimento. Una volta che il tuorlo ha completato l’ascesa, fa la sua comparsa nell’albume il cuore, simile, come dice Aristotele, ad un punto sanguigno. Credo che il Filosofo si riferisca proprio all’albume allorché scrive di un liquore bianco. Vedemmo la goccia di sangue muoversi a lungo nell’albume. Plinio, invece, scrisse che tale punto sale e si muove come un animale nel mezzo del tuorlo: anche noi vedemmo la stessa cosa. Di conseguenza, pare corretta l’opinione del Filosofo secondo la quale nella generazione degli animali, il cuore si forma per primo, sebbene Galeno sostenga che nei vivipari sia il fegato a formarsi per primo ed illustri ciò chiaramente a proposito dell’uomo. L’esperienza e l’osservazione sensibile mostrano, al contrario, che negli ovipari è questo punto sanguigno, che si vede salire e muovere, a conferire il primo moto al pulcino conservandone la vita, e se esso appare negli ovipari, allora per la stessa ragione può apparire nei vivipari ed essere generato nello stesso modo (in S. Tugnoli Pattaro, Osservazioni di cose straordinarie…, 2000, pp. 240, 242).
Di un certo rilievo, poiché rivelatore di una complessa rete di questioni istituzionali, scientifiche e relativi alla mentalità collettiva, è il già citato episodio della disputa sulla teriaca (per questa vicenda cfr. G. Olmi, Farmacopea antica e medicina moderna. La disputa sulla teriaca nel Cinquecento bolognese, «Physis», 1977, 1-4, pp. 197-246).
Aldrovandi si era occupato dei problemi inerenti la sua corretta composizione già nel 1554. Il motivo di tale interesse è giustificato dal fatto che la teriaca, giacché considerata il più efficace contravveleno, nonché un’autentica panacea, costituiva un tassello di importanza strategica in qualsiasi politica sanitaria. La disputa era scoppiata su un pregresso di tensioni prodottesi nel 1574 allorché Aldrovandi, in qualità di protomedico, venne incaricato dal governatore di comporre l’Antidotario bolognese, scavalcando le prerogative del Collegio dei medici. Il tentativo da parte di Aldrovandi di apportare alcune modifiche della ricetta fu percepito come un’enormità tale da produrre un’inedita alleanza fra gli speziali e i membri del Collegio. Lo scontro triangolare si protrasse per oltre un anno, con alterne vicende fino a che la parola fine fu scritta nel maggio del 1577, allorché fu richiesto l’intervento di papa Gregorio XIII che ordinò motu proprio la piena reintegrazione di Aldrovandi alla carica di protomedico, da cui il Collegio dei medici l’aveva destituito nel maggio del 1575.
Il sentimento di appartenenza alla realtà bolognese, entro cui si è dipanata la vicenda della teriaca, si è costantemente mescolato in Aldrovandi con il rimpianto di non aver mai realizzato quei viaggi che pure avvertiva come indispensabili. E tra le terre più agognate vi erano le Nuove Indie. Il desiderio di accedere a conoscenze più dirette e accertate di quelle a cui si era garantito l’accesso raccogliendo sistematicamente tutte le opere che trattavano la materia americana fu tale da indurlo a prendere in considerazione l’idea di trasferirsi in Spagna e di proporre al re Filippo II l’organizzazione di una missione scientifica. Né l’uno né l’altra ebbero corso e Aldrovandi cercò di ovviare dedicando ogni energia per stabilire contatti che gli consentissero comunque un canale diretto con la Spagna. Nutrì una particolare devozione per i granduchi di Toscana Francesco I e Ferdinando I, grazie ai quali Firenze era divenuta un fondamentale centro di raccolta e trasmissione delle notizie.
D’altro canto, i contatti che Aldrovandi ritenne indispensabile mantenere per un settore così importante quale era la conoscenza e l’acquisizione dei naturalia provenienti dalle Americhe costituivano un capitolo di una più complessa strategia: il contestuale allargamento dei confini geografici e l’approfondimento delle conoscenze relative alle terre già note erano divenuti tali che per poterne seguire gli sviluppi – come Aldrovandi scriveva, con formula felice e compendiaria al medico olandese Evert van Vorsten – «bisogna avere molti amici in varij luoghi» (cit. in G. Olmi, ‘Molti amici in varij luoghi’. Studio della natura e rapporti epistolari nel secolo XVI, «Nuncius», 1991, 6, pp. 3-31).
Descrivere, inventariare, ordinare, catalogare sono tutte azioni che ricadono nella sfera della scrittura; ma esse sono al contempo riferibili ad altri due spazi. Aldrovandi ha ben chiaro che «il discorso non basta. Per caratterizzare un animale o una pianta non è sufficiente parlarne: occorre anche mostrarli, far sì che all’individuazione della mente si accompagni quella dell’occhio» (G. Olmi, ‘Figurare e descrivere’. Note sull’illustrazione naturalistica cinquecentesca, «Acta medicae historiae patavina», 1980-1981, 27, p. 101). Aldrovandi riflette gli esiti di un mutato atteggiamento nei confronti del ‘momento iconografico’, così come incorporato nella fisionomia complessiva della stampa a caratteri mobili, che ha contribuito a far deporre dall’iconografia il carattere ornamentale tipico dell’età medievale per farle assumere una funzione eminentemente didascalica. Aldrovandi si rivolge all’iconografia, mediante tutte le arti e le tecniche che la esprimono, come a un tramite fondamentale che gli consente di aprire una finestra sulla realtà naturale. Medesima è l’esigenza che soggiace al secondo spazio, quello della collezione.
