FABBRI, Ulderico
Nacque a Monestirolo (ora frazione di Ferrara) il 2 luglio 1897 da Chiarissimo, piccolo commerciante, e da Teresa Meotti. Trasferitosi con i genitori a Ferrara nel 1911, si allogò qui presso una bottega di marmista, frequentando contemporaneamente i corsi serali della civica scuola d'arte "Dosso, Dossi". Partito per la prima guerra mondiale, rimase gravemente ferito sul fronte balcanico, riportando l'atrofia della mano sinistra e, in parte, di quella destra. Ottenuta la pensione di guerra, ma fermamente intenzionato a riprendere l'attività scultorea, si trasferì a Roma, dove riuscì a recuperare l'uso delle mani grazie alle cure ricevute presso una casa di rieducazione per militari invalidi e dove studiò all'accademia di belle arti.
Frutto emblematico di questa prima attività scultorea sono i "nudi maschili" con gli arti inferiori brutalmente troncati, chiara metafora della sua condizione fisica più che tradizionale ripresa accademica di opere classiche (cfr. Scardino, 1984, fig. p. 55). Queste ed altre sculture del periodo sono composizioni simboliste, che nascono da sottili inquietudini psicologiche, e presentano un'impostazione plastica che sembra quasi voler riprendere il vibrante modellato del Pollaiolo o dei grandi plasticatori emiliani del Quattrocento.
La produzione del F. presenta nel complesso una chiara tendenza all'eclettismo: talvolta si allineò con il "ritorno all'ordine" propugnato dal Novecento (anche se il suo stile è più spesso un neoclassicismo filtrato da Rodin), talora si avvicinò ad una stilizzazione geometrica, quasi déco, come nell'asciutto Ippogrifo in marmo, donato a Italo Balbo dai mutilati di Ferrara al ritorno dalla sua prima crociera atlantica.
Quest'opera fu esposta alla Settimana ferrarese (palazzo S. Anna, 1928, che segnò l'inizio di un'intensa, ventennale attività espositiva (il F. partecipò a mostre collettive ferraresi del 1930, '32, '33, '35, '36, '39, '43).
Fuori Ferrara il F. fu invitato a partecipare alla Mostra internazionale di arte sacra (Padova 1931, con un Transito di s. Francesco, poi collocato nella chiesa parrocchiale di Ripapersico), alla Primavera fiorentina (Firenze 1933), all'Internazionale d'arte sacra (Roma 1934), alle Quadriennali di Roma del 1935 e 1939, alla Biennale di Venezia del 1936 (in una sala con Manzù), alla Mostra degli artisti mutilati (Milano, galleria Pesaro, 1937, dove il suo Giovinetto in bronzo fu acquistato per il locale Museo d'arte moderna).
Dalle opere di questo periodo si rileva un interesse specifico per la ritrattistica (il busto di Italo Balbo, in varie redazioni, per adomare le locali case del fascio, o quello - neoimperiale - di Rino Moretti, Ferrara, coll. Scardino) e una evidente attenzione rivolta verso l'infanzia (il marmoreo Giottino, Giotto bambino in atto di disegnare il cerchio, S. Giovannino in bronzo; entrambi nella coll. degli eredi Fabbri, famiglia Cavicchi-Lunettì); ma affiorano anche tematiche sacre, che saranno poi prevalenti: del suo sofferto misticismo sono testimonianza, fra l'altro, il nervoso Cristo risorto (ubicazione ignota), esposto a Roma nel 1934, e la Via Crucis in terracotta, collocata nel 1935 nel chiostro grande della certosa di Ferrara.
Se in quest'ultima - bozzettistica e vivace - si avverte un compiacimento per la "polliciata", ovvero un'attenzione ancora rivolta all'ottocentismo più scapigliato, in altre opere il F. rivela un'attenzione per ritmi plastici più moderni, in consonanza d'intenti con F. Messina e con A. Minerbi (si veda l'allegoria musicale raffigurante Il Genio dell'Arte, posta sulla fiancata dell'auditorium di Ferrara).
Dopo la seconda guerra mondiale il F. continuò in questo suo curioso eclettismo, riprendendo da un lato ancor più le suggestioni neoquattrocentesche, segnatamente fiorentine.
Si veda la Madonna in terracotta, ora presso la Cassa di risparmio di Ferrara, esposta nel 1946 in una collettiva nel castello ferrarese e che fece scrivere a L. Servolini (Gli artisti ferraresi alla mostra del castello, in Corriere del Po, 24 nov. 1946) che il F. "aveva sviluppato sul solido substrato classico della sua plastica elementi di moderno sentire e tuttavia pieno di vigore, sì da raggiungere una personalità completa".