I prodromi della raccolta aldrovandiana risalgono alla vicenda inquisitoriale romana, quando l’avvicinamento a Giovio e a Rondelet incoraggiò Aldrovandi ad allestire una prima raccolta di naturalia marini. Al 1551 risale invece l’inizio dell’erbario di piante secche, che raggiunse con gli anni oltre cinquemila pezzi. Per quanto concerne le caratteristiche del museo, in esso il bolognese fece confluire non solo reperti naturalistici, ma anche tutta quella serie di oggetti che andavano sotto l’etichetta di artificialia. Ciò non può stupire, sia per la temperie generale, sia se si tiene presente che Aldrovandi manifestò sempre uno spiccato interesse per l’antiquaria: d’altro canto, la prima opera che il bolognese affidò alle stampe, dedicata alle statue di Roma antica, è di schietto argomento antiquario. Ciò detto, la collezione aldrovandiana mostra i segni, giusta una tendenza che è stata riconosciuta come prettamente italiana, di una decisa specializzazione verso il settore degli studi naturalistici: in ultima analisi, la sua complessiva fisionomia sembra indicare la volontà di non offrirsi come una «totalità cosmologica», né come un passepartout per decrittare l’intero alfabeto del mondo.
Delle statue romane antiche, che per tutta Roma, in diversi luoghi, et case si veggono, in L. Mauro, Le antichità de la città di Roma, Venetia 1556, pp. 115-316.
De observatione foetus in ovis (1564), in S. Tugnoli Pattaro, Osservazione di cose straordinarie. Il “De observatione foetus in ovis” (1564) di Ulisse Aldrovandi, Bologna 2000.
Ornithologiae hoc est de avibus historiae libri XII, Bononiae 1599.
Ornithologiae tomus alter cum indice copiosissimo variarum linguarum, Bononiae 1600.
De animalibus insectis libri septem, cum singulorum iconibus ad vivum expressis, Bononiae 1602.
Ornithologiae tomus tertius, ac postremus. Cum indice copiosissimo variarum linguarum, Bononiae 1603.
De reliquis animalibus exanguibus libri quatuor, post mortem eius editi: nempe de mollibus, crustaceis, testaceis, et zoophytis, Bononiae 1606.
De piscibus libri V et de cetis lib. unus, Bononiae 1613.
Quadrupedum omnium bisulcorum historia, Bononiae 1621.
De quadrupedibus digitatis viviparis libri tres; et de quadrupedibus digitatis oviparis libri duo, Bononiae 1637.
Serpentum et Draconum historiae libri duo, Bononiae 1640.
Monstrorum historia cum Paralipomenis historiae omnium animalium, Bononiae 1642.
Musaeum metallicum in libros IIII distributum, Bononiae 1648.
Dendrologiae naturalis scilicet arborum historiae libri duo, Bononiae 1668.
Avvertimenti del dottor Aldrovandi all’Ill.mo e R.mo Cardinal Paleotti sopra alcuni capitoli della pittura, in Trattati d’arte del Cinquecento, a cura di P. Barocchi, 2° vol., Bari 1962, pp. 511-17.
Modo di esprimere per la pittura tutte le cose dell’universo mondo, in Scritti d’arte del Cinquecento, a cura di P. Barocchi, Milano-Napoli 1971, pp. 923-30.
Discorso naturale […] nel quale si ragiona in generale del suo museo e delle fatiche da lui usate per raunare da varie parti del mondo, quasi in un theatro di natura, tutte le cose che in quello sono, in S. Tugnoli Pattaro, Metodo e sistema delle scienze nel pensiero di Ulisse Aldrovandi, Bologna 1981, pp. 175-232.
Monstrorum historia, préface de J. Céard, Paris-Torino 2002 (riproduzione facs. dell’ed. 1642).
G. Fantuzzi, Memorie della vita di Ulisse Aldrovandi medico e filosofo bolognese, Bologna 1774.
O. Mattirolo, L’opera botanica di Ulisse Aldrovandi: 1549-1605, Bologna 1897.
L. Frati, Catalogo dei manoscritti di Ulisse Aldrovandi, Bologna 1907.
Intorno alla vita e alle opere di Ulisse Aldrovandi, Bologna 1907.
A. Andres, I meriti zoologici di Ulisse Aldrovandi, Roma 1908.
G. Montalenti, Aldrovandi Ulisse, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2° vol., Roma 1960, ad vocem.
G. Olmi, Ulisse Aldrovandi: scienza e natura nel secondo Cinquecento, Trento 1976.
Ulisse Aldrovandi e la Toscana: carteggio e testimonianze documentarie, a cura di A. Tosi, Firenze 1989.
G. Olmi, L’inventario del mondo. Catalogazione della natura e luoghi del sapere nella prima età moderna, Bologna 1992.
G. Olmi, L. Tongiorgi Tomasi, De piscibus: la bottega artistica di Ulisse Aldrovandi e l’immagine naturalistica, Roma 1993.
P. Findlen, Possessing nature. Museums, collecting, and scientific culture in early modern Italy, Berkeley-Los Angeles-London 1994.
L’Erbario di Ulisse Aldrovandi: natura arte e scienza in un tesoro del Rinascimento, a cura di B. Antonino, Milano 2003.
Animali e creature mostruose di Ulisse Aldrovandi, a cura di B. Antonino, Bologna 2004.
Natura Picta. Ulisse Aldrovandi, a cura di A. Alessandrini, A. Ceregato, Bologna 2007.