Nel decennio seguente il F. realizzò così sia l'intensissima Maternità (1953; conservata a Ro, coll. Sgarbi) dai sapidi ritmi tondeggianti, non lontani dal gustoso "realismo padano" di G. Gorni, sia il mausoleo del vescovo Ruggero Bovelli (1954; cattedrale di Ferrara), in cui è lampante - nella figura del defunto ripreso sul letto di morte - la riappropriazione degli schemi rinascimentali toscani, alla B. Rossellino. Caratteristica del suo eclettismo risulta altresì la pala del Sacro Cuore (duomo di Milano) su modello di E. Rubino, che nella composizione rastremata assembia in sé echi barocchi, suggestioni liberty (negli angeli) e realismo "d'età degasperiana" (nei volti del Cristo e dei due santi). Il F. risultò sempre meno scultore modernamente "impegnato" e diradò notevolmente l'attività espositiva: nel 1950 fondò a Ferrara con vari amici artisti "II Filò", vivace sodalizio culturale, che proponeva una interrelazione fra espressione artistica e cultura popolare. Scrisse anche poesie d'un dolciastro gusto sentimentale, in grandissima parte inedite (conservate presso la famiglia Cavicchi-Lunetti).
Tra le sue ultime opere ricordiamo le numerose sculturine fittili di soggetto intimistico familiare, stilisticamente protese ad un recupero dell'impressionismo alla Medardo Rosso e, in ambito pubblico, il Narciso, posto nell'atrio della Camera di commercio a Ferrara. La tomba di Mario Magrini (Ferrara, cimitero della certosa), eseguita negli anni '60, appare l'ennesima e ormai inerte e trita ripresa di accademici schemi quattrocenteschi, mentre La lotta contro il Male, esposta nel 1961 ad una collettiva di artisti ferraresi a Saint-Etienne (pubbl. nel catal. della mostra), rivela una sensibile attenzione per il recupero di stilemi etruscheggianti.
Il F. morì a Ferrara il 16 ag. 1970.
Fonti e Bibl.: Necr., in Gazzetta di Ferrara, 18 ag. 1970. Oltre ai cataloghi delle mostre citate all'interno della voce cfr. Biografie, autobiografie e confessioni degli artisti ferraresi, in Il Diamante, sett. 1928, p. 16; G. Medri, La rassegna degli scultori, ibid., novembre-dicembre 1928, pp. 11 s.; L. Greci, Le esposizioni di palazzo S. Anna - La mostra collettiva degli artisti ferraresi, ibid., gennaio 1930, p. 2; C. Padovani, Alla Mostra internazionale d'arte sacra a Roma, in Riv. di Ferrara, marzo 1934, pp. 142 s.; Artisti ferraresi alla II Quadriennale d'arte, ibid., marzo 1935, p. 115; G. Ravegnani, Con i nostri morti in testa, Ferrara 1935, pp. 14, 70, 104; G. Mieville, Mostra degli artisti ferraresi, in Corriere padano, 6 dic. 1935; A. Pozzi Un mistico fra le pietre, in Ilritorno di Mecenate, Padova 1937, pp. 353-358; C. Padovani, Al palazzo dei Diamanti - La mostra d'arte, in Corriere padano, 16 maggio 1943; B. Ghiglia, Primo contatto collettivo fra artisti e cittadinanza, in Corriere del Po, 30 dic. 1950; L. Caramel-C. Pirovano, Musei e Gallerie di Milano - Galleria d'arte moderna - Opere dell'800, III, Milano 1975, A/54; R. Patitucci, Un cognome per due artisti, in Nuova Civiltà, I (1976), 9, p. 40; G. Longhi, U. F., in La Pianura, XCVIII (1979), 1, pp. 94 s.; L. Scardino, Ferrara ritrovata - 55 artisti ferraresi dell'Ottocento e del Novecento, Ferrara 1984, pp. 54 s.; Id., Certosa 1885-1985: un percorso storico-artistico, in La certosa di Ferrara, Padova-Ferrara 1985, p. 78; Alfeo Capra - Dipinti dal 1918 al 1987 (catal.), Ferrara 1987, pp. 16, 20, 86 s.; L. Scardino, La Cassa per le arti figurative moderne, in I centocinquant'anni della Cassa di risparmio di Ferrara, Cinisello Balsamo 1988, p. 90; A. Andreotti-A. Pinnavaia-G. Guerzoni, U. F., Padova-Ferrara 1989; Scultura ital. del primo novecento, catal. a cura di V. Sgarbi, Casalecchio di Reno 1992, pp. 98 s.